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Autore: Tera_Saki    26/11/2017    4 recensioni
Storia Interattiva – Iscrizioni Chiuse
La Guerra è finita, ma ci sono cicatrici, ci sono perdite che non si possono dimenticare. Ci sono ragazzi che hanno perso amici, fratelli, genitori, e che ora cercano solo di andare avanti, cercano di sopravvivere, perché è l'unica cosa che possono fare.
C'erano giorni buoni e altri meno. Quello non era un giorno buono.
C'erano giorni in cui Adelchi avrebbe voluto buttarsi giù dalla torre di Astronomia, sentire il vento sferzargli gelido la pelle e poi sfracellarsi per terra. Quel giorno era uno di quelli. […]
Sei stato egoista, fratello, sei morto senza di me.

- -
Sorrise, dolce e invitante. Aveva già imparato a memoria tutti i loro nomi [...].
Si allontanò dal tavolo per chiudere le imposte della finestra e controllare che tutto fosse in ordine. Predispose le sedie in un cerchio ordinato, e poi uscì dall'aula.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 1.2 - Creatures lie here

 

 

Ludovic
VII anno, Tassorosso

 

Ciao mostro, stai..
Ciao, perché non...
Mostr...

L'iride era velata di una malinconia inelegante, talmente fuori luogo da procurargli una fitta indesiderata di disagio al ventre. Incurvò le labbra in un sorriso appassito, che non raggiungeva gli occhi e che scuriva l'ambra, intensificando le venature rame che si diramavano dalla pupilla.
Poteva dire di essere una creatura meravigliosa, molti lo trattavano come tale. Ma, Ludovic lo sapeva, la bellezza era una farfalla dalle ali strappate, e i fili sottili di bianco che a tradimento si insinuavano tra i capelli biondi non erano altro che un sintomo della decadenza avvelenata che alle spalle allungava le dita su di lui.

Mostro, che cosa f...

Ludovic avrebbe voluto disintegrare lo specchio tanto era il disgusto ad inasprire la gola quando si guardava, perché il suo riflesso portava il sapore di colpa e ribrezzo, un'agonia mentale che non finiva. Così continuava a fissarsi con più ostentazione di quanta avrebbe dovuto sopportarne: non meritava nulla. Soprattutto, non quel bruciore alla gola che minacciava di finire negli occhi, se solo un ricordo in più gli fosse rimasto incastrato tra i pensieri. Perché, no, non provava abbastanza dolore, non ancora, per avere il diritto di piangere.
E finalmente distolse lo sguardo, nella bocca l'amaro di un senso di colpa anestetizzato, rilasciando un sospiro tra le labbra e passandosi le dita sottili fra i capelli, cercando con la cera di mettere ordine a quelle ciocche che invece non volevano saperne di collaborare.
Stava per chiudere la porta quando lo sguardo gli cadde sulla lettera, e sbuffò a metà tra l'indispettito e il preoccupato.
Seccature ingorde, e un groviglio aspro di pensieri gli si dipanò attorno alla pelle come fil di ferro, ma con un sensuale movimento del braccio lo spezzò e le mandò via. Così, non avrebbe potuto rifiutare l'invito, ma almeno sarebbe riuscito ad evitare di pensarci per quel poco tempo libero che quel giorno sembrava rimanergli.
La visuale esplose sul letto a baldacchino color argento e blu, Ludovic ruotò le iridi fino a scontrarsi con l'essenza pece di Arthur, malamente accoccolato sul letto. Il Corvonero mugulò, lasciando andare mollemente l'unico braccio sulle lenzuola sfatte -Scendo di sotto dopo-
Ludovic gli rivolse una languida occhiata incuriosita -ma davvero?-
-Oggi non ho voglia... vai prima tu-
Ludovic trattenne un sorriso, il riflesso ombroso di una smorfia da serpente che fece contrarre la pelle chiara del compagno in brividi gelati, e si avvicinò scivolando nella penombra. Si fermò a pochi passi dal letto, e a quel punto Arthur arricciò le labbra -va bene-
Allungò il braccio debolmente verso di lui, lasciando scoperta la pelle sotto il pigiama, e quando Ludovic la afferrò si sentì tirare fino a cadergli sul petto ancora avvolto nella coperta, e percepì le orecchie invase dal suono agitato del suo respiro.
Avvicinò le labbra, in misurata e chirurgica calma, al suo orecchio -Hanno invitato anche te?-
Il tono non era di domanda, né di compassione. Arthur sentì il respiro spezzarsi nella gola, ma rispose espellendo risentimento insieme al tono basso, esitante e sussurrato -Io... lo sai. Lo sai-
Ludovic si tirò in piedi appoggiandogli una mano sul petto, e Arthur, ancora quasi ansimando e con il disagio addosso, lo seguì con lo sguardo finché non si richiuse alle spalle la porta del suo dormitorio.

