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Autore: Sognatrice_2000    29/01/2019    0 recensioni
"Il loro amore non era destinato ad essere eterno. Quel sentimento che provavano l’uno per l’altro non era destinato ad invecchiare, a sfiorire, a consumarsi attraverso il tessuto del tempo.
Era una fiamma violenta, che aveva bruciato troppo intensamente e si era spenta troppo presto."
Questa è la storia d'amore di Zoisite e Kunzite, del loro amore durato una sola stagione, del loro amore che era una scintilla rubata d’eternità, una luce splendente in un mondo oscuro e pieno di miserie.
Questa è la storia del loro bellissimo, tragico amore.
"Storia partecipante al Contest "l'Amore, quello vero" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Kunzite/Lord Kaspar, Shitennou/Generali
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati sei mesi dal giorno in cui aveva visto Zoisite per la prima volta, eppure Kunzite ricordava ancora vividamente ogni dettaglio di quel momento.

Era una tiepida giornata d’estate, il sole splendeva alto nel cielo terso e l’aria odorava di rose e spezie; e sotto quel sole, davanti all’Accademia Militare, erano schierate file di nuove reclute che sarebbero state sotto il suo comando, giovani uomini che avrebbe dovuto addestrare a diventare ottimi soldati dell’esercito del principe.

Il suo sguardo duro e implacabile si era posato su di loro, mentre li studiava in silenzio, cercando di intuire le loro forze e le loro debolezze.

E poi li vide, quegli occhi verdi che scintillavano come due smeraldi preziosi su un viso efebico.

Dalla prima volta che Kunzite aveva incrociato i suoi occhi non aveva più potuto dimenticarli.

Acuti e intelligenti, palpitanti di vita, dentro di loro ardeva una fiamma di passione che aveva sciolto il ghiaccio dentro di lui con un solo sguardo appena accennato. 

I loro sguardi si erano incrociati soltanto per pochi secondi, eppure bastò per far vibrare l’anima di Kunzite di un’emozione intensa e sconosciuta, che prima di allora non aveva mai provato.

Zoisite era l’uomo più bello che avesse mai visto, di una bellezza eterea, senza tempo, di una bellezza che intimorisce e toglie il fiato.

Ma in seguito avrebbe scoperto che c’era anche un’altra bellezza dentro la sua anima, una bellezza più profonda che lo spingeva a desiderarlo ancora più intensamente.

Prima di conoscerlo, Kunzite aveva vissuto una vita a metà, priva di piaceri, di priva di gioie, priva di emozioni: non conosceva altro che il dovere, l’abnegazione, la lotta, il sacrificio. 

Poi era arrivato Zoisite, e in un attimo aveva distrutto le sue convinzioni con la stessa facilità con cui si distrugge un castello di carte.

Zoisite era entrato prepotentemente nel suo cuore, senza nemmeno chiedere il permesso, con quell’irruenza e arroganza che l’avevano sempre contraddistinto. Lui l’aveva lasciato entrare. Di solito non lasciava entrare le persone. E gli aveva permesso di prendersi tutto, di svuotarlo, di spezzarlo, di sostituire parti del suo essere con pezzi di lui. 

Zoisite e la sua spontaneità, Zoisite e la sua gioia di vivere, Zoisite che non aveva paura di mostrargli le sue emozioni, che non temeva di sfidarlo e di mettere in discussione i suoi ordini e i suoi consigli.

Zoisite che lottava ferocemente contro di lui durante i loro allenamenti con la spada, che gli aveva graffiato la guancia con la lama e dopo aveva medicato con dolcezza la sua ferita. 

Zoisite che lo aveva fatto ballare sotto la luce delle stelle, che faceva piroette lanciando in aria i fiori di ciliegio, negli occhi la meraviglia infantile di un ragazzo ancora bambino dentro-erano semplici fiori, ma Kunzite amava la gioia che riuscivano a regalargli.

Zoisite che lo aveva fatto ridere, Zoisite che lo aveva fatto sognare. 

Zoisite, che gli faceva credere alla felicità. 

