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Autore: EffyLou    19/12/2017    1 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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24. Alles begann mit einem Blick


 
 
1 giugno 1935

Il comune del distretto di Charlottenburg era sulla Otto-Suhr-Allee.
Un imponente edificio in sfarzoso stile guglielmino per rappresentare al meglio la ricchezza dell’allora città borghese Charlottenburg, divenuta poi parte di Berlino come distretto e quartiere.
L’aspetto cupo, alti finestroni, la torre era persino più alta del castello del quartiere e misurava ottantasei metri.
Il 1 giugno 1932, Johann e Frieda si baciarono per la prima volta sulla ruota panoramica al luna park del Tiergarten, come testimone l’angelo sulla cima della colonna della Vittoria.
Quello stesso giorno, a distanza di tre anni, si sposavano.
La sala si chiamava Cielo Floreale (Blümchenhimmel). Era tondeggiante, il soffitto a cupola con un motivo floreale appunto, le pareti bianche e rifiniture in legno di noce. Corridoi in alto, sopraelevati.
Gli sposi sotto l’arcata in fondo alla stanza, le panche con gli invitati intorno.
La cerimonia in comune prevedeva semplicemente una firma, pochi preamboli e poco romanticismo. Ciò non impedì a Rosa Vowe di cucire un abito da sposa per sua nipote e nemmeno a confezionarne uno per Johann.
Frieda vestiva con un abito che lasciava le spalle scoperte, si allacciava dietro il collo. Il corsetto in pizzo elaborato, un laccio sul girovita, la gonna ampia in tulle con ricami di pizzo a decorarla. I capelli tirati su sulla testa, due ciocche ondulate a incorniciarne il viso, un diadema delicato dal motivo floreale sul capo. Bracciali di perle, orecchini in argento, la collana che le aveva regalato Johann al collo.
Si era rifiutata categoricamente di indossare il velo: «Non ti azzardare a mettermi quell’affare sulla testa».
Johann invece aveva un completo elegante, in grigio scuro e non in nero perché: «Ti sposi, mica vai ad un funerale» aveva spiegato zia Rosa. La giacca era più lunga dietro, si allacciava con solo un bottone all’altezza del diaframma. La camicia bianca sotto, niente cravatta, e nel taschino all’altezza del petto, il ragazzo si era preso la libertà di infilarci un fazzoletto blu.
«Non sembri uno sposo!» aveva Carlo, guardandolo.
Johann stava finendo di abbottonare i gemelli sui polsini della camicia, aveva sorriso. «La fede al dito me la guadagno lo stesso, l’abito non fa il monaco» e lo disse semplicemente per provocare la signora Vowe, che credeva fermamente nel contrario.
Rosa gli aveva mollato una pacca sul braccio: «Eh, ma allora non hai capito niente! Sei come quell’altra testona di tua moglie!»
«Se fa il monaco, allora avrei dovuto vestirmi di nero» la provocava con un sorriso dispettoso.
C’erano tutti. Persino gli amici da Hannover. Paul e Max, Hildi e Bruno, Kaspar e Gilda, erano in prima fila. Le ragazze tenevano la piccola Rita.
Johann fu accompagnato all’altare da Friederike, Frieda da suo padre.
Il buon vecchio Edmund piangeva come un bambino, ma cercava di non darlo a vedere. In realtà piangevano tutti.
Rukeli si passò il pollice sugli occhi, scacciando le lacrime. Man mano che lei avanzava tra le panche, gli tornavano in mente tutti i momenti con la sua Frieda.
Il primo sguardo, il suo primo knock-out. Il primo bacio.
I loro sguardi, i loro baci, i loro discorsi, i loro sogni di gioventù, gli occhi negli occhi; ogni momento insieme, ogni parola pronunciata, ogni carezza sfiorata. Tutti i ricordi, dal principio a ciò che stavano per diventare, la loro evoluzione. Amici, fidanzati, genitori, ora coniugi.
Erano ragazzini quando s’innamorarono, non sapevano nemmeno cosa fosse quel sentimento che bruciava le vene. E sotto certi aspetti, erano ancora ragazzini, ma il sentimento non era cambiato ed erano pronti a combattere contro ogni disuguaglianza.
E Frieda era lì, sempre più vicina, sempre più bella. Il sorriso ampio di chi aveva gli stessi pensieri. Il nero degli occhi di Johann accolse il cielo di quelli di lei, come la notte che abbraccia il giorno. Non erano che questo. Sguardi emozionati e cuori frenetici.
Le prese il mento tra le dita, posò le labbra su quelle della donna che gli aveva riconsegnato dignità e gioia, la donna che gli stava dando di nuovo un posto nel mondo senza neanche accorgersene.
 
