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Autore: Old Fashioned    10/11/2018    18 recensioni
Dewrich e Herich sono i due figli di re Evertas. Il primo è un guerriero forte e deciso, abituato a farsi obbedire e ad aprirsi la strada combattendo, il secondo è invece timido e intorverso, ed è certamente più a suo agio in una biblioteca che con una spada in mano.
La successione sembrerebbe scontata, ma ecco che inaspettatamente le cose non vanno secondo le previsioni e come erede al trono viene designato il topo di biblioteca. Il primo decide allora di risolvere la questione con mezzi drastici, accordandosi con una banda di pericolosi predoni, ma non ha fatto i conti con un soldato dal passato oscuro...
Prima classificata al contest "In viaggio" indetto da Emanuela.Emy79, a pari merito con "Dies Irae" di Yonoi
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Resen-Lhaw 9 Carissimi lettori, adoratissime lettrici,
siamo giunti alla fine dell’ennesimo mappazzone.
Devo a tutti voi un grandissimo ringraziamento, per avermi seguito, incoraggiato, consigliato e commentato, per avermi comunicato le vostre idee e le vostre impressioni e per avermi dato i vostri suggerimenti.
Come dico sempre, una storia non esiste in sé, prende vita se qualcuno la legge.
Quindi grazie a tutti voi per aver dato vita alla mia storia.







Capitolo 9

Il principe Dewrich spronò il suo roano con un colpo di tacco che spinse l'animale a sgroppare infastidito. “Buono,” gli ingiunse, stringendo le ginocchia e raddrizzando la schiena. Rinsaldò la presa sulle redini e il destriero arcuò il collo portando le orecchie all'indietro. “Buono!” ripeté il principe a voce più alta.
Investita in pieno dal sole della tarda mattinata, Dyat era come una bella donna che si mostrava ma poi era restia a concedersi. Il palazzo reale letteralmente scintillava, candido e splendente nella luce tersa; spinti dal vento, i suoi rossi vessilli si torcevano in volute sensuali.
Strinse i denti: aveva passato la vita a prepararsi per essere un giorno il signore di quel palazzo e di tutto il Daishrach. Aveva percorso la Via della Spada, consacrandosi a Jechen, e aveva sparso sudore, lacrime e sangue, perché la Via non era mai stata facile. Non appena aveva avuto l'età giusta, aveva cominciato a seguire il padre in ogni missione, in ogni incontro diplomatico e in ogni celebrazione. Su sua concessione, aveva esercitato la giustizia su feudi lontani o ricondotto all'obbedienza nobili recalcitranti. Era stato inflessibile in quelle circostanze, perché così ci si aspettava che dovesse essere un re, e suo padre l'aveva ogni volta avvallato, anche quando i cortigiani mormoravano sulla sua mano pesante o sulla sua mancanza di pietà.
Non era stato facile resistere a quelle ondate di biasimo, sostenere quegli sguardi di muta accusa, ma ogni volta si era imposto di riuscirci.
Non si era mai mostrato debole, tentennante o pavido, nemmeno quando in realtà era spaventato a morte o non sapeva che fare.
Aveva sopportato qualsiasi cosa, in vista del futuro ruolo di sovrano.
E poi era arrivata una stupida cerimonia, una faccenda da comari che fanno e tolgono il malocchio, e in un istante tutto era svanito: il prescelto era suo fratello, a lui non sarebbe rimasto altro che qualche miserabile ruolo secondario a corte, o magari, se suo fratello si fosse dimostrato buono, il comando di una parte dell'esercito. Non di tutto, naturalmente, per scongiurare il rischio di rivolte.
Lui, il maggiore, il più forte, il guerriero consacrato, avrebbe dovuto ritirarsi in buon ordine di fronte a un moccioso che aveva paura della propria ombra, debole, inetto e irresoluto. L'acciaio avrebbe dovuto cedere il passo alle piume, il leone al coniglio.
Si chiese se Dras fosse compiaciuto di quel raffinato scherzo, se dall'alto del suo trono celeste se ne stesse godendo gli effetti. Rivolse al cielo uno sguardo di sfida.
Tornò poi a fissare la città: c'era una sola strada per arrivare a Dyat, ovvero quella che attraversava le Cascate Grandi. C'erano anche altre entrate, naturalmente, che lui conosceva perché fin da giovanissimo si era posto l'obbligo di sapere tutto della città in cui avrebbe dovuto regnare, ma che senza dubbio il suo stupido fratellino, perso nei libri di epica e nelle giaculatorie, ignorava completamente.
Quella considerazione gli fece per l’ennesima volta rivolgere il pensiero all’identità dell'uomo che lo stava accompagnando. Per quanto ci si fosse arrovellato, non era riuscito a giungere a una conclusione. Non gli risultava che qualcuno, tra gli uomini che aveva scelto per scortarlo, gli fosse particolarmente affezionato. Herich aveva chiesto che alla spedizione fosse aggregato quel soldato di mezz'età che si chiamava Res, o qualcosa del genere, ma si trattava di un inetto, un mezzo scemo che forse gli era piaciuto proprio per la sua aria da grosso orso stupido.
Un As'vaan, forse? Magari Jeisym in persona? Possibile che Herich fosse stato in grado di contrattare la propria salvezza promettendogli una ricompensa se fosse riuscito a riappropriarsi del trono?
Abbandonò quelle considerazioni con una smorfia di fastidio. Qualsiasi cosa fosse successa, la certezza era una: chi avrebbe dovuto uccidere Herich non l'aveva fatto, e ora suo fratello, assistito da un misterioso accompagnatore, stava arrivando a rompergli le uova nel paniere, a togliergli quello che gli spettava per diritto di nascita, a fare di lui un miserabile subalterno in quello che a tutti gli effetti sarebbe dovuto essere il suo regno, il regno di Dewrich il Terribile, signore del Daishrach.
Fermò il cavallo su un'altura e da lì rimase a contemplare le Cascate Grandi, di cui anche a quella distanza percepiva il rombo cupo. Fissò di nuovo la strada che conduceva alla città, e questa volta non lo fece con l'occhio colmo di nostalgia e risentimento dell'amante defraudato, ma con quello distaccato e preciso del condottiero che deve elaborare una strategia.

