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Autore: scandros    27/08/2003    1 recensioni
Quando siamo sull'orlo del baratro e tutto sembra perduto, la speranza ci illumina verso un nuovo futuro. Così Holly incontrerà Trish. Riuscirà a fargli dimenticare l'amata Patty?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Misugi/Julian Ross, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 8

 

…quel disperato sentimento.

 

 

 

 

Senza tregua continuava a correre verso la stazione della metropolitana più vicina all’ospedale. Nei suoi occhi rivedeva le frasi scritte da Holly alla sua Patty, la ragazza che più di ogni cosa al mondo aveva amato. Perché l’aveva cercata e attirata in quell’incubo che lo tormentava da tanto tempo? Perché aveva voluto proprio lei? Per la somiglianza? Possibile che fosse attratto unicamente dai tratti somatici tanto simili tra loro due? Per quante domande si ponesse, Trish non trovava alcuna risposta plausibile al suo comportamento tanto meschino. L’aveva usata solo ed unicamente nel ricordo di un amore tanto disperato quanto irraggiungibile. Desiderava piangere, gridare al mondo la sua sofferenza, ma ogni benché minimo sibilo cercasse di emettere, le moriva in gola soffocato dall’angoscia che sempre più la stava attanagliando.

Evitando persone ed ostacoli e stando ben attenta a non scivolare sull’asfalto reso viscido dalla strada, Trish intravide la stazione del metrò e scese le scale cercando di accelerare il passo. Dinanzi gli sportelli d’accesso alle linee obliterò la sua tessera e continuò la sua corsa frenetica. Desiderava quasi spasmodicamente salire sul primo treno diretto a Barceloneta e correre da lui in cerca di giustizia. Era completamente fradicia. I capelli scomposti e roridi le incorniciavano il volto pallido reso tale dalla spossatezza di un’intensa giornata lavorativa e dagli eventi che si erano verificati. Il cuore le batteva così forte che temeva potesse saltar fuori dal petto. Alcune persone sostavano lungo il marciapiede della linea che l’avrebbe condotta al porto. Osservò fremente il display che segnalava quanti minuti di attesa ci fossero fino all’arrivo del treno successivo. Un minuto esatto. In una mente avvolta in un turbine di pensieri e sensazioni, Trish stava cercando di costruire un discorso serio e forse non troppo adirato da pronunciare in presenza di Oliver. Voleva le spiegazioni, le pretendeva e le avrebbe ottenute. Dopo di che, alterata per il comportamento da lui assunto nei suoi confronti, l’avrebbe lasciato senza concedergli alcun motivo di giustificazione.

I fari del treno illuminarono il tunnel della metropolitana e poco dopo essersi fermato, le porte si aprirono automaticamente.

A quell’ora gli uffici e gli edifici scolastici erano chiusi, quindi non c’era molta gente. Si sedette su una poltrona vicina la porta automatica e attese che il treno la conducesse verso Barceloneta.

 

 

 

 

James Hamilton guardava la moglie Mary seduta accanto a lui sul sedile posteriore del taxi. La pioggia cadeva scrosciante e le strade erano oramai madide di quelle gocce che incessantemente si stavano riversando dal primo pomeriggio accompagnate da fulmini e lampi.

- Sei preoccupata? -

- Non la vedo da tempo. Come pensi che possa stare? -

- Secondo me non meritava neppure tutta questa considerazione da parte nostra. Se ne è andata di casa non volendo lasciare la benché minima traccia di se. Solo qualche timida e sterile e-mail per tranquillizzarci. E’ un comportamento inconcepibile il suo. -

- Ma che stai dicendo! E’ pur sempre mia figlia e mi rendo conto di aver commesso fin troppi errori con lei. Se solo ci fossimo comportati diversamente, probabilmente adesso saremmo una famiglia felice, lei sarebbe sposata a qualche rampollo dell’alta borghesia di Chicago e forse avrei perfino dei nipoti. E invece? E’ fuggita via cercando una sua vita! -

- Lei la sua vita ce l’aveva a Chicago e questo bastava. -

- Non dire sciocchezze. Quella era la vita che avevamo voluto darle noi! Non la sua. Era ben diversa da come era e forse aveva ragione nel dire che la soffocavamo! -

- E da quando ti sono venuti tutti questi buoni propositi e sensi di colpa? -

- Da quando hai scoperto dove si trova! - rispose seccamente ma in estremo disagio.

- Oppure da quando hai letto quell’articolo su Oliver Hutton? -. La signora Hamilton tacque. Suo marito aveva evidentemente centrato il bersaglio. Si passò una mano nel caschetto scuro e chiuse per un attimo gli occhi. Vide quella piccola creatura stretta nelle braccia del padre, il suo primo giorno di scuola, una giovane adolescente piena di sogni, una ragazza agonizzante in un letto di ospedale. E ancora rivide la sua stanza, i testi scolastici e quelli di letteratura straniera che lei adorava, la fotografia che aveva sul comodino vicino quella scatola a fiori nella quale custodiva gelosamente il rapporto che la legava a lui. Quel timido ragazzo che per realizzare il suo sogno era volato dall’altra parte del mondo. E lei, innamorata, aveva seguito con spasimo ogni suo passo, vivendo la sua passione, come fosse propria. Un’adolescenza in cui l’aveva vista correre dietro una sfera a scacchi con l’unico scopo di stare con lui.

E adesso, dopo quasi dieci anni in cui aveva perso ogni contatto, non l’aveva più visto estraniandosi da quello che era stato il mondo di sua figlia, lui era ricomparso nella loro vita. Era stato suo marito a parlargliene. La nazionale giapponese aveva preso parte ad un torneo a quattro squadre disputatosi negli Stati Uniti. L’assenza di Oliver Hutton dovuta ad un incidente era stata subito rilevata dalla stampa e inevitabilmente, James Hamilton aveva visto la sua foto in prima pagina su un quotidiano. Aveva così appreso che la grande promessa del calcio internazionale, da anni giocava in una delle più titolate squadre europee. E poco prima, chissà come, James Hamilton aveva scoperto che Trish si trovava a Barcellona.