Zoisite che ogni sera lo aspettava pazientemente davanti ad una tavola apparecchiata davanti alla quale gli raccontava la sua giornata; che la notte strisciava nel suo letto dopo un incubo e cercava la sua mano e la teneva stretta fino al mattino dopo; che gli era stato vicino senza chiedere niente in cambio, sopportando i suoi silenzi, la sua freddezza, la sua ostilità, la sua totale incapacità di esprimere il suo affetto per lui.

E mentre Kunzite cercava di difendersi da lui, sentiva che avrebbe voluto proteggerlo da se stesso, per non macchiare con la sua oscurità quella luce che Zoisite aveva dentro di sé.

Zoisite era una luce abbagliante che aveva squarciato le tenebre della sua vita.

E adesso quella luce si stava spegnendo giorno dopo giorno, portando via tutti i colori dalla sua vita, senza che lui potesse fare niente per impedirlo, e presto sarebbero rimasti solo buio e lacrime e dolore…

Le dita di Kunzite si strinsero attorno ai fili d’erba così tanto che le sue nocche divennero bianche. 

“Qual’è la tua paura più grande?” Gli aveva chiesto una volta Zoisite, non con il tono derisorio di chi ha intenzione di prenderti in giro, ma con la dolcezza di chi vuole conoscere le tue paure per rassicurarti e proteggerti da loro.

Le parole erano proprio lì, arrotolate sul bordo della lingua, ma lui si era rifiutato di farle uscire. 

Di perderti.

“Kunzite!” Sobbalzò al suono di una voce che ben conosceva, voltandosi stupito. Zoisite, avvolto soltanto da una leggera camicia da notte bianca, si stringeva nelle braccia per proteggersi dal vento freddo e pungente della sera. “Credevo di trovarti nella tua stanza, la luce era accesa ma non c’era nessuno, così sono uscito a cercarti… Va tutto bene?”

Kunzite sbattè velocemente le palpebre per nascondere le lacrime che avevano iniziato a bagnargli gli occhi. “Sì, certo. Avevo solo bisogno di una boccata d’aria fresca. Piuttosto, tu non dovresti stare qui. Va' a letto, hai bisogno di riposo.”

Zoisite scosse dolcemente la testa, chinandosi per sedersi accanto a lui sull’erba. “Presto riposerò per l’eternità. E poi non sei più il mio comandante, l’hai dimenticato? Non puoi più darmi ordini.”

Kunzite sbuffò e rise, una risata fragile come vetro, falsa come un fiore finto.

“Sei veramente una persona insopportabile, Zoisite.”

“Allora il mondo sarà decisamente un posto migliore senza di me.”

No. No, non è vero. 

Kunzite non seppe dire perché, con uno scatto fulmineo, gli afferrò il mento e premette le labbra sulle sue, in un bacio niente affatto casto che aveva il sapore salato delle lacrime e quello amaro della disperazione.

Forse perché lo desiderava da tanto- troppo- tempo, o forse semplicemente per zittirlo e impedirgli di dire altre sciocchezze.

Tutto quello che sapeva era che Zoisite era bello – era bello e triste, e lui pensò che forse non avrebbe mai più avuto l'occasione di farlo e quindi l'aveva fatto e basta.

Le labbra di Zoisite erano sorprendentemente morbide e incredibilmente sottili, la pelle che tremava sotto le sue carezze, gli occhi aperti e stupiti quando lui aveva trovato il coraggio di aprire i suoi.

Quando alla fine si allontanò, erano entrambi senza fiato e Kunzite non aveva la minima idea di cosa aspettarsi – sicuramente non si aspettava di venire schiaffeggiato. 

Invece fu proprio quello che successe.

“Non farlo mai più.” La voce di Zoisite tremò, e lui avrebbe voluto scuoterlo e capire, ma dovette limitarsi a chiedere.

“Perché? So di non meritarti, ma…”

Zoisite scosse la testa e si morse le labbra, nervoso,  e Kunzite si trattenne a fatica dall'allungarsi per baciarlo ancora, prendergli le mani e sfiorare ogni nocca. 