§

Herich gettò uno sguardo all'Edayr, di cui la strada seguiva il corso, e la vista del grande fiume gli comunicò una sorda sensazione di disagio.
Con un gesto quasi inconsapevole si trovò a voltarsi indietro, verso la strada che avevano percorso, e percepì nei confronti di essa un'acuta fitta di nostalgia. Come già gli era successo in vista di Perechyra, rimpiangeva il rassicurante limbo del viaggio, nel quale si aspetta qualcosa che comunque accadrà dopo, e quasi si può fare finta che quel qualcosa non esista.
Teoricamente avrebbe dovuto essere contento: stava per tornare a casa, dove il re suo padre sarebbe impazzito di gioia nel rivederlo e tutti gli avrebbero fatto festa. Era certo che sarebbero stati proclamati dodici giorni di festeggiamenti, così come erano stati senza dubbio proclamati dodici giorni di lutto alla notizia della sua morte, e poi sarebbe cominciata la sua istruzione in vista dei nuovi compiti a cui sarebbe stato destinato: niente più studi da chierico, ma arte della guerra e del buon governo.
Ma invariabilmente, quando pensava al futuro, ricomparivano i dubbi e le preoccupazioni: sarebbe stato in grado di governare? Sarebbe riuscito ad avere la giusta inflessibilità, il giusto distacco? Sarebbe riuscito a essere imparziale o in ogni occasione avrebbe seguito le emozioni momentanee a scapito della ragione e del calcolo?
Si voltò verso Res, di cui percepiva con la coda dell'occhio la massiccia presenza. Dalla notte nel tempio non avevano scambiato che poche parole, perlopiù inerenti il viaggio o altre faccende pratiche. Sentiva che qualcosa si era incrinato fra loro e forse, nell'imminenza dell'arrivo e di tutto quello che sarebbe seguito, era giunto il momento di chiarirsi. “Res,” disse.
Il soldato si voltò e alzò gli occhi su di lui. “Principe?”
Herich si morse irresoluto il labbro inferiore, poi mormorò: “Res... io volevo dirti che mi dispiace per quello che ti ho detto. Erano cose che non pensavo, le ho dette in un momento di rabbia, perdonami.”
Non hai bisogno di scusarti con me, principe,” fu la distaccata risposta.
Invece sì,” insisté il ragazzo, alzando leggermente la voce. “Ti ho offeso senza motivo, quindi ti chiedo scusa.”
Il soldato non replicò, lui dopo un po' riprese: “Forse ero nervoso. Cioè, lo sono. E sono spaventato, anche. Finché eravamo lontani, era come se certe cose non esistessero, ma adesso non posso più ignorarle, non credi?”
No, non puoi, principe.”
Herich emise un sospiro, poi disse: “Già, è quello che temevo. Tu cosa pensi che succederà quando arriveremo?”
Nella migliore delle ipotesi, principe, entreremo in città e tu andrai a presentarti a Sire Evertas.”
Il ragazzo deglutì mentre un'oscura sensazione di minaccia lo pervadeva. “E nella peggiore?”
Ci sarà da combattere.”
Herich non replicò. Quella notte aveva fatto un sogno che l'aveva lasciato turbato e inquieto, forse anche più del pensiero di quello che sarebbe successo una volta giunto a Dyat. Era cominciato come sempre: aveva visto il Leone Rosso di spalle, mentre fissava sdegnoso il golfo di Brielar dalle acque arrossate di sangue. Come sempre gli si era avvicinato e l'aveva chiamato, e lì era accaduto il fatto che l'aveva turbato: a differenza delle altre volte, egli si era voltato verso di lui mostrandogli finalmente il volto.
Ricordava molto bene il sogno che aveva fatto presso i templi di Os'lak, alla viglia della cerimonia. Allora l'eroe era rimasto di spalle, ma una voce aveva detto: Si rivelerà nel momento del bisogno.
Alzò di nuovo lo sguardo su Res, aprì la bocca con l'idea di parlargliene, ma poi la richiuse senza aver proferito verbo. Dopo quello che era successo nel tempio, era certo che ciò che aveva da dire l'avrebbe fatto infuriare e preferì rimanere in silenzio.

