Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: Horror_Vacui    08/09/2018    2 recensioni
Cosa succede quando sei l'uomo sbagliato al momento sbagliatissimo? E se il momento sbagliato è proprio una guerra tra i due gangster più potenti di New York?
Tra intrighi di potere, assassini di professione e debiti da saldare, l'unica cosa che si può fare per sopravvivere è imparare le regole del gioco prima di eliminati.
Dal testo:
"Prese alcune fette di pane e ci spalmò sopra del burro d'arachidi. Lei nel frattempo si era seduta sul bancone e lo osservava incuriosita. Sotto il cardigan indossava dei semplici pantaloncini di cotone e una canottiera sottile. Aveva gambe lunghe e occhi da gatta, profumava di lavanda e biscotti: le pericolosa ragazza della porta accanto."
*Basato sull'omonimo film di Paul McGuigan, conosciuto in Italia con il titolo "Slevin - Patto criminale"*
Genere: Commedia, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Argent, Malia Hale, Nuovo personaggio, Peter Hale, Stiles Stilinski
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Camminavano fianco a fianco per le vie della città. Le luci colorate delle vetrine si riflettevano sul marciapiedi umido, l'aria puzzava di hot dog bruciati e gas di scarico e faceva così freddo che ogni loro respiro si trasformava in una nuvoletta bianca.
Lui era abituato a quelle temperature, aveva vissuto all'estero per parecchi anni prima di tornare in America, stabilendosi anche in luoghi inospitali per la maggior parte della gente comune.
Lei invece aveva indossato i guanti, la sciarpa e un cappotto pesante, ma sembrava comunque in procinto di congelare. Le mise un braccio attorno alle spalle senza nemmeno pensarci e quando se ne rese conto fece per sollevarlo, ma lei gli artigliò la mano e si strinse ancora di più al suo fianco.
Non gli era mai successo di camminare abbracciato a qualcuno, era come avere un corpo e quattro gambe. Era scomodo, ma i capelli di Malia profumavano di lavanda.
«Perché sorridi?» gli domandò.
Il trucco le si era un po' sbavato, ma le labbra luccicavano rosse come ciliegie anche senza rossetto. D'istinto lui morse le proprie e deglutì pesantemente.
«Be', perché puzzi di vino rosso» rispose, evitando il suo sguardo indagatore.
Malia si finse oltraggiata e lo spinse via con un sorriso.
«Sei davvero crudele!»
«Ah, sarei io il cattivo?» ricambiò il sorriso sbarrandole la strada.
Si guardarono negli occhi, finché entrambi non tornarono seri.
«Cos'è successo nel bagno degli uomini?» gli chiese lei a bruciapelo.
«Abbiamo parlato e gli ho detto che dobbiamo vederci» disse e riprese a camminare svelto. Malia quasi lo inseguì per tenere il passo.
«Non ci credo!»
«Credici, mi ha dato un appuntamento».
«Cosa? E pensi che sia prudente?!»
Slevin si guardò alle spalle, in mezzo ai taxi gialli spiccava un'auto con i vetri oscurati.
«Non può essere peggio di quello che mi aspetta nella busta numero 2, ma sarà dura. Devo aver beccato una coda di porco».
La macchina era sempre più vicina, così prese Malia per mano e la spinse nella rientranza della vetrina di un negozio di abbigliamento.
«Una che?»
«La polizia».
«Che?! Dove, nel bagno?»
«Già, c'era uno sbirro ficcanaso. A quanto pare mi sta tenendo d'occhio» si sporse fuori giusto in tempo per vedere l'auto scura passare oltre.
«Per questo ci nascondiamo qui?»
«Vieni!» la prese di nuovo per mano e la trascinò via.
Malia lo seguì per alcuni metri, poi gli passò davanti facendo una piccola piroetta, costringendolo a fermarsi. Poggiò le mani coperte dai guanti sul suo petto e Slevin le passò le braccia attorno ai fianchi.
«Cadaveri nei frigoriferi, poliziotti nel bagno degli uomini... mi fai venire in mente James Bond».
Lui spalancò gli occhi meravigliato e sorrise apertamente, stringendola un po' di più.
«Lo sai che è la cosa più bella che mi abbiano mai detto?»
Malia ridacchiò in imbarazzo e sciolse l'abbraccio riprendendo a camminare, come se nulla fosse accaduto, come se pochi sguardi non avessero già detto tutto quello che loro due continuavano a nascondere.
«Il Boss potrebbe essere Kananga» disse con il solito tono sbarazzino, strappandogli un sospiro.
«Kananga? No, il Boss non è Kananga».
«E allora chi è?»
«Mmh... direi Ernst Stavro Blofeld».
«E quale? Donald Pleasence? Telly Savalas? Max von Sydow?» chiese lei entusiasta.
«Sei una fan di Bond, eh? Purtroppo pensavo a Anthony Dawson, era Blofeld in “Dalla Russia con amore”».
«Aaah, ma non gli si vede mai il viso in quel film!»
«Ed è così che il cattivo funziona meglio: quando non sai che faccia ha» le fece l'occhiolino. 

