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Autore: fiammah_grace    30/03/2018    1 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 20: destino di un sipario scarlatto  
 
 
 
 
 
 
 
“A volte è solo uscendo di scena che si può capire quale ruolo si è svolto.”
(Stanislaw Jerzy Lec)
 
 


 
 
Base Antartide dell’Umbrella Corporation – laboratori
 
 
 

Steve Burnside
 
 
 
 
 
“Maledizione..!!” strinse i denti Steve Burnside mentre infilava il secondo caricatore nelle mitragliette.
Aveva davanti a sé ancora due zombie alquanto malconci rispetto agli altri.
La loro pelle era talmente consumata da sembrare un assemblaggio scadente di pezzetti bruciacchiati tenuti a malapena insieme a coprire lo scheletro oramai da fuori; sapeva però di non dover sottovalutare la loro resistenza, nonostante l’usura particolarmente avanzata.
Quei corpi erano comunque capaci di incassare un numero indefinito di pallottole, rialzandosi dopo un po’ come se nulla fosse, a meno che non avesse preso ben di mira le loro cervella.
Il loro aspetto deteriorato era solo uno specchietto per le allodole, che avrebbe tratto in inganno solo coloro che non avevano familiarizzato con le terribili B.O.W. dell’Umbrella. Non importava la loro vecchiezza, né quante volte fossero cadute a terra o quanto piombo avessero in corpo; queste si sarebbero sempre rialzate, in un girone infernale eterno.

Doveva quindi atterrarli senza pensare che fossero corpi in decomposizione, in realtà irrazionalmente incapaci di muoversi, visibilmente lenti e goffi. Ciò che gli occhi e la logica gli suggerivano era di vedere solo una debole carcassa marcia, debole e puzzolente, invece quelle immonde creature erano state più e più volte capaci di sopraffare un uomo vivo. Soprattutto se sottovalutate.
Il moro puntò le armi davanti a sé. I morti viventi traballavano verso di lui, eppure erano inarrestabili, furenti…
Il suo equipaggiamento non gli permetteva di prendere una mira stabile, ciò nonostante si sforzò di usare quelle machine gun come delle normali pistole da 9mm.
Ad uno riuscì a far esplodere il cranio in un sol colpo, fu uno spettacolo ripugnante ma che lo inorgoglì date le sventurate circostanze.
Quel corpo esamine che ora vagava senza capo, col sangue che colava copioso lungo tutto il suo corpo e che infine si accasciò a terra, si traduceva in un morto vivente in meno che si sarebbe rialzato…contrariamente agli altri sei, invece temporaneamente abbattuti, il cui petto ancora si contraeva, pronto ad rimettere in moto quella macchina divoratrice di sangue.

Steve colpì l’ultima b.o.w. rimasta e anche questa si aggiunse a loro. La sua testa era ancora attaccata al collo.
Tirò un sospiro, ma non fu di sollievo. Non riusciva a vedere quei mostri come un pericolo scampato.
Non vedeva scappatoie da quel terribile labirinto e si sentiva solo temporaneamente salvo. Non sapeva quando, ma una di quelle creature sarebbe un giorno sopraggiunta alle sue spalle, e chissà se avrebbe avuto la pistola carica, pronta a far fuoco.

Controllo i proiettili.
Aveva consumato pochi colpi della nuova ricarica. Ne aveva ancora con sé, ma rappresentando che quei mostri potevano rimettersi in piedi all’infinito, il piombo non era mai abbastanza.
Ripose le armi nella cintura e cercò di fare il punto della situazione.
Da quanto c’era stato quel corto circuito, l’intero laboratorio artico era stato inghiottito nell’oscurità.
Era riuscito a orientarsi solo grazie alla debole luce di emergenza e al bagliore delle armi da fuoco, e se non fosse stato per la copertura avuta da Claire pochi minuti prima, non sarebbe riuscito a mettersi in salvo. A quel nome il ragazzo corrucciò la fronte.

Claire…era viva. Era viva.
Era in trepidazione per quella lieta notizia, erano stati lunghi giorni di solitudine e silenzio quelli in cui era stato bloccato in quella prigione ghiacciata senza avere notizie di lei. Nulla, nemmeno il più piccolo segno di sopravvivenza.
Era rinvenuto fra le macerie, abbandonato esattamente come i rifiuti di quel posto dimenticato da Dio.
Nemmeno il mentecatto Lord Ashford che fino a quel momento non aveva dato tregua, era scomparso del tutto, facendo ben intendere quanto della sua vita non importasse a nessuno. Si era ritrovato solo a sopravvivere, in modo non del tutto diverso dai morti viventi cui sparava contro, anch’essi lasciati lì in modo sconsiderato.

Oramai sempre più spesso non vedeva che morte davanti a sé, l’unica funesta via che sembrava poter lasciare qualcosa di umano. Steve aveva fatto di tutto per perdurare, aveva lottato duramente contro il suo istinto per trovare delle motivazioni che lo tenessero in vita…e quella motivazione era stata Claire.
Solo, senza nessuno da chiamare a sé, dimenticato e lasciato senza via di scampo in mezzo a un laboratorio ghiacciato; il ricordo della giovane che era intercorsa sul suo cammino era la spinta che gli comandava di soffocare il suo intrinseco desiderio di farla finita, di non avere più nulla per cui continuare inutilmente a lottare.
Si sentiva un peso inutile persino per se stesso. Ancora una volta inoltre non aveva potuto far nulla per aiutare la ragazza che invece aveva fatto tanto per lui.
Dopo giorni di disperata ricerca, si erano a stento salutati, costretti a separare ancora una volta le proprie strade. Per di più lei era sola, adesso.
Avrebbe sfondato i muri pur di risalire la balconata dove l’aveva vista per correrle dietro, invece era dovuto scappare nella direzione opposta, circondato da quei nefasti zombie. Strinse i pugni.
Era duro, era veramente duro rialzarsi di nuovo e combattere ancora e ancora…per cosa, poi? Per salvare chi? Lui…chi diavolo era, in fondo. Chi era, se non un ragazzo dimenticato che aveva perso tutto.
Non valeva la pena salvarsi, non voleva che Claire rischiasse ancora la vita per lui.
Per questo l’unica cosa che poteva fare era combattere. Perché da morto non avrebbe potuto fare granché per lei.
Un forte boato alle sue spalle lo fece rinvenire da quei pensieri. Si voltò di scatto col cuore in gola e notò che la porta dalla quale era entrato era stava visibilmente ammaccata da qualcosa di pesante.
Dall’esterno qualcosa di enorme doveva averla colpita, ma come aveva fatto a deformarla così di brutto?
Non fece in tempo a chiedersi altro, che seguì un secondo colpo che stavolta la buttò giù definitivamente, costringendolo a mettersi al riparo.
Quel che si mostrò dall’altra parte fu un animale massiccio, dai movimenti rapidi e letali che non aveva mai visto prima. La sua pelle era squamosa e spessa, gli ricordò una sorta di rettile orribilmente pompato di muscoli.
Si rese conto velocemente della sua agilità, così schivò i suoi colpi che mirarono prontamente alla sua gola.
Quel mostro non era come le altre b.o.w. , questo mirava direttamente a decapitarlo. Per via della stazza, non gli fu difficile immaginare che semplici proiettili sarebbero valsi a poco, così decise di scappare facendosi giusto una copertura con una raffica di colpi più per spaventarlo che per ammazzarlo.

La tecnica funzionò, la bestia parve disorientata giusto quei pochi secondi che gli bastarono a inoltrarsi nella stanza alla ricerca di una via di scampo. Il buio non lo aiutava, dovette sprecare qualche colpo qua e là pur di farsi un minimo di luce.
Notò finalmente un varco, in una porzione di muro dalla quale uscivano le tubature e attraverso la quale avrebbe potuto incastrarsi. Intravedeva un passaggio dall’altra parte, ma non ebbe poi molto tempo per pensarci.
Vi strisciò dentro, non badando alla muratura ruvida e spigolosa che rendeva quell’apertura veramente dolorosa.
Usò ancora una volta le machine gun, stendendo faticosamente un braccio e sparando per abbattere qualche porzione di muro per agevolare il cammino ove non passava.
Intanto l’Hunter si era schiacciato anch’egli contro la parete, graffiando e urlando in sua direzione, disperato dal desiderio di raggiungerlo e cibarsene.

