Personaggi:
Re Boo, OC, Ludwig von Koopa (menzionato), Bowser Jr.
(menzionato), Luigi (menzionato), Altri personaggi (menzionati).
Genere:
Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing:
Het (unilaterale).
Note:
Tematiche delicate.
Groovy
« Partiamo
dalla camminata: mai scoordinata, stazione eretta e
sguardo orizzontale; le braccia devono essere
“attaccate” alle spalle e non
sventolare con vita autonoma. Nell'incedere si eviti di ancheggiare e
soprattutto di battere rumorosamente i tacchi: non siamo a una parata.
Al
momento di sedersi, mai abbandonarsi a peso morto neanche si avesse
trainato un
aratro, né allargare o stendere le gambe o accavallare la
caviglia sul
ginocchio: non è signorile. Mantenere sempre la schiena
dritta; a nessuno piace
la vista di un miserabile rattrappito su se stesso.
A
smascherare il livello di
autostima non è meno importante come si dà la
mano, giacché questo gesto è la
prima, indelebile impressione in un incontro: non sia la mano protesa
un
mollusco flaccido e nemmeno una tenaglia. Giammai sia essa umidiccia o
appiccicosa! Nulla è più ripugnante. In tal caso
è bene dimenticare ogni chance
di salvezza e tentare la fortuna col prossimo interlocutore.
Corrispondere
categoricamente una stretta offerta, rifiutarsi è un gesto
di imperdonabile
villaneria. Se si indossano i guanti, rammentarsi di sfilarli prima del
saluto;
soltanto nella circostanza in cui gli arti siano impegnati col bottino
dell'assalto al buffet possono sufficere un sorriso e un cenno del capo.
Sorridere
sempre quando si
viene presentati o, evento tutt'altro che raro in un gran gala, ci si
presenta
da soli. Il sorriso è un atteggiamento fondamentale, a
prescindere dal
malumore: chi ci sta di fronte non ha ragione di trovarsi un broncio
puntato
contro, né gli interessa conoscerla. Il sorriso deve
apparire naturale e
spontaneo, ma anche moderato, senza esagerare: tenere
l’intera arcata dentale
costantemente in vista non gioverà a un’apparenza
più socievole, nonché
rassicurante, agli occhi degli altri ospiti.
E,
cortesia non meno
gradita, non sia mai che si sbadigli mentre qualcuno ci sta rivolgendo
la
parola. »
Lucilla
arrossì
copiosamente, colta in flagrante. « Mi dispiace. »
Il
fantasma riconobbe tra sé
di aver ucciso per molto meno, ma sorvolò magnanimo sull'incidente di
percorso, arrestando il ripetitivo incedere di fronte al focolare vuoto
per
studiare il faccino stanco e ostinato. « Non è
certo questa l'ora più consona
per le lezioni di etichetta. » I boo non avevano bisogno di
dormire, ma, nella
loro emulazione della quotidianità terrena, avevano
conservato l'abitudine di
destinare una parte della giornata al riposo, o meglio, a uno stato di
torpore
più affine al dormiveglia che al sonno vero e proprio: un
esercizio utile al
ristoro mentale, oltre che al mantenimento dell’ordine nei
ritmi giornalieri.
Gli spettri, tuttavia, riposavano nelle ore di luce e al momento era
notte
fonda: Re Boo aveva già messo in conto la resistenza fallace
della giovane
respirante.
La
suddetta ospite si
ricompose, raddrizzando la schiena contro la sedia e ricacciando
indietro un
secondo sbadiglio. « Non mi è rimasto molto tempo
per recuperare e chi meglio
di te, il più raffinato tra morituri e perpetui,
può salvarmi dal fare la
figura della neandertaliana a corte? » Non le era servito uno
sforzo mentale
per prendere atto sin dall’inizio della
sensibilità del fantasma alle lusinghe.
Lungi
dallo spettro deludere
le aspettative in lui riposte, accettando golosamente
l’ennesima carezza al suo
ego senza fine. « Giammai permetterei un’onta
simile, ma petite luciole.