Giunsero davanti alle porte ai loro appartamenti in meno tempo del previsto, nonostante avessero deciso di proseguire a piedi, ignorando la fila di taxi che scorreva regolare in strada.
Malia prese le chiavi dalla borsa, ma si appoggiò allo stipite rigirandosele tra le dita.
«Allora... ehm, ci vediamo» disse lui, dandole le spalle per aprire la porta.
La sentì fare altrettanto, mentre si dava mentalmente dell'imbecille per non averla invitata a entrare.
Fece un passo dentro casa di Nick, ma quando si voltò per un'ultima occhiata vide che quella di Malia era aperta.
Nel salotto dalle pareti rosse la luce era soffusa e la pericolosa ragazza della porta accanto si stava liberando da tutti i pesanti vestiti, con un sorriso languido che si allargò quando lui se ne accorse.
Prima i guanti, poi la sciarpa, il cappotto rosso e infine abbassò una spallina del vestito nero, fino a mostrare il pizzo del reggiseno.
Con il cuore in gola Slevin richiuse in fretta e furia la porta del suo appartamento e si fiondò in quello di Malia, sbattendo così forte anche la sua porta da farla tremare sui cardini.
La baciò con urgenza, mordendole le labbra e rubandole ogni respiro, mentre lei gli strappava via i bottoni della camicia, ricambiandolo con la stessa foga.
Non aveva mai sentito una connessione così profonda con nessuna delle poche ragazze conosciute nella sua solitaria esistenza. Lei era unica, era speciale, era la compagna che non si sarebbe mai aspettato di desiderare. Abbassò la cerniera del vestito e la liberò – con qualche difficoltà – dal grazioso corsetto di pizzo nero. Malia smise di baciarlo e fece un passo indietro, coprendosi il petto con le mani, ma senza smettere di guardarlo con bramosia.
Lui strinse i denti per imporsi contegno, incapace di nascondere il desiderio crescente che lo animava. Quel gesto, il rispetto dimostrato, bastò a Malia per tornare sui suoi passi.
Tolse le scarpe col tacco e lo raggiunse in punta di piedi, poi in silenzio gli accarezzò il viso e Slevin si lasciò cullare dal suo tocco leggero a occhi chiusi. L'altra mano nel frattempo scese sul petto e finì il suo percorso sulla cerniera semi-aperta dei pantaloni. Emise un gemito più forte degli altri quando lei lo aiutò ad abbassarli e se ne liberò scalciandoli via assieme ai calzini.
Erano entrambi coperti solo dagli slip, a lui serviva solo l'ultimo cenno di assenso. Lei lo capì, perché lo prese per mano e lo condusse in camera da letto e con delicatezza lo fece sedere sul materasso, mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
Le lasciò prendere il controllo, consapevole che sarebbe stata lei la prima a cedere a quella dolce tortura a cui stava sottoponendo entrambi. Erano andati di fretta fin da subito e sembrava che Malia volesse recuperare settimane di conoscenza prolungando all'infinito il preludio all'atto principale.
Slevin accolse uno dei seni sul palmo della mano, mentre con la bocca scese a baciare l'altro; Malia gettò la testa indietro, tirandogli i capelli all'altezza della nuca.
I loro corpi si incontravano al ritmo della danza di Malia, finché Slevin non decise di averne abbastanza e, con una mossa rapida, la fece stendere sotto di lui.
Ansimante e poco lucido, si prese comunque del tempo per ammirare il volto arrossato, incorniciato dai capelli arruffati, e gli occhi che gli restituirono uno sguardo infuocato.
Scese a baciarle le labbra gonfie e fece scivolare una mano tra le sue gambe, che si schiusero per lui. Malia emise un urletto strozzato, inarcando la schiena per approfondire quel contatto e allora Slevin la liberò dall'ultimo ostacolo. Lei fece altrettanto, aiutandolo a togliere i boxer.
Erano entrambi al limite della sopportazione, Malia però accennò un sorriso e lo accarezzò fino a strappargli un vero gemito di piacere, fu solo allora che allungò una mano verso il comodino e prese un condom. Slevin si morse l'interno della bocca e strinse i pugni contro il materasso, mentre lei lo posizionava con studiata calma. Era pronto ad afferrarle le mani per bloccargliele sopra la testa, ma a sorpresa Malia lo guidò, indicandogli la via.
Si rese conto di aver trattenuto il respiro solo quando lei lo accolse dentro di sé e poi l'aria divenne sempre più rarefatta e lui si sentì ubriaco e con la testa leggera. Aveva voglia di ridere e di urlare, di dimenticare chi era, cosa aveva fatto e cosa sarebbe stato costretto a fare, aveva voglia di lasciarsi andare, inebriarsi di lei fino a fondersi con il suo battito cardiaco. Nelle orecchie aveva solo la sinfonia dei loro respiri, il ritmico scontrarsi dei loro bacini e l'imbarazzante cigolio del materasso.
Malia si aggrappò alle sue spalle e un gemito di dolore si unì a quelli di piacere quando sentì le sue unghie graffiargli la pelle.
Guidato dall'istinto più che dalla ragione, le fece sollevare le gambe facendo pressione sotto le ginocchia e aumentò il ritmo, mentre goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.
«Oh, Slevin!» urlò lei in preda all'estasi più profonda.
Il piacere li travolse infine come un'esplosione di fuochi d'artificio e lui cadde esausto sopra di lei, la guancia poggiata sul cuore da colibrì.

Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, Malia gli carezzava i capelli umidi e lui si lasciava coccolare come mai prima di allora. Era una bella sensazione, come stare dentro una soffice nuvola di zucchero filato in un posto sperduto, dove nessuno avrebbe potuto trovarli.
«Sai, stavo pensando che noi due abbiamo appena fatto l'amore» disse, posandole un bacio sul collo.
Malia ridacchiò.
«E te ne accorgi solo adesso?»
Rotolò di lato e si stese al suo fianco per poterla guardare negli occhi. Malia tirò su il lenzuolo per coprirsi e poggiò la testa sulla sua spalla.
«No, è che ancora non so a chi ti riferivi quando hai detto che ti ricordavo James Bond. È la cosa più bella che mi abbiano mai detto, ma ho dato per scontato naturalmente che...»
«Hai dato per scontato di sapere a chi mi riferissi» disse, disegnando con le dita dei ghirigori sul suo petto.
«Se non stavi parlando di chi io penso che tu stessi parlando, allora mi devi aver scambiato per qualcun altro, perché per me esiste un solo James Bond».
«Ah, su questo siamo d'accordo».
«Ok, allora diciamo insieme al mio tre. Uno... due... tre. Roger Moore!»
«George Lazenby!»
«Cosa? Roger Moore? Io stavo scherzando!»
«E tu con Lazenby? Stavo scherzando anch'io. L'unico vero James Bond è... Timothy Dalton».
«Pierce Brosnan!»
Entrambi scoppiarono a ridere e poi Malia gli sussurrò all'orecchio: «Scozia forever».
«Wow, mi sento molto meglio, davvero» rispose, passandole un braccio attorno alla vita.
Nessuno poteva competere con la classe scozzese di Sean Connery, nemmeno quel palestrato di Daniel Craig.