 
Il ricevimento si tenne a Schönower Heide, al maneggio. Non avevano abbastanza soldi per farne uno con i fiocchi e avevano Rita a cui pensare. Era più comodo tornare a casa e organizzare qualcosa lì, con una bambina così piccola. Mangiarono a volontà, risero, bevvero, cantarono. C’erano tutti.
La signora Berger con Clara ed Ulma, Leyendecker e persino Zirzow era tornato apposta. Kaspar, Gilda e loro figlia Teresa. Hildi e Bruno. Max e Paul. Gli zii di Frieda, Vasilij, Boris ed Olga. Zia Rosa ed Hedy. Ferdinand e Mausi, Julius e Franziska con i loro tre figli, Carlo ed Erna e i loro figli, Albert, Stabeli e la fidanzatina. Anna, Maria e Wilhelmine con i loro mariti e i loro bambini. Friederike e suo fratello Robert, il piccolo Edu Weiss, e il nonno Papo. Ivan voleva portare il suo fidanzato, presentandolo come un amico, ma questo non volle saperne niente quando seppe che c’erano gli zingari. L’orso ucraino ci era rimasto male: «Quegli zingari sono parte della mia famiglia, che ti piaccia o no».
Tra danze, musiche, cibi tipici ucraini e zingari, si fece il tramonto.
In entrambe le tradizioni sinti e cosacche, il rituale di matrimonio prevedeva una fuga degli sposi. Di solito di qualche giorno, ma dal momento che avevano una bambina molto piccola, solo qualche ora. Per consolidare il matrimonio e per buon auspicio.
Lo zio Robert consegnò le briglie del cavallo al nipote. Edmund consegnò le briglie di Alfie a Frieda. La ragazza fece una carezza sul muso del suo amato cavallo. Partirono al galoppo a nord di Schönower Heide, verso la boscaglia.

