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Autore: Yugi95    01/10/2017    3 recensioni
Raccolta di brevi one-shot dedicate ai “cattivi” affrontanti da Ladybug e Chat Noir. In particolare le storie si focalizzeranno su un breve e significativo momento della vita di questi personaggi. Alcuni di questi episodi avverranno poco tempo dopo l’attacco dell’Akuma; altri, invece, si andranno a collocare anche decine di anni prima; pochi, infine, avranno luogo nel momento esatto in cui Papillon libererà la pericolosa Akuma di turno. Ovviamente il tutto sarà affrontato da un punto di vista più maturo e coscienzioso rispetto al cartone. Lo scopo della raccolta è quello di focalizzare l’attenzione sul lato umano degli akumizzati; di capirne la psicologia; di conoscerne difetti e debolezze che li hanno portati ad essere facile preda di Papillon. Numerosi saranno i collegamenti con la serie e i riferimenti alle diverse avventure vissute da Ladybug e Chat Noir. Nonostante ciò, i capitoli non saranno interconnessi da un’unica trama di fondo, ma avranno la funzione di porre l’accento su determinati eventi, persone, problematiche e paure.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloè, Juleka, Nathanaël, Sabrina, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo III – L’abbraccio del silenzio
 
Quella mattina di inizio maggio la camera da letto dei coniugi Haprèle sembrava essersi trasformata in un campo di battaglia. Giacche, pantaloni e T-shirt colorate erano state gettate alla rinfusa sul bianco materasso matrimoniale, ormai privato delle sue lenzuola verde acqua. Queste, infatti, erano state misteriosamente “adagiate” sui lunghi bracci del bronzeo lampadario che pendeva dall’alto soffitto. Cappelli di varie forme e misure, invece, si trovano sparsi sul pavimento, rendendo quasi impossibile il potersi spostare da un punto all’altro della stanza. Creme, cosmetici, pennelli e piumini, infine, erano stati riposti alla rinfusa su di un bianco mobile da toletta, dotato di un grande specchio la cui superficie rifletteva l’immagine di un giovane dai capelli castani. Sulle sue ginocchia era poggiato un borsone grigio dai manici neri, all’interno del quale erano stati ordinatamente stipati una serie di vestiti, scarpe e trucchi. L’uomo con una strana euforia e maniacale attenzione stava controllando attentamente il contenuto della borsa, quando una voce femminile, proveniente dalle sue spalle, lo fece sobbalzare.
«È la quindicesima volta che scavi lì dentro: stai diventando ossessivo».
L’altro si girò di scatto verso la porta della camera e, lasciando cadere il borsone per terra, si mise in piedi. Si passò nervosamente una mano tra i capelli e, tenendo lo sguardo basso per l’imbarazzo, biascicò:
«Ho paura di dimenticare ciò che mi serve per l’audizione, tutto qui».
«Sono sicura che hai preso il necessario, forse anche qualcosa in più» scherzò la donna massaggiandosi la pancia che ormai da una settimana non la smetteva di farle male.
Il marito, resosi conto di quel gesto impercettibile, corse verso di lei e, prendendole la mano, la cinse con il braccio destro. L’accompagnò lentamente verso il letto e, cercando di non farla sforzare, la fece sedere sul bordo del materasso in modo tale che potesse riposarsi. La donna, come ringraziamento per quella cortesia, gli regalò un luminoso sorriso. Il giovane cercò di fare altrettanto, ma l’ansia, causata dal particolare stato di attesa in cui versava la sua dolce metà, non gli dava pace. In quei nove mesi sembrava essere filato tutto liscio; tuttavia nell’ultimo periodo la signora Haprèle aveva accusato strani e continui dolori all’altezza del ventre e, come se non bastasse, il suo corpo si era parecchio debilitato.
«Adeline, non avresti dovuto salire la rampa di scale da sola» esclamò l’uomo con tono severo.
«Sto bene. Non c’è bisogno di allarmarsi, Fred» lo rassicurò la moglie, mentre continuava a massaggiarsi il grembo - «Tu, piuttosto, come ti senti? Sei sicuro di farcela? Dopotutto non sei obbligato».