- E’ assurdo. Come può essere che si trovino nello stesso paese? -

- La forza del destino! - rispose lei pensando quasi divertita di come due continenti diversi non avevan potuto separarli.

- Adesso sei tu che dici stupidaggini. - ribatté acido alla moglie.

- Temo proprio di no. -

- Stai forse pensando che….che Trish abbia scoperto cosa è successo dieci anni fa? - le chiese turbato.

- No. La conosco troppo bene. Se l’avesse scoperto, sarebbe tornata a casa in cerca di giustizia. Lei è sempre stata fatta così. Per quanto dolce e carina potesse sembrare, nascondeva un coraggio ed un orgoglio immensi ereditati da suo padre. Abbiamo sbagliato con lei. Avremmo dovuto dirle tutto. -

- Ricordati che se le abbiamo tenuto nascosta la verità è stato unicamente per il suo bene e per farle vivere una vita più normale. Volevi che continuasse ad andare in giro per il mondo dietro un pallone? -

- No di certo ma l’abbiamo privata di un’identità. -

- Non ti far prendere dai sensi di colpa. L’abbiamo fatto unicamente per farla vivere più serenamente. - sentenziò lui mentendo.

- Come hai avuto il suo indirizzo? - gli chiese aprendo un po’ il finestrino. Si sentiva mancare l’aria.

- A Chicago. E’ stato un mio amico giornalista. Me l’ha procurato quando la nazionale nipponica è stata negli Stati Uniti. -

- Capisco. Sei sicuro che la troveremo lì? -

- No, ma se come pensiamo non si sono mai incontrati, potremo dire a lui di starle alla larga dicendole che ha un equilibrio psico fisico troppo instabile per poter reggere certe situazioni e soprattutto provare questi traumi. -

- Non è affatto vero. Questo è quello che crediamo noi. Lei sta bene. Altrimenti non sarebbe diventata un medico. E poi, lui non ci aspetta. Magari non sa neppure che vivono nella stessa città. Non vorrei innescare una bomba senza alcun motivo. -

- L’unica cosa da farsi è parlargli. Di lei non sappiamo niente e fino a che non la troveremo, non potremo riportarla a casa. - disse tediato da quella conversazione. Non aveva mai avuto un buon rapporto con la figlia adottiva e in passato non aveva esitato a programmarle incontri galanti pur di maritarla a qualche buon partito statunitense e quindi liberarsi di lei. Guardò suo marito e sospirò. Non l’aveva mai amata, e forse neanche lei, non quanto il suo primo marito. Lui spasimava per la figlia, era la sua gioia, il sole che risplendeva ogni giorno nel suo cuore. E lei aveva ricamato quell’amore in maniera totale.

Adesso James la voleva riportare negli Stati Uniti e lei sapeva che l’unico motivo era legato alla polizza assicurativa che la riguardava. Aveva intuito a cosa stesse pensando suo marito. La polizza assicurativa che al compimento del ventiseiesimo anno di età le avrebbe fruttato una fortuna non indifferente rivenente da investimenti a lungo termine fatti a suo nome dal padre. Trish neppure lo sapeva che suo padre aveva pensato di lasciarle qualcosa per il suo avvenire. E se James Hamilton avesse dimostrato che non era propriamente capace di intendere e volere, sarebbe divenuto lui il tutore dei suoi soldi. Afferrò lo specchietto dal beauty-case e si guardò. Lo stesso taglio degli occhi, le labbra ben proporzionate di un rosso intenso. Cosa stava facendo a sua figlia? Davvero voleva che suo marito la facesse passare per un’interdetta sociale buttando così all’aria la sua carriera di medico?

In fondo, cosa aveva fatto Trish per meritare tutto questo? Lei se ne era andata di casa per non protrarre oltre un rapporto fin troppo avverso, si era lasciata alle spalle un passato oramai caduto nel dimenticatoio e cercando di costruire un futuro senza le loro ombre. Desiderava solo essere libera, indipendente, caratteristica che non aveva mai perso, a prescindere dall’incidente. Sospirò con un gran patema nel cuore. Era insicura sul da farsi. Il cuore di madre le suggeriva di aiutare la figlia, ma dall’altra, sapeva che se si fosse opposta al volere di James, avrebbe perso il marito.

Il taxi continuava inesorabile la sua corsa verso la zona portuale, districandosi tra le vie trafficate.

 

 

Persa nei pensieri che si inseguivano velocemente come fomentati da un’improvvisa tormenta, i suoi occhi si soffermarono su una tranquilla scena familiare. Di fronte a lei sedavano un uomo sulla quarantina ed una adolescente. Lei sorrideva alle sue battute e lo guardava in uno stato di adorazione verso quella presenza evidentemente rassicurante e che rappresentava un affetto molto importante. L’aveva chiamato papà!

Quasi fulmineamente, la sua mente cercò in qualche luogo remoto un’immagine di suo padre. Nulla. Non ricordava niente di quella figura che sicuramente aveva avuto un ruolo importante nella sua esistenza. Era morto. Così le aveva detto sua madre, ma senza molte spiegazioni e senza alcuna nostalgia aveva ricominciato ad amare qualcuno.