“Sono io che non merito te. Sai, ti farai male. Molto male. Non mi resta molto tempo, e tu ti farai male, ed è proprio quello che non voglio.” Zoisite alzò lo sguardo all'improvviso e incontrò di nuovo il suo, occhi chiari incapaci di nascondere la miriade di emozioni che li attraversavano.

“Dovresti scappare, Kunzite. Fallo. Ti prego, vai via.” Sembrava crederci davvero a quelle parole, ed era quello che gli faceva più male.

Ma Kunzite non poteva più scappare. 

Ci aveva provato a lungo, aveva provato a odiarlo perché era più semplice, ma alla fine era stato costretto ad accettare che lo amava, profondamente, disperatamente, pazzamente- con tutto il cuore.   

Amava i suoi bronci, i suoi capricci, i suoi sorrisi, i suoi lunghi capelli fiammeggianti, la sua impazienza, la sua impulsività, la sua esuberanza e la sua tenerezza, persino il suo carattere ribelle e insolente che all’inizio aveva tanto detestato. 

“Non posso.” Non posso lasciarti qui, non posso abbandonarti a te stesso, non posso starti lontano.

Tanti non posso tutti insieme che Kunzite non ebbe il coraggio di dire ad alta voce, ma Zoisite sembrò aver capito.

Forse fu per quello che alla fine si arrese sbuffando, sprofondando nel suo abbraccio.

E quando Kunzite lo baciò di nuovo, semplicemente lo lasciò fare. 

 

 **

 

Sdraiati sul prato ad osservare le stelle, Zoisite teneva la guancia appoggiata contro il petto di Kunzite, lo sguardo pensieroso rivolto verso il cielo sopra di loro.

“Pensi che ci sia qualcosa dietro al cielo? Forse… forse è lì che andiamo. Quando moriamo.”

Zoisite parlava spesso di morte,  senza pensarci o forse pensandoci troppo, senza essere più intimidito dal chiamarla col suo nome.

Gli faceva paura, a volte, la sua rassegnazione.

Erano le volte come quelle che Kunzite desiderava -baciarlo- potergli rispondere.

In quei momenti Zoisite non sembrava più tanto giovane-gli sembrava solo stanco e ancora pieno di coraggio. 

Zoisite era sempre stato coraggioso-più coraggioso di lui, più coraggioso di qualunque altra persona che avesse mai conosciuto. 

Stava morendo, consumato lentamente da una malattia che non lasciava scampo, eppure era l’incarnazione stessa della vita.

Era così affamato di vita, si nutriva di sogni, di risate, di tutto ciò che di bello c'era al mondo. 

“Dovrai aspettare ancora parecchio prima di scoprirlo.” Kunzite lottò per mantenere ferma la propria voce, premendo inconsciamente ancora di più il corpo di Zoisite contro il suo, come se avesse paura che potesse dissolversi tra le sue dita.

Zoisite emise una risatina amara, piccola, infinitamente triste, rifugiando il viso contro il suo collo, intrappolando nella sua pelle un sospiro che aveva il sapore sporco di lacrime trattenute. “Grazie.”

“Per cosa?”

“Per questa splendida bugia.”

 

**

 

 

“È sorprendentemente facile, sai? Fingere di avere coraggio.”

“Tu non fingi, Zoisite.”

“Invece sì. Non sono coraggioso… sono terrorizzato.” 

Zoisite posò la testa sulla sua spalla, il corpo scosso da singhiozzi sempre più violenti e inarrestabili. “Ho paura, Kunzite.” Sussurrò, così piano che lui credette di averlo solo immaginato. “Ho cercato di essere coraggioso, volevo disperatamente essere coraggioso ma adesso non ci riesco più. Ho paura, non voglio andare via… Non voglio lasciarti…”

Kunzite lasciò scivolare un braccio attorno alle sue spalle e lo spinse contro il suo petto, cercando di trasmettergli tutto quello che non aveva il coraggio di dire attraverso quell’abbraccio.

Non voglio che tu mi lasci.

 

 

**

 

 

 

 

 

Erano passati soltanto pochi giorni dalla sera in cui si erano baciati per la prima volta, quando le condizioni di Zoisite peggiorarono improvvisamente.