Steve buttò un occhio dietro di sé e rabbrividì vedendolo dimenarsi così forte. Per un attimo temette che avrebbe potuto strisciare in qualche modo nella fessura e affondare i suoi artigli nella sua carne con quella terribile veemenza; era terrificante sentire a quella distanza una tale furia. Puntò con la sua arma al suo occhio e sperò che un colpo potesse farlo desistere.
La bestia urlò dolorante e finalmente concesse un po’ di tregua al ragazzo, che senza lo stridio di quegli artigli potette concentrarsi meglio e avanzare.
Era così stretto che a un certo puntò riusciva a stento a respirare. Non poteva più sollevare il braccio e nemmeno muovere la testa. Era quasi completamente incastrato.
Una luce proveniente però dall’altra parte dell’apertura gli infuse coraggio, così sopportò i graffi che stavano torturando la sua faccia e le sue braccia e si tirò faticosamente avanti.
Era ormai arrivato a destinazione, era affacciato completamente nella strana stanza dove era sopraggiunto, tuttavia completamente incapace di muoversi.
Non era possibile che fosse sopravvissuto fino a quel momento e che il suo destino fosse di morire incastrato in quel muro! Eppure davvero non riusciva a passare dall’altro lato in modo definitivo. Il suo torace si gonfiava faticosamente, il respiro pesante lo stava opprimendo.
Non seppe come riuscì a far scricchiolare il suo cranio fino a portarsi fuori, così come le sue spalle e il resto del corpo. Si buttò a terra esausto, completamente graffiato, con la testa che gli doleva senza pietà. Si concesse giusto un attimo di riposo, ma si mise comunque in piedi velocemente, non riuscendo a fare a meno di pensare ai possibili pericoli in agguato.
Scrutò con attenzione il posto.
Era un bunker rudimentale, costruito nella pietra. Vi era un letto logoro, impolverato e ingrigito, sul quale erano poggiati un bel po’ di libri. Per via delle pagine pieghettate, allora qualcuno doveva aver vissuto davvero lì dentro.
La debole luce proveniva da un faretto sul soffitto, così sudicio da lasciare ombrosa quella stanza. Setacciò la scrivania di legno posta di lato, ma non sembrava esserci nulla di interessante.
Steve si chiese se avesse faticato tanto per giungere lì dentro per nulla. Certo, non l’aveva voluto lui, era stata colpa di quella b.o.w. energumena. Tuttavia era stato abbastanza deludente accorgersi di essere scivolato, e anche abbastanza faticosamente, in un vicolo cieco.
Riflette però che se c’era quella stanza, doveva esserci anche un ingresso per accedervi. Com’era possibile che non v’erano porte?
Lui tanto era riuscito a entrarvi per via di quella spaccatura nel muro venutasi a creare per il deterioramento di quel posto…ma normalmente, da dove si accedeva in quella stanza?
Decise di usare la logica e quindi di ispezionare meglio. Era inutile tornare indietro.
Camminando su e giù per la stanza, si accorse che sotto il letto parte del legno aveva uno spessore diverso. Lo spostò dunque, cercando di ignorare il frastuono che indubbiamente lo metteva allo scoperto semmai ci fosse stato qualcuno da qualche parte in quel posto. Per fortuna però non sopraggiunse alcuno, voleva dire che era solo.
Ad ogni modo riuscì a mettere il letto in un angolo e a portare allo scoperto una botola sotto di esso. Sorrise compiaciuto, una volta tanto era riuscito a scoprire qualcosa… sperava qualcosa di buono.
Non v’erano maniglie, quindi doveva trovare un modo per tirare su la copertura. Tornò dunque a scrutare la stanza. L’unica cosa che poteva usare per far leva era la copertina rigida di uno dei libri, la quale gli sembrò abbastanza spessa da non piegarsi subito. La incastrò dentro e riuscì a sollevare lo sportello.
Stranamente non aveva dovuto forzarla quasi per nulla, inducendolo a pensare che qualcuno dovesse essere stato lì recentemente.
Non vi erano scale così si calò dentro con un piccolo salto. Era buio per cui soltanto la debole luce della camera sovrastante poteva aiutarlo a orientarsi.
Cercò di abituare la vista e riconobbe un candelabro spento su uno dei mobili; a fianco c’era anche una scatola di fiammiferi, dunque aveva dedotto bene, qualcuno era solito entrare in quella stanza di tanto in tanto.
L’accese e finalmente poté esaminare con più cura quell’antro. Sbandò tuttavia quando una strana bambola fu adesso ben visibile dinanzi a lui.
Era realizzata con la paglia, molto simile a uno spaventa passeri, soltanto che ricostruiva una figura femminile, una donna che lui non faticò a riconoscere e che congelò la sua mente buttandolo in pasto all’orrore e al disgusto.
Quel pupazzo era Claire Redfield.
 
“Cosa…diavolo…?!”
 
Solo allora si accorse del nauseabondo odore organico che permeava tenue ma pungente quel sotterraneo. Portò una mano alla bocca, inorridito, eppure non riuscì a distogliere lo sguardo da quel ‘coso’; non riusciva a chiamarlo “pupazzo”!
Quel fantoccio terribile non era solo rivoltante, era la chiara rappresentazione di una mente malsana.
La bambola era accomodata su una sedia, l’intero corpo era composto da fili di paglia ben intrecciati fra loro, che riproducevano la forma della testa e le improbabili fattezze di un corpo femminile realizzato in modo artigianale. Chiunque doveva averlo costruito, non doveva essere granché portato nel riprodurre delle verosimili proporzioni umane. Le spalle erano infatti troppo piccole e le gambe troppo lunghe, così come le altre varie proporzioni. Non che Steve conoscesse in modo appropriato l’anatomia umana, tuttavia a colpo d’occhio erano ovvie le sue asimmetrie.
Ad ogni modo, il personaggio era riconoscibile: sebbene in modo molto grezzo, era stata riprodotta sia la maglia, che la giacca di pelle rossa, anche i jeans della ragazza. I punti sul tessuto dei vari pezzi erano grossi e mal assemblati, ma era impossibile non riconoscervi l’abbigliamento del soggetto preso in esame.
Tuttavia, quel che era disturbante in quella figura, era il suo viso. Un viso inguardabile che non osò scrutare più del dovuto. Questo perché i suoi occhi sferici e blu, languidi e umidi…erano dei bulbi cuciti direttamente sulla paglia; erano visibili nella loro interezza, tenuti sul pupazzo senza entrare minimamente nell’incavo delle orbite, uscendo fuori completamente. Dietro di essi, la paglia aveva assorbito una certa quantità di sangue, ancora ben visibile, segno che quando erano stati applicati, dovevano essere freschi. Si trattavano di veri occhi umani.
Fu un’immagine che gli diede il voltastomaco.
Chi aveva mai potuto cavare gli occhi a…a uno dei non-morti, sperava!! Dopodiché darvi un punto per attaccarli su un orribile pupazzo!
Non si trattava dell’unica parte organica, purtroppo. Temeva che persino la parrucca che indossava, per via dell’odore nauseabondo, fosse lo scalpo di qualche mal capitato, che adesso ornava quel pupazzo di così cattivo gusto.
Per via del colore rossiccio, tuttavia spento e opaco, doveva essere lì da molto tempo.
Un sorriso improbabile, dipinto come da un ragazzino, era stampato sul viso come tocco finale della pazzia cui stava assistendo.
A un certo punto sopportarne la vista diventò impossibile, ma non riusciva a ignorarla.
Cosa accidenti significava quella “bambola”?! Chi l’aveva assemblata, conosceva Claire? Cosa voleva da lei?
Chiunque ne fosse l’artefice, aveva dato dimostrazione di una malsana fissazione per lei.
Questo voleva dire che qualcuno di deviato era sulle sue tracce e l’aveva studiata fino alla pazzia.
Steve si sentiva stomacato, infastidito, furente, ma anche spaventato.
Doveva avvertire la ragazza al più presto.
Guardandosi attorno, ovunque vi erano segni di quel qualcuno visibilmente tormentato da lei. Appese alle pareti vi erano delle foto di Claire in cui dormiva. Si avvicinò osservandole una ad una. Quei primi piani del suo viso si ripetevano ossessivamente, mostrandone angolature sempre diverse.
In alcuni scatti ella aveva gli occhi socchiusi, spenti, come se non fosse cosciente. In altre era abbandonata su un letto, in altri ancora poggiata a una finestra. Costui aveva realizzato quelle foto disturbanti una dopo l’altra; aveva immortalato i suoi occhi insonnoliti e azzurri, il suo profilo, la sua bocca schiusa e rossa.
A quel punto buttò ogni cosa per aria, volendo proteggere la ragazza dallo sguardo deviato di chi aveva approfittato di lei. Trovò così altri scatti che si rifiutò di esaminare oltre per la loro indecenza. Fra queste vi erano anche bozze di disegni con i quali l’autore aveva cercato di riprodurla visivamente.
Quella stanza era un vero e proprio altare dedicato a Claire, alla perversione che qualcuno aveva sfogato su di lei.
Infine fra quella robaccia trovò persino una videocassetta. Era posta esattamente vicino un monitor dotato di videoregistratore, ivi collocata proprio perché il maniaco doveva aver visualizzato di recente quel video dato che non l’aveva riposto da nessuna parte; oppure era così sicuro del suo “altarino segreto” da non preoccuparsi di nasconderlo.
La prese impulsivamente fra le mani e si chiese se visualizzarla o meno. Deglutì.
La rabbia e la disapprovazione era tale che qualsiasi indizio l’avesse portato da Claire era indispensabile in quel momento. Temeva cosa avrebbe visto, ma non v’era la possibilità di ignorare quanto aveva trovato lì sotto. Era arrivato fino a quel punto, non aveva senso indugiare.
Ricollegò i fili scollegati del monitor, dopodiché pressò prima di tutto sul tasto di accensione del televisore che fece statico. Funzionava.
Restava quindi da esaminare il contenuto della cassetta.
Il suo sguardo si fece truce, ma era pronto.
Spinse la cassetta dentro la fessura e questa mostrò statico ancora qualche secondo, tuttavia brevemente apparve il primo piano di due occhi chiari come il ghiaccio che scrutavano la ripresa.
Steve quasi sbandò trovandosi faccia a faccia quel viso, quello di Alfred Ashford.
Questi sbirciava la telecamera con la quale si stava riprendendo, aveva un’espressione attenta.
Infine si allontanò prendendo posizione dietro un banco di legno scuro centrato nell’inquadratura alle sue spalle.
Sembrava pronto a parlare con l’ipotetico interlocutore che avrebbe assistito a quella ripresa.
Steve si immobilizzò, perse probabilmente il contatto con la realtà, rapito da quel video che stava per rispondere a domande che non conosceva, su qualcuno ai suoi occhi soltanto malato e completamente pazzo, che era stato il suo aguzzino in quella gabbia di morte.
Il sol guardarlo gli faceva stringere le viscere, portandogli alla mente il dolore che aveva dovuto sopportare, il desiderio di morte che aveva cominciato a marciare dentro di lui, logorando la sua mente visti gli orrori subiti quando era il solo un numero… 0276 …
Non aveva mai avuto l’ “onore” di conoscerlo di persona prima dell’attacco alla base, ma la sua fama era sulla bocca di tutti ed era risaputa la sua personalità perversa sotto ogni punto di vista. Ritrovarselo quindi come protagonista del video, per di più come probabile stalker della povera Claire, fece ribollire una collera mai provata prima.
Il suo viso perfetto, i suoi lineamenti delicati, lo sguardo limpido ma sadico, la pungente e disturbante soavità di un crudele angelo biondo dagli occhi azzurri.
Questo era Alfred Ashford.
Un disturbante e sadico tiranno bagnato di sangue.
 