Che l’adorata nipote di Luigi corra il rischio di precipitare
nel ridicolo
dinnanzi mezza nobiltà mondiale? »
La
timida Lucilla avvertì lo
stomaco torcersi alla terrificante prospettiva. Le parve addirittura di
percepire le risatine maligne e i mormorii di disprezzo malcelati
dietro i
ventagli di pizzo.
«
Morirei due volte,
piuttosto » sospirò con espressione agonizzante il
monarca, schermandosi gli
occhi col polso.
La
ragazzina condivise il
medesimo stato d’animo.
«
Tua sorella è in
altrettanta soggezione per il grande evento? »
Lucilla
volse lo sguardo
di lato. L’argomento Gloria era
tra quelli che la
giovane preferiva accantonare, sebbene
lo zio si
premurasse di ricevere regolari aggiornamenti sulle condizioni di
salute della
gemella, sulla sua media scolastica e, in generale, su come se la
passasse.
Questa era la prima volta tuttavia che Re Boo manifestava interesse per
la
seconda erede Mario. « Non esiste niente che possa metterla
in soggezione » si
limitò a rispondere, forse un po’ troppo
freddamente.
A
differenza della gemella,
Gloria non vedeva l’ora di partecipare alla serata esclusiva,
pronta al suo
debutto in società nell’abito che loro madre aveva
fatto appositamente confezionare per ciascuna. Quest’ultima già si
immaginava la scena dei nobili
impegnati ad alternare ossessivamente la lente di ingrandimento tra la
signora
Mario, Gloria e infine lei. E si chiederanno che cosa
sia andato
storto. Pauline era incantevole, sua sorella stava
sbocciando nella
primavera della femminilità e lei, al contrario, era un
manico di scopa
angoloso e costretto a puntare sulle buone maniere per tentare di
riscattarsi.
Gloria
era simpatica,
estroversa, capace di far breccia nei cuori altrui senza il minimo
sforzo e non
aveva queste sciocche preoccupazioni, perché tutti quanti
alla fine non
potevano fare a meno di adorarla. Inoltre, il dono del
bell’aspetto le
garantiva altri punti a suo favore: inutile negarlo. Lucilla,
l’anatroccolo
iellato senza qualità e fascino, aveva soltanto il cognome
paterno da
sfoggiare; su tutto il resto preferiva calare un velo, no, un sipario,
anzi,
una saracinesca pietosa.
Ciononostante,
le barriere
erette intorno al cuore di Lucilla non costituivano alcun ostacolo per
gli
occhi diabolici del fantasma che sapevano trapassare anche il cemento
armato:
un tale impegno nel fare buona impressione non era certo tutto da
imputare agli
snob di corte. « C’è qualcuno impaziente
di vederti? »
«
Chiunque lì si aspetterà
di vedere la famiglia Mario al completo. Non posso mancare, o metterei
mio
padre in cattiva luce. » E questa era la seconda ragione in
ordine di
importanza.
«
Allora c’è qualcuno che tu
sei impaziente di vedere. »
Lucilla
arrossì di nuovo,
abbassando lo sguardo.
Le
labbra cadaveriche del
fantasma si incurvarono in un ghigno volpino.
Un
piccolo, tenace desiderio
motivava effettivamente la ragazzina dall’andare contro la
sua natura e
affrontare a testa alta l’umiliazione: moriva infatti dalla
voglia di rivedere
il principe Ludwig, di parlargli, addirittura di chiedergli un ballo,
ma in
maniera scherzosa, come un pensiero buffo balenato alla mente per caso...
Chissà
in quale aspetto lo
avrebbe incontrato?
Re
Bowser e la regina Peach
avevano stabilito la regola secondo cui i Toadstool Koopa che
presenziavano al
medesimo evento dovevano mostrarsi o tutti draghi o tutti umani. La
tradizione
aveva avuto inizio dal giorno del matrimonio tra i due sovrani, quando
i Koopa
avevano partecipato in forma umana. Durante gli incontri politici
seguenti, la
regina aveva fatto sfoggio della sua maestosità draconica a
fianco del consorte
affinché il mondo potesse abituarsi alla duplice
novità.