Dormirono abbracciati  finché la luce azzurrina del mattino non inondò la stanza.
Avrebbe preferito guardarla dormire, ma anche lei doveva essere un tipo mattiniero perché aprì gli occhi proprio mentre lui si stava rimettendo i pantaloni.
«Buongiorno, piccolo raggio di sole» disse sottovoce, dandole un bacio sulla fronte.
Malia aggrottò le sopracciglia contrariata e si stiracchiò.
«Risparmiatelo per dopo, quando avrò recuperato l'aspetto di un essere umano».
«Perché mai? Non vedo alcuna differenza».
«Vuoi dirmi che il mio alito non ti disturba? Dovrei comprare delle mentine se...» provò a dire, ma lui interruppe la battuta sul nascere, baciandola sulle labbra.
Malia saltò su a sedere sorpresa e gli mise le mani sul petto per allontanarlo.
«Che fai? Non mi sono ancora lavata i denti».
Il lenzuolo le si era aggrovigliato attorno ai fianchi e quel movimento brusco la fece rimanere di nuovo nuda. Mise i piedi giù dal letto per alzarsi, ma lui si inginocchiò fra le sue gambe e riprese a baciarla, lento e calmo come se la sua bocca fosse un dolce particolarmente goloso.
«Nemmeno io e sinceramente non m'importa» le disse poi a fior di labbra.
Malia sorrise diventando rossa come le pareti del suo salotto.
«Sei proprio strano. Sei la persona più strana che conosca... in senso buono, ovviamente!» si affrettò a precisare.
«Be' ma io sono James Bond, non potrei essere normale neanche volendo» si strinse nelle spalle, poi si alzò e prese le scarpe.
«Dove vai?»
«Vado a prendere il caffé».
«E le ciambelle» aggiunse lei.
«E le ciambelle» confermò sorridendo, mentre si abbottonava la camicia.
«Con la glassa!» gli urlò dietro quando era ormai sul pianerottolo.

Fuori dal palazzo, ai due lati della strada, c'erano appostati i soliti scagnozzi del Boss e del Rabbino.
Fece un cenno di saluto a Elvis senza farsi vedere dagli altri e, quando si rese conto che lo stavano solo tenendo sotto controllo, si incamminò verso la caffetteria più vicina.
Passò accanto a una vecchia cabina telefonica, non si accorse del tipo che fingeva di fare una chiamata finché non gli puntò una pistola alla schiena intimandogli di fermarsi.
«Fermo, polizia» gli disse mentre lo spingeva sul ciglio della strada, dove era parcheggiato un vecchio furgone di una ditta di riparazioni.
Il portello posteriore si aprì e lui venne spinto dentro senza troppe cerimonie.
Il poliziotto che aveva conosciuto la sera prima lo stava aspettando impassibile, con le braccia incrociate al petto. Quando l'altro lo fece a sedere su una delle sedie, diede due colpi al furgone e quello partì. Era in trappola.
«Buongiorno, sono l'agente Parrish e quello lì è il detective Peter Hale» disse il suo finto aggressore.
«Buongiorno agente Parrish, mi avete appena rapito?» chiese con il suo solito tono spavaldo.
«No, vogliamo solo fare due chiacchiere tra amici con te» rispose il detective Hale.
«E questa è la procedura standard nel manuale dello sbirro, alla voce “due chiacchiere tra amici”?»
«No, non c'è una procedura standard per il casino in cui ti sei infilato» disse Parrish.
«Ah. E di che volete parlare?»
«Di te» disse Peter.
«Mmm... ok! Che volete sapere?»
«Chi sei?»
«Filosoficamente?»
«No, il tuo nome».
«Ti conviene stare in squadra» chiarì Parrish seccato.
«Be', voi contro chi giocate?»
Il detective Hale non disse nulla, gli sferrò un pugno nello stomaco che gli mozzò il fiato. Tossì in cerca d'aria, tenendosi stretto la pancia per non vomitare.
«Come ti chiami?»
«Ah, sì ora mi ricordo» rispose con un filo di voce. «Sono Slevin, Slevin Kelevra».
«Senti ragazzo, non so che sta succedendo né perché ci sei dentro, ma ti assicuro che se riuscirò a capire quel che c'è da capire, non sarò così gentile con te» lo minacciò Hale.
«Se questo è essere gentili, non farmi mai favori».
«Questa è l'ultima possibilità che hai di parlare».
Slevin guardò entrambi i poliziotti con un sorriso strafottente stampato in faccia e nessuna voglia di aprire bocca. Loro erano la legge e la legge diceva che non potevano costringere nessuno a fare un bel niente senza prove convincenti.
Peter sospirò spazientito e lo tirò su per la giacca.
«Vai a farti un giro» disse gettandolo giù dal furgone in corsa.