 

 

Vincent
VI anno, Serpeverde

 

-Sto parlando con te, serpe!-
Vincent non alterò la frequenza del passo, ma un retrogusto di gelo gli riempì la bocca, e portò malamente una mano a scostare dal viso il ciuffo viola permanganato. Il sorriso modulato d'eleganza si incrinò per un solo istante mentre si voltava all'indietro -tu dovresti smetterla di importunarmi-
Il tono era indeciso tra fra la pacatezza irritata e la modulata calma, ma la ragazza fece ancora un passo nella sua direzione prima di lanciare scioltamente un'occhiata alle proprie spalle -non lo farò, credo-
-Almeno levati- decise di farle sapere Vincent mentre già tornava a camminare, e si marchiò addosso quella falsa espressione cortese, del tutto sterile e fredda. Nessuno lo seguì, almeno quella volta, ma fu costretto, ancora, a sentire l'eco di un insulto sputato al vento che sferzava il cortile -chiedi a Victor quanto sono gentili i Dissennatori, appena lo vai a trovare!-
Strinse i denti con poca grazia al colpo gelido d'aria che lo prese al petto, ma la maschera di sorriso che indossava non vacillò nemmeno in quel momento, nonostante la crepa d'irritazione che si richiuse in fretta. E si passò il polpastrello del pollice a tastare i segni che gli ormoni lasciavano sulla pelle del volto, dopo, sospirando affranto -È un peccato che io sia rovinato da queste cose-
Fece qualche passo, ma poi -Mi dispiace- lo percepì come un soffio, l'inflessione priva di intensità se non fosse stato per quell'accenno di vera sincerità, forse anche troppo forzata. Vincent si voltò come se quel gesto costasse fatica, e fosse una pesantezza che non doveva sopportare lui, verso la figura sottile di Laurence.
Le labbra si stirarono in un troppo ampio sorriso, deciso a non raggiungere in ogni caso gli occhi -sul serio?-
Il compagno di casa scrollò mollemente le spalle, e come se ora avesse dimenticato la conversazione provò con una smorfia vagamente simile alla cortesia a sua volta. Poi, come se non sapesse più cosa fare, bilanciò il peso del corpo su una gamba e sull'altra, fissando da un'altra parte, e Vincent inclinò appena la testa -Faccio un giro in biblioteca, vuoi?-
Accompagnò l'invito con un gesto ampio del braccio, e Laurence annuì distrattamente, puntando di nuovo gli occhi marroni nei suoi -non ho molto di meglio da fare. Grazie-
Vincent gli scivolò al fianco, a distanza di sicurezza e appena più in avanti, ignorando sfacciatamente le occhiate rivolte loro mentre attraversavano i corridoi insieme. Lo sapeva benissimo che guardavano Laurence e i suoi capelli lunghi, ostentatamente rosa, che gli guardavano il viso non suo, e quando sentiva gli occhi sul corpo sapeva che giudicavano senza cuore la sua figura tagliente e frivola. Eppure, Vincent, dell'opinione altrui, non sapeva che farsene, generava solo fastidio e gelo, proprio nello sguardo privo di pietà con cui ricambiava.
Era abituato ad attenzioni più invadenti, era anche abituato ad anticiparle. Non gli avrebbero fatto male se ne avesse fatto lui prima.
-Hai sentito di quella festa?- chiese all'improvviso Laurence dopo minuti di silenzio, e Vincent, arrestando il passo, si appoggiò mollemente, im modo del tutto teatrale e finto, al muro, accanto alla porta della biblioteca -vuoi andarci?- rilanciò con voce fredda, senza intenzione di rispondere.
-Io...- iniziò il serpeverde, per poi ingoiare le parole che aveva in bocca ed elargirgli un accennato falso sorriso -dipende-
Vincent distolse lo sguardo, ora annoiato da quella conversazione -ho capito- soffiò atono, senza preoccuparsi di risultare spietato, e percepì, senza voltarsi, il passo di Laurence che si allontanava, qualche istante dopo. A quel punto emise un sospiro troppo rumoroso, ruotò con scioltezza e alzò il braccio a passarsi una mano fra i capelli tinti -questa giornata è diventata davvero inutile-