- Com’è possibile imparare ad amare un’altra persona quando si è perduto il padre di tuo figlio? Come avrà fatto mia madre a dimenticare mio padre così velocemente tanto da cancellarlo anche dai miei ricordi? Eppure….lo sento…sì, sento di averlo amato molto e guardo quell’uomo con sua figlia con immensa malinconia. E’ forse questo lo stesso sentimento che ha spinto Oliver da me? Ha dimenticato la sua Patty? No, è impossibile. Quando è giunto in ospedale, nel delirio e anche dopo, ha continuato a cercarla. E poi…i suoi amici. Come posso scordare lo sguardo di quella ragazza, di Amy Ross. Mi ha chiamata Patty con una tale sicurezza che per un attimo mi ha fatta ricredere su me stessa. E suo marito? Anche lui ha reagito nella stessa maniera. Non posso vivere così, nell’ombra di qualcuno. E nella stessa maniera, lui non potrà mai ricambiare i miei sentimenti perché vivrà per sempre nel ricordo di lei. Si può amare così disperatamente? Potrò mai imparare ad amare così? Chi sono io per essere entrata nelle loro vite rivangando vecchi ricordi e aprendo ferite mai rimarginate? Perché proprio a me? Non ho forse sofferto abbastanza? Perché il destino continua ad accanirsi contro di me? Perché Patty è diventata una presenza ricorrente nella mia vita? Cosa significa tutto questo? - si chiese cercando ostinatamente di far luce su tutta la storia ma principalmente sulla sua esistenza.

Vedeva l’immagine di un corpo sinuoso, vacillante sull’orlo di un dirupo, mentre il vento soffiava furioso tra i lunghi capelli scuri nel drammatico tentativo di farla librare nel cielo oscuro. Le lacrime silenziose le avevano annebbiato la vista e lentamente cominciarono a rigare un volto già troppo provato da tutte quelle emozioni.

 

Accasciato sulla poltrona in vimini, Holly continuava imperterrito a guardare il mare mentre il temporale infuriava sulla città. Dopo l’incontro con Amy e Julian, era andato agli allenamenti ma era tornato a casa da due ore. Julian e Amy erano nuovamente lì, nello studio di Holly, in attesa che dal Giappone qualcuno inviasse loro per fax o per e-mail la copia della cartella clinica di Patricia Gatsby che finalmente avrebbe fatto chiarezza sul misterioso incidente in cui il padre aveva perso la vita e lei probabilmente aveva perduto la memoria.

Per tutto il giorno non aveva smesso di pensare a Trish. In un modo o nell’altro sapeva che inviando quelle lettere, non aveva scatenato in lei dubbi e incertezze, ma l’aveva ferita. Probabilmente, avrebbe pensato che lui l’aveva usata per raggiungere lo scopo di avere un’altra Patty. Le aveva inviato delle rose per dimostrarle che la pensava, che ci teneva a lei, e forse anche nella speranza che potessero addolcirla dopo la scoperta delle lettere. Julian ed Amy gli avevan ripetuto che invece la sua sarebbe stata solo una reazione di curiosità e che gli avrebbe chiesto spiegazioni in merito.

Holly invece sentiva che quello che stava per irrompere in casa sua non era minimamente paragonabile al temporale che furoreggiava da ore su Barcellona.

Si sentiva di impazzire nell’impotenza di poter fare qualcosa per rimediare a quella situazione.

- Come ho potuto farmi trascinare in questa stupida indagine? Perché ho permesso che qualcuno interferisse nel rapporto che stava nascendo tra me e Trish? Potevamo mai essere felici, noi due? O il pensiero di Patty avrebbe continuato a tormentarmi? Perché tutto questo? O Trish, se solo tu sapessi quanto mi dispiace, io…maledizione…quanto sono stato stupido! Perché ti ho buttata in questo baratro. Non bastava il mio tormento! Tu non lo meriti. - si disse cercando una motivazione a quanto aveva fatto con l’aiuto dei suoi amici.

 

 

Scese dalla metropolitana in preda allo sgomento e al desiderio di giustizia. L’offesa che aveva subito era stata tale da scatenare in lei l’ira e la rabbia repressa da tempo. L’atto commesso da Oliver l’aveva fatta sentire controllata e frustrata, in balia di qualche strano complotto ordito alle sue spalle. Corse sotto la pioggia incessante raggiungendo lo stabile in cui abitava Oliver. Un uomo stava per richiudersi il portone alle spalle quando lei lo fermò. La guardò allibito. I capelli scompigliati dal vento e resi umidi dalla pioggia le incorniciavano il volto preoccupato e teso. Ansimante si portò dinanzi l’ascensore cercando di riprendere fiato. Nella fretta aveva lasciato il portone aperto e il vento gelido soffiava senza sosta. Finalmente l’ascensore raggiunse il piano terra e lei poté entrarvi. Si guardò allo specchio e si sciolse sulle spalle i capelli oramai scompigliati. Si tolse gli occhiali da riposo completamente bagnati. Nonostante le condizioni precarie del suo abbigliamento e della sua acconciatura, era bellissima. Aprì la borsa e ne estrasse alcune lettere stringendole con fervore nel pugno sinistro. Quando le porte dell’ascensore si aprirono al piano attico, fece un respiro profondo alla ricerca di tutto il suo orgoglio e dell’amor proprio. Sembrava essersi ricaricata. Il pensiero di vederlo ancora una volta e di chiedere la verità, la fecero avvampare. Incedette con passo lento verso la porta che la divideva da Oliver. Suonò ripetutamente sperando che quel trillo potesse sfondargli i timpani e così cominciare ad impartirgli la giusta punizione.

Senza guardare chi fosse dallo spioncino e preoccupata dal continuo suonare, Amy andò ad aprire. Si guardarono per un lungo istante. Amy si portò la mano alla bocca impressionata da quella strana creatura uscita da chissà quale romanzo noir. Gli occhi erano freddi e glaciali, il suo sguardo tagliente. Sul volto era dipinta la convinzione di chi pretendeva solo di fare giustizia. Non l’aveva mai vista così. Si chiese se in fondo l’avesse mai conosciuta realmente.

