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Autore: Stephanie86    10/02/2018    1 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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14

 

“Tu hai fatto molto bene ciò che dovevi, Atreyu. Sono molto soddisfatta di te”
“No!” gridò Atreyu, quasi con furia. “È stato tutto inutile. Non c’è salvezza.” […]
Poi udì la voce che diceva: “Ma tu l’hai portato.”
Atreyu alzò la testa. “Chi?”
“Il nostro Salvatore.”

[Michael Ende, La Storia Infinita]

 

 

 
- Dove siamo? – domandò Regina, una volta oltrepassata la porta.

Una luce crepuscolare, di un grigiore di piombo, colmava il luogo che si era aperto davanti a loro.

Era una palude.

Qua e là c’erano mucchietti contorti di cespugli e alberi i cui tronchi marci si diramavano verso il basso in tante gambe storte, cosa che li rendeva simili a grossi granchi addormentati nell’acqua nera e melmosa. Era difficile capire in quali punti il terreno fosse solido e dove invece non era che una superficie acquosa coperta da una patina verde o da piante acquatiche. Coltri di nebbia navigavano tra gli alberi e dai rami pendevano liane simili ai tentacoli di qualche belva mimetizzata al fogliame.

Non c’è salvezza.

Emma batté le palpebre e si guardò alle spalle. Non c’era nessuno. Non c’era più nemmeno la porta attraverso la quale erano appena passate.

“Amor Verus Numquam Moritur.”

- Hai sentito? – domandò a Regina.

- No. Cosa?

Non c’è salvezza.

Era una voce. Una voce fantasma che fluttuava nell’aria. Era fastidiosa e la metteva a disagio, come se stesse cercando di penetrare ogni sua difesa. Ma lo faceva lentamente.

- Sbrighiamoci. – disse Emma. Allungò una mano, cercando quella di Regina.

Lei la prese e intrecciò le dita alle sue.

 

 

Storybrooke. Qualche anno prima.

 
“Mia madre è cattiva.”

Archie Hopper aveva avuto modo di confrontarsi con una vasta gamma di pazienti in quanto psichiatra. Storybrooke era una città piccola, ma i problemi non mancavano. Ragazzi anche più piccoli di Henry che cercavano di giustificare comportamenti sbagliati con scuse assurde e bugie nelle quali nemmeno loro credevano. Adulti soli, intrappolati in qualche dipendenza.

Ma una partenza come quella non gli era mai capitata. Erano alla terza seduta. Fino a quel momento, il figlio del sindaco non aveva mai espresso una simile emozione. Sembrava avercela con la madre adottiva per qualche motivo che Archie non era ancora riuscito ad afferrare.

Si tolse gli occhiali, recuperò uno straccetto dalla tasca della giacca e ripulì le lenti con cura.

‘Vede, signor Hopper, io sono una madre. Faccio del mio meglio con Henry. Ma sono preoccupata. Molto.’

Archie non dubitava che Regina Mills lo fosse. “Perché dici questo? Lei ha... forse detto qualcosa che ti ha turbato?”

“Non è per quello che dice.”

“No?”

“È semplicemente quello che è.”

Semplicemente quello che era. Regina Mills era il sindaco. Era una donna complicata; tutta la città lo sapeva. Metteva in soggezione chiunque. Perché aveva potere. Avere quegli occhi che potevano nascondere qualsiasi cosa. Anche delle cose terribili. Aveva le mani su tutto. Una vera sovrana che dominava da sempre. Non riusciva a ricordare bene il giorno in cui era diventata sindaco...

Archie aveva pensato ad un aggettivo per descriverla, che non fosse ‘complicata’ o... ‘cattiva’.

Crepuscolare. Ombrosa.

Lui si schiarì la voce. Fissò per qualche istante il proprio cane, Pongo, accucciato in un angolo. Era sveglio e sembrava stesse ascoltando la conversazione. “Cattiva... è una parola molto... forte. Te ne rendi conto, vero?”

“So cosa vuol dire.”

 

 

 Oltretomba. Oggi.