Il signor Haprèle si inginocchiò davanti la donna e, prendendole le mani, le disse:
«Tesoro, questa è la mia grande occasione… non posso lasciarmela sfuggire. Erano anni che la compagnia teatrale della Comédie-Française non assumeva nuovi figuranti. Certo, sono nervoso oltre ogni immaginazione, ma… ma questa è la mia ultima possibilità per diventare qualcuno, per mostrare agli altri le mie capacità».
«Sai bene che non devi dimostrare niente a nessuno, soprattutto alle persone che ti amano per ciò che sei» replicò Adeline facendogli l’occhiolino.
«Adeline, ti prego…» sospirò, tristemente, Fred chinando la testa e stringendo la presa sulle mani della sua compagna - «Se riuscissi ad entrare nella compagnia di Monsieur Dubois, potremmo dare una svolta alla nostra vita. Avremo una casa più grande; una macchina nuova… anzi no, due macchine nuove; potrai lasciare il tuo impiego presso la fabbrica di Gabriel Agreste; nostra figlia potrà frequentare le migliori accademie della Francia; io potrò… potrò finalmente smetterla di fare il bidello in quell’insulsa scuola».
«”Assistente educatore”, prego. Non sminuire il tuo ruolo» puntualizzò l’altra con una vena di ironia.
«Ovvero un bidello» concluse, amareggiato, il marito.
Il pallido volto del signor Haprèle si era incupito; i suoi occhi, non riuscendo a sopportare il dolce sguardo di Adeline, erano bassi e continuavano ad osservare il un punto fisso sul pavimento. Adeline scrutò il suo viso per alcuni secondi, poi, dopo essersi portata alcune ciocche dei suoi lunghi capelli binodi dietro le orecchie, come era solita fare per darsi un certo tono di serietà, bisbigliò dolcemente:
«D’accordo, Fred. Vai all’audizione e dà tutto te stesso; però sappi che io e la piccola Mylène ti vorremo sempre bene, a prescindere da ciò che tu sia o faccia».
La bocca del Signor Haprèle, dapprima serrata in una stretta morsa di disapprovazione, si dischiuse in un gioioso sorriso. Dopotutto non chiedeva altro: desiderava con tutto il cuore che sua moglie condividesse e appoggiasse la sua scelta. Aveva bisogno del suo supporto, aveva bisogno di condividere con lei le sue aspettative di vita. Si rimise in piedi e, sovrastando a causa della sua eccessiva altezza l’esile e minuta figura della moglie, le diede un tenero bacio sulla fronte. Adeline chiuse gli occhi, mentre le sue guance si coloravano leggermente di rosso. Il giovane mantenne poggiate le sue umide labbra sulla morbida pelle della donna per alcuni secondi; poi dopo aver dato un rapido sguardo all’orologio che portava al polso, sibilò:
«Si è fatto tardi: devo andare».
Fred si separò dalla moglie e, prendendo una delle bombette sparse sul pavimento, s’incamminò verso la porta. La signora Haprèle lo osservò divertita, poi, richiamando la sua attenzione con uno schiocco di dita, esclamò:
«Ehi, spilungone! Dimenticato nulla?».
L’altro, resosi immediatamente conto della cosa, si colpì il lato della testa con il palmo della mano. Tornò indietro e, una volta raggiunto il mobile da toletta, recuperò il borsone grigio all’interno del quale vi era tutto l’occorrente per la sua audizione. Salutò Adeline con un rapido cenno della mano e guadagnò per una seconda volta l’uscio della camera da letto. Tuttavia, sebbene sapesse di non avere ancora molto tempo a disposizione, si fermò nuovamente e, dopo aver frugato nelle tasche della sua giacca marroncina, estrasse un compatto cellulare dalla scocca color grigio lavagna.
«Qualora dovessi sentirti male…» mugugnò Fred indicando l’oggetto - «non esitare a chiamarmi. Lascio tutto e corro da te».
«Stai tranquillo. Il dottore ha detto che ci vuole ancora una settimana» replicò la donna, mentre accarezzava dolcemente la sua pancia ormai giunta al limite massimo della capienza.
«D’accordo, però non sforzarti troppo» sentenziò, apprensivamente, l’altro.
«Va bene, va bene» concluse, rassegnatamente, Adeline facendo spallucce; per poi aggiungere con tono risoluto e la mano chiusa a pugno: «Mi raccomando Fred, fatti valere».