- Dov’è? - tuonò senza salutare la signora Ross. Amy non parlò.

- Allora, dove maledizione si è cacciato quel codardo? - urlò irosa. Sempre più intimorita e coprendosi la bocca per impedire che i singhiozzi prendessero il sopravvento, le indicò la porta finestra della terrazza, al di là della quale c’era Oliver.

Quella mattina, dopo un’intensa notte d’amore, anche lei si era avvicinata per scorgere le luci dell’alba. Aveva ammirato il paesaggio e desiderato di restare lì per condividere quel quadro così suggestivo con l’uomo che aveva amato.

Non ci fu bisogno che lei lo raggiungesse. Attirato dal tono alto della voce, Holly si era alzato e stava andando nel salone quando la vide. L’uno di fronte all’altra. La trovò bellissima vestita nella sua più nuda disperazione.

- Come hai potuto? - gridò additandolo.

- Trish…io posso spiegarti! -

- Cosa…maledetto bastardo…cosa? Cosa pensavi di fare? Di dar vita a un manichino, di darmi il suo nome? Di farmi rivivere i suoi ricordi, i vostri momenti, perché io potessi comprendere i sentimenti che vi legavano? E’ per questo che mi hai inviato le lettere che le hai scritto? Per questo motivo? - inveì lanciandogli addosso una manciata di quelle lettere che aveva preso dalla sua borsa.

- Trish calmati! - le disse cercando di indurla ad un atteggiamento più quieto.

- Non darmi ordini. Non dirmi cosa devo fare. Stammi lontano, hai capito? Non bastava quanto già avessi sofferto in passato? Occorreva che mi attirassi nella tua ragnatela e fare di me l’ennesimo trofeo? Lei non c’è più! Lo vuoi capire? Io sono solo Trish e mi sono stancata di fare l’ombra di Patty. Cosa vuoi da me? Cosa cerchi? Non ti basta aver sofferto per lei? Vuoi ripetere gli stessi errori? Io non andavo bene, vero? Cosa aveva lei di più di me….cosa…? - gridò ancora con le lacrime che contigue scendevano in rapida successione. Holly era attonito. Non sapeva cosa dire. Le parole parevan morirgli in gola. Aveva perso tutte le forze. Lei era lì di fronte nel pieno della sua costernazione. Sempre più sgomenta lo stava platealmente accusando di averla fatta soffrire. E aveva ragione. Aveva sbagliato a comportarsi così con lei. Avrebbe dovuto essere sincero e spiegarle tutto fin dall’inizio.

- Mi dispiace. -

- E’ qui tutto quello che mi sai dire? Mi dispiace? Puoi andare a farti fottere con le tue scuse! Non so cosa farmene! Mi hai trascinato a letto e poi mi hai pugnalata. Ed io che ti credevo diverso! -

- Devi lasciarmi spiegare…-

- Per dirmi cosa? Che sono una delle tante che volevi liquidare in maniera tanto teatrale? E’ così che vi divertite voi giovani rampolli viziati? -

- Smettila Trish! - tuonò Holly deciso e sonoro. Julian venne attirato anche lui dalle urla e raggiunse la moglie impugnando un foglio di carta ancora caldo dopo la ricezione fax. Lei tacque a quel rimprovero. Finalmente Oliver si stava svegliando. Desiderava che reagisse ai suoi rimproveri per poter scaricare ancora più tensione e metterlo di fronte alla mera realtà.

- Non hai capito proprio niente. Non avevo intenzione di portarti a letto perché tu fossi un trofeo ma perché volevo stare con te, volevo fare l’amore con te, non sesso e basta. Di quello non so che farmene. Da quando ti ho incontrata provo di nuovo dei sentimenti d’affetto e d’amore e questo lo devo solo a te…e lo so che mi ricambi. Se ti ho inviato quelle lettere è stato unicamente perché speravo che risvegliassero in te dei ricordi, non perché volevo che tu capissi quanto ho amato Patty! Ho sbagliato e ti chiedo scusa per questo. - disse con tono imperioso scandendo ogni singola parola nella speranza che lei potesse finalmente comprendere le ragioni di quel disperato sentimento.

- Ma fammi il favore…e quali ricordi pensavi che potessero risvegliare in me le parole dette ad un’altra persona? Non bastano i flashback e le immagini che mi tormentano da più di un anno? Dovevi entrare anche tu in questo mio incubo che non finisce mai? -

- Cos’hai detto? Immagini? Flashback? -. Lei annuì non sapendo il perché di quella domanda. Holly la guardò con occhi diversi, speranzosi. Ripensò a quanto gli aveva detto il medico. Forse quelle immagini non erano altri che i ricordi di un passato che stava finalmente riaffiorando nella sua mente. Le si avvicinò e le afferrò una mano. Lei la ritrasse subito con un gesto maldestro.

- Non toccarmi…non pensarci neppure! Non voglio avere più niente a che fare con te….mi hai usata abbastanza! -

- Holly…il fax…- disse timidamente Julian sventolando il pezzo di carta che tratteneva tra le sue mani. Era il momento più adatto per darglielo.

- E questo cos’è? - chiese Trish strappandoglielo dalle mani. - Referto clinico del paziente Patricia Gatsby nata a Fujisawa il 12 ottobre 1976. Trauma cerebrale con consequenziale coma di ventiquattro giorni, lussazione alla spalla destra, ferite sparse su tutto il corpo, perdita della memoria constatata dopo il risveglio. -. Trish tremava come una foglia al vento. Un’immagine prese forma dinanzi i suoi occhi.