 
Emma si fermò con le mani sulle ginocchia e poi appoggiò una spalla al tronco marcio di un albero. Alzò gli occhi al cielo. Era basso e azzurro, ma era un azzurro cupo, pesante e la faceva sentire oppressa da un inspiegabile senso di angoscia.

Non c’è salvezza.

La voce la seguiva. Era ovunque. Era nella brezza gelida che soffiava, spostandole i capelli. Era nel rumore del risucchio prodotto dai suoi stivali quando entrava in una pozza melmosa. Era nel suo respiro. E ripeteva sempre la stessa cosa.

Non c’è salvezza.

- Emma, continua a camminare. – disse Regina, sempre tenendola per mano.

Emma guardò giù e vide l’acqua stagnare tra ciuffi di canne e bassi cespugli dalle foglie così larghe da far pensare a piante tropicali.

Non c’è salvezza.

Non aveva idea se Regina sentisse la stessa voce, ma a giudicare dalla sua espressione, c’era qualcosa che la infastidiva. Si voltava spesso per assicurarsi che nessuno le stesse seguendo. Serrava forte la sua mano. Se Emma si attardava, tirava per costringerla a proseguire.

- C’è qualcosa qui... qualcosa... – mormorò Emma.

- Lo so. Per questo devi continuare a camminare. Ignoralo.

Emma ci provava. Ci provava davvero, ma era come se il suo cuore fosse avvolto da un bozzolo di ghiaccio. Il gelo si diffondeva nel suo petto, nel sangue. Era come un veleno.

Riprese a camminare, ma dopo pochi passi sprofondò nel fango fino alle caviglie e rimase là.

- Emma, ti prego. Non fermarti.

- Io credo... non posso, Regina. Non... posso andare avanti.

Non c’è salvezza.

Non c’è...

- Non fare l’idiota, Emma. Muoviti. Stai sprofondando.

Emma era affondata fino alle ginocchia. Sabbie mobili. La tiravano verso il basso.

“Euridice non era più la stessa.”

“L’ambrosia le aveva permesso di andarsene, ma questo posto... l’aveva corrotta. Era rimasta qui per... un po’ di tempo. E tornare in vita può comportare delle conseguenze.”

Si rendeva conto del pericolo, ma era come se non le importasse. Improvvisamente le sembrava tutto inutile. Tutto privo di senso. I ricordi peggiori della sua vita si assiepavano nella sua mente e non riusciva a scacciarli. Si accalcavano dietro agli occhi. Era una sensazione schiacciante. E si sentiva spossata. Non semplicemente stanca, ma distrutta. A pezzi.

“Euridice non era più la stessa.”

Non c’è salvezza.

- Non puoi lasciarti andare proprio ora, Emma! – esclamò Regina, afferrandola per la giacca. Strattonò il tessuto, sperando di liberarla dalle sabbie mobili.

“Ma questo posto... l’aveva corrotta.”

“Euridice non era più la stessa.”

- Non c’è salvezza... – disse Emma, sollevando la testa per guardarla negli occhi. I suoi erano lucidi e arrossati. Era paonazza. Il medaglione che le aveva dato Marian incrociò i pallidi raggi di luce e mandò un barbaglio rossastro. – Lo senti anche tu, vero?

- Non ascoltare! Non sono venuta fino a qui per vederti sprofondare nelle sabbie mobili. Non ho estratto il mio cuore mettendolo su una maledetta bilancia per...

- Io non ho mai voluto questo. La Salvatrice... non l’ho mai voluto. – Emma sprofondò fino alle cosce. Non fece alcuno sforzo per evitarlo.

Regina gridò il suo nome e si aggrappò a lei.

 

 

Storybrooke. Qualche anno prima.

Henry piazzò il grosso libro con la spessa copertina marrone sul tavolo dello studio di Archie. Sorrideva. Come se avesse avuto un’illuminazione.

“Oh. È un bel libro?”, domandò Archie, levandosi gli occhi e tirandolo verso di sé. Il nome dell’autore non c’era. Il titolo era “Once Upon a Time”, in grandi lettere dorate. “Posso?”