 

 

Adelchi e Jade
VI anno, Corvonero  /  VI anno, Corvonero

 

Nothing to lose, nothing. to. lose.
Oh, che lenitivo inefficace. Bastava uno sbuffo d'aria per spazzare via tutto, era questo quello che Adelchi pensava ingoiando le pastiglie. Bevve qualche sorso d'acqua fredda solo per togliere il sapore che era rimasto in bocca, curandosi poco dell'ordine che aveva disfatto.
Lasciò il contenitore in plastica sul lavandino e il bicchiere ancora mezzo pieno alle spalle, chiudendo la porta del bagno e andando a stendersi nel letto di Jade.
How should i feel? Allungò un braccio, e la manica del pigiama scivolò fino al gomito, cingendo il fianco di Jade. Non sapeva se era veramente quello di cui aveva bisogno, lui gli lasciava fare tutto, e forse stava perfino un po' meglio.
Looking for a better way to get up out of bed. Ma certe volte, Adelchi preferiva soffocare nell'apatia che aprire gli occhi e vedere. Notava solo un buco, e come se lo beffeggiasse, ogni cosa andava in paia tranne lui.
-Mhh...- si strinse di più a Jade, e l'amico si svegliò del tutto. Restarono così per alcuni minuti, i respiri così vicini e simili da potersi mischiare, e fu Jade a rompere il silenzio, mormorando -che ore sono?-
-Quasi le sei-
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, lasciando scoperta la pelle bruciata sulla guancia, sulla mandibola e su gran parte del collo fino a sparire nella maglia -hai avuto freddo, stanotte?-
Adelchi scosse appena la testa, spostandosi di lato e scostando la coperta dal corpo di entrambi. Fecero piano, lanciando solo una breve occhiata ai compagni di stanza che ancora dormivano, e Jade si diresse -ancora, come lui aveva fatto prima- verso il bagno, lasciandolo solo sul suo letto. Adelchi sapeva cosa stava facendo, a volte riusciva anche a sentire, soffocati e sibilanti, i gemiti dell'amico.
Quando poi mancavano una decina di minuti alle sette e i compagni di dormitorio stavano iniziando a svegliarsi, Adelchi raggiunse Jade, socchiudendo appena la porta, e nella luce rosata dell'alba prese della crema fra le mani e appoggiò le dita delicatamente sulla schiena dell'amico -lo sentì irrigidirsi sotto la pelle per il freddo-, iniziando a massaggiare in silenzio.
Non si guardavano in faccia, Adelchi evitò anche lo specchio, in cui invece Jade poteva vederlo, perchè lo conosceva, e capiva il bisogno che l'altro aveva di mantenere le cose come erano sempre state. Avevano ricreato un equilibrio facendo finta che entrambi non fossero così rotti, e mantenevano il tacito accordo che finché non fosse crollato potevano anche galleggiarci, in quella bugia.
Poi Adelchi lo aiutò a mettere le bende, sfiorando la sua pelle molto più del necessario, e scesero in Sala Grande ancora prima che i compagni si fossero preparati.
-Quel gruppo è obbligatorio, vero?-
Jade era sorpreso che Adelchi avesse perfino parlato. Lasciò scivolare lo sguardo sulla sala semivuota, sostenendo con fermezza quello di un Grifondoro che alla fine distolse l'attenzione -credo di sì-
Adelchi si impose di ignorare l'orribile sensazione che gli stringeva il petto e risaliva fino alla gola. A lui quel professore neanche piaceva.

 

Acacia
VI anno, Corvonero

 