 

Smosse le palpebre leggermente. Impiegò qualche secondo prima che finalmente riuscissero ad alzarsi e a permettere alle sue pupille di farsi strada nella nebbia che le aveva occultato la vista. Quando finalmente ebbe una visione più chiara, cominciò a delineare i contorni di quella stanza abbastanza impersonale e asettica per essere quella di una ragazza. Tentò di muoversi ma i tubi le impedivano il benché minimo movimento. L’infermiera entrò per controllare l’elettroencefalogramma e l’elettrocardiogramma e la notò. In preda ad una strana evanescenza corse in corridoio e subito dopo fu preceduta da un medico e da una donna. La visitarono subito e cominciarono a farle domande.

- Tesoro, come stai? Sai dove ti trovi? - le chiese la donna amorevolmente.

- Chi…chi sono…dove sono…- disse sconvolgendo i presenti. Dopo qualche giorno di inutili tentativi, il primario di neurologia affermò con dispiacere che Trish aveva perduto la memoria.

 

Quell’immagine di smarrimento, di perdizione, di malinconia assoluta, l’assalirono. Lei e Patty accomunate dallo stesso incidente? Erano forse legate da qualche strano legame? Nate lo stesso giorno ma in città diverse? Non aveva mai chiesto a sua madre dove fosse nata. Si era ritrovata a vivere a Chicago, ma nessuno le aveva mai spiegato come mai l’incidente fosse avvenuto in Giappone. Un pensiero si stava facendo strada dentro di lei. Aveva sempre più timore di quello che c’era scritto. Continuò a leggere il referto con la professionalità di un medico oramai esperto, comprendendo benissimo ogni termine tecnico. Dopo la firma del primario di neurologia del Centro Traumatologico di Tokyo, che aveva stilato il referto, Trish notò una postilla che la riportava al termine del foglio.

Impallidì scorgendo quella frase. Si sentì gelare il sangue nelle vene e comprese che la pressione stava scendendo vertiginosamente. Cominciò a respirare affannosamente senza staccare gli occhi da quel tremolante pezzo di carta.

Il suono del campanello parve destarli tutti da quello strano torpore che all’improvviso era sceso sul loro palcoscenico. Holly guardò le due figure ferme sulla soglia del suo appartamento e le riconobbe quasi subito. Il cuore gli batteva talmente forte che il petto gli doleva. Continuava a guardare Trish persa in uno stato di tranche.

- Si voglia notare che ogni altro eventuale esame che si dovrà fare sulla paziente, non dovrà essere più ricercato o registrato sotto il nome di Patricia Gatsby ma come Patricia Hamilton! - lesse ansante con tono sostenuto.

Quella tremenda verità echeggiò nella stanza in maniera talmente roboante che l’avrebbe udita ovunque si trovasse. Un brivido la percorse scotendola da quell’apparente stato di assenza. Si voltò lentamente verso la coppia appena arrivata, attratta dal tono e dalla voce con cui avevano salutato i presenti.

Trish guardò Mary Hamilton a pochi metri da lei. La donna parve commuoversi a quell’incontro così casuale quanto crudele. Fece qualche passo verso la ragazza che frappose tra loro il suo braccio teso come una barriera. Fradicia per la corsa sotto la pioggia, spossata da quegli eventi, non la riconosceva.

- Chi siete? - chiese Amy non comprendendo chi fossero.

- Il signor Hamilton e la madre…di Patty! - esclamò Holly identificando i due.

Quell’ennesime parole fecero eco nella stanza e colpirono Trish in pieno volto. Reggendosi al bracciolo del divano, si voltò verso la donna. Avvertì una fitta al cuore oramai ferito e sanguinante.

- Chi sono io? - le chiese in tono imperturbabile e distante. Mary aggrottò le sopraciglia e tentò di sorriderle, ma comprese che Trish era fin troppo adirata, più di quel giorno in cui aveva deciso di andar via da Chicago.

- Ti ripeto la domanda per un’ultima volta. Chi sono io? Dov’è mio padre? Cosa è successo dieci anni fa? - domandò scandendo con precisione le parole.

- Trish…calmati..-

- Perché non glielo dici Mary? - la incitò James Hamilton.

- Tu taci vigliacco che non sei altro…è un disonore per me portare il tuo cognome! - gli disse con scherno e repulsione.

- Io…io… Trish…tu hai avuto un incidente. -

- A causa del quale sei incapace di intendere e di volere. Siamo venuti a riprenderti per portarti di nuovo a Chicago. Non puoi vivere da sola. Devi essere controllata perché potresti commettere qualche atto incoercibile dettato dall’istinto. -.

- Ma cosa diavolo stai blaterando? Sono tutte stupidaggini! Io sto benissimo. Mi sembra di avertelo già detto altre volte. Se c‘è un infermo mentale…quello sei tu. Mi fai schifo! Taci e non intrometterti in cose che neppure lontanamente ti appartengono. - gli urlò contro con ripugnanza. - Non hai risposto alle mie domande….mamma! - le disse ricordandole il ruolo che aveva nella sua vita. Mary guardò la figlia, bella, selvaggia e disperata. Dietro di lei c’era Oliver, il ragazzo che aveva amato intensamente. E poi ancora, i loro amici.

Cosa stava facendo? Davvero voleva riportare a Chicago Trish facendo sì che un tribunale la bollasse come un’inferma mentale? Cosa sarebbe stato della sua carriera e dell’amore profondo che provava per Holly? Si irrigidì e respirò cercando di riprendere il suo autocontrollo. Guardò James Hamilton, suo marito, il patrigno di sua figlia. Voleva stroncarle la carriera e la vita affettiva per divenire suo tutore e incassare i notevoli importi maturati dalle polizze assicurative intestate a Trish. Non poteva permetterglielo. Nonostante il loro pessimo rapporto, lei era sua figlia e quell’uomo stava cercando di isolarla dal mondo per sottometterla al suo volere. Ma chi aveva sposato? Come aveva potuto stare al fianco di un uomo tanto subdolo e sadico?