“Non è solo un libro. È molto di più.”, sentenziò Henry.

Lo psichiatra aprì il volume e iniziò a sfogliarlo. Una raccolta di fiabe. Da Cenerentola a Biancaneve. Dalla Bella Addormentata a...

“Capisce?”, chiese Henry.

“Sì...”, rispose Archie, guardingo. “Sono storie. Dove hai trovato questo libro?”

“Non l’ho trovato. Me l’ha dato la mia insegnante. La maestra Blanchard.”

“Oh. D’accordo. E c’è qualcosa in queste storie che ha attirato la tua attenzione?”

“Non sono solo storie. Ci siamo anche noi in questo libro. Regina, ad esempio, c’è. E anche tu.”

“Io? Scusa, Henry, sto cercando di seguirti, ma vorrei che rallentassimo un attimo. Di cosa parliamo esattamente?”

Henry sfogliò il libro fino a quando non trovò un’immagine della matrigna di Biancaneve che si faceva largo in mezzo ad una folla di persone accorse per il matrimonio del Principe Azzurro con la sua amata. La figura vestita di nero era snella e minacciosa. Un’altra versione della storia di Biancaneve?

“La mia mamma è la Regina Cattiva.”

Archie tenne gli occhi fissi sull’immagine.

“E questo... questo sei tu, Archie.”

Il Grillo Parlante.

Un linguaggio. Ora capiva. Henry stava cercando di esprimere le proprie emozioni attraverso un determinato linguaggio. Identificare le persone che conosceva con i personaggi delle fiabe era un modo per... spiegare come si sentiva. E il Grillo Parlante era la voce della coscienza che cercava di orientare Pinocchio verso le scelte giuste. Era possibile che una parte di Henry volesse che lui lo aiutasse.

‘Ho cercato di avvicinarmi ad Henry, di non fargli mancare niente’, gli aveva detto Regina Mills, quando gli aveva parlato del figlio per chiedergli se potesse darle una mano a gestire le sue problematiche. ‘Ma lui... mi respinge. Sempre. E questo mi ferisce. Vorrei capire dove sto sbagliando.’

“Quindi... tu pensi di essere Pinocchio?”

“No.” Henry scosse energicamente la testa. “Io non ci sono, nel libro.”

 

 

Oltretomba. Oggi.

 
“Euridice non era più la stessa.”

Regina raschiò il fondo delle sue riserve di energia, tirando Emma per la giacca, nel disperato tentativo di estrarla dalle sabbie mobili. Riuscì a smuoverla di qualche centimetro, ma lei non l’aiutava per niente. Quel luogo l’aveva svuotata di ogni certezza, di ogni speranza. Emma era un peso morto ed era fredda come il ghiaccio.

- Emma, ti prego. – la supplicò ancora. – Non capisci che è un altro tranello di Ade? Non è reale. Non ascoltare.

E continuava a sentire la presenza, intorno a sé, del misterioso e pauroso potere che abitava la palude. Qualcosa di antico. Tremendamente antico.

Emma stava udendo una voce e percepiva tutto il peso di un’angoscia che la trascinava verso il basso. Ma anche Regina l’avvertiva. Da quando si erano inoltrate nella palude non aveva fatto altro che avvertirla. I brutti ricordi erano tornati a fiumi. E ruotavano intorno alle parole di Ade.

“Euridice non era più la stessa.”

“L’ambrosia le aveva permesso di andarsene, ma questo posto... l’aveva corrotta.”

Regina pensava ad Euridice e vedeva una specie di mostro sbucare dal buio.

Ma il mostro non era Euridice, il mostro era...

“È un mostro, Regina. Se non lo fermi tu, lo farò io!”

Daniel. Aveva avuto l’impressione che qualcosa le stesse seguendo, si era voltata più volte per assicurarsi che non ci fosse nessuno e aveva dovuto farsi forza per ricordare che, se anche ci fosse stato qualcuno, non poteva trattarsi di Daniel, perché lui era passato oltre. Aveva raggiunto il posto migliore. La sua tomba al cimitero era rovesciata.