Fece vagare ancora una volta lo sguardo sul corridoio, quasi mossa dall'aspettativa che arrivasse qualcuno. Ma era lì da più di mezz'ora, e alla fine chinò il capo sulla piccola sacca che aveva appoggiato ai piedi.
Lo sentiva nella gola e sulla pelle, il sentore di quell'incontro mancato, e lasciava il fastidio di una cosa incompiuta. Non era delusa, solo, per un attimo aveva creduto per davvero che si sarebbe presentata.
Emise un lievissimo sospiro, riportando indietro la testa e lasciando che le ciocche sfibrate sfuggite all'elastico le ricadessero sul viso. Aveva organizzato l'incontro in modo da avere un ampio margine in caso di attesa, poco dopo il pranzo e molto prima delle lezioni del pomeriggio.
Riprese in mano la sacca, spolverandola appena con le dita, mentre si assicurava in una veloce occhiata che la divisa fosse in ordine e la spilla del prefetto appuntata con la dovuta cura. E si sentì osservata, lungo il tragitto per l'aula di Difesa, ma poi la sua voce la riprese da dietro, come al solito troppo alta e lievemente squillante, e lei si voltò solo dopo alcuni istanti.
-Scusa...- Astra le rivolse un sorriso mesto -... per il ritardo, però sei stata gentile a riportarmi le mie cose-
Acacia annuì appena, scivolando con gli occhi sulla figura della ragazza, sapeva che l'impeto di un tornado le apparteneva, ed era evidente dalla chioma spettinata e dai bracciali colorati che le adornavano le braccia. Credeva le desse fastidio tutto quel disordine, una confusione che si specchiava male nell'iride agitata e la pupilla dilatata più del solito.
-Cosa è successo?- chiese, la voce meccanica e il viso di marmo. Astra scosse il capo, modulando un sorriso per cui Acacia aggrottò le sopracciglia e la vide fare un veloce passo nella sua direzione, per poi afferrarle le spalle e posare le labbra sulle sue.
Fu un rumore che rimbombava nelle orecchie, nella bocca, a farle irrigidire i muscoli, e si sentiva un peluche di porcellana, non provò neanche a sottrarsi alla presa, e annegava in quella passiva effusione. Socchiuse gli occhi, limitandosi a mantenere il contatto, e seppellendo il bruciore che lambiva la pelle.

-Non puoi vincere se resti appesa a un filo, sorella-
-Nemmeno lo sai, come sia avere un cuore vero-

Per Astra, baciare Acacia era come posare le labbra sul muschio, e nonostante il tocco dell'altra fosse possessivo ma trattenuto, essere tra le sue dita era quanto di più simile ad una coccola avesse mai sperimentato. Acacia sapeva della vita della foresta, respirava senza fare rumore e camminava come se danzasse sui rasoi, anche se poi possedeva la consistenza fragile di un manichino di vetro.
C'era una corona di papaveri sulla sua testa, come se la cullasse le metteva addosso un'agitazione spenta, ma poi Astra interruppe il bacio e tolse le labbra dalle sue.
-Scusa- soffiò, e se ne andò via pulendosi la bocca.
Acacia prese fiato, inspirando il disagio che era cresciuto durante il contatto fisico, poi si voltò dalla parte opposta.
Scusa, scusa. Acacia portò le dita a lisciare di nuovo la divisa, mettendo a posto i capelli e lanciando una breve occhiata al quadro alla propria sinistra, per poi far scivolare lo sguardo su un Serpeverde che stava entrando nel corridoio -non importa-


 

Astra
VI anno - Grifondoro

 

Oltrepassò l'arco che reggeva l'ingresso alla torre con passo più incerto del solito, strofinandosi via una lacrima dalla guancia e tirando su col naso. La tensione esplose come un laccio contro le viscere, e quasi la fece piegare in due.

Non si gioca bene con le persone. Non si gioca con le persone.

Non l'avrebbe fatto mai più, mai più. Ed era la colpa ad arrugginirle il respiro appena usciva dalla bocca, un tintinnio a rimbombare nel vuoto metallico delle scale mentre camminava. I gufi strillavano e tubavano quando Astra si lasciò andare contro il muro di pietra gelido, a metà strada dalla voliera.
-Non trovi che quella posizione sia scomoda?-
Alzò lo sguardo di scatto, le iridi congelate, ma il ragazzo con la sciarpa di Tassorosso prese un'altra manciata di mangime e la lanciò verso gli animali senza voltarsi. Astra lo riconobbe di vista anche se le dava le spalle, e si alzò vestita di tesa circospezione, per posizionarsi sulla porta della gabbia.
Astra allungò una mano, le dita sottili a sfiorare le piume di un barbagianni appollaiato a poca distanza dalle sbarre -ci andremo, vero?-
Adel Senda le annuì alcuni istanti più tardi, e voltò finalmente il capo nella sua direzione, assumendo una posizione strana che Astra faticò a classificare -te l'ho fatto vedere, no?-
Furono parole taglienti ed effimere come l'aria, ma le si attorcigliarono lo stesso le viscere, come la definizione che teneva sulle labbra “inquietante”, affidata al ragazzo del Circo che a pochi non faceva paura.
-Allora... ci vediamo domani, suppongo. Ciao, Lance-
E se ne andò così com'era arrivata, accompagnata dall'aspro tintinnio dei bracciali colorati a coprire la pelle candida delle braccia.