- Dieci anni fa c’è stato un incidente. Ti trovavi con tuo padre…è accaduto il giorno prima che Holly tornasse dal Brasile! -. L’inizio di quel racconto aveva già alimentato quello che era un dubbio insinuatosi nella mente di Trish. - Tuo padre morì subito dopo l’arrivo dei soccorsi, tu invece, entrasti in coma e ti risvegliasti dopo ventiquattro giorni….un risveglio oscuro..perché nell’incidente perdesti la memoria. -. Si sentì assalire da un conato di vomito, disgustata dalle bugie e dalle menzogne tramate alle sue spalle.

- Chi…chi sono io? - chiese con tono quasi sommesso, oramai senza forze per poter emettere altri suoni. Mary la guardò sconfortata con un’immane desiderio di abbracciarla e rassicurarla.

- Mi dispiace averti tenuta all’oscuro di tutto questo. Non lo meritavi. Non ho mai capito quanto fossi straordinaria….

- Dimmi chi sono? - le urlò a gran voce oramai sopraffatta dal dolore. Mary tacque. Mai come in quel momento avrebbe desiderato fuggire via. Quello che stava per dire avrebbe cambiato non solo lo scopo del loro viaggio, ma la vita di sua figlia e delle persone presenti.

- Patricia…PATRICIA GATSBY! - ammise coprendosi il volto con le mani. Non si sentiva alcun sibilo se non lo stormire del vento e i tuoni squarciare il cielo rosso. La sincerità con la quale Mary Hamilton aveva pronunciato quelle parole lasciava trasparire solo la verità. Trish continuava a sentire quel nome sillabato nelle sue orecchie e nella mente. Lei era Patricia Gatsby, la ragazza amata e tanto cercata dal campione di calcio Oliver Hutton. E lui l’aveva sempre saputo, fin dal giorno in cui accidentalmente si erano incontrati. L’aveva intuito immediatamente, aveva cercato di scoprire la verità spinto dai dubbi e dall’amore incontrastato che aveva sempre provato per la dolce Patty.

Le immagini e i flashback che più volte aveva veduto, che lei pensava ritraessero Patty, altri non erano che frammenti della sua memoria passata. Sgomenta si portò le mani al capo. Era incredula. Il dubbio era diventato una certezza. Nessuno parlava o fiatava. La verità era stata troppo sconvolgente perché Holly e i suoi amici potessero gioire nell’aver ritrovato la loro cara amica scomparsa. Troppo truce per lei che non solo adesso doveva fare i conti con la realtà, ma soprattutto con l’identità di una ragazza amata e desiderata da tutti. Il confronto sarebbe stato duro e inevitabile. Senza fiatare si incamminò lentamente verso la porta.

- Aspetta! - le disse Holly riprendendosi da quel mutismo collettivo. Lei arrestò il passo senza voltarsi per non guardarlo. Cosa doveva fare? Restare o andare via?

- Non andare via…ti prego! - continuò con tono supplichevole.

- Non riesci neanche a dire il mio nome….non sai neppure tu come chiamarmi! Non lo so neanche io! - rispose col capo chino. - Vedi? Non mi rispondi neppure! Io non ricordo…non sarò mai più la vostra Patty. - disse andando via e correndo giù per le scale. Julian e Mary guardarono Holly.

- Cosa aspetti? Fermala. Se dentro di lei serba ancora il grande amore che aveva per te, solo tu potrai risvegliare la nostra Patty! - gli disse Mary sotto gli occhi increduli di James. Come smosso da una scossa ad alto voltaggio, Holly corse verso la porta nel tentativo drammatico di fermare la sua amata. Sapeva, che se non l’avesse fatto, non l’avrebbe rivista più e questa volta perché lei aveva intenzione di andar via per sempre dalle loro vite. Amy piangeva a dirotto tra le braccia del marito.

- E’ colpa nostra. Se non fossimo stati così inopportuni…se avessimo lasciato che trovassero da soli la strada…

- No, la colpa è unicamente mia! - sentenziò Mary guardando la giovane donna.

- Ma cosa stai dicendo Mary? -

- Tu stai zitto. L’errore più grande che ho fatto è stato ascoltare te, fidarmi di una persona così infima…pensi che non sappia qual è la vera ragione di questo viaggio? Volevi far apparire mia figlia come un’incapace di intendere e di voler per poter intascare le polizze assicurative in vece di suo tutore. -. James Hamilton taque. Sua moglie aveva scoperto tutto. Aggrottò la fronte e storse le labbra. Si sentiva in trappola.

- Ha ragione lei…fai schifo. L’hai sempre saputo, vero? Che suo padre le aveva lasciato quelle polizze. Ed è per questo motivo che hai voluto adottarla prima che andassimo via dal Giappone. Un piano perfetto. Peccato che abbia visto la busta della compagnia di assicurazione tra i rifiuti. Il timbro postale che riportava un indirizzo di Tokyo mi ha insospettita. Ho contattato la compagnia e dicendo loro che avevo smarrito il contenuto, mi hanno inviato una copia dei documenti via e-mail. Vattene via, sparisci dalla mia vista e dalla nostra vita. L’unico contatto che riceverai, sarà quello del mio avvocato che ti chiederà il divorzio. -

- Sei proprio una stupida…dopo quello che ho fatto per voi. Vi ho dato una nuova vita e questa è la ricompensa? -

- Se ne vada! - esclamò Julian glaciale. - Lei è di troppo qui. Esca immediatamente da questa casa e non si faccia più rivedere. - continuò indicandogli l’uscio. James guardò il calciatore e poi Mary.

- Come vuoi. Ci rivedremo in tribunale e ti chiederò il risarcimento. Vedrai se non lo farò! - la intimò prima di andar via.