La febbre lo rendeva incapace persino di alzarsi dal letto e non accennava a diminuire, e Kunzite poteva solo rimanere a guardarlo, impotente, mentre lottava con tutte le sue forze inchiodato a quel maldetto letto, cercando di rubare sempre un respiro in più.

A volte si stendeva accanto a lui e lo stringeva forte, trattenendolo saldamente contro il suo petto, sussurrando parole rassicuranti tra i suoi capelli finché i brividi della febbre non si calmavano e Zoisite si addormentava stremato; trascorsero in quel modo due settimane.

Finché inevitabilmente giunse quel giorno.

Il suo ultimo giorno.

“Kunzite?” Zoisite lo chiamò, piano, sottovoce, forse pensando che stesse dormendo, ma Kunzite non dormiva mai quando era con lui, perché aveva troppa paura di svegliarsi e non trovarlo più.

“Dimmi.” Gli rispose lui, altrettanto sottovoce, per non disturbare la quiete e per tenere calmo il suo mal di testa, osservando distrattamente la luce morente del tramonto che filtrava dalla finestra, illuminando il vassoio con il cibo ancora intatto sul tavolino.

“Quando morirò…” Zoisite lo sentì prendere fiato per protestare e lo bloccò prima ancora che potesse pensare alla risposta. “Non dire nulla. Quando morirò... lasciami andare. Io non volevo farti male, ma tu sei rimasto ed è ovvio che te ne farai, però… lasciami andare. Pensami ogni tanto, ma non spesso. Vivi la tua vita. Innamorati ancora. Mostra ad altre persone quella bellezza che nascondi dentro di te.” Era da parecchio tempo che Zoisite non parlava tanto (a Kunzite era mancata la sua voce, ma non gliel’aveva mai detto), ma nonostante fosse stanco e affaticato si sforzò ugualmente, perché ormai lo sapeva, lo sentiva, che non gli restava più molto tempo, e tacere ormai era inutile.

Forse in fondo lo sentì anche Kunzite, forse fu per quello che sentì le lacrime premere agli angoli degli occhi e lo strinse più forte contro di sé, come se potesse trattenerlo, come se potesse tenerlo lì con la pura forza di volontà.

“Ti prego, Kunzite, non piangere, non sopporto di vederti soffrire…”

Kunzite lo guardò, il petto stretto in una morsa di dolore talmente grande da rendergli difficile persino respirare correttamente.

Persino in quel momento, disteso sul letto con le guance arrossate dalla febbre, la fronte lucida di sudore e il respiro affannato, Zoisite si preoccupava per lui.

Cosa aveva fatto per meritare un simile angelo al suo fianco?

“Non sto piangendo. Va tutto bene. Pensa a riposare.” Nelle intenzioni di Kunzite le sue parole avrebbero voluto tranquillizzarlo, ma la voce gli uscì roca e tremante.

Zoisite scosse la testa rivolgendogli un debole sorriso. “Riposerò per l’eternità. Voglio solo stare con te fino al mio ultimo respiro.” 

Quelle parole fecero crollare definitivamente le ultime barriere di Kunzite.

Il guerriero dal cuore di ghiaccio che uccideva senza rimorsi né esitazioni, in quel momento era solo un uomo disperato, schiacciato dal peso di una sofferenza troppo grande, le spalle scosse da singhiozzi violenti eppure silenziosi.

No, non poteva credere che sarebbe finito tutto così.

Zoisite non poteva morire. Era ancora così giovane, così bello, così pieno di sogni e speranze…  

Zoisite, non puoi andartene così presto…ci sono ancora così tante carezze che vorrei regalarti, ancora così tante parole d’amore che vorrei sussurrare al tuo orecchio…

“Non morirai, Zoisite.” Gli afferrò la mano, baciandone il palmo con  devozione e disperazione.  “Starai bene, andrà tutto bene…”

“Non mentire, Kunzite.” La mano di Zoisite si posò sulla guancia del suo amante, portando via le sue lacrime con una dolce carezza. 