 
«È qui che allenavo Alfie» mormorò Frieda, mentre i cavalli procedevano senza problemi tra gli alberi sottili, i tronchi chiari, le fronde leggere.
L’aria estiva profumava di boccioli, foglie fresche, frutti di bosco, legno vivo.
Johann guardò Frieda. Così vestita sembrava una regina elfica a cavallo in boschi fatati. E lui un cavaliere nero pronto a dare tutto per la sua sovrana.
Legarono i cavalli ad un tronco sottile e li lasciarono lì vicino a pascolare. Stesero il telo a quadri sull’erba appiattita di una radura tra i tronchi, tra piccoli fiori gialli e viola, e steli sottili. Vi si sdraiarono. Gli occhi al cielo.
«Mi spiace che ti tocca camminare tra le fratte con questo bel vestito» ghignò Johann.
«Oh, non importa. In fondo, si usa solo per un’occasione, non dovrò metterlo di nuovo»
Lungo silenzio, interrotto dal cinguettio degli uccelli e i rumori del sottobosco.
«Com’è non essere più scapolo?» gli lanciò un’occhiata maliziosa, il sorriso di un gatto che fa le fusa prima di sfoderare gli artigli.
«Sono almeno tre anni che non mi sento più scapolo. Nella mia testa, eri la signora Trollmann anche prima di oggi e anche senza un anello al dito. Sono terribilmente fiero di averti dato il mio cognome. È una cosa che mi rasserena, perché ti voglio per me. Sei mia, e io sono tuo, ufficialmente»
«Nessuno potrebbe mai portarmi via da te, e nessuno potrebbe mai portarti via da me» gli baciò il naso.
Le prese la mano, con l’intenzione di intrecciare le loro dita. Restò, invece, a contemplare la differenza. La mano di Frieda, piccola, arrivava a malapena a metà della seconda falange delle dita di Johann. La porcellana che creava quel contrasto di colore sul bronzo.
«Sei così piccola» sussurrò, portandosela alle labbra per baciare ogni sottile dito di lei.
«Sei tu che hai le mani enormi. – sorrise. – Guarda che ditone che hai»
«Sono le mani di un pugile, che ti aspettavi?» sbuffò un sorriso divertito, alzando gli occhi al cielo.
«Ti manca?»
Lui si adombrò. «Avevo otto anni quando cominciai. Mi sono allenato ogni giorno da quel momento. La boxe non era la mia passione, era la mia vita. È strano non farlo più, sento i muscoli afflosciarsi, non era mai successo».
Frieda abbassò lo sguardo, senza sapere bene cosa dire. Ne aveva passate tante, ingoiato troppi bocconi amari e subìto troppe ingiustizie. Non poteva limitarsi ad un semplice “mi dispiace”. Preferì tacere, e lui interpretò bene quel silenzio. Le sfiorò una guancia con la punta delle dita, il sorriso dolce e rassicurante: «Ma ora è tutto diverso. Ci sei tu, c’è Rita. Ci siamo noi e questo mi basta».
 