Rovesciata. Rovesciata. Daniel sta bene.

Era poggiata a terra. Sta bene. Non è qui. Sta bene.

Mai si sarebbe immaginata che Emma sarebbe stata la prima a cedere.

- Regina, lasciami... – disse Emma. – Cadrai anche tu.

Si rifiutò di darle retta. Ormai era sprofondata fino all’ombelico.

- Regina... devi lasciarmi andare.

 

 

Storybrooke. Qualche anno prima.

 
Non era sicuro che la fortuna lo avrebbe assistito.

Mary Margaret Blanchard, la sua insegnante, era una donna dolce, che raramente rimproverava i suoi alunni. Non ricordava più chi era stata, come tutti in quella città, ma Henry dubitava che fosse totalmente sprovveduta. Tuttavia, doveva tentare. Aveva bisogno di un po’ di soldi per prendere l’autobus e per quel sito internet. Era costoso e lui non aveva ancora una carta di credito.

L’ultimo studente uscì dall’aula ed Henry rimase da solo con l’insegnante. Andò verso la cattedra.

“Posso aiutarti, Henry?”

Poteva ancora dirglielo. Poteva raccontarle ogni cosa. La maledizione, la Salvatrice che era sua figlia, la Regina Cattiva che tanto la odiava... In fondo, era stata Mary Margaret a darle il libro.

No.

Non poteva dirglielo.

“Sì.”, rispose lui. “Quel libro... sa, quello che mi ha prestato...”

“Non è un prestito, Henry. Puoi tenerlo.”

“Sì, d’accordo. Ecco... è davvero un bel libro. E quindi io pensavo...”

La porta dell’aula si aprì di nuovo e un bidello mise dentro la testa. “Signorina Blanchard... al telefono. Può venire?”

“Oh, certo.”, rispose Mary Margaret. Si voltò. “Ti dispiace aspettarmi qui un momento?”

“Faccia con comodo.”

L’insegnante lasciò l’aula ed Henry ringraziò chiunque avesse chiamato, distraendo sua nonna. Ma forse non era stato solo un caso. I cattivi non vincevano mai. E Regina era la cattiva che aveva lanciato la maledizione. Niente accadeva per caso. Ogni evento lo spingeva verso la sua vera madre, verso la Salvatrice.

Henry fece una cosa che non aveva mai fatto in vita sua. Odiava farlo, ma era per una buona causa. Aprì la borsa di Mary Margaret e frugò in tutte le tasche. Trovò biglietti da visita, le chiavi di casa e qualche altra cianfrusaglia. E trovò il portafoglio. Lo aprì. La carta di credito blu era nell’apposito scomparto.

Quanto ci avrebbe messo Mary Margaret a scoprire che la carta di credito era sparita?

Ma se se ne fosse accorta subito, non avrebbe potuto incolpare nessuno. Forse avrebbe incolpato sé stessa, ma lui doveva comunque sbrigarsi. Sarebbe corso a casa e avrebbe dato un’occhiata al sito. Avrebbe trovato sua madre. Ah e avrebbe cancellato le mail e i dati di navigazione, nel caso a sua madre fosse venuta la brillante idea di dare una sbirciata.

Sua madre, Regina.

Sua madre, la Salvatrice.

 

 
Regina aveva riscoperto il suo incubo peggiore e ne era preda, mentre Emma continuava a sprofondare; quando la Salvatrice aveva pronunciato quell’unica frase...

“Devi lasciarmi andare.”

...Regina aveva chiuso gli occhi, perché la sensazione era così vivida, il pensiero così concreto, che non aveva osato guardare di nuovo Emma. Non aveva mollato la presa, ma aveva impiegato qualche istante prima di decidersi a risollevare le palpebre per fissare il suo vero amore. Era convinta che, abbassando lo sguardo, avrebbe visto il viso congestionato di Daniel, così come lo ricordava dopo quella tragica resurrezione. Era convinta che avrebbe visto occhi azzurro scuri spiritati e pieni di una furia cieca che non era mai appartenuta a Daniel. Il suo Daniel.