Il biondo comandante di quella che un tempo era la base di addestramento dell’Umbrella a Rockfort Island, batté sul tavolo un martello di legno. Puntò i suoi occhi vitrei dinanzi a sé sghignazzando fastidiosamente, poi incrociò le dita e le portò sotto il mento.
La stanza era completamente buia, meno che un fascio che illuminava solo e soltanto il suo volto.
La sua espressione poi si fece buia e la risatina mostrata in precedenza si sostituì velocemente a un atteggiamento assorto. La sua voce echeggiò nel silenzio quasi come un sussurro confidenziale verso il nulla che lo stava ascoltando. Alzò lo sguardo.
 
“Dolore, noia, disagio, abbandono, spasimo, monotonia, poi di nuovo noia e dolore. Un cataclisma infinito che avvolge l’anima e la ripercuote ciclicamente, ricordando la sorte ingiusta di un amore recluso. Fugaci e deboli momenti che distolgono i pensieri da tale piattezza, che non fanno che sfamare quell’ingorda fiera che è la solitudine.” I suoi occhi rivolti al cielo vedevano qualcosa che nessun altro avrebbe mai potuto nemmeno scorgere. Restò immobile diversi istanti, abbagliato dalla personale visione di quel paradiso negatogli nella vita. Di scattò poi piegò la testa e si riposizionò dritto, sbatté entrambe le mani sul banco con viso che si fece di colpo esuberante; un sorriso inquietante e malato era stampato sulle sue labbra biancastre.
 
“Offro molto più di quanto si possa ereditare da una vedova ricca, o da un padre generoso, o un ricco signore..! Non c’è nulla che possa più desiderare che aggiudicarmi un premio! Una fugace ma appagante gioia che riempi quest’incolmabile e perpetuo vuoto. Su, su proponetemi!! Dilettatemi!! Quali offerte chiedo, vi domandate? Ma il dolore, è ovvio...” sogghignò. “Oh, Alexia...quale vuoto incolmabile mi hai lasciato. Crudelmente hai trafitto il mio cuore, lasciandomi vivo. Un colpo impetuoso, ma non mortale…e io sanguino e soffro senza trovare il sollievo della morte...oh, quale offerta più crudele e prestigiosa! Sicché ora tutto m'annoia. Che triste questa giostra che sollazza solo quell'effimero tempo perso nell'attesa del tuo ritorno. Oh, amata sorella…! Quale vuoto mi hai lasciato da colmare…ma i nostri gentili ospiti sono pronti a intrattenermi. Troveremo il modo per passare il tempo e divertirci, ahahah!”
 
Dal nulla, la ripresa andò a focalizzarsi su una serie di uomini legati alla parete. La loro pelle sporca e sbianchita, le vesti consumate, gli occhi oramai vacui, eppure non ancora totalmente condannati dalla morte celebrale del terribile T-Virus. Erano ancora parzialmente coscienti, parzialmente vivi. Sebbene confusi e poco padroni di sé, questi si resero conto di star per far parte di un gioco di cui erano le indiscusse e insalvabili vittime, per cui si dimenavano sforzandosi fra le corde che li segavano, appesi come animali da macello e imbavagliati. Alcuni di loro ancora supplicavano pietà, ma agli occhi del folle padrone costoro erano già ‘morti’.
 
“Mettiamo all’asta il rogo! Avanti! Quanto volete che offra? Facciamo un milione? Non siate riluttanti, avete davanti un bizzarro battitore. Fate la vostra offerta e io deciderò se comprare questo dolore!”
 
A quel puntò uno dei prigionieri fu portato in avanti da un meccanismo che lo collocò di fronte all’Ashford, il quale gli sorrise sadicamente di fronte ai suoi occhi impauriti fino alla pazzia. In seguitò abbassò una leva e una fiammata incenerì in pochi secondi quel corpo, tortura della quale gustò avidamente ogni attimo, dalla pelle che si arrossava fino a squamarsi, spaccarsi, insanguinarsi e poi scurirsi fino a incenerirsi. Rise ingordamente, inebriato da quella sensazione agognante che trasmetteva il dolore estremo. Quel dolore terrificante al quale lui non poteva sottrarsi, al quale doveva piegarsi e sopportarlo fino il giorno più prezioso…
Fino ad allora il suo cuore sarebbe marcito sotto le torture più estreme dell’anima. Era questa la ragione per cui necessitava di quel dolore.
Un dolore che gli facesse dimenticare il suo. Un dolore ove potesse riconoscersi. Un dolore che potesse consolarlo. Un dolore che potesse appagarlo, infierendolo ad altri.
Tuttavia niente era in grado di soddisfarlo, niente attenuava o poteva distrarlo dal suo martirio; ma il dolore c’era ed era tanto…davvero tanto.
Quindi più sevizie, più soprusi, più violenze che equiparino quel dolore immenso e implacabile. Più la tortura inflitta era grande, più egli sperava di compensare il suo tormento.
 
“Decapitazione, impalamento, impiccagione, amputazione, sgozzamento, asfissia…cosa proponete? Chi suggerisce di più? Offro! Offro per avere quel dolore…! Quel dolore che mi faccia dimenticare Alexia. ” sussurrò poi.     
 