 
Prima di congedare tutti gli invitati, aveva bevuto ancora. Era terribilmente su di giri, ma non era chiaro se fosse brillo.
Rita si era addormentata attaccata al seno di Frieda, e la ragazza l’aveva poi messa nel suo lettino in casa. Aveva avuto il tempo di lavarsi e mettersi addosso la sua sottana color perla, poi si era messa a sistemare i piatti – già lavati dalle sue amiche.
Johann era andato a farsi una doccia, lo sentì trafficare con le ante degli armadi in cerca di qualcosa.
Si presentò in cucina con un pigiama enorme su cui erano stampati asinelli.
Frieda gli lanciò un’occhiata, strabuzzando gli occhi, prima di scoppiare a ridere. Era ancora ubriaco.
«Non ci credo!»
«Me lo ha fatto la mia nonnina, volevo fartelo vedere» fece una giravolta e se ne andò di nuovo.
Poco dopo, tornò in cucina. Frieda alzò gli occhi al cielo, con un sorriso. «Serve qualcosa?»
Lui si aggirava dietro di lei, aprendo la dispensa in cerca di qualcosa. «Ho fame».
Frieda si voltò a guardarlo. Non aveva i pantaloni. Non aveva le mutande. Il barattolo di biscotti aperto era posto proprio davanti al pube. Lei lo fissò sfarfallando le ciglia, e quando sollevò lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi, lui le regalò un sorriso da cattivo ragazzo.
«Vuoi un biscotto?» la incalzò, malizioso, ammiccando con le sopracciglia mentre masticava.
Lei scoppiò a ridere gettando la testa indietro. «Oh, Signore. Sei ubriaco!»
«Per niente. – replicò alzando il mento. ─ Ma se vuoi un biscotto, sai dove trovarlo. Per te ce n’è uno bello gros--»
«Forse è il caso che tu vada a dormire»
«Non riesco se non ci sei tu, biondina» sussurrò, baciandole la guancia. Sembrava un bimbo in cerca di attenzioni.
Lei si sciolse, teneva le mani sul suo petto. «Senti, tra poco arrivo. Voglio finire di sistemare qui. Non fare rumore, che sennò Rita si sveglia»
«Ho capito, vado. Addio», e si allontanò.
Frieda si morse il labbro, abbassando lo sguardo. Tornò sui piatti, sui bicchieri e sulle posate da asciugare e mettere apposto.
Ripensò alla sua vita. L’infanzia nelle campagne, la Guerra, la perdita di sua madre, l’equitazione, i campionati, le estati alla comunità cosacca in Ucraina, la caccia nei boschi con Ivan ed Edmund. Il titolo, la crisi del padre, il ritiro, i suoi sogni, i suoi progetti. La sua fatica per racimolare i soldi per l’università e scoprire di non potersi più iscrivere perché donna.
E poi era arrivato Johann. Era entrato in quel locale, aveva bevuto, l’aveva difesa dal maniaco.
Aveva scoperto che era un pugile. L’aveva guardata con i suoi intensi occhi neri, i suoi bollenti occhi da lupo così intelligenti, ed era rimasta sopraffatta.
Era cominciato tutto da lì. Da un pugno e da uno sguardo. Da una cucina vuota, da un cubetto di ghiaccio sullo zigomo, da un paio di sorrisi dispettosi.
Sei anni erano tanti, di cui cinque ininterrotti. Si erano incontrati che lei aveva appena diciannove anni e lui quasi ventidue. Quante cose si erano detti, quanto si erano divertiti, quanto si erano capiti. Erano cresciuti, maturati, uno inevitabilmente influenzato dall’altra e viceversa. Si erano aiutati a crescere a vicenda.
Avevano avuto una bambina. Quel giorno si erano sposati.
Avevano fatto tanta strada insieme.
Frieda sorrise dolcemente, mentre si allungava per riporre un piatto. Come a intuire i suoi pensieri, Johann fece di nuovo capolino in cucina, i vecchi pantaloncini da boxe che gli facevano da pigiama. Si avvicinò come una pantera alle sue spalle, le circondò i fianchi con le braccia posando la fronte sul suo capo. I corpi attaccati.
«Ci stai mettendo troppo. Non è gentile da parte tua farmi aspettare» le sussurrò.
Frieda ebbe un fremito. «Mi sono persa in pensieri»
«E il naufragar t’era dolce in quel mare?» ghignò lui, scostandole i capelli dalla schiena.
«Non immaginavo che conoscessi anche autori stranieri»
Le baciò la nuca. «Tu esalti la mia forza e la mia speranza, ogni giorno. Il mio sangue aumenta, quando ti sono vicino, e tu taci. Allora nascono in me le cose che col tempo ti meraviglieranno. Tu mi sei necessaria. – recitò in un sussurro, le labbra sulla pelle, la dolcezza nella voce. - Non andare. Io ti veglierò. Io ti proteggerò. Ti pentirai di tutto fuorché di essere venuta a me, liberamente, fieramente. Ti amo. Non ho nessun pensiero tuo, non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te. Lo sai. Non vedo nella mia vita altra compagna, non vedo altra gioia».
Lei inghiottì il groppo dell’emozione. Quelle parole erano di per sé molto forti, ma recitate con la voce di Johann e la sua emozionalità, le provocavano ginocchia molli, farfalle nello stomaco e cuore palpitante. Quasi non riusciva più a parlare, per l’emozione. Ogni volta si meravigliava della reazione che lui le provocava, come se fosse una ragazzina alle prese con la prima infatuazione. Era come innamorarsi ogni giorno, inevitabilmente.
«Tanti muscoli e tanto cervello» esalò, quasi senza voce.
«Non tutti sarebbero d’accordo».
Frieda sorrise, il labbro stretto tra i denti mentre lui continuava a depositare una scia di baci lungo le spalle, il collo, sotto l’orecchio. Le sue labbra le avevano fatto scendere una spallina, le sue mani accarezzavano i fianchi con dolcezza.
«Non vedo l’ora che sia domani» le sussurrò con un sorriso premuto sulla spalla.
«Perché?»
«Perché ogni giorno diventi più bella»
Frieda si girò, Johann la bloccò tra il suo corpo e il bancone della cucina. «L’alcool ti rende romantico?»
Lui strinse le labbra con un sorrisetto divertito. «E terribilmente eccitato, ma per quello puoi rimediare»
Frieda scoppiò a ridere, affondando il viso tra le mani, Johann la guardò quasi con imbarazzo.
«Che sfacciato, e il filtro bocca-cervello? Ancora rotto?» gli fece lei, bonaria.
«Mai avuto. Ora posso avere un bacio da mia moglie oppure la signora Trollmann vuole continuare a parlare?»
La ragazza ridacchiò ancora, poi gli prese il viso fra le mani e gli posò un bacio casto sulle labbra. Quando si ritrasse lo stava guardando sfarfallando le ciglia, angelica. Johann storse la bocca, contrariato, e dopo un secondo Frieda si ritrovò caricata sulla sua spalla come un sacco di patate.
Si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa, e lui di rimando le mollò una pacca sulle natiche. «Se Rita si sveglia me la prendo con te» e per qualche motivo, non suonava come un terribile castigo, il suo.
Johann si chiuse la porta del corridoio alle spalle stando attento a Frieda, e la lasciò cadere sul sofà nel buio del salotto. Poteva vedere la sua ombra, per lei così imponente, e vide il candore dei suoi denti esposti in un sorriso malizioso e pieno di sottintesi.