«Non vi deluderò!» esclamò il giovane alzando il pollice in segno di vittoria, mentre lasciava la stanza.
La signora Haprèle fissò finché poté le spalle del marito, trasformando pian piano il suo sorriso in una smorfia di dolore. Intanto Fred aveva raggiunto l’androne del palazzo e, una volta salutato l’anziano custode, si precipitò alla sua auto: una vecchia e sgangherata Renault Supercinque del ‘95 di colore rosso. Aprì la portiera, che puntualmente cigolò come i cancelli delle prigioni di Mont Saint-Michel, e prese posto sullo scomodo sediolino del guidatore. Al terzo tentativo e innumerevoli imprecazioni dopo, la macchina si degnò di accendersi.
«Una volta che avrò ottenuto il posto nella compagnia di Monsieur Dubois, sarai la prima cosa che sostituirò… vecchia carretta che non sei altro» mugugnò il Signor Haprèle, mentre cercava inutilmente di abbassare il finestrino del veicolo.
Per raggiungere il Palais-Royal, che si trova nel I arrondissement di Parigi, avrebbe impiegato circa una mezz’ora, traffico permettendo. Di conseguenza ingranò la marcia e si apprestò a lasciare il più velocemente possibile Ménilmontant, ovvero il XX arrondissement della città… quello più lontano dal centro. Come preventivato dal giovane, il vecchio macinino impiegò mezzo giro d’orologio per raggiungere il prestigioso teatro. Parcheggiata l’auto in uno spiazzo poco distante, Fred si diresse all’ingresso della struttura. Prima di entrare, però, si soffermò davanti all’imponente colonnato d’accesso; alzò lentamente la testa verso l’alto e fissò con aria trasognante quello che sperava sarebbe diventato il suo nuovo luogo di lavoro. Rimase in quello stato catatonico per alcuni istanti, poi l’acuto clacson di un pullman municipale lo richiamò alla realtà. Il Signor Haprèle, allora, espirò profondamente e, ripensando alle dolci sagome di sua moglie e della sua futura bambina, trovò il coraggio di entrare nella hall principale del teatro. Una volta all’interno della struttura seicentesca, si diresse immediatamente alla biglietteria: l’unico posto dove avrebbe potuto avere una qualche informazione in merito al provino. Una delle “maschere”, presenti dietro un antico e pregiato bancone di mogano con intarsi dorati, gli indicò il percorso per raggiungere i camerini, che per quell’occasione erano stati destinati agli aspiranti attori. Nonostante le informazioni ricevute fossero abbastanza dettagliate, Fred si perse tra gli innumerevoli corridoi, passaggi e cortiletti dell’immenso complesso. Dopo aver girovagato a vuoto per circa una decina di minuti, la sua attenzione fu richiamata da una squillante voce femminile:
«Mi scusi. Dove sta andando?».
L’uomo, allora, si ritrovò dinanzi una giovane donna di circa trent’anni. Era bassina quasi come Adeline, ma più tarchiata; i suoi capelli a caschetto erano di un bel rosso acceso, mentre gli occhi verde acqua erano incorniciati da uno spesso e pesante paio di occhiali. Indossava un leggero tailleur blu, al di sotto di questo una camicetta del medesimo colore e delle scarpe con il tacco nere. Tra le mani stringeva una cartellina stracolma di fogli; la testa, invece, era sormontata da un archetto con microfono. Il signor Haprèle intuì subito che quella persona doveva essere in qualche modo coinvolta nell’organizzazione delle audizioni. Di conseguenza, togliendosi educatamente la bombetta, si presentò:
«Mi… mi chiamo Fred Haprèle. Sono qui per il provino della Comédie-Française, quello organizzato da Monsieur Dubois».
«Capisco, ma mi duole informarla che è del tutto fuori strada» cinguettò, allegramente, l’altra - «Continuando per di là si sarebbe ritrovato nella sede del Consiglio Costituzionale di Francia».
«Allora è un miracolo che non mi abbiano sparato a vista, prendendomi per un malintenzionato» scherzò Fred a sua volta.
«La prego di seguirmi, l’accompagnerò ai camerini» concluse la donna trattenendo a fatica le risate - «Ah, comunque molto piacere Fred… io sono Sarah».
«Il piacere è tutto mio».