Le malcapitate vittime di quell’asta della morte finirono trucidate nelle modalità richieste dal biondo, che assistette al massacro con una perversa gioia nei suoi occhi.
Una gioia crudele, inguardabile, opprimente per chi aveva avuto la sfortuna di incrociare riflessa nelle sue iridi cristalline.
Una gioia che mai avrebbe saziato quell’uomo che di umano sembrava non avere più nulla. Il suo era un cieco amore che aveva soltanto giustificato il suo orrido gusto per la violenza.
Perché a nulla sarebbe avvalsa tanta crudeltà. Nulla avrebbe colmato il suo vuoto. Avrebbe finito col respingere tutto….…e tutti…
 
…Tutti…
 
A quel punto la registrazione terminò, mostrando un lungo momento di statico.
Dopo qualche istante però cominciò sostituirsi una ripresa del tutto diversa, che sembrava essere stata estrapolata da un video di sorveglianza in quanto la prospettiva era molto lontana. La videocamera doveva essere stata posta in un angolo del soffitto, o un posto simile.
Steve si chiese se la registrazione antecedente fosse stata sovrascritta su quel video di proposito, proprio per cancellarne parzialmente la traccia.
Era inquadrata una giovane ragazza bionda seduta su una poltrona rivestita di velluto rosso. L’immagine era poco nitida per via dell’infelice distanza del quadro, nonché della scarsa qualità del colore.
Steve vide nuovamente Alfred Ashford muoversi sullo sfondo, stavolta più mite e leggiadro, addirittura compito. Egli si chinò di fronte quella donna e l’aiutò a mettersi in piedi delicatamente. La ragazza sembrava traballante, come fosse malata o comunque debilitata nei movimenti. Il biondo la sorresse con garbo e forza, aiutandola con palpabile amore. Erano evidenti l’estremo rispetto e affetto che nutriva verso quella persona. Ciò che però lo confuse fu riconoscere in quelle spoglie Lady Alexia, la donna cui si era imbattuto a Rockfort e che alla fine si era rivelata essere niente di meno che Alfred stesso, il quale fingeva una doppia personalità. Il moro grattò il capo, evitando di saltare subito a delle conclusioni, sebbene quel video parlasse da solo: v’era una Alexia Ashford ed era certamente la stessa donna di cui il folle comandante assumeva le sembianze.
Poggiò le mani sulla scrivania e continuò a osservare la scena. Vide Alfred posare una mano sul fianco della donna, ponendosi di fronte a lei. Alzò un braccio e pressò un dispositivo che aveva nella mano; un telecomando supponeva. In quello stesso istante una beata e dolce melodia echeggiò nell’ambiente, accompagnando le due figure e il loro sconosciuto osservatore in un walzer romantico e malinconico. L'Ashford fece volteggiare lentamente la donna assieme a lui, muovendosi in armonia con la musica, trasportato da quelle note meravigliose che sembravano finalmente placarlo, trasformandolo nel Lord di cui aveva le apparenze.
Attento a non osteggiare la ragazza completamente abbandonata a lui, l'avvicinò ancora di più a sé unendo i loro corpi; così poté farla volteggiare e trasportarla con lui in quel paradiso perfetto cui ambiva. Un paradiso perduto, macchiando di sangue e di orrore, ma che non aveva mai dimenticato; il solo posto che avrebbe potuto placare il suo spirito ferito, ammalatosi a furia di accontentarsi di quella violenza pur di appagare quell'immenso dolore che lo lacerava.
Dunque si abbandonò a quel piacevole momento intimo che avvolgeva lui e la Sua Donna. La Sua Unica Regina.
Un'armonia perfetta e misteriosa, perfino deviata e folle, che bastava però a soddisfare la sua vita. Egli continuò a ballare con lei quel lento, attento a non spezzare quell'incantesimo. Alexia sembrava stanca, Steve si accorse che pareva come assopita, come se non seguisse esattamente i passi. V'era un contrasto fra l'armoniosità di lui e la fiacchezza di lei, sebbene la sua bellezza delicata la facesse sembrare ugualmente soave.
Tuttavia era visibile che quel ballo fosse trasportato per lo più dal biondo, che con fermezza la teneva stretta a sé come qualcosa di estremamente prezioso, capace di sfuggirgli fra le dita in un lampo.
Egli rallentò il passo e puntò i suoi occhi su di lei, fermandosi lentamente al centro della stanza. Delicatamente la fece scivolare all'indietro con un tenue casqué, in una scena che sapeva d'altri tempi. Steve non aveva mai visto Alfred così dolce, non sapeva se trovarlo sentimentale oppure ancora più eccentrico. Le sue movenze tuttavia lo turbarono, questo perché si avvicinò invadentemente al viso di lei, scendendo verso la sua bocca. I due finirono per piegarsi quasi a metà e Steve non riuscì a distinguere per colpa della piccolezza dell'immagine se egli la baciò o meno. Ad ogni modo gli si contorsero le viscere, in quanto quell'uomo aveva definito Alexia come sue sorella.
Ben presto però quella magia fu spezzata. Fu troncata da un istante; un breve e fugace istante che ferocemente tirò giù il velo di Maya che oscurava quella realtà ingannevole costituita di sole ombre.
Quel momento durò un attimo che però significò tutto, dopodiché il video si interruppe ancora una volta.
Nel mentre di quel delicato casqué incestuoso, una parrucca bionda cadde a terra, svelando una capigliatura scura al suo posto: quella che fino a quel momento sembrava essere stata Lady Alexia, si rivelò essere una ragazza dai capelli morbidi e rossicci.
Il biondo subito si piegò a raccoglierla, tenendo la donna ancora stretta fra le sue braccia. Riposizionò imperterrita la parrucca sul capo della fanciulla, sistemandola con dolcezza, come rassicurandola che presto sarebbe tornata come prima. La pettinò con le dita con insistenza, accarezzandole il viso, con delicatezza eppure con quella frettolosa paura di chi voleva nascondere qualcosa. Intanto il video terminò sostituendosi di nuovo allo statico del televisore.
Ironicamente, la registrazione precedente ripartì, mostrando nuovamente Alfred in veste di giudice tiranno sul suo banco di legno che batteva all'asta le sue deliziose torture. Il nastro era irrimediabilmente rovinato e non faceva che far traballare ripetutamente sempre la stessa inquadratura, la quale andava su e giù per lo schermo alternandosi velocemente allo statico. Era un fotogramma che lo mostrava in primo piano, ove ripeteva ossessivo una sola frase per via dell'usura della cassetta. Il resto del video era oramai andato perduto.
 
"...non mi soddisfa...” seguito da un disturbante suono di statico. “…ucciderò..."
 
 
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
 
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
 
 
Nulla sarebbe mai stato capace di placarlo; il dolore causato dalla perdita dell’amata sorella superava qualsiasi violenza fisica e mentale.
Per quanto avesse torturato le sue vittime…
Per quanto sangue avesse versato pur di compiacere il suo animo ferito…
Per quanto si fosse truccato da Alexia… o per quanto avesse potuto amare qualcun altro e trovare un qualsiasi appiglio che sopperisse quel dolore…
Niente però valeva come Alexia.
 
 
Anche Claire…
…non lo soddisferà più…
 
…e la ucciderà.
 
 
 
 
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
 
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
 
"...non mi soddisfa...ucciderò..."
 
Steve Burnside stette paralizzato davanti allo schermo, ove quella frase si ripeteva martellando il suo cervello, trasmettendogli un preciso messaggio.
Doveva salvare Claire, al più presto!!
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Base Artica dell’Umbrella Co. – Sotterranei abbandonati
Alfred Ashford e Claire Refield
 
 
 
 
 
 
 
Cosa possiamo noi, se non osservare e giudicare il mondo attraverso i nostri occhi?
Esistono milioni di realtà, altrettanti punti di vista, innumerevoli situazioni celate alla nostra percezione sensoriale e intellettiva. Qualora certe verità non vengono palesate, è difficile che possiate accorgervene. Vi sono elementi talmente fuorvianti che potremmo vivere menzogne tutta una vita senza nemmeno averne coscienza, per poi sull’ultimo domandarci: quando tutto è cambiato? Cosa ho sbagliato?
La triste verità è che abbiamo scelto di essere storpi. Non di nostra volontà, ma probabilmente era più facile cullarsi in quello che meglio si preferiva credere.
 