 

Senza pensare a non sforzare la gamba incidentata, Holly continuava nella sua corsa disperata nella speranza di fermare Trish. Non sapeva esattamente cosa avrebbe potuto dirle per farla restare, ma doveva provarci.

L’androne era vuoto e il portone era spalancato. Venne investito da una folata gelida che non gli impedì di uscire per strada incurante del maltempo. Si guardò a destra e manca, poi diritto. Era lì, ferma in mezzo alla strada con il capo alto verso il cielo e le braccia aperte. Le nuvole compatte di un tetro rossore, continuavano imperterrite a piangere quasi come un atto di solidarietà verso quella ragazza che la vita aveva messo a dura prova.

- Trish! - urlò cercando di attirare la sua attenzione. - Triiiiiiiish! Togliti dalla stradaaaa! - gridò ancora non ricevendo alcuna risposta e non notando nessun movimento da parte sua. Sembrava stordita. Guardava il cielo cercando forse una risposta al senso della sua vita.

- Perché? Perchéeeeeeeeeeeeeee? - implorava al cielo sperando forse che qualcuno potesse ascoltarla e risponderle.

Un rumore attirò l’attenzione di Holly. Si girò verso sinistra e vide l’automobile sfrecciare per la strada nella direzione della ragazza. Guardò Trish. Ancora immobile. Un pensiero prese forma nella sua mente. Sentì il sangue fluire veloce nelle sue vene come un torrente in piena. Il sudore freddo gli ricopriva la fronte.

- Maledizione Trish, togliti dalla stradaaaaaaaa! - urlò con tutta la voce che aveva in corpo per cercare di risvegliarla dallo stato di tranche nel quale era caduta. Lei abbassò il capo e lo girò verso di lui. Era sconvolta, triste, malinconica, smarrita. Poi tornò a guardare in direzione dell’automobile che inarrestabile continuava la sua corsa.

 

Una bambina di pochi anni giocava in un giardino in un’assolata mattina, sotto gli occhi vigili del padre. Una ragazzina con una fascetta rossa tra i capelli trascinava un coetaneo su per le scale di un tempio. Un’adolescente in tenuta ginnica sorridente, guardava dei ragazzi rincorrere una palla su un campo da calcio. La rivide nelle calde braccia di un giovane sullo sfondo di un aeroporto. Vide un uomo, lo stesso che aveva veduto con la bambina, ma più adulto, che le sorrideva gentilmente. Insieme nella stessa automobile. Pioveva a dirotto. Poteva quasi toccare con mano la pioggia che batteva sul parabrezza della macchina. Nonostante le avverse condizioni meteorologiche, erano contenti. Lui la guardò, poi i suoi occhi si sbarrarono…sterzò a destra nel tentativo drammatico di evitare l’impatto frontale con un autotreno. Udì le urla disperate della ragazza…poi lo schianto e il buio. Velocemente le immagini della sua vita erano passate dinanzi i suoi occhi come una pellicola cinematografica. L’auto si avvide della presenza per strada.

- Noooooooooooooo Pattiiiiiiiiiiiiiiiiiiy! - gridò Holly correndole incontro. Con un salto si buttò sul corpo della donna nel disperato tentativo di evitarle l’impatto con l’automobile Avvertì lo spostamento d’aria al passaggio dell’auto e il forte odore di bruciato alla brusca frenata. Scivolarono sull’asfalto reso viscido dalla pioggia per poi giacere abbracciati lungo il ciglio della strada completamente fradici. L’automobile riprese la sua corsa, sfrecciando lungo la via non prestando alcun soccorso ai due ragazzi.

 

Si mosse sentendo qualcosa di caldo sotto il suo volto. Quasi intuendo cosa potesse essere, come scrollato da una scossa, spalancò gli occhi e la vide. Un rivolo di sangue scivolava dalla tempia. La guardò, priva di sensi stretta nelle sue braccia. Il volto niveo e innocente, i lunghi capelli scuri sparsi come fili di seta bagnata sulla sua pelle. L’espressione di amarezza e sfinimento sul suo volto. Il cuore gli batteva all’impazzata e un tragico pensiero si concretizzò nella sua mente. Se gli avessero conficcato una lama nel cuore, non sarebbe uscita neppure una stilla di sangue. Un nodo in gola gli impediva di parlare. La paura stava velocemente prendendo forma dentro la sua mente.

- Trish….Trish svegliati…Trish, non mi abbandonare…ti prego Trish….maledizione! Trish non mi lasciare, non morire, non puoi farmi questo! - urlò scotendola sperando di risvegliarla da quel sonno, mentre le lacrime gli annebbiavano la vista e scendevano contigue. La strinse a se nel timore di perdere ogni singolo respiro. Prese a baciarle il volto e il collo in una frenesia convulsa.

- Amore mio…ti prego…non lasciarmi da solo…come potrò fare senza di te…non andare via ancora una volta…ti prego, rispondimi…se tu muori io mi ammazzo! Ti prego amore rispondimi! - supplicò angustiato e prostrato da quella tragedia. - Perché? Perché il destino si accanisce contro di noi! Perché non possiamo stare insieme? - gridò profondamente affranto mentre le lacrime scendevano repentine lungo le guance infreddolite.

- Holly! - sibilò timidamente ancora stretta tra quelle possenti braccia che le avevan salvato la vita. Il calciatore la guardò con gli occhi sbarrati e l’espressione incredula.

- Amore mio! - esclamò baciandola sul volto con fervore e delirio. Lei lo fissò stordita dalla caduta e intirizzita dalla pioggia e dal freddo. - Sei viva…sei viva…non ti lascio..te lo prometto…non ti lascio più! Perdonami se ti ho fatta soffrire, perdonami! - le disse stringendola ancora più a se per la gioia.