Le sue labbra si distesero in un dolce sorriso. Sorrideva serenamente, accettando senza paura il suo destino. “Non piangere per me. Alcune persone vivono una vita lunga senza innamorarsi mai. Io invece sono stato così fortunato… ” Una lacrima, una sola lacrima solcò la sua guancia pallida. 

“Ho conosciuto l’amore vero, anche se per poco, e non ho rimpianti. Mi sembra di aver vissuto questi diciassette anni soltanto nell’attesa di incontrarti. Ogni passo che ho fatto, ogni scelta che ho compiuto doveva portarmi qui, da te.” Una breve pausa, il suo respiro si fece sempre più debole. 

La mano di Zoisite si posò sulla sua guancia, in una carezza così delicata da assomigliare al battito d’ali di una farfalla. “Sono felice di morire tra le tue braccia. Non ho più paura, sai? Non riesco nemmeno ad essere triste. Perché adesso so che la vita può essere ingiusta e crudele, ma mai inutile. Dopotutto, mi ha portato da te. Ecco perché sono su questo pianeta, in questo tempo. Adesso lo so. Per molti più anni di quanti non ne abbia vissuti, ho continuato a precipitare dall'orlo di un luogo immenso e altissimo. E in tutti questi anni, precipitavo verso di te.” Kunzite sentì il suo respiro farsi più debole, sempre più debole, e chiuse gli occhi palpitanti di lacrime non versate, e lo baciò, cercando di riportarlo indietro. 

Lo baciò e tenne le labbra contro le sue finché i loro respiri si mescolarono e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi diventarono sale sulla pelle di Zoisite. 

Quando Zoisite parlò di nuovo, la sua voce era poco più di un debole sussurro. “Raccontami qualcosa di bello.” 

E così Kunzite gli raccontò la storia di due persone che si erano odiate ferocemente quando si erano conosciute, ma che presto avevano scoperto di essere le sole due anime al mondo in grado di capirsi. 

Dei litigi, delle risate, dei brividi, dei sogni che avevano vissuto insieme. 

Disegnò un intero mondo per lui, un mondo in cui lui era la persona che aveva sempre desiderato essere, un mondo in cui lui era sano e poteva ancora correre con i capelli sparsi nel vento.

Un mondo in cui sarebbero invecchiati insieme. Un mondo in cui il loro amore sarebbe durato in eterno. (Ma il loro amore, si rese conto Kunzite, non era destinato ad essere eterno. Quel sentimento che provavano l’uno per l’altro non era destinato ad invecchiare, a sfiorire, a consumarsi attraverso il tessuto del tempo. Era una fiamma violenta, che aveva bruciato troppo intensamente e si era spenta troppo presto.)

Dipinse il mondo che Zoisite aveva creato per lui, pieno di colori ed emozioni. 

Gli raccontò qualcosa di bello.

Il tempo rallentò, e si fermò.  

Kunzite continuava a sussurrare tra i suoi capelli, e Zoisite lo ascoltava in silenzio.

Non interveniva, non faceva commenti ironici e pungenti come avrebbe fatto di solito. 

Di tanto in tanto annuiva, il capo contro il suo, e mormorava o emetteva un debole suono, forse per esprimere compiacimento davanti a un altro piacevole ricordo. 

Poi si sporse verso di lui, sfiorando le sue labbra con le proprie, sorridendo debolmente contro la sua bocca. 

 “Ti ho sempre amato, Kunzite. E continuerò ad amarti per sempre… ovunque sarò.” 

Kunzite avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole sembravano incastrate sul fondo della gola. Eppure c’erano così tante cose che voleva dirgli…

 

“Grazie per l’amore che mi hai dato, quell’amore che non ho mai avuto, quell’amore che non ho mai pensato di meritare. So di non esserne mai stato degno, ma te ne sono così grato, ti sono così grato di aver creduto che io meritassi di essere amato. "Grazie per avermi fatto ridere, grazie per avermi fatto tremare, per i tuoi capricci infantili che mi facevano sorridere, per i bronci che mi divertivo a cancellare con un bacio, per i balli sotto la luce della luna, per le notti passate a unire i nostri corpi e le nostre anime.” “Scusami per averti ferito. Scusami per i baci che non ti ho dato, per le carezze che non ho saputo regalarti, scusami per non essere stato capace di amarti come meritavi.”