 
 
 
 
Il rintoccò tenue dell’acqua che gocciolava dal soffitto muschioso risuonava come un eco nella fredda e buia caverna dei sotterranei. Era tutto fermo e silente, come se il tempo avesse congelato quel luogo che celava nell’oscurità la sua vera natura. Un mondo di morte e inganni, di tenebre e tormento, ove l’amore si era lentamente trasformato nella violenza più cruda, nutrito fin dal primo istante con l’odio e la follia. Quel mondo raccontava più di quanto potesse essere colto a un primo sguardo. Quelle pareti deturpate, muschiose, abbandonate, urlavano nel silenzio quanto avevano visto; eppure non v’era mai stato nessun interlocutore dall’altra parte. Alcuno aveva mai cercato di conoscere la storia infelice di un luogo magnifico e potente, nelle mani di un sovrano disperato che aveva confuso quella felicità, tramutandola in una mostruosità. Quelle porte però potevano ancora essere solcate. La luce poteva ancora battere su quelle pareti. Qualcosa poteva ancora smuovere quel pazzo mondo crollato su se stesso.
Dal pavimento roccioso si mosse l’apertura di una botola fino a quel momento perfettamente mimetizzata; dall’altra parte qualcuno batteva incessantemente, sforzandosi di oltrepassare quell’uscita. Dopo l’ennesimo colpo questa si spalancò e un uomo dalla pelle bianchissima e dalla chioma bionda fuoriuscì affannato. Egli era sporco e sudato, ma il suo sguardo era forte e per nulla stanco. Egli si sollevò e si mise in piedi, aiutando una giovane ragazza a venire fuori dall’apertura con lui.
Claire Redfield afferrò la mano di Alfred, il quale la sorresse e la mise in piedi accanto a lui. La ragazza si guardò attorno riconoscendo quel luogo.
 
“Ehi, siamo di nuovo nell’atrio principale?”
 
“Sì.”
 
Rispose l’uomo brevemente, lasciando la sua mano e dirigendosi finalmente verso il portone principale.
I suoi capelli biondi erano spettinati, la prestigiosa e scarlatta giacca militare aperta e graffiata, la camicia strappata e il braccio era tenuto stretto al petto da una fasciatura; per di più era sporco e sfregiato.
Quell’Alfred Ashford era completamente diverso dal nobiluomo muliebre e dannato che aveva conosciuto all’inizio. La Redfield si ritrovò a contemplarlo senza nemmeno accorgersene, costatando quanto tutto fosse cambiato, forse…più per lei.
Lui era sempre stato un uomo avvolto dal mistero e aver tirato già quella maschera aveva effettivamente mostrato un volto del tutto dissimile alle apparenze con le quali si erano conosciuti. Era qualcosa che ancora stentava a realizzare concretamente quando ci rifletteva.
Si chiedeva quanto lui fosse effettivamente il ragazzo che aveva riscoperto conoscendolo meglio, e quanto invece magari aveva portato lei alla luce, facendo rinsavire la persona nascosta dietro Alfred Ashford.
Notando la sua distanza, il biondo si voltò alzando un sopracciglio. Claire sorrise lasciandolo attonito. Cercò di ignorare la titubanza che gli provocava quella donna e prese a riposizionare gli oggetti per aprire il portone.
Intanto la ragazza stette un po’ più distante da lui, realizzando in quello stesso momento che una volta tornati nei laboratori soprastanti, si sarebbe aperta una nuova grande parte di quell’avventura. Ogni suo scopo era profondamente cambiato.
La Claire che sarebbe tornata in superficie era diversa dalla Claire che era sprofondata in quelle segreta.

Tutto era cambiato, vedeva uno spiraglio di luce in quelli che un tempo erano solo dei vetri rotti, consumati da un amore che l’aveva corroso fino alla pazzia.
Vi vedeva ora il ragazzo che aveva imparato a capire, a comprendere, fino a fare del suo dolore…anche un suo dolore.
Non sapeva come avrebbe convinto l’Ashford a venire via con lei e Steve, ma confidava di riuscirci. Non l’avrebbe lasciato lì dentro a marcire.
Il sonoro schiocco della serratura oramai sbloccata la fece trasalire, gettando sulle sue spalle l’improvviso peso di quel momento cruciale. Il momento in cui la loro “tregua” era ufficialmente conclusa.
Claire lo guardò intensamente, pronta, fiduciosa, tuttavia impaurita; impaurita dalla possibilità di vederlo andar via di nuovo.
 
“Alfred…” disse ferma, al che il biondo si portò davanti a lei, in qualche modo consapevole di cose la donna stesse per dirgli. Osservò i suoi occhi velatamente stanchi, eppure vigili e combattivi, odiati eppure amati, con quella fierezza che l’aveva conquistato fin dal primo istante.
La forza di una piccola e comune formica, che aveva raggiunto e divorato l’indomabile e prestigiosa libellula.
 
“Voglio portarti via con me.”
 
Il biondo rimase stranamente in silenzio. Non fece né scenate, né si smosse in qualche modo. Claire attese la sua risposta, conoscendo ormai le sue reazioni. Sapeva che era una qualcosa di difficile per lui.
 
“Portarmi via…” ripeté lui dopo un po’. “Sai cosa significa, immagino.”
 
La rossa annuì. “Non c’è nulla che devi temere, devi solo lasciare che io ti aiuti.”
 
Alfred sorrise.
 
“Stiamo per tornare in superficie, Redfield. Stiamo per lasciare gli arcani e profondi meandri di questo luogo morente, per risalire dov’eravamo rimasti.  Lo spettacolo sta per concludersi…o sta per ricominciare? Cos’è questo, un sipario che sia sta alzando o che sta scendendo?”
 
Claire si ritrovò ad annuire a quelle parole. Era vero, presto sarebbero tornati dov’erano rimasti, prima che si scaturisse quella baraonda; a quel punto cosa sarebbero stati? Erano cambiate le cose?
Era questa la domanda cruciale per via della quale nessuno dei due aveva ancora mosso un passo oltre la porta che li avrebbe condotti via.
 
“…siamo ancora… nemici?” chiese Claire, col cuore in gola, non sapendo lei stessa cosa rispondere. No, non erano nemici. Non più. Tuttavia non erano nemmeno ancora pronti a gettare alle spalle ogni cosa. Poteva essere un difficile inizio, oppure un crudele finale.
Avrebbe tanto desiderato soltanto tornare a casa e riabbracciare i suoi cari…
…e che lui capisse…e si liberasse…
L’Ashford a quel punto sfilò attorno a lei osservandola con uno sguardo a metà amaro, a metà intenerito. Un volto che la fanciulla definì presto e il suo animo cominciò a distruggersi prima ancora che lui prendesse parola. Alfred si fermò alle sue spalle e si avvicinò al suo orecchio, sfiorando i suoi morbidi capelli.
 
“Prima ho un compito più importante, devo proteggere Alexia.”
 
Claire girò il viso, per nulla turbata di trovarselo a pochi centimetri di distanza. Piuttosto fu il biondo a sentirsi un attimo fuorviato, non aspettandosi che ella si sarebbe voltata così repentinamente, senza sentire il disagio del suo fiato sul viso.
 
“Alfred.” Disse dolcemente. “Basta così. Basta queste cazzate, basta logorarti tanto. Basta. Andiamo via.”
 
Gli occhi del biondo si abbuiarono.
 
“Così fino all’ultimo hai creduto a questa bugia, deduco.” Fece una pausa. “Non ti biasimo, era questo il piano pattuito anni or furono. Innestare il dubbio, un velato ed emblematico dubbio. Quando questo si insinua nella propria testa non puoi più ignorarlo fino a quando non si va fino in fondo. Ti chiedo dunque se te la senti, Redfield. Vuoi davvero continuare con me…fino in fondo?”
 
La rossa sentì il sangue gelarsi. Rifletté sulla sua ultima frase, non potendo credere che dopo quanto aveva fatto per lui, ancora non fosse abbastanza. Si sentì ferita…molto.
Dal suo canto aveva superato i suoi atteggiamenti, le angherie subite, la violenza, le orribili macchinazioni di morte e dolore che avevano reso prima Rockfort e poi l’Antartide il suo inferno. Era stata il suo giocattolo, del quale lui si era servito avidamente. Nonostante tutto lei era però riuscita a vedere qualcosa oltre tutto questo ed era andata fino in fondo; fino a entrare nella sua vita.
 
“Fino in fondo? Hai davvero il coraggio di chiedermi questo..?!” pronunciò indignata, ma con pacatezza, tenendo a freno l’amarezza che la stava opprimendo.
 
“Non ti alterare.” La tranquillizzò lui, poi sorrise. “Sebbene non possa negare di trovare attraenti le tue reazioni così imprevidenti e…” annusò il suo collo. “…e incoscienti.”
 