Grazie all’aiuto di Sarah, il signor Haprèle raggiunse finalmente le quinte della Salle Richelieu, luogo dove avrebbe sostenuto il suo provino. La donna dai capelli rossi, dopo averlo accompagnato ad uno dei banchi d’accettazione per i candidati, si congedò e si diresse rapidamente in sala poiché, a suo dire, Monsieur Dubois la stava aspettando. Il Signor Haprèle, salutata la sua nuova conoscente, consegnò una lettera di presentazione ad uno svogliato funzionario sulla cinquantina. Questi, seduto dietro un banchetto in plastica insieme ad altre due persone, diede ordine di protocollare i documenti appena ricevuti. Fatto ciò, consegnò all’aspirante attore un foglio con impresso un numero a quattro cifre.
«Quando sarà il suo turno, l’altoparlante della sala chiamerà il numero che le è stato dato».
«Perfetto!» esclamò Fred con risolutezza - «Senta, dove posso trovare il mio camerino?».
A quelle parole il funzionario e i suoi assistenti scoppiarono in una fragorosa e volgare risata. Una volta che si furono calmati, i tre, vedendo l’espressione di disappunto e smarrimento impressa sul volto del signor Haprèle, ebbero la decenza di fargli capire il motivo di quel loro comportamento. A causa dell’enorme numero di candidati, che sfiorava quasi le duemila persone, infatti, non era stato possibile assegnare un camerino a persona. Di conseguenza gli aspiranti attori si sarebbero dovuti accontentare di condividere le poche stanzette messe a disposizione dalla compagnia. Nonostante avesse preferito avere uno spazio tutto suo, all’interno del quale avrebbe potuto concentrarsi in vista dell’audizione, Fred non si perse d’animo e, trascinandosi dietro il suo pesante borsone grigio, entrò in un camerino a caso. All’interno di quest’ultimo vi erano circa una trentina di persone e per ognuna di esse che ne usciva né entravano cinque. Il Signor Haprèle, preferendo non relazionarsi troppo con quelli che erano a tutti gli effetti degli avversari, si cambiò in pochi minuti. Così, dopo essersi truccato e aver indossato il suo amato costume da mimo, decise di aspettare il proprio ingresso in scena in un angusto spazio posto dietro il palcoscenico. Tuttavia, vuoi la fretta di lasciarsi alle spalle il brusio prodotto dai numerosi aspiranti, vuoi la tensione dovuta all’audizione più importante della sua vita, il giovane Fred dimenticò nella tasca della giacca il proprio cellulare. Cellulare che di lì a poco iniziò a vibrare e ad illuminarsi. Trascorsero lunghe ore di attesa finché, quando ormai il povero Signor Haprèle stava per essere letteralmente divorato dall’ansia, lo speaker non pronunciò il numero presente sul suo foglio di carta. Si aggiustò con fare sicuro la falda della bombetta, poi, data un’ultima controllata al suo aspetto, si incamminò verso il davanti del palcoscenico. Non appena guadagnò la scena, la Salle Richelieu lo “investì” con tutta la sua bellezza. Non era mai stato in quel luogo d’arte, fino ad allora si era dovuto accontentare di fotografie, stampe e dipinti che riproducevano fedelmente la maestosa sala di uno dei più importanti teatri di tutta la Francia. Nonostante le luci fossero basse e soffuse, poté facilmente scorgere il gigantesco lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto, i quattro registri di gallerie e la vasta platea… nella quale si era posizionata la commissione esaminatrice, capitanata da Monsieur Dubois. Affianco a quest’ultimo vi era anche Sarah, la quale, non appena riconobbe Fred, gli rivolse un sorriso di incoraggiamento. L’aspirante attore, dopo essersi presentato al “pubblico” in sala, diede il via al suo numero. Aveva impiegato mesi a perfezionare quella performance: ogni gesto, ogni movimento, ogni singolo respiro era stato accuratamente studiato. Dominava la scena, non vi era alcuna incertezza nella sua recitazione… tutto era curato al minimo dettaglio e nulla era lascato al caso. Non si trattava più di finzione, quella era realtà… la realtà costruita da Fred Haprèle e dal suo fantastico spettacolo. I membri della commissione esaminatrice, Sarah, gli spettatori e gli stessi partecipanti al concorso, che in quel momento si trovavano nella sala, rimasero a bocca aperta. Nessuno di loro aveva mai avuto il privilegio di assistere ad un’interpretazione di quella maestria. Erano concentrati, quasi rapiti dalla longilinea figura di quell’uomo, che muovendosi agilmente sul palco li aveva trasportati nel suo mondo… li aveva trasportati nell’abbraccio del silenzio. Tuttavia, nonostante il coinvolgimento generale, c’era ancora qualcuno che continuava a mantenere un’inspiegabile e altezzoso distacco. Un qualcuno che era pronto a far sentire la propria voce al fine di distruggere quella magica atmosfera.