-Oh, Godric-
Astra emise uno sbuffo totalmente infantile -Senti, smettila-
-Ah, sì?- fece Logan, quasi attento. Astra, seduta al tavolo Grifondoro accanto a lui, prese un cucchiaio del pasticcio di carne che aveva nel piatto e rapidamente, parando un'eventuale risposta, lo lanciò sulla divisa del compagno, il tono fintamente annoiato -sei un maledetto rompipalle, Logan-
Almeno mezza dozzina di ragazzi si alzarono dal loro posto nel momento in cui la battaglia di cibo era iniziata, mentre Logan, cercando di proteggersi il viso, strillò, sovrastando le esclamazioni agitate -sono tuo fratello!-
Astra fu quasi felice, in quel momento, con la camicia sudicia e la pelle macchiata, ma poi il ricordo del profumo di Acacia le rimase incastrato mentre inspirava, e non si sentiva così impotente dai primi mesi in cui aveva iniziato a dare pugni al guantone.
Era la rabbia, quella impietosa, infida compagna che le avvelenava lo sguardo ingestibile di tempesta. Ma la boxe era diventata una cotta, e prima di insegnarle a gestirsi l'aveva fatta innamorare, più dell'adrenalina di cui si riempiva le vene, e molto di più dei graffi che le sanguinavano sulle mani e colavano giù.
Alzò un vassoio sul capo, sbirciando la sagoma del fratello maggiore -tornerai a casa strisciando, piccolo verme!-

 

 

Dominic
V anno, Serpeverde

 

-Non ci... riesco-
E, veramente, per una sola volta, Dominic aveva ripetuto quella frase con spezzata sincerità, colando stanchezza, ora che anche la sua gola si era consumata. Quasi poteva sentirlo, il sapore in bocca della lingua, rigida e ferrosa come non l'aveva mai percepita.
Dannazione.
Il volto fremette, contratto in uno spasmo di ingloriosa arroganza, e ingoiando saliva si voltò di lato -io non sono capace. Ecco dove sta il punto-
-Non mi va di sentire bugie, io so che puoi farlo- il professore si mosse nella sua direzione alzando la bacchetta, e di nuovo Dominic si sentì tirare alla bocca dello stomaco, e fu come se la sua anima venisse svuotata e tagliata via -Imperio-
Durò poco. Dominic si rialzò tremando sulle ginocchia, e lanciò all'uomo una lunga occhiata fredda. Il professore di Difesa scosse debolmente la testa, portandosi dietro l'orecchio una ciocca lunga di capelli -Oh, Dominic. Mi dispiace, riproviamo solo più un altro paio di volte e poi ti lascio andare-
Non c'era cattiveria nel tono, neanche un po', e il senso di colpa che si impiantò nello stomaco di Dominic lo fece quasi piegare in due. Non lo faceva apposta, non lo faceva apposta ma lui lì soffriva, e non lo avrebbe mai mostrato, nonostante tutto.
-Imperio-
Fu uno sforzo disumano quello che fece contrarre il suo polso e piegare le labbra -Protego Horribilis- la voce uscì aliena e raschiante, ma l'incantesimo esplose come una bolla intorno, e Dominic sentì la magia formicolare fino alla punta delle dita.
Noover Anderson rimase a guardare i pochi residui di quello che era stato il suo attacco sciogliersi sul pavimento di pietra della propria aula, e sapeva che anche se non era stata una difesa da manuale sarebbe di sicuro bastata. Raccolse da terra una cartella di pelle di drago e aprì la porta di legno in direzione dell'allievo, stirando le labbra in un sorriso sottile -Sei stato bravo, Dominic. Ci vediamo domani, non dimenticare i compiti-