§

Torniamo indietro, mio signore,” propose per l'ennesima volta Therved.
Jeisym aggrottò caparbio le sopracciglia e rispose: “Ti ho detto di no. Sul pantano abbiamo guadagnato parecchio terreno, l'ho visto dalle tracce. Possiamo ancora riprenderli, o almeno possiamo dare man forte a Den'en e Nys, e poi tornare indietro tutti insieme.”
Tornare indietro dopo aver ucciso il principe ereditario del Daishrach alle porte di Dyat, mio signore? Come pensi che fuggiremo?”
I nostri cavalli sono più veloci.”
Ma sono anche stanchi per tutti questi giorni di viaggio, mio signore, inoltre noi saremo venti contro mille.” Fece una pausa, quindi in tono conciliante soggiunse: “Dammi retta, torniamo indietro finché abbiamo la possibilità di farlo.”
No,” ringhiò il giovane Khan, quindi spronò il cavallo distaccandolo di alcune lunghezze.
Therved scosse la testa. Rivide Jeisym da piccolo: un bimbo pallido, riottoso, con un orgoglio smisurato. Ricordò che una volta era caduto da cavallo e si era rotto un braccio, ma non aveva detto niente per paura che il padre lo considerasse un debole. Se l'era steccato alla meglio, con le competenze che poteva avere un bambino di dieci anni, e sarebbe rimasto così per chissà quanto se lui non si fosse accorto della maldestra medicazione. Aveva dovuto lottare per portarlo dal guaritore, rimediando morsi e calci.
Poteva entro certi limiti capirlo: suo padre, Ezrym Khan, era un potente sovrano, rispettato e temuto da tutti gli altri Khan. Per tutta la vita, il ragazzo aveva dovuto lottare per essere all'altezza delle sue immense aspettative, per non deluderlo e per non deludere chiunque altro: il figlio di Ezrym Khan non poteva rivelarsi di levatura minore rispetto al genitore.
Spronò il cavallo e di nuovo gli si affiancò. “Dimmi cos'hai in mente, mio signore,” gli chiese.
Voglio raggiungerli, mi sembra ovvio.”
E poi?”
Jeisym si voltò di scatto verso di lui, i suoi occhi d'ambra fiammeggiavano come illuminati dall'interno. “E poi uccido quel tuo demone di Vurar e mi riprendo il ragazzo.”
Therved dapprima lo fissò attonito, quindi in tono duro gli disse: “Te lo riprendi, mio signore? Non ti è bastata la prima volta? Vuoi esporti di nuovo al rischio di fallire?”
Questo non è il modo di rivolgersi a me!” lo rampognò Jeisym in tono aspro, “Io sono il tuo signore, non dimenticarlo.”
Halmaikah mi è testimone, mio signore, io parlo così solo per il tuo bene. Già una volta hai sbagliato lasciandolo in vita, non farlo la seconda.” Stava anche per chiedergli come mai improvvisamente avesse deciso di riprendersi quel ragazzino pallido e magro, ma di nuovo Jeisym spronò il cavallo e se lo lasciò alle spalle.
Therved sospirò rassegnato. Diede un'occhiata ai dintorni: nonostante l'ora ormai avanzata, la strada era quasi deserta. Solo qualche carro o qualche viaggiatore a piedi la percorreva lento. Probabilmente la notizia della morte dell'erede al trono si era diffusa e secondo le credenze del Daishrach entrare a Dyat prima di un certo tempo avrebbe portato sfortuna. Tese l'orecchio: il rombo delle Cascate Grandi cominciava a farsi sentire come un mormorio cupo, il corso dell'Edayr si era fatto più veloce e impetuoso. La città di pietra bianca, nitida sullo sfondo dei monti Kelis, gli diede l'idea di essere un sepolcro in attesa.