- Holly! - esclamò ancora lei. - Mi…dispiace. - gli disse mentre lui cercava di rialzarsi prendendola tra le braccia.

- Dispiacere? Sono io a doverti chiedere scusa per quello che ti ho fatto…ho tradito la tua fiducia mettendo in discussione i sentimenti che nutrivo per te. -

- No…è colpa mia…il tuo è stato l’atto disperato di un uomo innamorato. Ti ho fatto…soffrire tanto. -

- Trish…io…l’ho fatto perché ti amo. - le disse guardandola dolcemente negli occhi.

 

 

Mentre un aereo atterrava, altri due rullavano sulla pista pronti al decollo. Non aveva avuto il tempo di osservare il continuo andirivieni degli aeromobili e dei passeggeri, presa dalla sua corsa incessante verso il cancello di imbarco. Doveva incontrarlo. Un’ultima volta. Lo vide di spalle mentre si accingeva a solcare il gate. Come se avesse sentito il suo passo incalzante o il suo richiamo, si voltò e la vide arrivare. Un sorriso di gioia e felicità si dipinse sul suo volto mentre lei lo raggiungeva affannata dalla corsa. Gli mostrò una scatoletta azzurra. Un portafortuna per quell’avventura che stava per cominciare.

 

Lo guardò ancora in quei profondi e dolci occhi neri resi ancor più brillanti dalle lacrime. Con la mente disegnò i contorni di quel volto bagnato dalla pioggia, i capelli arruffati, la sua espressione quieta che celava la preoccupazione del momento. Schiuse le labbra accennando un timido ma sincero sorriso. Stava piangendo per lei.

- Lo so amore mio…- gli disse accoccolandosi tra le sue braccia. - adesso ho capito... -. Oliver la guardò stranito.

- Trish non poteva innamorarsi di qualcun altro. Non poteva permetterselo perché nel suo cuore, da qualche parte, in un cantuccio, conservava il grande amore che aveva sempre serbato per il suo capitano! - gli disse piangendo. Lo baciò sulle labbra, un tocco dolce che sfiorò prepotentemente i suoi sentimenti. La tirò contro il suo petto e la avvinse timoroso che potesse scappare.

- Tu….-. Lei chinò il capo in segno di assenso.

- Non ti prometto di tornare quella che ero…Trish non morirà mai…ma posso provare a restituire a te e a me stessa la Patty che conoscevamo. -. Holly scosse il capo dissentendo.

- Non mi importa…desidero solo stare con te…Patty o Trish: vi ho amate in maniera diversa, ma profonda o completa. No, amore…non hai bisogno di tornare quella che eri. Devi rimanere quella che sei. Ho amato Patty intensamente senza avere avuto mai la possibilità di dirglielo. Il destino ha voluto che ci ritrovassimo e che imparassimo ad amarci ancora una volta. E’ meraviglioso tutto questo. E’ il segno che la nostra unione è predestinata, che nulla o nessuno potranno mai separarci perché noi siamo nati per restare insieme. - le disse convinto baciandola con passione. Si staccò un attimo da lei e si inginocchiò sull’asfalto mentre la pioggia scendeva con minore intensità.

- Holly…ti senti male? - gli chiese impensierita. Scrollò il capo e le sorrise.

- Patricia Gatsby Hamilton…vuoi sposarmi? - le chiese serio prendendo la mano della ragazza tra le sue.

Lo guardò dritto negli occhi, scuri, intensi, profondi, illuminati dalla luce del loro nuovo amore. In un attimo le sembrò di ricordare il desiderio spasmodico di un’adolescente di sentir pronunciare quella frase dal giovane di cui era innamorata. Rimembrò il suo imbarazzo che si manifestava al solo parlare con il suo capitano. Il lungo abbraccio all’aeroporto il giorno della sua partenza. Le lettere che gli aveva scritto dal Brasile. Già. L’ultima lettera nella quale cominciava a manifestare seriamente quelli che erano i suoi sentimenti. Il desiderio di rivederla. Ma vivida dinanzi i suoi occhi c’era l’immagine di qualche settimana prima, quando era giunto in ospedale e nel delirio aveva pronunciato il suo nome. In quel momento ebbe la certezza che Holly non aveva mai smesso di amarla, che il legame con Trish era nato perché infondo sapeva che si trattava di Patty. Ne era sicura. Il sentimento che nutriva nei suoi confronti era talmente immenso, infinito che non avrebbe mai smesso di amarla. Lei rise di cuore. Non ricordava di averla mai vista così divertita, sicuramente non nelle spoglie di Trish.

- E’ una domanda così comica? - le chiese quasi indispettito da quel suo comportamento. Scosse il capo dissentendo.

- Sì, sì e ancora sì…che lo voglio. - gli rispose disorientata ma felice sotto gli sguardi attoniti di Julian, Amy e Mary accorsi giù al portone impensieriti dalla loro assenza.

Ritemprato dalla gioia e dal suo consenso, Oliver prese in braccio Patty e la fece volteggiare in aria in segno di felicità.

- Ci sposiamoooooooo! - gridò più volte sicuro che qualcuno…adesso lo stesso finalmente ascoltando. - Ti amoooooooooooooo! - le urlò baciandola ancora per sigillare quel momento tanto atteso e che finalmente aveva fatto breccia nelle loro vite. Lei si strinse ancora di più nel suo abbraccio sicura di aver realizzato finalmente il suo più grande sogno: amare ed essere amata da Oliver Hutton.

 

 

 

 

 

 

“La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare: Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita. Felice è dunque chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non è la stessa cosa. L’amore è il desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere: vuole soltanto amare.

L’amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo. L’amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso. Allora non sarà trascinato, ma trascinerà.”

(Herman Hesse)

  
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