“Poni fine a questo dolore.”

“Come?”

“Devi lasciarmi andare.”

Un furore incandescente, l’antitesi del gelo che le si era diffuso nelle ossa, montò dentro di lei.

No. La risposta era no!

Non c’era Daniel davanti a Regina, c’era sempre Emma e quando la strattonò per l’ennesima volta... riuscì a smuoverla dalle sabbie mobili, a strappare un pezzo consistente del suo corpo dalla morsa melmosa.

Emma sembrava fissarla, come instupidita.

- Dammi una mano, idiota! – gridò Regina. – Nostro figlio ha bisogno di entrambe! Io... io ho bisogno di te!

Nostro figlio.

Io ho bisogno di te. Nostro figlio.

Emma puntò le mani contro due zolle erbose e si diede una poderosa spinta. L’angoscia la circondava, la soffocava persino, ma trovò quel poco di forza che le rimaneva e si issò fuori dalle sabbie mobili.

Nostro figlio. Io ho bisogno di te.

Regina le strappò quasi la giacca rossa di dosso, nel tentativo di allontanarla dalla trappola mortale in cui era caduta e, alla fine, Emma emerse, sfuggendo all’abbraccio della palude.

- Emma... – mormorò Regina. Nonostante fosse imbrattata di fango, prese il suo viso tra le mani e se la strinse contro.

 

 
- Il tramonto è vicino. – annunciò Ade, osservando il cielo e la luce rossastra e morente che incendiava le nuvole. – Non abbiamo più tempo. Dobbiamo andarcene.

- E cosa ne sarà di Emma? – domandò Killian, rabbioso. – Non possiamo andare via senza Emma.

- Ce la faranno. – rispose Ade, quasi annoiato. – Emma Swan è la Salvatrice... ed è con il suo vero amore. Troveranno l’ambrosia e torneranno a Storybrooke. Ve l’ho detto. Le porte si apriranno per loro non appena Emma avrà mangiato l’ambrosia. Come fece Euridice.

Killian aveva la stessa faccia di chi aveva appena morso un limone.

Mary Margaret si voltò, scrutando tra le tombe del cimitero, verso gli edifici, sperando di vederle comparire. Non vide nessuno.

- Andate avanti voi, se non vi fidate. Il portale si chiuderà tra pochi minuti. Non abbiamo molta scelta. Non se ne aprirà un altro. – disse Ade. – Se quelle due sono abbastanza testarde come credo, riusciranno a passare. Emma passerà.

Henry strinse il libro al petto. Regina gli aveva sussurrato di mettersi in salvo prima che il portale si chiudesse. Gli aveva detto che avrebbe lottato insieme ad Emma. E lui ci credeva. Ma... poteva davvero lasciarsi alle spalle l’Oltretomba senza sapere che cosa stava succedendo alle sue madri?

- Se non volete entrare in quel portale, con il vostro permesso... Zelena. Vai tu per prima. – Ade indicò il portale roteante con un gesto della mano. Era un grande occhio arancione che aveva sostituito il quadrante dell’orologio. Un occhio senza palpebra dentro al quale sibilava un vortice che attendeva solo di inghiottirli.

La luce del tramonto si fece più intensa.

Invece che fare ciò che il Signore degli Inferi le aveva chiesto, Zelena sollevò la folgore olimpica, puntandola contro di lui.

 

 
Una volta che l’ebbe estratta dalle sabbie mobili, Regina non la lasciò subito andare. La tenne stretta contro di sé. Come se avesse voluto assicurarsi che fosse davvero lì, che fosse tutta intera e che non fosse sprofondata in quella palude.

Era sicura che se Emma fosse sprofondata del tutto, il Tartaro l’avrebbe inghiottita.

Le accarezzò i capelli biondi, mentre lei respirava affannosamente contro la sua spalla.