§

Herich strinse le dita sulle redini e si guardò intorno vagamente intimidito. Ormai erano entrati nell'enorme semicerchio delle Cascate Grandi ed egli aveva l'impressione di essere precipitato di colpo in un altro mondo. Il rombo dell'acqua copriva ogni altro rumore e tutti quei piccoli suoni come il tinnire dei finimenti, il battere degli zoccoli e tutto il resto, che di solito davano all'ambiente un sottofondo noto e rassicurante, erano scomparsi. L'aria era fredda, pervasa di un'umidità densa e opaca, nella quale i raggi del sole diventavano corporei come creature e sembravano seguirlo dritti e rigidi come le zampe di un immenso ragno. Tutto era imperlato d'acqua, il selciato acquisiva strane traslucenze come di pietre dure, che spuntavano qua e là tra le chiazze di muschio color smeraldo.
Tutt'intorno, immense cateratte di ogni colore dal blu cupo al bianco, passando per tutti i toni del verde, si precipitavano verso il basso, andando a infrangersi in un ribollire di spuma candida.
Di quando in quando, un tronco raggiungeva il salto e precipitava nell'abisso: lo si vedeva allora immobile per un lunghissimo istante, stagliato contro un cielo azzurro pallido, poi subito dopo scompariva, inghiottito dai gorghi impetuosi, conteso dalle onde come una preda in un branco di lupi.
Alzando la voce per farsi sentire, chiamò: “Res!”
Principe?” chiese il soldato.
Res, andiamo più in fretta, per favore. Non mi piace questo posto.”
L'altro scosse la testa. “Non possiamo, principe. Questi ponti sono scivolosi, e...” non riuscì a finire la frase: un dardo gli si piantò nella spalla, sbalzandolo di sella. Il cavallo, spaventato, fuggì sgroppando.
Res!” urlò Herich, faticando per mantenere il controllo della propria cavalcatura. Il soldato si rialzò e afferrò l'asta che gli spuntava dal corpo, quindi la strappò via con un gesto deciso. Lasciò cadere il dardo, che scomparve nelle cascate, quindi gli ordinò: “Vattene!”
Ma io...”
Va' via!”
Un secondo dardo passò sibilando, Res sguainò la spada. “Va' via!” ripeté, “Qui mi crei solo impiccio!”
Senza replicare, Herich fece girare il cavallo. Mentre l'animale si voltava, colse con la coda dell'occhio una figura alta e robusta, con lunghi capelli scuri, vestita di un'armatura di ferro blu.
Dewrich,” mormorò. Lo scroscio delle cateratte era talmente forte che non sentì la sua stessa voce.
Forse avrebbe dovuto allontanarsi al galoppo, ma non riuscì a fare altro che pochi passi. Raggiunse uno slargo della strada, una specie di terrazza panoramica che permetteva di ammirare la terribile magnificenza delle cascate, e smontò di sella. Si passò una mano tra i capelli umidi, deglutì faticosamente cercando di dominare il tremito che l'aveva pervaso e cercò di concentrarsi su una preghiera da rivolgere a Dras, ma nonostante Cresdan gliene avesse fatte imparare a memoria delle decine, in quel momento non gliene veniva in mente nessuna.
Strinse gli occhi: Cresdan ormai era lontanissimo e annebbiato come i dintorni che stava osservando in quel momento. Era una figura indistinta, della quale a malapena ricordava la bonomia e l'imponenza fisica.
Fissò l'attenzione a quello che si stava svolgendo più avanti e vide Res e Dewrich che si fronteggiavano.
Si appoggiò al fianco del cavallo e rimase immobile, incapace di distogliere lo sguardo.