Per
Lucilla in fin dei conti
era indifferente: drago o umano, Ludwig restava l’individuo
più affascinante
sulla faccia dell’universo, brillante, misterioso,
imprevedibile. Ogni parola
che gli scivolava dalle labbra era scelta e ponderata. Lo sguardo
penetrante e
fiero rivelava una personalità che da sola sapeva tenere a
bada gli altri sette
cicloni della famiglia Toadstool Koopa e, quando eri chiamato a
corrisponderlo,
potevi sentirlo scorrerti dentro ad analizzare la tua essenza. Il
sorriso, con
un incisivo lievemente sovrapposto (la perfezione era talmente
noiosa), non
era mai regalato, ma custodito gelosamente per pochi fortunati; la
chiostra di
denti bianchi non si spalancava alle risate tonanti e tipiche del padre
e dei
fratelli, ma ne sgorgava un riso roco, basso e profondo.
Sarebbe
stato felice di
rivederla? Glielo avrebbe detto? No, perché non era da
Ludwig concedersi
smancerie ma, forse, le avrebbe fatto dono di un complimento per il
vestito.
Sul volto solitamente austero sarebbe affiorato quel sorriso morbido e
affettuoso, da fratellone protettivo, che era riuscito a far breccia
nella
corazza della fragile Lucilla.
«
C’è qualcuno che vorrei…
salutare » balbettò intimidita la ragazzina.
«
Un principe? » Re Boo
parve genuinamente intrigato, incrociando le braccia e spostando il
peso su una
gamba. Gli occhi terribili l’avevano agganciata e le
impedivano di indirizzare lo
sguardo altrove.
Lucilla
mostrò qualche
tentennamento a rivelare il suo segreto più grande, ma, alla
fine, lusingata
dall’interesse dell’immortale, cedette e
annuì.
« Ma
luciole,
non sarà quello scapestrato del più giovane
rampollo Toadstool Koopa? » Le
arcate sopraccigliari sul volto diafano si avvicinarono in
un’espressione di
comico disappunto.
«
Junior? » Lucilla
ridacchiò e scosse la testa. « Lui è
solo un amico. » Il koopa dai tratti
sorprendentemente simili a quelli paterni era infatti uno dei
componenti della
famiglia reale più legati ai Mario. Le pacifiche irruzioni
nella loro dimora da
parte del principe in cerca di ristoro dagli impegni reali, per
scroccare una
merenda e raccontare qualche storia divertente sulla vita al castello,
avvenivano con cadenza settimanale. L’influenza positiva
della regina Peach era
evidente in particolar modo su Junior che si dimostrava sempre
volenteroso di
dare una mano con qualche faccenda domestica o trastullare le gemelline.
Tuttavia,
senza togliere che
il principino fosse relativamente delicato per gli standard koopa, la
prudente
Pauline era sempre stata restia a permettergli di giocare con Lucilla
senza la
sua supervisione, o prenderla in braccio, o toccarla. Tali precauzioni
non
erano state necessarie per Gloria che era perfettamente capace di
tenere testa
all’impetuosità dei fratelli koopa più
grandi, mentre la sorella era
considerata la bambolina di porcellana da maneggiare con cura, ancora
meglio da
guardare soltanto. « Ludwig » confessò
infine quest’ultima in un sussurro
tremulo, percependo le farfalle nello stomaco agitarsi al suono del
nome tanto
caro.
Lo
spettro simulò una
manifestazione di discreto stupore, in quanto già al
corrente di ogni singolo
dettaglio che aveva minuziosamente estorto alla succube Ombretta con
cui
la fanciulletta amava confidarsi. Nessuna parola veniva
pronunciata dentro quella
casa senza che arrivasse alle orecchie del sovrano, nessun movimento
delle
pedine sulla sua scacchiera poteva sfuggirgli. Se tra
l’ultimo erede Toadstool
Koopa e le gemelle Mario correvano soltanto quattro anni di differenza,
il
primogenito era ormai in età adulta e pronto per rimediarsi
una consorte. Si
trattava dunque di un’infatuazione sterile, destinata a
rimanere sepolta nelle
fantasie di un'adolescente.