La lezione di Cura delle Creature magiche era iniziata quasi da venti minuti quando Dominic si affiancò ai compagni Serpeverde, e se in un primo momento loro non furono in grado di vederla, la nebbia che celava il suo sguardo, quando poi Alexandra aveva esclamato -Ecco il genio, allora, come mai ancora qui a degnarci della tua presenza?- il sorriso invece le si era estinto addosso.
Lo sguardo vuoto che Dominic le aveva rivolto, come se non la potesse vedere, la costrinse a deglutire a vuoto, abbassando gli occhi solo per non incontrare più i suoi. Dom aveva paura, Dom non aveva mai paura.
Lo vide tornare in sé solo poco a poco, ricostruendo un volto che sembrava essere scivolato via d'improvviso, lasciando che lo sguardo vagasse intorno e analizzasse di nuovo tutti loro, come faceva sempre, con la consapevolezza di essere molto più in alto. Fu solo nel momento in cui si allontanarono dal limitare del bosco dove Hagrid aveva tenuto la lezione, che Dominic le scorse, due figure accoccolate insieme accanto al lago, e un o spasmo d'invidia fece vibrare il suo sguardo.
Si fermò lì, lasciando che tutti i compagni andassero avanti, e poi fece scattare la mano e affondò le unghie nel palmo destro, inclinando il collo e non distogliendo lo sguardo. “Amore, che fai?”
Si sentì inondare la bocca del sentore marcio di morte, e faticò a respirare, a quel punto. Le vertigini portarono con sé una crudele domanda, e quasi la sillabò sulla bocca -Perché loro possono ancora stare insieme e io no?-
Lo realizzò l'istante dopo, che Adrien l'aveva proprio abbandonato, e che nessuno aveva pensato che lui da solo non poteva più sopravvivere. Era stato lui a dividerli, perché era morto senza portarlo con sé.

Si sentì tanto in colpa per averlo pensato, dopo, da essere costretto a fermarsi in bagno e respirare veloce, ricacciando in gola le lacrime, anche se poi indossò la smorfia gelida di sempre. Al diavolo.

 

 

Andrew
V anno, Corvonero

 

Chiedendo accesso alla pelle calda di Danny, Andrew si accorse dell'occhiata con cui Dominic lo stava fissando, e gli fece male. Così male che il respiro scartò e la sua presa sulla mano del compagno si fece più forte, tanto da far voltare Daniel nella sua direzione.
-Tesoro...?-
Andrew soffocò un singhiozzo, espellendo invece un breve sospiro che sapeva di vuoto, il gusto di amaro nel quale era certo di annegare, certe volte. E, come adesso, aveva bisogno di stampelle e di sostegni, e sentiva la vergogna bruciare così tanto, costantemente, per il fatto di doversi aggrappare a Danny per ogni singola cosa.
-Non dovevi tornare a scuola solo per me- sputò alla fine, quasi ingoiando le lettere ed evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del suo ragazzo.
-E invece sì- rispose Daniel avvicinandolo a sé e poggiandogli dolcemente le labbra sulla fronte in un bacio sottile -invece sì, e non provare a sentirti in colpa anche per questo-
Andrew provò a espellere un sospiro, e fissò gli occhi verdi sull'acqua torbida sulla riva; stettero così per alcuni minuti, poi il più piccolo si voltò lentamente, intercettò uno sguardo perplesso, e mascherò un singolo ilare nel momento in cui si era buttato addosso al compagno.
Soffocò una risata, affondando le dita nei capelli di Danny e modulando la voce in modo che risultasse più alta e morbida -Sei preoccupato per me, amore?-

Ma Vivienne, lei lo era stata. Preoccupata per il suo ADHD, o quando era stato rimandato e loro erano stati separati. Non lo era stata prima di morire perché non se n'era accorta. Era caduta, in pochi l'avevano vista, ma il suo splendore Tassorosso aveva brillato, vibrante, ancora fino ad alcuni istanti dopo. Il suo ricordo aveva lasciato una corolla di tristezza, ma solo Andrew non si era rialzato.
-Ciao a te, Curly-

 

 

Monica e Arthur
VI anno, Tassorosso / VII anno, Corvonero

 