“Tu mi hai fatto credere nella felicità. Continuo a chiedermi se invece io sono stato capace di renderti felice…”

“Ti amo, Zoisite. Perdonami per non avertelo detto prima.

Sei stato l’unico.

Non ho mai amato nessuno prima di te.

Mai nessuno dopo di te.” 

“Non riesco a ricordare com’era la vita prima di te, e non riesco a immaginare una vita in cui non ci sei. Ti prego, resta con me.”

 

 

 

Invece rimase stupidamente in silenzio, a guardare Zoisite che moriva davanti ai suoi occhi, senza poter fare niente per impedirlo.

Incapace di salvarlo, incapace di amarlo, incapace di continuare a vivere senza la sua presenza.

Abbandonò le sue cupe riflessioni quando si rese conto che Zoisite stava cercando di dirgli qualcosa.

Portò una mano sotto la sua nuca, sollevandolo piano e appoggiandolo delicatamente contro il suo petto. “Kunzite…” La sua voce era un mormorio roco, il suo respiro sempre più affievolito, constatò con sgomento. La sua mano tremò mentre si sollevava, aggrappandosi disperatamente ad un lembo della sua camicia. “Posso chiederti un ultimo favore?”

Kunzite lottò per mantenere ferma la propria voce. “Cosa?”

“Voglio morire in un posto bellissimo.” Zoisite sorrise debolmente, un luccichio dorato nel suo sguardo perso in un ricordo felice.  “Portami nel cortile di ciliegi.”

Senza dire una parola, Kunzite lo sollevò tra le sue braccia, avvolgendo il suo corpo con i lembi della sua giacca per proteggerlo dal vento freddo della sera e lo condusse all’esterno, in quel luogo che era stato testimone del loro primo duello e poi del loro primo bacio, del loro odio e dello sbocciare del loro amore.

Era uno spettacolo bellissimo: dai ciliegi in piena fioritura cadevano piccoli petali rosa che si depositavano sull’erba creando un soffice tappeto variopinto ai loro piedi.

Kunzite lo adagiò in mezzo ai fiori profumati, continuando a stringerlo in silenzio. 

Zoisite aprì gli occhi, che aveva tenuto chiusi fino a quel momento, e nel suo sguardo brillò un bagliore di gioia. 

La sua mano si allungò a raccogliere un petalo, che si adagiò delicatamente sul suo palmo. “Sono così belli… grazie per aver esaudito il mio ultimo desiderio…” 

 

No, non andare via, non lasciarmi solo…

 

Senza rendersene conto Kunzite intensificò la sua stretta, serrando le braccia intorno alla schiena del suo piccolo Zoisite come se avesse paura che potesse svanire tra le sue dita.

“Kunzite?” La sua voce era infinitamente piccola, il suo sguardo lucido di lacrime e di paura. “Ci rivedremo, non è vero?”

Kunzite non aveva mai creduto al Paradiso, alla reincarnazione o a qualsiasi altro tipo di aldilà. 

Era troppo razionale per credere che esistesse qualcosa, qualsiasi cosa, dopo la morte. Ma in quel momento scelse di crederci, perché l’alternativa, il pensiero di separarsi per sempre da Zoisite, era davvero troppo crudele.

Si sforzò di sorridere anche se sapeva perfettamente che era una bugia. “Saremmo di nuovo insieme, un giorno.” Gli strinse la mano, e lui ricambiò il sorriso, il suo volto illuminato di speranza. 

“Ti aspetterò, Kunzite.”

E poi la sua mano cadde inerte lungo il fianco e i suoi occhi divennero vuoti.

Il sorriso era ancora impresso sulle sue labbra.

Kunzite portò una mano tremante sul suo volto, abbassando delicatamente le sue palpebre. Sembrava che stesse soltanto dormendo, immerso in un bellissimo sogno.  