«Perfetto! Può bastare» esclamò Monsieur Dubois in maniera fredda e annoiata - «Le faremo sapere, grazie».
La sua assistente, i restanti membri della “giuria” e gli spettatori in platea furono scioccati da quelle parole pesanti come dei macigni. Allo stesso modo sul bianco viso del signor Haprèle si era dipinta un’espressione incredula e amareggiata. Dopotutto non aveva neanche potuto portare a termine la propria performance, per la quale aveva dato letteralmente tutto se stesso impegnandosi e sottraendo tempo alla sua amata famiglia. Avrebbe voluto urlare, sbattere i piedi per terra, tirare un pugno in una delle scenografie. Avrebbe voluto fregarsene dell’intervento dell’amministratore della Comédie-Française, avrebbe voluto completare il suo numero in modo tale da poter rendere fiere le persone che contavano su di lui. Avrebbe voluto… ma non ne ebbe il coraggio. Chinò il capo e senza proferire parola si allontanò dal palcoscenico, mentre Monsieur Dubois annunciava dallo speaker il numero del candidato successivo. Umiliato e infuriato soprattutto con se stesso e le sue futili ambizioni, si trascinò fino al camerino in cui aveva riposto i propri vestiti, cercando di ignorare i brusii confusi che aveva alle spalle. Uno di questi, però, attirò così tanto la sua attenzione che lo spinse a voltarsi. Sarah era dinanzi a lui, i suoi occhi erano stranamente arrossati, mentre le sue labbra erano contorte in una smorfia di disappunto. Il signor Haprèle fu sorpreso di ritrovare la donna conosciuta quella mattina.
«Sarah, le serve qualcosa?» bisbigliò, mestamente, l’uomo, lasciando trasparire tutta la sua frustrazione.
«Mi, mi dispiace» mugugnò l’altra tenendo lo sguardo basso per la vergogna - «Lei è stato eccezionale, la sua è stata una delle migliori performance a cui abbia mai assistito. Monsieur Dubois non avrebbe dovuto interromperla».
«Non si preoccupi, sono cose che capitano» sibilò Fred passandosi nervosamente una mano tra i capelli - «Adesso, però, mi scusi… devo proprio andare. Arrivederci».
Il signor Haprèle non fece neanche in tempo a girarsi che Sarah lo afferrò per un braccio strattonandolo. Subito dopo prese dal taschino del proprio tailleur un biglietto da visita e, consegnandolo al suo confuso interlocutore, gli disse a bassa voce:
«Senta, Fred… io al momento lavoro per quel tiranno del Monsieur Dubois, però sto cercando di mettermi in proprio. Sa, ho appena conseguito master in teatro, quindi vorrei… vorrei fondare una mia compagnia. Non so quanto tempo ed energia impiegherò per realizzare il mio sogno, ma vorrei tanto che lei ne facesse parte. Questo è il mio numero, qualora fosse interessato non esiti a chiamarmi. Il suo talento non deve essere assolutamente sprecato».
«La ringrazio, le farò sapere… ne sia pur certa» replicò l’altro con un sorriso sincero, mentre salutava la sua nuova amica con una stretta di mano.