 

Non ho voluto fare troppo la romanticona nella descrizione del matrimonio, perché non sono una che ci crede. E poi insomma... con questa storia ne ho di occasioni per scrivere romanticherie HAHAHA

La citazione che Johann sussurra a Frieda viene da Il Piacere di D'Annunzio, mentre la frasetta prima: "E il naufragar t'era dolce in quel mare?", è un riferimento a L'Infinito di Leopardi. 
In realtà io non ho idea, E NON CREDO, che Johann conoscesse così bene alcuni autori italiani. Forse D'Annunzio sì (Il Piacere gli sarebbe piaciuto, secondo me hahah) vista la sua fama, ma non credo a questi livelli, tanto da citarlo a memoria.
È solo una punta di dolcezza smielata che ho voluto aggiungere. E perché mi piacciono molto sia le opere del Vate che la citazione, la vedo molto adatta per quello che lui prova per lei.

Ad ogni modo, dal prossimo capitolo gli sprazzi di gioia andranno a diminuire. Sono stati sì anni abbastanza tranquilli, ma ciò non toglie che Johann abbia avuto alcuni problemi. 

| → Tra l'altro volevo condividere con voi un mio piccolo traguardo.
Qualche tempo fa, su WATTPAD, iscrissi Wie Blumen ad un concorso letterario - il mio primo, tra l'altro - e con gioia vi annuncio che ha passato la prima scrematura. Visto il poco riscontro che ha sia qui su EFP che su Wattpad, non mi aspettavo che potesse passare. 
Ora è alla fase delle votazioni, che durerà fino a metà gennaio. Se volete, se ritenete la storia meritevole, se avete un profilo Wattpad, e avete intenzione di votare a favore di WB io ve ne sarò molto grata. In caso siate interessati/e, fatemelo sapere magari via mp o con una recensione in modo che possa spiegarvi tutto al meglio.
A me farebbe molto piacere, ma chiaramente non voglio costringere nessuno né elemosinare niente a nessuno! Semplicemente volevo farvelo sapere, ecco.

Detto questo... devo rivedere il prossimo capitolo e non so quanto mi ci vorrà per integrare le nuove modifiche alla vecchia versione, perciò abbiate pazienza.
Come sempre vi invito a farmi sapere cosa ne pensate se volete, ma nel frattempo vi ringrazio tutti per seguire questa storia anche se leggete silenziosamente hahahah
Alla prossima! ♥

   
 
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