«
Non mi illudo certo di
chissà cosa » garantì Lucilla con un
sorriso appena accennato che non bastò a
mitigare l’ombra soffusa della malinconia sul visino fanciullesco. « Mi piacerebbe
poterlo vedere di più, ecco. Stare con lui mi fa sentire
bene e mi aiuta a
dimenticare per un po’ tutto il resto. » Purtroppo
ciò non accadeva tanto
spesso quanto la giovane desiderava. Dovevano combinarsi tre vitali
condizioni affinché l’occasione si concretizzasse:
- La
salute le consentiva di mettere piede fuori di casa;
- La
sua famiglia aveva ricevuto l’invito al castello da parte
della regina Peach, amica intima di sua madre e quel giorno libera da
impegni reali;
- Ludwig
era in visita nel Regno dei Funghi.
Il
maggiore dei bowserotti
non prendeva mai parte alle nostalgiche rimpatriate, limitandosi a
farsi vivo
il tempo necessario per porgere un saluto garbato prima di tornarsene
alle sue
faccende. Così, mentre gli adulti erano distratti a
cianciare allegramente e
Gloria dedita a fare il diavolo a quattro insieme a Junior in giro per
il
palazzo, Lucilla poteva sgattaiolare via per dare inizio
all’inseguimento.
Ludwig
prediligeva i luoghi
quieti e appartati e la bambina aveva memorizzato tutti i suoi angolini
favoriti nella dimora reale, dalle terrazze alla biblioteca dove la
regina
aveva fatto sistemare un pianoforte apposta per lui. Le discrete
intrusioni di
Lucilla non parevano arrecare fastidio al principe che, dopo aver
badato a ben
sei fratellini e una sorellina, era avvezzo alle attenzioni dei
più piccoli,
indipendentemente se koopa o umani. Se si stava dedicando alla lettura
di
qualche documento o per svago, riponeva provvisoriamente testo e
occhiali per
accogliere una conversazione. Se in quel momento si presentava nel suo
aspetto
biologico, aveva l’accortezza di assumere forma umana
affinché non le si
indolenzisse il collo per essere costretta a stare tutto il tempo col
mento
in su.
Generalmente
un dialogo con
Ludwig comportava un intervento minimo da parte dell’altro
interlocutore, ma a
Lucilla stava più che bene considerando che lei si riteneva
un’ottima
ascoltatrice e che con il bowserotto si poteva spaziare dagli argomenti
più
svariati. Senza dubbio la disponibilità del koopa nei
confronti della
ragazzina, oltre che da una eventuale simpatia, era motivata
dall’istinto di
fratello maggiore che ancora aveva il sopravvento
sull’inclinazione
all’isolamento. C’erano volte invece in cui le
parole tra loro due non
occorrevano.
Se
Ludwig si era ritirato in
biblioteca per dare sfogo alla sua anima musicale, Lucilla si
intrufolava in
punta di piedi per accomodarsi su uno dei divanetti e restava
lì, zitta e
felice, con un libro tra le mani e le melodie del principe ad
avvolgerla.
Ludwig si scioglieva della durezza esteriore che il peso dei doveri
reali e
familiari avevano forgiato e lasciava che la parte più
profonda del suo essere,
una sensibilità eccezionalmente spiccata, si
sprigionasse in composizioni
multiformi: infuocate, solenni, struggenti. I tasti di avorio sotto le
abili
dita si trasformavano in voci cantanti e infuse di affetti, desideri e impressioni che la sognante Lucilla adorava ascoltare ancora e
ancora,
lasciandosi trasportare in uno stato di pace, sospesa tra le note del
pianoforte.