La sua pelle era ancora calda, ancora profumata di fiori di ciliegio, e quel volto, quel volto che una volta era stato così vivo, imbronciato, arrabbiato, piangente, disperato, sorpreso, ridente, arrossato e anelante i suoi baci, ora era disteso in un’espressione di immutata serenità, le palpebre abbassate, freddo e immobile per sempre.

Zoisite, semplicemente, non c’era più.

 

 

 

**

 

 

Kunzite non sapeva esattamente come si era ritrovato in giardino, né riusciva a ricordare quanto tempo era passato da quando Zoisite semplicemente aveva smesso di esistere, lasciandolo lì, solo in quella casa fredda come una tomba, buia e silenziosa, senza nemmeno più lacrime da versare, ricordando tutte quelle piccole cose che che facevano parte di Zoisite, senza sapere come potrà lasciarlo andare, come potrà lasciare che tutte quelle piccole cose così importanti vadano perdute, perché lui era importante.

(Lui che credeva di non avere coraggio, lui che sorrideva di un sorriso vero, lui che leggeva romanzi d'amore, lui che attorcigliava una ciocca di capelli intorno all’indice quando era pensieroso, lui che era bello, lui che amava i fiori di ciliegio. Lui lui lui, solo lui).

Kunzite alzò lo sguardo verso il cielo, verso le stelle che lo osservano dall’alto, dalla loro posizione privilegiata, chiedendosi se da lassù gli uomini sembrassero solo piccoli soldatini di stagno, se le loro morti fossero giochi di bambini per loro, se il suo dolore fosse lontano tutti gli anni luce che li separavano.

Per un attimo, gli parve quasi di sentire la sua voce, e il dolore si fece ancora più forte di quello che era già, come non credeva fosse possibile.

Forse è lì che andiamo. Quando moriamo.

“Dietro al cielo, dicevi. Sei lì, Zoisite?” Parlava come se lui fosse ancora lì accanto a lui, seduto sull’erba, come se potesse rispondergli.

Se gliel'avesse detto allora, forse non avrebbe fatto così male, o forse sarebbe stato ancora peggio, anche se Kunzite non sapeva come fosse possibile sopportare un dolore peggiore di quello che stava già provando, peggiore di quello strazio animale che gli distruggeva l'anima e il cuore, facendogli  desiderare di non averlo, un cuore, di non averlo mai scoperto, quello che chiamano amore.

Mi senti?

Avrebbe voluto gridarlo, ma alla fine non lo mormorò neppure.  

Se solo fosse stato forte come lui, avrebbe stretto i denti e non l’avrebbe detto, non avrebbe mai confessato quello che avrebbe dovuto dire a lui a quel mucchio di punti di fuoco e vento e polvere che si muoveva nell'aria.

Ma non lo era, e così lo disse.

“Ti amo.” E dopo averlo detto la prima volta continuò a ripeterlo, come se continuando a farlo potesse ricevere una risposta.

Aveva persino ancora lacrime da versare, singhiozzi  brevi e secchi come spari, che facevano male proprio come spari.

Kunzite non sapeva per quanto tempo era rimasto lì a fissare il cielo-abbastanza da diventare insensibile al freddo e lasciarsi congelare le labbra con ancora il sapore del sale impresso addosso. 

Ma il cielo non era cambiato, era sempre lo stesso, sempre lo stesso che aveva visto con lui.

Quando finirono anche le lacrime si rialzò, preparandosi ad affrontare un’altra giornata senza di lui. 

Lo disse solo un'ultima volta, solo per sicurezza.

Solo un'ultima volta, e poi forse avrebbe potuto lasciarlo andare veramente, forse un giorno ci sarebbe davvero riuscito.

Ti amo.”

Quando decideva di crederci, a Kunzite piaceva pensare che Zoisite lo stesse aspettando. 

Aspettami ancora un po’.

C'è un posto, oltre questo mondo, dove non esiste oscurità, dove regnano solo pace e felicità, un luogo privo di odio e dolore, in cui potremo avere il tempo che non abbiamo avuto in questa vita, in cui potrò essere sicuro che non mi lascerai mai.

Incontriamoci lì, amore mio.

Aspettami lì.

 
  
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