“Mi stai dando della stupida?” Lo allontanò la ragazza, invece, piuttosto irritata.
Era lei ad avergli chiesto di seguirla, di scappare con lei. Che cosa rispondeva, invece? Le aveva domandato a sua volta di andare negli abissi con lui. Era…era assurdo. “Alfred, ti ho chiesto di andare via con me. Via dai laboratori, via dalla tua prigione di Rockfort, via dall’Antartide. Via. Andare via.” Si fermò e gli mise una mano sulla spalla. “Via davvero…capisci?”
 
Alfred aveva ampiamente compreso quella proposta e ricambiò serio lo sguardo della rossa, trafiggendola con quell’impassibilità che Claire aveva amaramente imparato a conoscere.  Il rigore del Re che mai si sarebbe smosso dal suo compito. La Redfield non voleva cedere, si rifiutava di credere di dover varcare la soglia della libertà da sola. Avrebbe voluto con tutta se stessa che quegli occhi trasmettessero amore e fiducia verso la vita…verso di lei. Tuttavia non poteva mentire a se stessa, di fronte quello sguardo fermo sulla sua posizione che aveva lei scalpito, toccato, a cui aveva dato calore…ma che non era cambiato; egli ancora inseguiva severamente il ruolo di Re in quella scacchiera mentecatta.
 
“Ti ho risposto Redfield. Non…posso. Non posso.” Ribadì imperterrita bloccandola con un braccio, poggiandolo sul muro ammuffito alle sue spalle.
“Ho immolato la mia vita e quella di Alexia e non ho intenzione abbandonare tutto. Che tu ci sia o meno, io ho un compito. Un compito che ho giurato di portare a termine e dal quale non dipendo solo io, ma ciò che ha dato un significato a quest’esistenza altrimenti troppo crudele, troppo spenta e artificiale. Un racconto nefasto di cui ti parlerò un giorno.” Si fermò a riflettere un attimo, poi riprese parola.
“Io veglierò su di lei…fino al suo risveglio. E’ la promessa di tutta la mia vita. Se vuoi davvero comprendere qualcosa di me, entrare nella folle lotta che accompagna la mia intera esistenza…allora dovrai attendere con me. Nemmeno tu puoi tirarti indietro, lo sai. Io ti aprirò le porte, stavolta ti lascerò entrare. Questo palco è mio quanto tuo, hai conosciuto i suoi arcani e blasfemi sacrilegi, nonché le sue bonarie virtù. Tuttavia non potrai ritenerti parte di tutto questo se prima…non conosci Lei.”
 
“Alexia?”
 
“Esattamente.”
 
I due stettero in silenzio, l’uno di fronte all’altra.
Claire si morse le labbra, delusa. Il suo cuore le sbatteva in petto, materializzando il turbamento che si stava propagando.
Era frustata di trovarsi sempre nella posizione di piegarsi, delusa di non essere lei la scelta di quell’uomo, nemmeno dopo quanto accaduto.
Era affondata con lui nell’oblio, marciando nelle terre desolate del suo animo lercio e vi aveva trovato l’anima sofferente che aveva intravisto fin dall’inizio, quando era drogata e vestita da sua sorella. Eppure già allora aveva sentito il suo abbandono, dunque aveva deciso di rischiare e comprendere quella storia.

Ciò nonostante, il fantasma di Alexia era intercorso ancora una volta fra loro e spietatamente stava frantumando quel lungo percorso che aveva fortemente voluto intraprendere.
Cosa doveva fare? Doveva seguirlo davvero fino agli abissi ancora più estremi…?
Oppure no?
Fino a che punto voleva aiutarlo e fino a quale invece era divenuta una malata ossessione?
Aveva paura. Paura che a furia di restare nelle tenebre con l’Ashford, aveva finito col perdere di vista quel sottile confine. Avrebbe voluto fortemente seguire il suo cuore, dargli l’opportunità di mostrarle Chi Era Alexia Per Lui, come le aveva chiesto. Eppure l’aveva assecondato così tante volte, che in quel momento tutto si stava sgretolando proprio davanti ai suoi occhi.
Non voleva lasciarlo e non voleva nemmeno soccombere. Il suo cuore…si stava spezzando.
Alfred vide gli occhi di Claire oscurarsi sempre di più, sfuggendo al suo controllo. Cominciò sentirsi turbato. Cosa le stava accadendo? Perché era così titubante?
Aveva scavato in parti molto profonde, arrivando fin dove persino lui si era rifiutato di guardare, cancellando e negando con tutto se stesso quella parte di sé, bisognosa di altro oltre Alexia.
Gli era stato difficile, eppure lei era riuscita a fargli credere che potesse esserci un mondo felicemente desiderabile e appagante in lui. Quei desideri che lui reputava impuri e blasfemi, erano divenuti una dolce terra dove approdare di cui non conosceva i margini, ne dove gettare l’ancora…ma era pronto a lasciarsi andare; ad accettare Claire nella sua prigione mentale.
Vedere quindi i suoi occhi tristi proprio in quel momento lo stava torturando fino alla pazzia.
Era forse la prima volta che si chiedeva cosa avesse sbagliato. Quali fra le sue parole avesse allontanato l’amore di Claire?
Cercò disperatamente una risposta, ma dalle sue iridi blu non traspariva nulla se non delusione…amara e frustrante delusione.
Non lo avrebbe accettato…
Non stavolta…
Non in quel momento in cui aveva ritrovato La Vita.
 
“No…” sussurrò digrignando, al che Claire corrucciò il viso, ancora in preda alle sue emozioni.
 
Alfred si fece prendere dal panico. Era spaventato…spaventato dall’ipotesi che lei potesse scappare; che non tornasse; che riprendesse a considerarlo pazzo; che non gli avrebbe più rivolto il suo viso dolce, i suoi occhi luminosi, la sua presenza calorosa in quella vita crudelmente abbandonata, risvegliata dopo anni di depressione e solitudine.
 
“No.” Concluse. “Non te ne vai.”
 
In quello stesso momento strinse il pugno sul suo polso e la tirò a sé.
Superò il portone e s’incamminò oltre, percorrendo i meandri che li avrebbero condotti fuori dai sotterranei. Claire fu costretta a seguirlo, confusa da quel gesto e da cosa stesse effettivamente accadendo.
 
“Fermò, Alfred! Dove stai correndo? Se mi tiri in questo modo, non otterrai nulla. Smettila e lasciami! ”
 
In quel lungo momento di silenzio erano stati messi di fronte una scelta.
Una scelta che li aveva irrimediabilmente divisi, mettendo a nudo colei che avrebbe per sempre ostacolato la loro libertà. Alexia Ashford.
Era esattamente come aveva detto Alfred, si stavano incanalando verso una fine o un nuovo inizio. Tuttavia l’Ashford non sembrava intento a lasciare andare ciò che adesso aveva conquistato.
Il problema sussisteva nel fatto che, arrivata a quel punto, a Claire non importava di addentrarsi ancor più nell’incubo. Quella realtà maledetta che non faceva che richiamare l’altolocato ereditiere Ashford negli abissi; possibile che anche lui non desiderasse finirla lì? Perché dovevano scendere ancora più in fondo?
 
“Alfred! Per favore, basta! Andiamo semplicemente via. Per favore…!!”
 
Si ritrovò a supplicarlo, ma lui era irremovibile. Continuava a tirarla, trascinandola come una fiera che aveva oramai affondato le sue zanne sulla preda, per trasportarla nella sua tana ove non avrebbe più avuto via di scampo.
Non proferì parola e non sbirciò nemmeno verso di lei. Camminò a passo felpato imboccando un corridoio dietro l’altro, tirando la Redfield senza pietà la quale non riuscì ad apporsi. Un po’ perché spaventata, un po’ perché completamente sconvolta. Tirava via la sua mano, forzando il polso di lui, ma senza la reale intenzione di sottrarsi. Potette solo affrettare il suo passo con lui, mentre la sua mente la tradiva ancora una volta facendola sottostare al volere del suo malinconico tiranno.
Giunsero infine su una passerella ben illuminata dalla luce del neon, un luogo molto artificiale e ben custodito. Sembrava di essere in una stazione spaziale, o comunque un luogo altamente tecnologico.
In quel momento Alfred si fermò un secondo per orientarsi, dopodiché rigò dritto, facendo per attraversare un pontile di ferro dall’altezza vertiginosa. Proprio in quell’istante però si bloccò, notando di striscio la spia di una telecamera che stava puntando su di loro. Non si sbagliava, infatti il ponte si spostò sotto i suoi piedi, impedendogli di attraversarlo.
Digrignò i denti, poi diede una strattonata alla ragazza e la condusse verso un altro percorso. Scese velocemente dei gradini, portando lui e la rossa al piano di sotto, e proprio in quel momento un vetro si frantumò alle loro spalle e centinaia di schegge li travolsero costringendoli a fermarsi di colpo. Claire riparò il viso col braccio che aveva libero, portandolo all’altezza degli occhi. Quando lo abbassò per rendersi conto della situazione, ritrovò il biondo comandante già in piedi, con gli occhi fissi dinanzi a sé. Di fronte a lui…Steve Burnside, con le sue machine gun puntate esattamente verso di lui.
 