Una volta congedatosi, Fred rientrò nel camerino e, sebbene il provino più importante della sua carriera non fosse andato come avrebbe voluto, una nuova speranza si era accesa nel suo fragile animo. Una speranza di riscatto, una speranza di opportunità, una speranza… una speranza che dovette immediatamente lasciare posto alla paura, allo sconforto e al senso di colpa, non appena il giovane si accorse delle cinquanta chiamate perse sul suo cellulare. Una trentina di queste erano di Adeline, altre invece erano dei suoi suoceri, un paio infine provenivano dall’Ospedale Cochin… luogo in cui sua moglie era solita andare a controllo. Terrorizzato dall’eventualità che qualcosa di tremendo fosse accaduto, si cambiò in fretta e furia e, con il volto ancora impiastricciato dalla cipria, corse verso la macchina. Senza dare troppa importanza al codice stradale, guidò il più velocemente che poté alla volta del XIV arrondissement di Parigi, il quartiere in cui è ubicato l’Ospedale Cochin. Impiegò una decina di minuti, a fronte dei canonici venti, per raggiungere il presidio. Fermò il vecchio macinino, fumante per lo sforzo, nel primo posto libero che gli capitò a tiro e, buttando per l’aria chiunque si trovasse sul suo cammino, raggiunse il reparto di maternità. A quell’ora il luogo era ormai deserto, ad eccezione di un giovane infermiere che stava annotando delle informazioni su una cartella clinica.
«Mi scusi…» sibilò Fred richiamando l’attenzione del ragazzo - «Sto cercando mia moglie, la signora Adeline Haprèle. Lei sa per caso dove posso trovarla?».
«Mi dia un secondo, adesso chiamo il dottor Renard» replicò l’altro con gentilezza, mentre pigiava un tasto del suo cercapersone.
Il solo sentire quel cognome tranquillizzò il signor Haprèle: il dottor Renard, infatti, aveva seguito la gravidanza della sua adorata Adeline e in quei nove mesi era diventato quasi una persona di famiglia. Dopo una manciata di minuti il responsabile del reparto raggiunse i due. Era visibilmente provato e sembrava leggermente affaticato; tuttavia, cercando di mantenere la compostezza che la sua professione richiede, si rivolse con tono sicuro all’infermiere:
«Grazie per avermi chiamato, Antoine. Adesso puoi andare».
Il giovane fece un rapido gesto di assenso con la testa, poi, dopo aver educatamente salutato entrambi, scomparve tra i corridoi del reparto.
«Dottore, dov’è Adeline?» chiese, all’improvviso, il signor Haprèle non riuscendo più a trattenere quel disperato bisogno di sapere come stesse sua moglie.
«Fred…» biasciò il dottor Renard tenendo lo sguardo basso - «si sieda, le devo dire una cosa».
I due, allora, presero posto su una barella per il trasporto dei pazienti, posta lì vicino. Fatto ciò, il responsabile del reparto iniziò a parlare. Man mano che il discorso procedeva la voce del dottor Renard diventava sempre più roca e bassa, mentre dagli occhi del povero Fred scendevano rivoli di lacrime che gli rigarono quel po’ di trucco che ancora aveva sulle guance. Il parto anticipato, le precarie condizioni di salute di sua moglie, le complicanze… queste e tutte le altre spiegazioni del medico sembravano perdere sempre più consistenza, fino a trasformarsi in leggero rumore di sottofondo. Nella mente del signor Haprèle, invece, si faceva strada l’immagine nitida della sua amata Adeline, che si stagliava felice sullo sfondo delle bianche coste della Normandia. I suoi capelli biondi come l’oro fluttuavano delicatamente nell’aria, mentre il suo magico sorriso rapiva l’attenzione di chiunque lo guardasse. Era l’eco di un ricordo… uno dei ricordi più belli della sua vita, il ricordo di un qualcuno che ormai non c’era più.
«Dottor Renard…» mugugnò, improvvisamente, il signor Haprèle tirando su con il naso - «Voglio vederla, voglio vedere Adeline. Dove si trova?».
«Di sotto. Ci sono già i suoi genitori con lei» rispose il medico con tono triste - «Prima di accompagnarti, però, devo farti conoscere una persona».