- Stai bene. – mormorò Regina, le labbra accostate all’orecchio di Emma. Non era una domanda. Aveva parlato soprattutto a sé stessa.

- Sì. – rispose lei, comunque. Sollevò la testa per guardarla.

Regina si vide riflessa negli occhi della Salvatrice. Occhi stanchi, acquosi e arrossati. Verdi, con vaghe sfumature azzurrate.

Unirono le bocche nel medesimo istante. Regina scivolò in quella calda di Emma senza curarsi di essere delicata. Le lingue si cercarono con urgenza, i denti morsero le labbra e le dita di Emma si intrecciarono nei capelli dell’altra.

Si separarono solo quando ebbero bisogno di respirare.

- Coraggio. Possiamo farcela. – le disse Regina, appoggiandole le mani ai lati del viso.

Emma annuì e la baciò un’ultima volta. Poi proseguirono.

Ben presto la sensazione di angoscia che l’aveva quasi uccisa iniziò a scemare, lasciando il posto ad una spossatezza incredibile, anche se Emma continuò a mettere un piede davanti all’altro. Regina camminava poco più indietro.

I tratti paludosi cedettero il passo a tratti più asciutti ed erbosi. Il terreno molle diventò più solido. Presero ad avanzare sotto agli alberi. Intorno non si udiva più alcun suono. Nessun rumore sospetto.

Emma si fermò, girandosi verso Regina. – Ci sono... degli scalini.

Erano alti, stretti e ripidi. Cominciò a salire e Regina la seguì, ma l’impressione del terreno che sfuggiva sotto i piedi le dava un senso di sgomento.

...dieci, undici, dodici...

Il vento si fece più gelido, tagliente. Intorpidiva la faccia. Nel guardare su, Regina si accorse che il cielo era scuro, punteggiato di stelle. Non sapeva quanto tempo fosse passato esattamente, né se il tempo scorresse nello stesso modo in quel luogo e nel resto dell’Oltretomba. Forse il portale si era già chiuso e loro avrebbero dovuto trovare un altro modo per uscire. Sperava che Henry fosse tornato a casa...

...venti, ventuno, ventidue...

Emma incespicò e passò la mano lungo la parete di roccia per ritrovare l’equilibrio.

Chi ha intagliato questi scalini? Perché? In cima c’è l’ambrosia?, si chiese, tastando meglio la roccia, accorgendosi che era strana, scheggiata e tutta scanalature.

Pelle rugosa. Ecco cosa sembra. Pelle morta...

Scostò la mano, sfregandola sui jeans e guardandosi alle spalle per assicurarsi che Regina stesse bene.

- Vuoi riposarti? – le domandò Emma, dolcemente. In realtà era lei la prima a volersi stendere da qualche parte. Voleva stendersi e chiudere gli occhi. Dormire. Le ginocchia erano molli come gelatina. La testa la stava supplicando di smettere. Era sporca di fango fino alla cintura.

- Ho l’aria di chi ha voglia di riposarsi dopo tutta la strada che abbiamo fatto? – rispose Regina, piccata. – E poi siamo quasi in cima.

Emma sorrise. Ricominciò a salire. Mancava poco.

...ventisei, ventisette...

- Ventotto. – concluse Emma.

Gli anni della maledizione. Gli anni che aveva quando era arrivata a Storybrooke con Henry per spezzarla. Gli anni che aveva quando Regina era corsa fuori ad abbracciare il bambino di dieci anni che era fuggito per cercare la sua vera madre. Gli anni che aveva quando...

“Lei è la madre biologica?”

“Salve.”

Afferrò Regina per un braccio e l’aiutò a salire l’ultimo gradino.

Emma si guardò intorno. Erano su una grande piattaforma erbosa e disseminata di ciottoli, che si protendevano davanti a loro come una lingua scura. I ciottoli formavano un disegno. Una spirale.

Al centro della spirale c’era...

- Questo non è possibile. – disse Regina.

Emma barcollò in avanti, pensando: ho perso i miei pensieri felici e ora precipito.