“Steve!” lo chiamò lei interdetta, tuttavia il ragazzo non ricambiò il saluto; egli rimase immobile, guardando l’Ashford con l’ira negli occhi. Claire si fece prendere dal panico, Steve non sapeva di troppe cose. Non voleva che facesse del male ad Alfred. Tentò dunque subito di intermediare e schizzò per mettersi fra loro, tuttavia la presa di Alfred, ancora ben stretta sul suo polso, la costrinse a rimanere dietro di lui.
Deglutì, sempre più spaventata. In quelle vesti, con lei sotto il suo controllo, sarebbe stato facile fraintendere e scambiarla per un suo ostaggio. Doveva agire in fretta.
 
“Steve, per favore, non sparare! Devo…devo spiegarti molte cose. Non è un nostro nemico.”
 
Il moro fece una smorfia di disapprovazione.
Dal suo canto, sapeva bene chi era quell’uomo; sapeva quale mente perversa si nascondeva dietro le sue apparenze già poco raccomandabili. Vedere Claire  fra le sue grinfie per di più, gli fece ribollire il sangue ancor di più.
 
“Questo maniaco? Stai scherzando!?” digrignò. “Non hai idea di cosa ho visto, Claire. Non puoi immaginare le cose orribili e disgustose che nasconde. Sei sotto il suo mirino, non considerarlo un alleato. Non so cosa ti abbia detto per portarti dalla sua, ma non fidarti. Morirai se lo farai.”
 
Mentre Steve proferiva quelle parole, Claire sbirciò oltre le spalle del biondo per vederne il volto, il quale era stranamente calmo, inespressivo. I suoi occhi erano stretti e le sue labbra rigide, non l’aveva mai visto così inflessibile. D’altra parte, sentì la sua mano stringerla ancora più forte. Lo fece per timore di perderla…o perché era un suo possedimento?
La rossa non seppe cosa fare, desiderava solo che Steve abbassasse quelle mitragliette.
 
“Steve, diavolo, lo so! Io…io…” era in presenza di Alfred, non poteva parlare con assoluta onestà di quello che era stato il loro passato. Eppure doveva tranquillizzare Steve in qualche modo, dirgli la verità. Aveva paura però che facendolo avrebbe spezzato il delicato equilibrio mentale del biondo. Strinse gli occhi…non aveva scelta, doveva parlare col cuore, e subito. Prima che uno dei due facesse qualcosa di cui si sarebbe pentito. “Sono consapevole di ciò che mi ha fatto! Di ciò che ha fatto a noi…a tutti! Però lui mi ha aiutato, siamo sopravvissuti collaborando assieme e…e non si tratta solo di questo! Credimi, le cose sono davvero cambiate.”
 
L’Ashford la scrutò con la coda dell’occhio, però non disse ancora nulla.
 
“Non è facile da spiegare, non è facile da comprendere. So soltanto che non è un nostro nemico. Non lo è più. Quindi abbassa quell’arma.”
 
“Claire…” sussurrò Steve, non sapendo cosa fare. Le mani gli tremavano, ma ancor più non riusciva a dir di no agli occhi languidi di quella ragazza. La sua Claire così forte e determinata…che lo supplicava di non salvarla dalle grinfie di quel demonio. Fu sofferto per lui far scivolare le dita dal grilletto e deviare almeno di poco la mira. Non riuscì però ad abbassare le braccia, ancora puntate verso di lui.
 
“Sono finito in una stanza segreta dov’erano conservate cose…cose che non saprei nemmeno come definire!”
Scosse la testa, scacciando dalla sua mente quel disturbante e terribile ricordo.
“C’era una bambola orribile composta di parti organiche vere, e che ti somigliava. Cazzo, eri tu, Claire! C’erano foto che ti ritraevano. Eri addormentata, drogata, incosciente, sistemata in varie pose, in tante angolazioni. Lui ti ha usata come un oggetto. Ti ha vestita da Alexia, la stessa Alexia che credevamo fosse sue sorella.” Ispirò. “Poi…poi ha ucciso. Ha ucciso una marea di persone. Le ha torturate per il piacere del loro dolore. Voleva che lo compiacessero. E’ un perverso! Per lui…per lui non era mai abbastanza e non lo sarà mai!”
A quel punto puntò gli occhi dritti sulla giovane.
“Tu stessa, Claire! Sei solo…sei solo il suo passatempo momentaneo! Si stancherà anche di te e ti ucciderà! Ti ucciderà come ha fatto con tutti!”
Steve le parlò speranzoso, impaurito dalla possibilità di vedere la ragazza perdersi negli inganni di quella mente mentecatta.
“Si stancherà, Claire…” ribadì, poi si rivolse al biondo, furente. “Ammettilo! Avanti, diglielo anche tu! Raccontale le schifezze e le depravazioni che hai custodito in quella stanza! Fallo se sei un uomo!”
 
Urlò contro di lui con sfida ed ancora una volta l’Ashford non si smosse.
Di fronte quell’atteggiamento taciturno e freddo, Steve perse la pazienza e puntò di nuovo le sue machine gun contro di lui. A quell’ennesimo gesto di aggressione, Alfred alzò finalmente le sue iridi di ghiaccio verso di lui; fredde, immobili, eppure trepidanti.
 
“Posso mostrare io stesso a voi tutti gli abomini che si celano numerosi fra queste fredde mura; non sono che gli oltraggi e l’indignata corruzione che hanno intriso questo edificio, ove da sempre regna un meschino sortilegio. Non starò certo qui a spiegare, non ad un essere insulso come te, ragazzino. Non puoi comprendere, non puoi elevarti a tale grado intellettivo. Se invece la tua angoscia è dovuta alla qui presente Claire Redfield, non ho intenzione di ucciderla o renderla mia schiava; sebbene sono più che cosciente di quanto questo posto possa rivoltarsi contro di me, di quante ripugnanze potreste imbattervi entrambi.
E’ vero, non sono mai riuscito a compensare quel vuoto di cui accenni con tanta superficialità. Ho sempre inconsciamente cercato nel dolore qualcosa che sopperisse le mie personali angustie. Anche Claire ha fatto parte di questo progetto.
Ti ho odiata…oh, quanto ti ho odiata. Da quando sei giunta nel mio palazzo e hai gettato tutto nello scompiglio, non ho fatto che desiderare di vederti morta. Tu e il tuo amichetto. Tuttavia non volevo che tu morissi. Volevo vederti soffrire come un topo in trappola. Volevo circondarti di terrore, di morte, di sangue…volevo che alla fine di tutto, la pena capitale stessa non fosse che una tenera carezza. Era inebriante tale pensiero. Era ciò che mi appagava.
Poi però ti ho portata qui e hai rianimato il tetro ambiente in cui hai vagato disperatamente alla ricerca della tua libertà. Seppur come nemici, è stato osservandoti che ho sentito di nuovo qualcosa di vero, autentico…un calore mai provato prima. Mai, se non ai tempi di Alexia, la mia amata sorella.
Era però deplorevole per me. Non potevo accettare una cosa simile. Quindi ho cercato di camuffarti, e di ucciderti.”
 
Si voltò verso Claire, che lo guardava con gli occhi colmi di lacrime, stretta in una morsa al cuore nel vederlo sincerarsi così intimamente davanti a lei. Alfred si rivolse a lei, soltanto a lei, dedicandole uno sguardo sincero e…pentito?
 
 “Mi dispiace.” Ammise in fine, lasciando sgomentati entrambi, sia lei che Steve.
 
Claire strinse le dita sulla mano che lui teneva stretta, come a trasmettergli che non doveva pretenderla con la forza, che lei l’avrebbe seguito spontaneamente…se solo lui si fosse lasciato aiutare.
Steve intanto si sentì confuso. Non sapeva se credere alla redenzione di quell’uomo, a Claire visibilmente scossa e coinvolta, oppure a ciò che invece lui aveva visto.
Poteva mai ignorare le grandi violenze assistite in quel posto, il cui artefice era proprio Alfred Ashford?
Eppure…eppure lui stesso era cambiato tanto. Ed era cambiato proprio conoscendo Claire.
In quello stesso istante fece scivolare le sue braccia verso il basso, togliendo il biondo dal mirino. Sorrise poi verso la fanciulla, che ricambiò a sua volta.
 