Res cercò di fare il vuoto nella mente. Sentiva il sangue scorrergli lungo il torace, in rivoli caldi che gli inzuppavano gli abiti e glieli appesantivano. La ferita al fianco pulsava, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.
Respirò adagio, concentrandosi sul peso della spada che stringeva in pugno e sulla grana leggermente ruvida del cuoio che ne rivestiva l'impugnatura. L'acciaio lucente della lama era appannato da una corposa nebbia d'acqua.
Sei stanco, uomo?” lo provocò Dewrich, “Hai paura?” Lasciò cadere la balestra con cui l’aveva colpito.
Il soldato alzò lo sguardo su di lui: egli camminava con la grazia letale di un predatore, spavaldo ma attento a ogni sua mossa. Portava l'armatura senza apparente fatica e quando sguainò la spada lo fece con la scioltezza languida di chi è in grado di maneggiare una lama come un'estensione del proprio corpo.
Dewrich inarcò le sopracciglia quando lo vide in faccia. “Sei proprio tu?” gli chiese incredulo. “Sei quello che ha difeso il povero bambino maltrattato sulla piazza d’armi, non è vero? Che cos’hai fatto ai templi, ti sei nascosto da qualche parte per salvarti la pelle?” Fece una breve risata, poi soggiunse: “Lascia stare, non mi interessa, tanto tra un po’ ti manderò dai tuoi dei, se ne hai, e poi mi occuperò del moccioso.”
Sempre se non sarò io a mandare te dai tuoi dei,” replicò con calma Res.
Ma davvero?” ghignò Dewrich. “Il peggior marmittone di tutto l’esercito di Dyat che minaccia un guerriero di Jechen? Sei forse pazzo, uomo?”
Res non rispose.
Fatti sotto, allora,” disse il principe. Usò un tono quasi di scusa, come se fosse dispiaciuto di doverlo abbattere.
Il soldato rimase immobile. Per un attimo gli passarono davanti agli occhi immagini di una mischia feroce, risentì le urla, rivide l'acqua tinta di rosso, nel naso gli parve di avere ancora una volta l'odore ferrigno e acre di corpi aperti. Il suo solito tremore minacciò di invaderlo, ma egli strinse i denti imponendosi di nuovo e con maggiore decisione il distacco.
Non vuoi farti sotto?” lo irrise Dewrich. “Vuoi il vantaggio di vedermi colpire per primo?” Fece una breve risata. “Ma sì, te lo lascio, vecchio marmittone. Così almeno il divario fra noi sarà un po' meno ampio e ti ammazzerò senza che Jechen mi disprezzi troppo.”
Balzò in avanti, fintò una punta al petto di Res, ma all'ultimo istante con un mezzo giro del polso gli tirò un tondo dritto. Evitò di proposito di toccarlo, poi con un movimento agile scattò di nuovo all'indietro. Dalla nuova posizione rimase a fissarlo con un sorrisetto di scherno. “Ebbene?” gli chiese.
Certo, molto bravo,” concesse Res, “Rapido e preciso.” Poi, in tono grave: “Ma io passerò, principe, con il tuo consenso o no. Tu hai tradito tuo fratello e la tua stirpe, giustizia vuole che ora il principe Herich riprenda il suo legittimo posto di erede al trono.”
Dewrich ebbe una risata sprezzante. “Giustizia, dici? Di che giustizia stai parlando? Io sono stato defraudato del ruolo che mi spettava di diritto in quanto figlio maggiore.”
È un ruolo che evidentemente non meritavi, se Dras ha scelto il principe Herich.”
Non mi venire a raccontare delle favole, Dras non c'entra niente in questa faccenda. L'erede al trono sono io, e intendo riconquistare con le armi il mio diritto a regnare!” Di nuovo abolì la distanza, questa volta sferrando un fendente alto. Non fu un colpo finto come il precedente: fu portato a pieno e con tutta la forza. Res dovette faticare per riuscire a pararlo e la sollecitazione della spalla ferita gli strappò un grugnito di dolore. Si fece indietro ansante e rimase a studiare torvo quel giovane guerriero che non sembrava avere punti deboli.
Dewrich gettò indietro i capelli con uno scatto del capo e prese a girargli intorno lentamente. “Da che parte ti colpirò?” lo canzonava frattanto, “Da dove arriverà il colpo di grazia?”
Res si limitò a fare perno sui piedi in modo da mantenersi sempre faccia a faccia con lui. Agganciò il suo sguardo mentre con la visione periferica continuava a tenere sotto controllo la scena, poi d'improvviso scattò in avanti con uno stretto tondo rovescio. Dewrich aggrottò le sopracciglia e si fece indietro, la spada superò comunque la sua guardia e si udì il clangore del ferro sull'armatura. Un paio di scintille baluginarono per un istante e poi si dissolsero nella nebbia.
Molto bravo,” commentò Dewrich sarcastico. “O, più probabilmente, molto fortunato, non è vero? Ora tocca a me, però.”
Fece un affondo talmente rapido che Res quasi non lo vide arrivare e non poté fare altro che arretrare in modo precipitoso, scomponendo la sua guardia. Il principe allora lo colpì dal basso verso l’alto procurandogli un profondo taglio sul torace. Il soldato gemette e si fece indietro barcollando. Per un istante dovette appoggiare un ginocchio a terra, ma riuscì a balzare indietro prima che Dewrich potesse incalzarlo con un altro assalto.