*



La notte appena passata era stata la più intensa che avesse mai vissuto in tutta la sua vita. Non poteva credere di aver conosciuto un tipo come Slevin, era convinta che certe cose accadessero solo nei film, eppure lui era lì, era reale e lei si stava impelagando in una situazione più grande di se stessa.
Il suo vicino Nick era scomparso, Slevin era conteso tra i due gangster più pericolosi della città e lei era a un passo dal restarne invischiata.
Lasciò che il getto d'acqua calda lavasse via il sapone alla lavanda, la stanchezza e l'agitazione.
Si avvolse nel suo accappatoio verde menta e tornò in camera da letto per spazzolare i capelli che Slevin aveva impunemente aggrovigliato. Doveva ricordargli di andarci piano la prossima volta...
Proprio mentre formulava quel pensiero, Slevin entrò nell'appartamento e la raggiunse.
Aveva il volto cereo del malessere – alla faccia dell'atarassia.
«Ehi, ci hai messo una vita. Tutto bene?» mise giù la spazzola e gli andò vicino.
Slevin poggiò i due caffé sul comò e incrociò le braccia al petto pensieroso.
«Sì, tutto bene».
«Ne sei sicuro? Sei bianco come un cadavere e io me ne intendo, visto che sono un medico legale» disse accarezzandogli il viso.
Lui sospirò e prese a muoversi in cerchio attorno alla stanza senza darle spiegazioni.
«Senti, non c'è bisogno di farla tanto lunga. Se pensi che quello di ieri sera sia stato un errore, va bene, ma per favore non girarci attorno. In tutti i sensi».
Quelle parole ebbero l'effetto di riportare Slevin nel mondo dei vivi, ma non nel modo in cui si sarebbe aspettata.
Attraversò la stanza in poche falcate, le prese il volto tra le mani e la baciò come se quella fosse l'ultima volta, arrivando a gettarla sul letto come se fosse una bambola.
«Ti devo dire una cosa».


*



Malia era uscita per andare al lavoro. L'aveva vista andare via con il cuore in gola, ma non poteva impedirle di vivere la sua vita per restare accanto a lui.
Tornò nel suo appartamento a malincuore, fece una doccia e mangiò un altro dei suoi tristi panini. Non aveva molto da fare, perciò passò il resto della mattinata a fare zapping in tv.
Era da poco passata l'ora di pranzo, quando qualcuno bussò alla porta.
«Ragazzi, che ci fate qui?» chiese a Elvis e Lento.
Il primo gli sbatté in faccia un vestito dentro una custodia nera.
«È il momento e il Boss ti vuole elegante per la Fatina. Muoviti a vestirti, se non vuoi che ti portiamo nudo all'appuntamento».
«Ma se hai appena detto che il Boss mi vuole elegante!»
«Senti, non ricominciare!» gli puntò il dito contro, pronto a sferrargli un altro pugno sul naso.
«Ok, va bene, non c'è bisogno di scaldarsi tanto» sollevò le mani in segno di resa.
Indossò l'abito scuro, con tanto di cravatta e pochette di seta, e fu scortato fuori fino all'auto.
Una volta giunto in strada vide la macchina dei tirapiedi del Rabbino: c'erano due fori nel parabrezza e loro giacevano scomposti sui sedili.
«Smettila di guardarti intorno e sali in macchina!» gli disse Elvis.
«S-sì, scusa».
«E smettila di sembrare così tranquillo, lo sappiamo che sei un pivellino al primo omicidio che se la sta facendo addosso. Mi metti ansia con quel tuo sorrisetto del cazzo!» continuò a rimproverarlo una volta che furono in macchina.