A quel punto il dottor Renard afferrò per il braccio il suo confuso interlocutore e, senza aggiungere altro, lo trascinò con sé in un corridoio sulla destra. Percorsero circa una cinquantina di metri, finché non si fermarono dinanzi un grande e spesso vetro dal quale era possibile osservare l’interno di una piccola stanza. In quest’ultima vi erano tante culle di metallo messe l’una accanto all’latra. Il responsabile del reparto, allora, ne indicò una sulla cui parte anteriore vi era scritto un nome che attirò immediatamente l’attenzione di Fred: Mylène. In neo-papà poggiò entrambe le mani sul vetro e si avvicinò il più che poté a quell’insormontabile barriera. La sua bambina stava dormendo beatamente, avvolta in una comoda copertina rosa e con un cappellino del medesimo colore che le copriva la testa. Sul viso del signor Haprèle, ormai devastato dal dolore e dal senso di colpa, comparve uno “spiraglio” di serena felicità e gratitudine. Mylène, la sua piccola Mylène stava bene… Adeline aveva dato tutto al fine di permetterle di iniziare a vivere. Sua moglie aveva compiuto un immenso sacrificio, ma adesso… adesso toccava a lui. Quel giorno aveva tradito tutti: sua moglie, la sua famiglia, le sue aspettative. Quel giorno aveva anteposto la sua ambizione ai ciò che aveva di più caro al mondo. Quel giorno, perdendo Adeline, aveva toccato il fondo; ma non poteva lasciarsi andare, perché sua figlia aveva bisogno di lui. Fu così che, quel giorno di inizio maggio… il giorno in cui nacque Mylène, Fred Haprèle promise a se stesso che non avrebbe mai deluso la sua bambina. Qualsiasi cosa fosse successa… lei sarebbe sempre stata fiera di lui.
 
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Note dell’autore: Ben ritrovati a tutti!!! Eccoci al terzo capitolo di questa inusuale raccolta XD. Come avevo accennato nella risposta alla recensione del passaggio precedente, il protagonista di questa storia è un maschietto: Fred Haprèle, ovvero il Mimo. A differenza delle one-shot su Chloé e Aurore, questa si colloca quattordici anni prima gli eventi della prima stagione. Fred, infatti, si è sposato da poco e, insieme alla moglie Adeline, aspetta la nascita della sua prima figlia. Non voglio dilungarmi inutilmente sulla trama in sé, anche perché rivivere alcune scene (non vi dico lo scriverle) è abbastanza pensate anche per me XS. Di conseguenza lasciatevi spiegare qual è l’idea di base, sulla quale ho strutturato questo capitolo. Sarò sincero… il Mimo come cattivo non mi è piaciuto molto, diciamo che l’ho trovato un po’ troppo stereotipato. Tuttavia ho adorato il motivo che ha portato all’akumatizzazione del povero signor Haprèle. Se ci fate caso… Fred non è frustrato e arrabbiato a causa del fatto che la sua parte gli sia stata rubata (per carità… è parte delle cause, ma non quella fondamentale ^-^); ma ciò che lo addolora profondamente è il deludere sua figlia Mylène. La ragazza, infatti, avrebbe assistito allo spettacolo e il non vedere il padre sul palco l’avrebbe sicuramente turbata. Ecco… la storia si basa proprio questo aspetto, o meglio sulla domanda: “Perché Fred è così terrorizzato dall’eventualità di deludere sua figlia?”. In fin dei conti ogni genitori ha questa paura, ma nella one-shot ho voluto “forzare” questo comun denominatore in modo tale che assumesse per il personaggio di Fred Haprèle un significato profondo e specifico. Spero di esserci riuscito 😊. Un altro paio di cosette e abbiamo finito, giuro. I luoghi presenti in questo capitolo esistono realmente e ognuno di essi è stato selezionato non a caso, ma per le sue peculiarità 😉. La Comédie-Française, ad esempio, è attualmente l’unica compagnia teatrale francese a poter indurre un concorso pubblico, essendo una sorta di compagnia di Stato che lavora permanentemente in quel teatro. La Salle Richelieu (luogo dove recita la Comédie-Française) si trova realmente vicino alla sede del Consiglio Costituzionale di Francia. Entrambe, infatti, sono ubicate all’interno del grande complesso del Palais-Royal XD. L’Ospedale Cochin è infine l’ospedale parigino ad avere il miglior reparto maternità della capitale. Beh… penso di avervi detto tutto, prima di salutarvi permettetemi di ringraziare Lady_Sue1789 che ha inserito la raccolta tra le “seguite” e usabella dream che ha inserito la raccolta tra le “seguite”, “preferite” e “ricordate”. Come al solito un grazie ai recensori e ai lettori silenziosi 😉. Io vi do appuntamento al 22 ottobre e… e niente spero di sentirvi presto 😊 😊 😊.
Yugi95
   
 
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