Res!” urlò Herich sentendosi venire meno. Il soldato barcollava grondando sangue e sembrava che anche solo tenere la spada puntata contro Dewrich gli costasse un’enorme fatica.
Si fece avanti adagio, il cavallo sempre tenuto per le redini, incapace di distogliere gli occhi dai due contendenti.
Dewrich lo vide arrivare, gli rivolse un sorriso cattivo e disse qualcosa. Egli non l’afferrò, nel fragore delle cascate che li circondavano da ogni parte, ma immagino che fosse una promessa di morte.
Deglutì ma si impose di non indietreggiare.
Dewrich attaccò di nuovo, Res sottrasse bersaglio e con un fendente rovescio riuscì a colpirlo in faccia, costringendolo a indietreggiare con una mano premuta sulla fronte e rivoli di sangue che filtravano fra le dita. Subito dopo il soldato lo incalzò, ma l’altro riuscì a riprendere il controllo.
Sotto gli occhi inorriditi di Herich, la spada di Dewrich si immerse nel petto di Res come un coltello rovente nel burro, poi gli uscì dalla schiena, sotto la scapola. Il soldato si irrigidì, la bocca gli si spalancò in un grido muto, ma egli non cadde. Afferrò invece saldamente il principe per una spalla, quindi lasciò cadere la spada, che produsse sulle pietre un sinistro clangore, ed estrasse dalla cintura il pugnale. La lama baluginò per un istante, come investita da un fugace raggio di luce, quindi si immerse completamente nel collo di Dewrich.
Il principe spalancò gli occhi e barcollò all’indietro mentre dalla bocca un fiotto di sangue scendeva ad arrossargli l’armatura. Crollò al suolo con un lamento gorgogliante, si contrasse in un assurdo tentativo di strapparsi di dosso la lama letale, poi si afflosciò e giacque immobile. La mano che stringeva l’elsa della spada si aprì e il soldato, la lama ancora infissa nel corpo, rotolò da una parte.
Herich corse a inginocchiarsi accanto a lui. “Res!” gridò, sollevandogli la testa. “Res, parlami, ti prego!”
L’uomo aprì lentamente gli occhi, che a Herich parvero più azzurri e limpidi che mai. Abbozzò un pallido sorriso che però subito subito si trasformò in una smorfia di dolore. “Principe...” mormorò a fatica.
Angosciato, il ragazzo gridò: “Res! Res, che cosa devo fare? Come posso aiutarti?”
Mi hai già aiutato, principe. Grazie a te ho… pagato il mio debito.”
Tu non hai nessun debito!” Herich si buttò ad abbracciarlo. “Non voglio che tu muoia, Res! Voglio che tu stia sempre con me!” Si accorse di ansimare come in preda al terrore, mentre il cuore gli batteva come se avesse voluto scoppiargli nel petto. “Res, ti prego! Lo sai cos’ho visto in sogno? Il Leone Rosso si è girato a guardarmi, ed eri tu! Eri tu, capisci? Questo è un segno di Dras, non puoi lasciarmi!”
Res inspirò stentatamente e quando fece uscire il fiato un rivolo rosso lo accompagnò. “Io… devo andare,” mormorò, con voce così debole che quasi si perse nel rombo folle delle cateratte. “Devo andare, la mia missione è finita.”
La tua missione è appena cominciata, soldato!” gridò Herich, con le lacrime che gli offuscavano la vista e un artiglio di ghiaccio che gli serrava il petto. “Mi devi insegnare tutto, voglio diventare come te!”
Ancora una volta, l’uomo sollevò lo sguardo su di lui e Herich vide spegnersi il suo fulgore nel momento in cui la vita lo abbandonava.
Rimase immobile a fissarlo per lunghi minuti, forse nella speranza che anche quello fosse un sogno, infine adagiò con delicatezza il corpo ormai inerte sul selciato umido e col viso tra le mani prese a singhiozzare disperatamente.