La sensazione era proprio quella. Non più l’angoscia provata nella palude, ma di precipitare, anche se aveva terreno duro e sassoso sotto i piedi.

L’albero dell’ambrosia era stato abbattuto.

Rimaneva solo un pezzo del tronco e una granulosa polvere marrone intorno ad esso.

Emma si chinò, come in sogno, raccogliendone una manciata.

- L’ambrosia... – mormorò Regina, con una voce che non sembrava più nemmeno la sua. – L’ambrosia è...

- È morta. – le rispose Emma. – L’ambrosia è morta.

 

 

Gli altri fecero un passo indietro e tutti estrassero le armi. Uncino puntò la spada, Fiyero afferrò velocissimo una freccia dalla faretra e Mary Margaret spinse Henry dietro di sé, impugnando l’arco.

- Zelena... – Il sorriso di Ade vacillò e cercò inutilmente di rifiorire.

- Che cosa sta succedendo? – domandò Lily, voltandosi verso il portale, che era ancora aperto, ma il sole stava scendendo rapidamente e presto sarebbe tramontato del tutto.

- State indietro! – gridò Zelena. – Questo è compito mio. È ciò che avrei dovuto fare fin da quando ha messo piede nel mio palazzo ad Oz!

- Zelena... – ripeté Ade, sollevando le mani. – Metti giù la folgore. Non c’è pericolo.

- Invece sì! Perché l’ho visto. – L’arma divina sorretta da Zelena si accese, emanando un’intensa luce azzurrata e sprigionando i primi lampi.

- Visto?

- Quando ti ho baciato. Prima che la maledizione si spezzasse e il marchio di Era scomparisse... ho visto che cos’hai intenzione di fare! – Strinse di più la Folgore Olimpica. – Vi ucciderà. Vi ucciderà tutti non appena saremo tornati a Storybrooke. E dopo avervi uccisi trasformerà Storybrooke nel suo quartier generale e darà inizio alla guerra contro Zeus! Come ha sempre desiderato!

- Lo sapevo che non potevamo fidarci. – disse Killian, avanzando verso Ade.

- Non muovetevi, capitano! Non è affare vostro. – Zelena, per un attimo, diresse la Folgore verso il pirata, che si tirò indietro, ma sempre impugnando la spada.

- Che ne è di Emma e Regina? – chiese Mary Margaret. – Ha mentito anche sull’ambrosia?

- No. – rispose Ade, prima che potesse farlo Zelena. – L’ambrosia esiste.

- Ne rimane ancora un po’, vuoi dire. Visto che hai abbattuto l’albero dopo che Euridice è riuscita a fuggire. – Zelena era totalmente fuori di sé, i suoi occhi dardeggiavano, azzurri come l’arma che voleva usare contro di lui. – Lui pensa che non la troveranno. O spera che non accada. Ma in ogni caso aveva già deciso cosa fare.

- Ho strappato quel contratto. L’ho fatto per te. - provò a dire Ade, scandendo le parole come se stesse parlando una lingua sconosciuta.

- L’hai fatto perché volevi spezzare la maledizione con il bacio del Vero Amore.

Ade allargò le braccia. - Io ti amo, Zelena. Non avrebbe mai funzionato, se questo non fosse vero. Loro... possono dirti che non lo è, ma io...

- Perché non ci uccide subito? Perché non ci ha uccisi tutte le volte che ne ha avuto l’occasione? – chiese Killian.

- Perché non può farlo. La sua maledizione è... complicata. – Ogni parola le costava uno sforzo enorme, tanto che arrivò alla fine della frase esausta. Le Folgore era pesante. Le tremavano i muscoli del braccio. Le fischiavano le orecchie. Le sembrava che la faccia di Ade fosse una faccia orribile, deformata dal potere emanato da quell’arma. – Se avesse ucciso dei vivi nel suo regno, il suo cuore si sarebbe trasformato in pietra. Considerando tutto ciò che ha fatto in passato, non mancava molto perché accadesse. Ucciderci avrebbe voluto dire... rimanere bloccato qui per sempre. Un cuore di pietra... è un cuore che non prova niente. Nessun sentimento.