-Seguirai una terapia-
Questo, le aveva detto il professore. Una terapia, Monica non sapeva cosa voleva dire, non lo sapeva nemmeno Clopin.
-E perchè?- aveva sentito il bisogno di chiedere, buttando fuori le parole di scatto, e atona aveva soffiato appena, di un'anestetizzata paura. Come se volessero toglierlo, come se fosse possibile.
Arthur, seduto accanto a lei in corridoio, le rivolse un'occhiata veloce -Allora, come stai?-
La cugina replicò con lo stesso tono monocorde che apparteneva al viso sottile, abbellito da una lunga frangia castana -Allora, come stai tu?-
Arthur, a volte, pensava di essere staccato. Una sensazione viscida che partiva dal ventre e risaliva su lungo tutto l'esofago, fece ticchettare le dita sul muro, un indice di evidente ansia -è come...- rispose fissando il pavimento -proprio come un mese fa, e anche prima-
Poi, vedendo che erano troppo vicini, si allontanò di qualche centimetro per non rischiare di toccare la cugina per sbaglio, e Monica guardò lo spazio vuoto lasciato sul muretto e si passò la lingua sulle labbra.
-Cosa vogliono farmi?- Arthur si sentì stringere il cuore, perché quelle parole le aveva già sentite, e questa volta, più che prima, la voce di Monica era intensa, pur senza tradire paura. Gli sembrò quasi, tra le note basse della pronuncia, di sentire il tono maschile di Clopin.
-Non vi divideranno...- mormorò abbassando la testa e dondolando una gamba, la voce rigida -...non so se possono-
-Lui non è cattivo- aveva rimarcato lei incalzante, come se fosse a corto di fiato, adesso. La verità era che Monica aveva reciso il filo delle emozioni da tempo, mesi, forse, anni. Ora quello che rimaneva era custodito dal corpo minuto, temprato dal Quidditch, e dall'accento duro e severo delle origini cecoslovacche.
Monica era impulso, fumoso e diffidente; ma c'era anche qualcos'altro, che il cugino aveva incontrato poche volte e che con più fatica poteva immaginare.
Arthur, tuttavia, aveva letto abbastanza medicina babbana, era brillante quanto bastava per sapere il significato di una diagnosi come “Disturbo di personalità multipla”. E non gli piaceva, era come giocare ad etichettare le persone, gli provocava nausea la sola idea di manipolare la mente come aveva visto fare con alcuni psicologi.
Monica era sua cugina, ma lui voleva bene anche a Clopin, e nonostante tutto era certo che non avrebbe mai tradito entrambi. Stava per aprire la bocca quando invece l'aveva sentita, l'inflessione bassa e maschile pronunciata dal corpo che non era più di sua cugina.
-Io non sono cattivo-
Fece ruotare gli occhi nella sua direzione, soffiando via dallo sguardo le ciocche scure. Il tono era malinconico, caldo e denso di affetto -Lo so, Clopin-


 

Angolo Autrice: 


Ma salve, crevedate fossi scomparsa, eh? No, vi devo in effetti dele scuse per il ritardo immane nella pubblicazione di questo capitolo, ho avuto molta difficoltà a scegliere chi inserire (Arthur, Monica, Andrew e Laurence), ma eccomi qui, spero siate rimasti ad aspettare abbastanza anche voi. Ed è su questo punto che vorrei dirvi, davvero, io ho intenzione di finire la storia. Purtroppo la vita si mette di mezzo per tutti, e quindi gli aggiornamenti saranno irregolari, mi auguro però che voi siate pronti a rimanere al mio fianco fino alla fine.

Giusto un paio di precisazioni: Monica soffre proprio di disturbo dissociativo di personalità, e Clopin è una frammentazione di quella che possiede, si tratta di una faccenda molto delicata, in cui mi sono imbarcata senza qualche dubbio ma che voglio portare avanti nel modo più realistico e delicato possibile. Inoltre, "Curly" è proprio il soprannome che Vivienne dava ad Andrew.

Cosa dire ancora? Sono eccitata a proposito della storia, e come voi non vedo l'ora di vederla continuare, come non vedo l'ora di farvi scoprire di più su ogni OC, mi impegno a renderli bene, ma se così non fosse non esitate a farmelo notare; provvederò il prima possibile. Anche per quanto riguarda gli eventuali errori, fate notare anche quelli (a Voiceless, riguardo al capitolo 1.1, ho ricontrollato e corretto diverse sviste dovute alla fretta nella pubblicazione, come succederà d'altronde anche qui, ma se ho saltato qualche refuso sarei grata se potessi indicarli). 
Ungrazie enorme a _itsbea e alla sua recensine meravigliosa, a Voiceless per le sue parole che valgono tantissimo, a Zoey, che mi ha affidato non uno, ma due dei suoi bambini, spero che questo capitolo ti piaccia, a Monsuta Juria, per il suo favoloso Vincent, a tensi, per i nuovi arrivi, a pink sweet.

Un abbraccio a tutti, spero di leggerci presto.

  
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