La
prima volta che la
ragazzina aveva sorpreso il principe a suonare, questi era stato talmente
immerso
nell’esecuzione che, solo al termine, ristabilito il contatto
con la realtà, i
sensi affilati lo allertarono infine della presenza del suo
pubblico
estasiato. Da allora Lucilla godeva del permesso speciale di assistere alle esibizioni
future nella
tranquillità della biblioteca, generosamente concesso dall'artista in persona. Se Ludwig era particolarmente
di buon umore, acconsentiva su richiesta a interpretare qualche pezzo famoso o uno composto da lui stesso che più le piaceva.
Lucilla
avvertì gli occhi
pizzicarle per la nostalgia, considerato che fossero trascorse diverse settimane dal
loro ultimo incontro, ma represse l’impulso di sfilarsi gli
occhiali per
stropicciarseli. « È gentile con me, e non mi ha
mai fatto sentire sbagliata. »
Sarai
dunque pronta a
soffrire quando il principe si troverà la sua principessa,
bambina mia? Mentre
osservava la piccola ospite e prendeva atto
compiaciuto che la maledizione d’amore dei fratelli Mario
fosse stata
tramandata alla generazione successiva, lo spettro re fu colto da una
sensazione di déjà-vu. Più la guardava
e più la somiglianza con lo zio gli
diveniva innegabile, una similarità intima sotto i tratti
somatici addolciti
dai lineamenti materni: negli occhi di lei vedeva distintamente lo
stesso
struggimento, gli stessi demoni che aveva letto un tempo in quelli di
Luigi.
Stavano proprio lì, onnipresenti, in fondo allo sguardo di
chi soffriva troppi
paragoni a proprio discapito, espressi e autoinflitti.
I
demoni avevano nomi: la
paura di non essere amati, la gelosia perché altri sembrano
più amati e la
vergogna di covare gelosia.
I
demoni non dormivano mai.
I
demoni erano
inconfessabili.
Il
buon Luigi se li era
portati con sé nella tomba.
E
anche sulla nipotina
aleggiava un’aura di morte, un profumo tenue, prossimo a
estinguersi ormai, che
l’accompagnava dal primo giorno di vita nei capricci di uno
stato fisico
precario. Il fantasma conosceva molto bene quel profumo: lo aveva
assorbito con
avidità al massimo della fragranza quando il suo idraulico
aveva perso
definitivamente la speranza nel deserto di Sarasaland.
L’esistenza
di Lucilla aveva
avuto inizio in salita, con grosse difficoltà respiratorie
che l’avevano
costretta a rimbalzare tra bronchiti e polmoniti, saltellando
più volte vicino
all’orlo del baratro. Metà della sua infanzia
l’aveva trascorsa chiusa in casa,
collezionando tante di quelle assenze da rischiare di ripetere
l’anno
scolastico in un paio di occasioni. Tuttavia, senza che lei nemmeno se
rendesse
conto, accecata dai complessi che la tormentavano, le sue condizioni stavano effettivamente migliorando. Nel giro di pochi anni avrebbe
acquistato
una salute di ferro, con pazienza e metodicità, grazie ai
geni strabilianti
della famiglia Mario che certamente l’avevano salvata. Re Boo
visualizzava il
futuro promettente della giovane come se gli avessero puntato un
proiettore
contro la parete che aveva di fronte.
«
Sono pronta per continuare la lezione, mon mentor!
» lo esortò
quest’ultima con il quadernino in grembo e la penna
sull'attenti, decisa a
non perdere tempo sulla tabella di marcia per autocommiserarsi.
Il
fantasma acconsentì
paziente, riprendendo l’incedere lento e misurato da dove
aveva interrotto. «
Accertarsi di avere sempre l'alito a prova di dialogo ravvicinato, armandosi di mentine di cui approfittare con
discrezione
di tanto in tanto. »
Nota
d’autrice:
Avevo iniziato questo
capitolo con l’intenzione di approfondire le
dinamiche del rapporto tra il tenero Weegee e quell’adorabile
canaglia
manipolatrice di Re Boo, ma, andando avanti con la stesura, la lente si
è
spostata di prepotenza su un certo bowserotto... Sarà per la
prossima :]
Besos