Passò un tempo imprecisato. A un tratto, pur coperti quasi del tutto dal fragore delle cascate, a Herich parve di sentire dei rumori in avvicinamento. Abbassò le mani con cui si era coperto il volto e alzò esitante lo sguardo.
Gli si gelò il sangue: la strada era occupata da una torma di predoni di As’del.
Rimase immobile. Non avrebbe avuto senso cercare di scappare, ovviamente, né in giro c’era qualcuno che avrebbe potuto intervenire in sua difesa.
Dal gruppo si staccò Jeisym Khan, che smontò da cavallo, affidò le redini dell’animale a uno dei suoi uomini e a passo lento gli si fece incontro. “Eccoti qui,” gli disse ironico. “Ci ritroviamo, finalmente.”
Non ti avvicinare,” mormorò Herich, arretrando precipitosamente.
L’altro si limitò a una breve risata. “E perché non dovrei avvicinarmi? Non mi sembra che il tuo amico sia in grado di impedirmelo, ormai.”
Fece girare lo sguardo sprezzante sui due corpi riversi, ma appena i suoi occhi si posarono sul volto di Res, egli sbiancò in viso e si immobilizzò. “Generale,” mormorò poi stranito. “Com’è possibile?”
Cosa?” chiese Herich, ma lui non gli badò nemmeno. Apparentemente dimentico di tutto si chinò accanto al corpo e rimase a fissarlo in silenzio per un tempo che al ragazzo parve interminabile. Alla fine si alzò bruscamente in piedi, si pose la destra chiusa a pugno sul petto e solennemente disse: “Sono dolente di rivederti in una circostanza così triste, generale. Non posso restituirti la vita che un tempo mi hai donato, ma posso almeno portare a termine la tua missione.” Si voltò verso Herich, che lo stava fissando ammutolito dallo stupore, e in tono severo gli disse: “Bada, non mentire: era lui che ti accompagnava?”
Il ragazzo chinò la testa. “Sì.” Le lacrime ripresero a scorrergli sulle guance.
Alzati in piedi,” gli ordinò allora l’As’vaan, “rimonta in sella, e mantieni un contegno dignitoso davanti al generale.” Si voltò verso i suoi uomini e chiamò: “Therved!”
L’uomo si fece avanti. “Cosa comandi, Khan?”
Therved, scortate Sua Altezza come si conviene a un principe. Accompagnatelo fino alle porte di Dyat e badate che non gli accada nulla. Quando sarà al sicuro dentro le mura, tornate qui da me. Io non verrò con voi: ho qualcosa da fare qui.”
Come tu comandi, Khan,” disse l’altro inchinandosi, poi diede un paio di ordini nella lingua di As’del e gli uomini si disposero in una guardia d’onore. Tutti presentarono le armi a Res, passando, e poi si fermarono in due file parallele. Herich capì che stavano aspettando lui e si portò alla testa della colonna.
Jeisym lo fissò negli occhi e gli fece un muto cenno di assenso con la testa, poi si disinteressò di lui e tornò a voltarsi verso il corpo di Res. Rimase a contemplarlo in silenzioso raccoglimento.
Ancora frastornato da tutto quello che era successo, incapace di parlare, Herich mise il cavallo al passo lungo la strada che portava a Dyat. Alle sue spalle, muti e solenni, cavalcavano venti predoni di As’del.