Ade strinse le labbra.

- Andate via. Ci penso io!

- Non possiamo andarcene senza Emma e Regina! – gridò Killian.

- Certo che potete! Ce la faranno. Mia sorella era la Regina Cattiva e la sua amante è la Salvatrice... ci riusciranno! Sono eroi, no? – Zelena aveva uno sguardo folle, la pelle del viso era tirata e dimostrava almeno cent’anni con quella luce azzurra che le colorava il viso e le incendiava ancora di più le iridi.

Lily doveva farlo. Aveva promesso ad Emma che l’avrebbe fatto. Non voleva andarsene, ma se si fosse tirata indietro, sarebbero rimasti bloccati lì e non era ciò che Emma desiderava per la sua famiglia. Guardò sua madre, che annuì.

Lily afferrò Henry e lo spinse nel portale prima che lui potesse protestare. Il libro gli cadde di mano e lei lo raccolse, scagliandolo nel vortice. 

Poi prese Mary Margaret e la strattonò così forte che gridò, ma a Lily non importava. Killian non ebbe bisogno della spinta. Si voltò un’ultima volta verso Storybrooke, come se sperasse di veder comparire Emma e poi seguì gli altri.

- Non puoi fare questo, Zelena. Loro non ti crederanno mai! Non ti aiuteranno mai! Non ti... ameranno mai! – Ade allungò le mani, come se volesse abbracciarla.

- Nemmeno tu. – sibilò Zelena. Piangeva, ora. Piangeva davvero. Il battito cardiaco le corrispondeva nelle tempie con una serie di tonfi mostruosi.

- Zelena...

Zelena scagliò la Folgore Olimpica, centrandolo in pieno petto.

 

 

L’ambrosia è morta.

Morta. Morta. Morta.

Regina girò intorno all’albero abbattuto, cercando in ogni dove una traccia del maledetto Cibo degli Dei. Cercò in mezzo alla polvere, tra le radici, sotto le pietre. Pensò di scavare per cercare anche sottoterra, ma non aveva niente, nemmeno la magia.

- È stato Ade. – mormorò Emma. – Quando Euridice è riuscita a scappare, ha abbattuto l’albero. Per impedire che qualcun altro ci provasse.

- Deve essere rimasto qualcosa! Non può essere completamente morta.

- Regina...

Allora risuonò un ringhio basso e furente.

Emma tacque, mettendosi in ascolto. Regina si voltò verso il ciglio della piattaforma erbosa, con gli occhi sgranati e la bocca secca. Senza rendersene conto, schiacciò un mucchietto di ambrosia sotto lo stivale e la polvere scricchiolò.

Il guardiano dell’Oltretomba emerse dal crepaccio, piantando le poderose zampe anteriori nel terreno e spargendo il suo fiato mefitico dove un tempo cresceva l’albero dell’ambrosia.

“Te l’ho detto, cara, nessuno sa come arrivare all’uscita. E anche se riuscissi ad uccidere Cerbero, come porterai fuori la Salvatrice? Io credo che finirai nelle prigioni di Ade. Non è una bella esperienza... non che sia la cosa peggiore che possa capitarti...”

Regina non aveva più pensato alla sua conversazione con Crudelia. Aveva pensato unicamente a salvare Emma e non ricordava le sue parole. Il Guardiano. L’uscita era sorvegliata.

Emma fissò l’enorme mastino nero.

La testa centrale emise un latrato che scoppiò come un tuono, facendo tremare ogni cosa. Le altre due teste scoprirono file di denti aguzzi, mentre le orecchie si appiattivano sui crani. Tre paia d’occhi individuarono le prede sulla piattaforma. Erano occhi rossi, che ardevano come braci. La lunga coda frustò l’aria a destra e a sinistra.

Istintivamente Regina cercò di formare una sfera di fuoco con la magia e ovviamente non ci riuscì.

Niente magia. Niente armi.

Cerbero avanzò...


   
 
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