“Va tutto bene.” cercò di tranquillizzarli lei. “Dobbiamo solo andarcene di qui…okay?”
 
Il moro fece cenno di sì e s’incamminò verso di loro. In quel momento però un gesto repentino cambiò quelle sorti. Quasi dal nulla, l’Ashford sfilò velocemente il suo fucile da caccia dalla custodia trasportata da Claire, la quale non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di quel gesto.
Egli liberò il suo polso e, muovendo anche il braccio che avrebbe dovuto tenere fermo per via delle sue ferite, si mise in posizione di tiro.
Steve Burnside sbandò vedendo quell’arma puntata con veemenza contro di lui.
Le sue condizioni di salute gli permisero un buono scatto e così anche lui impugnò di nuovo le sue machine gun e………………..spararono entrambi.
 
Da entrambe le armi da fuoco partirono dei colpi: uno netto e preciso dal fucile da caccia di Alfred Ashford, una raffica dalle machine gun di Steve Burnside.
Il sangue prese a scivolare sempre più copioso a terra, macchiando di rosso quella passerella lucida e fredda.
Alfred portò una mano sullo sterno, traballando. In fine si piegò all’indietro, ribaltandosi contro la ringhiera e cadendo nei meandri del laboratorio artico dell’Umbrella co.
Un attimo fugace che brevemente fece sparire per sempre il burattinaio folle e meschino che aveva giostrato con le vite dei due presenti in quel labirinto della morte.
Le sue mani si gelarono, le gambe presero a tremare. Poteva ancora sentire la presa stretta sul suo polso che poco prima la mano di Alfred aveva imposto su di lei. Riusciva a stento a sentire il battito del suo cuore tanto che era forte. I suoi occhi rimasero fissi, non riuscendo a focalizzare l’immagine appena assistita. Non riusciva a credere che fosse accaduto davvero.
No. No. No.
No. No. No. No. No…!
 
“Claire, dobbiamo andare!”
 
Non può essere…!
 
Vedendola irremovibile, Steve comprese che doveva rianimarla e alla svelta. Era comprensibilmente sotto shock. Le prese dunque una mano e si pose davanti a lei.
 
“ E’ un pazzo, dobbiamo lasciare questo posto, forza!”
 
Questo lo so…
 
“Ricordi cosa mi dicevi? Dobbiamo uscire vivi da qui, insieme.”
 
E’ vero…
 
“Voleva solo ucciderci, è un uomo malvagio! Non metto in dubbio che possa anche avere un suo…trauma personale! Tuttavia non puoi ignorare quanto ti ha fatto.”
 
Claire rivolse lentamente i suoi occhi su di lui, pallida come un marmo.
Ricordava perfettamente ciò che fino a non molto tempo prima si era sempre ripetuta. Che se voleva salva la vita, se voleva rivedere suo fratello Chris, se voleva lasciare quella prigione assieme a Steve…doveva muovere un passo alla volta, affrontare un problema alla volta…e ottenere pian piano la libertà.
Per chi amava. Per chi stava lottando con tutte le sue forze. Doveva vivere.
Alfred… più d’una volta si era rivoltato contro di lei. Più d’una volta le aveva dimostrato quanto profondamente fosse caduto giù. Più volte era stata trascinata negli abissi con lui, dovendo affrontare fino allo stremo delle sue forze e della sua sanità mentale la violenza che si celava dietro ogni singolo meandro.
Steve aveva ragione, aveva dannatamente ragione. Poteva trovare miliardi di motivazioni dietro la crudeltà delle perverse macchinazioni del meschino tiranno che aveva gustato con avidità il dolore; questo tramite la potenza e gli strumenti conferitogli dall’Umbrella. Aveva così trasformato il debole e abbandonato ragazzino in un sanguinario e folle comandante militare.
Sebbene il suo passato, dietro la sua ombra vi era una scia di morte che non poteva essere ignorata. Era un uomo ormai deviato, instabile, probabilmente incapace di tornare alla realtà, lasciato a marcire in quel pandemonio privo di cuore e umanità.
Eppure…
Eppure sapeva che non era vero!!
Sapeva che da qualche parte in quell’oscurità, lei era riuscita a vedere un piccolo barlume. Una luce che nel momento nel quale aveva toccato, aveva aperto uno spiraglio dentro di lui!
Lei aveva deciso di essere quell’Alexia che lui tanto desiderava. Quella luce in quell’esistenza gelida e ombrosa in cui tutti l’avevano abbandonato al suo amaro destino.
Claire aveva abbracciato quella causa ed era stata pronta ad essere quella vita vera che da sempre gli era stata negata. Il calore sensibile e autentico che lui cercava dietro uno specchio, che freddamente non faceva che riflettere lui stesso vestito da Alexia.
Lei avrebbe fatto quella differenza! L’avrebbe urlato al mondo, pur di far vedere quanto lei aveva visto in lui.
Alfred era pazzo…era completamente pazzo.
Tuttavia lo era diventato pur di sopravvivere a quell’esistenza difficile e tormentata. Aveva scelto una via disumana, una via disgustosa e intollerabile.
Però nessuno si era mai preso cura di lui. Quel mostro era stato gettato in pasto alle terribili fauci della solitudine, che avevano divorato ogni parte di se stesso. Così era nato quell’Alfred Ashford di cui nessuno si era mai preoccupato; quell’uomo invece da lei conosciuto.
 
Il suo sguardo si rivitalizzò improvvisamente, trafiggendo con le sue iridi determinate il bruno vicino a lei. Lo bloccò con l’irremovibilità di chi non si sarebbe fermato arrivati ormai a quel punto.
 
“Scendiamo! Potrebbe essere ancora vivo, andiamo!”
 
Steve trasalì.
 
“C-cosa? Fai sul serio? Ha cercato di spararmi, non hai visto!?”
 
“Sta andando da Alexia. Se è vivo, starà sicuramente andando da lei!”
 
“Alexia Ashford? Esiste una Alexia o si veste di nuovo da lei?”
 
Vide la ragazza agitarsi nervosamente. Il suo piede urtò distrattamente qualcosa di pesante a terra ed entrambi portarono lo sguardo giù.
Era il fucile da caccia dell’Ashford, evidentemente lasciato cadere durante la sua disfatta.
Claire si piegò, posandosi una mano sopra, quasi in una carezza; era come se rappresentasse il suo padrone, il losco uomo che non avrebbe lasciato sprofondare fra le grinfie delle tenebre.
Lo strinse fra le dita, mentre il suo cuore si struggeva, non sopportando l’idea che l’altolocato signore di quel teatro maledetto fosse stato ingannato e lasciato solo ancora una volta; sapeva cosa c’era in quei meandri, sapeva quanto quell’equilibrio era fragile, dunque sapeva quanto quel cuore fosse spezzato e dolorante in quel momento.
Quindi imbracciò l’arma, portando al petto quella parte di lui, con quella determinazione negli occhi che la caratterizzava, che la rendeva La Donna che aveva fra le sue mani quel destino.
Il destino di cambiare quello scenario, scegliere se sarebbe stato un sipario calato oppure appena innalzato.
Imboccò le scale e prese a scendere velocemente, in balia dell’istinto che la stava guidando.
 
“Non lo so, non lo so. Forza, muoviti!”
 
Il ragazzo strinse i denti, non riuscendo a capacitarsi in nessun modo di quanto stesse accadendo. Come se non bastasse, un allarme cominciò a risuonare per i laboratori; qualcosa doveva averli fatti azionare.
Alzò gli occhi al cielo, disorientato, dopodiché si affrettò a correre dietro Claire per le scale.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
“Quando all’animo sensitivo è inferta una ferita profonda, che però non uccide il corpo, l’animo si riprende quando il corpo guarisce.
Ma solo apparentemente.
In realtà, è solo il meccanismo delle abitudini che torna in funzione.
Lentamente, molto lentamente, la ferita dell’anima inizia a farsi sentire, come un livido che solo lentamente fa affiorare un dolore intenso, fino a riempire l’intera psiche.
E quando si pensa di essere guariti e di aver dimenticato, è allora che ci si imbatte nelle conseguenze più terribili.”
 
 
(David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley)
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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