§

Quando un corteo reale guidato da re Evertas in persona raggiunse il ponte, tutti ammutolirono dallo stupore.
Con lo sfondo maestoso delle Cascate Grandi, Res giaceva a lato della strada su un manto scarlatto, composto come un antico eroe. Uno stendardo con un leone rosso rampante copriva le sue ferite e ai suoi piedi, come un trofeo, c’era la spada del principe Dewrich. Le sue mani, posate sul petto, stringevano due splendide spade di fattura As’vaan dall’elsa incrostata di gemme.
Egli aveva un’espressione nobile e severa, che rendeva il suo volto singolarmente bello.
Herich abbandonò la propria cavalcatura e corse a inginocchiarglisi accanto. Sollevò poi la testa verso il genitore e disse: “Padre, voglio esequie solenni per lui. Dovrà essere sepolto nel Mausoleo degli Eroi, in un sarcofago tutto d’oro...” Mentre parlava, in tono sempre più urgente, con le parole che si accavallavano l’una sull’altra, le lacrime ricominciarono a scendergli lungo le guance. Di nuovo scoppiò in singhiozzi.
A quel punto, accompagnato dal generale Xarey, smontò da cavallo anche il re, gli si avvicinò e a sua volta fissò le spoglie di Res. “È stato un uomo coraggioso,” disse in tono conciliante, “ti ha riportato qui incolume.”
Herich non replicò. Tra i singhiozzi si limitò a ripetere che voleva esequie solenni. Il generale si sporse a guardare, sollevò stupito le sopracciglia e si scoprì il capo in segno di rispetto, quindi disse: “Principe, con il tuo permesso, io non credo che vorrebbe riposare qui a Dyat.”

§

In sella a uno stallone di razza Yereian, seguito dalla Guardia d’Onore, re Herich percorreva la strada per il golfo di Brielar. Al suo fianco, in sella a un pony di dimensioni proporzionare alle sue, cavalcava suo figlio.
Eccitato da tutte le novità del viaggio, il bambino si rizzò sulle staffe e con voce argentina chiese: “Quando arriviamo, padre?”
Manca meno di un’ora, Tjeran.”
Un’ora? Ma è tantissimo!” protestò il principino, continuando a mantenersi in equilibrio sulle staffe. “Io sono stanco.”
Il re sorrise. “Vuoi dirmi che non riesci a stare in sella per così poco tempo? Ma lo sai che il Leone Rosso poteva cavalcare per un giorno intero?”
Il bambino si sedette di nuovo. Come tutte le volte che lui parlava di Resen-Lhaw, lo fissò con gli occhi sgranati, poi chiese: “Io mi chiamo come lui, vero?”
Certo, Tjeran, come Tjeran Sonse. Porti il suo nome perché era un grande eroe.”
Anch’io diventerò così?”
Quando diventerai grande.”
Ma quando diventerò grande?”
Quando mangerai tutto quello che hai nel piatto senza fare storie.”
Continuarono a scambiarsi domande e risposte fino a che la strada non sbucò in uno spiazzo che dall’alto dominava l’azzurra immensità del mare, in quel momento accarezzata dalla luce calda del tardo pomeriggio.
Ci siamo,” disse il sovrano. Il bambino avrebbe voluto domandare qualcos’altro, ma intimidito dall’aria di solennità che d’improvviso il genitore aveva assunto, non osò proferire verbo.
Il re smontò da cavallo e aiutò il figlio a fare altrettanto, quindi lo prese per mano e si incamminò con lui lungo un viottolo che saliva serpeggiando.
Raggiunsero un secondo spiazzo più piccolo, dal quale si poteva abbracciare con la vista l’intero golfo di Brielar. Esso era contornato da duri arbusti costantemente agitati dal vento e ospitava una semplice tomba di pietra grigia sulla cui lapide era inciso un leone rosso rampante.
Re Herich si inginocchiò davanti al sepolcro, giunse le mani e chinò la testa in segno di rispettoso raccoglimento. “Vieni anche tu,” disse al bambino. “Se sarai buono, ti racconterò la storia dell’ultima battaglia di Resen-Lhaw.”
Quando lui ti ha salvato?”
Il re emise un sospiro. “Sì.”

Quando si alzarono, il sole stava calando e la luce calda del tramonto accendeva ogni cosa di un sontuoso rosso aranciato.
Re Herich si avvicinò al bordo dello spiazzo e da lì rimase a contemplare le onde. Esse erano vermiglie, ma non più di sangue.
Si voltò verso la tomba, anch’essa accarezzata dai caldi raggi, e ne sfiorò la superficie con la mano. “Grazie, Res,” sussurrò.
Che cosa dici, padre?” volle sapere il bambino.
Niente, Tjeran. Dico che è ora di tornare indietro, perché giù ci stanno aspettando.”
Prese il figlio per mano e si incamminò lungo il sentiero. Alle sue spalle, Resen-Lhaw rimase a vegliare in eterno sulle acque del golfo di Brielar.


   
 
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