L'appartamento di Yitzchok si trovava in un moderno ed elegante palazzo in centro, nella zona dei super ricchi, la famosissima Upper East Side.
Slevin attraversò i corridoi in punta di piedi, quasi temesse di far rumore con la sua normalità.
«Ehi, sei in anticipo» gli disse con tono suadente il figlio del Rabbino, quando lo vide.
«Posso entrare?»
«Ma certo, vieni pure» si fece da parte per lasciarlo passare.
Slevin entrò e poggiò la porta sullo stipite senza chiuderla.
Capelli ricci, naso adunco su cui erano posati occhialetti rettangolari dalla montatura leggera, fisico mingherlino da ranocchietto gracile. Il figlio del Rabbino gli fece quasi pena.
«Versati da bere, io mi stavo preparando. Mi devi scusare, non ti aspettavo così presto. Vuoi un po' di vino? Sai, stai benissimo» disse un po' agitato.
Slevin ricambiò lo sguardo, sperando di non lasciar trasparire nulla.
«C'è qualcosa che non va?»
«Qualcuno vuole ucciderti» gli disse guardandolo dritto negli occhi.
«Cosa? Chi?» chiese l'altro incredulo.
«Io» ammise con candore, poi tirò fuori la pistola con il silenziatore e gli sparò due colpi al petto.
Yitzchok cadde senza emettere un suono, mentre il sangue colava copioso sulla moquette chiara.
Si abbassò per sincerarsi che fosse morto, ma il suono di un grilletto alle sue spalle gli fece gelare il sangue nelle vene.

Argent era lì, proprio dietro di lui, indossava il suo solito impermeabile color sabbia e teneva in mano una pistola identica alla sua. Sollevò il braccio e sparò un colpo dritto in mezzo agli occhi di Yitzchok, mettendo fine alla sua agonia poco prima che premesse il pulsante sulla catenina.
«C'è mancato poco» disse gelido, lanciandogli le chiavi di una macchina.
«Quasi» rispose Slevin afferrandole al volo.
«Scendi giù a prenderlo, qui finisco io».
C'era una parete grande e spoglia in salotto, Argent avvicinò l'orecchio e sentì due uomini ridere e parlottare: i due ex Mossad al servizio del Rabbino.
Strappò la catenina dal collo di Yitzchok, si posizionò di fronte alla parete, premette il pulsante e poi si preparò impugnando la sua pistola e quella di Slevin.
Come previsto, le guardie sfondarono la parete di cartongesso con i loro mitra carichi, ma vennero freddati dai proiettili di Mr. Goodkat prima di poter capire cosa stesse accadendo.
Slevin tornò nell'appartamento insieme a una grossa valigia nera, la posò a terra e guardò il disastro di calcinacci e cadaveri.
«Quasi» disse di nuovo con il suo tono impassibile.
Aprì il bagaglio e tirò fuori il cadavere congelato di Nick Fisher, scambiò il suo vecchio orologio con quello alla moda di Nick e poi lo trascinò accanto al corpo di Yitzchok.
Completarono quel macabro quadretto cospargendo tutta la cucina e il salotto di benzina, poi accesero un fiammifero e corsero via.
Salirono in macchina giusto in tempo per vedere l'esplosione dell'appartamento del figlio del Rabbino, la cui unica colpa era proprio essere figlio del Rabbino.




   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Horror_Vacui