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Autore: DarkDemon    26/08/2019    2 recensioni
[Titolo mooolto provvisorio]
|INTERATTIVA|POSTI FINITI|NON TIENE CONTO DE "LE SFIDE DI APOLLO"
- - - -
–Non scapperai facilmente piccola Dea...–
[...]
Vedeva il lontananza una piccola sagoma avvolta in vesti marroni correre nella leggera nebbia mattutina che avvolgeva le colline e il bosco, mentre una grossa sagoma umanoide la sovrastava, dando l'idea di quello che era un vicolo ceco.
[...]
Felix avanzò ancora qualche passo cauto, un tuffo al cuore lo fece però bloccare sul posto, capiva finalmente la causa del dolore della donna [...]
–Salvala... fallo per me... fallo per noi...– Disse con un tono che mai aveva udito, il tono di una madre, dolcezza e risolutezza, ora spezzate dall'infrenabile pianto che solo una madre può versare sulla salma della figlia, andatasene dal mondo.
- - - -
Sono oramai passati cinquant'anni dalla battaglia con Gea, la pace che ha avvolto il campo, come sempre, non è destinata a durare. Il sottile equilibrio si sta per incrinare, come la liscia superficie dell'acqua sotto un lieve sospiro.
Genere: Avventura, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Through silence, hear the thunder in you
I know your mind is looking for our truth
Don't need reminding, the living proof
So, walk with me and I'll walk with you


One ok Rock - Gigants

 

 –E così sei venuto in America...– Concluse con un sospiro Lorcan, lo sguardo perso nelle fronde sopra la loro testa. Felix annuì piano, al contrario, lo sguardo abbassato sull'erba, mentre la strappava con una sorta di nervosismo.
 
Lorcan era un ragazzo simpatico, aveva preso a gironzolargli attorno sin da quando era arrivato, e nonostante fosse pazzo tanto quanto gli altri, non gli dispiaceva la sua compagnia. Era divertente, ed in un modo o nell'altro riusciva sempre ad incastrare una battutina qua e la, strappando anche qualche sorriso dal volto di Felix. Era così che aveva accettato la sua richiesta di passare la siesta assieme, creduloni o meno, avrebbe dovuto passare un po' di tempo ancora a quel campo -che lui avrebbe definito manicomio- e farsi degli amici non sarebbe stata una cattiva idea.
Gli aveva appena raccontato la storia della sua vita, gli eventi più salienti, le cose più convincenti, anche private, qualsiasi cosa pur che la smettessero tutti di dirgli che era un semidio.
 Era nato a Reykjavik e li aveva vissuto per tutta la sua vita. Anni stupendi, in compagnia di suo padre e sua madre. Una madre mortale, anche troppo. Quando era venuta a mancare, quando Felix aveva tredici anni, il mondo era caduto letteralmente addosso, sia a lui che a suo padre.
L'avevano visto, l'incidente d'auto, la stavano aspettando fuori casa, le avevano preparato una sorpresa per la festa della mamma: tirato a lucido la casa, preparato la cena, con tanto di candele e decorazioni. Avevano fatto anche una torta, speravano solo fosse più buona di quanto non fosse bella.
Guardavano dalla finestra in attesa di vederla parcheggiare nel vialetto di casa. Stava facendo manovra quando l'auto aveva svoltato sgommando nella via residenziale e senza frenare era andata a ottanta chilometri orari contro la fiancata, colpendo in pieno sua madre.
 
–Stai bene..?– La voce di Lorcan lo riportò alla realtà, si rese conto di avere le guance rigate di lacrime silenziose, mentre una zolla di terra davanti a lui era ormai brulla. Si sfregò le mani, guardando con disgusto il terriccio che gli si era infilato sotto le unghie.
 
–Si... E' solo che ho rivisto tutto...– Disse piano, cercando un bastoncino abbastanza piccolo per potersi pulire le unghie.
 
–Mi dispiace, la foschia può essere molto poten...–
 
–Fanculo la foschia, so cosa ho visto. Sai cosa mi fa girare più il cazzo di voi cretini? Che volete a tutti i costi che le cose siano come volete voi, volete farmi credere alle vostre minchiate, non portando alcun rispetto. E poi una dea che resta per dodici anni? Ci ho capito molto poco, ma abbastanza da decretare che questo è oltremodo impossibile.–
 
–Ehi ehi, mi dispiace okay..? Magari è tuo padre...– Lorcan alzò le mani in segno di resa mettendosi a sedere, dalla sua posizione coricata, il suo solito sorriso ormai vacillante. Era preoccupazione il modo in cui osservava il ragazzo di fronte a lui. Molte persone faticavano ad accettare la realtà, ma non aveva mai visto nessuno ripudiarla con tanta violenza come Felix. Osservò il suo viso, provando a rimandarlo a qualche io, a dargli una discendenza, ma era praticamente impossibile. Era bello... molto bello, sarebbe potuto essere un figlio di Afrodite, o forse solo di un normale dio, ed essere solo fortunato. Poi negli anni aveva constatato che la bellezza di un figlio della dea dell'amore era direttamente proporzionale alla velocità con cui questa li riconosceva.
 
–Mio padre dici? Mio padre? Hahahahahaha, mio padre è un prete, Lorcan, per favore, non ci provare nemmeno.– Si passò una mano tra i capelli corvini, rassegnato.
 
–Voglio andarmene da qui, adesso.–
 
–Non ti faranno uscire, non fino alla prossima settimana, come han pattuito con tuo padre.– Il ragazzo era quasi triste, gli sembrava di guardare un leone in gabbia nervosamente camminare avanti e indietro davanti alle sbarre. Inoltre... chi era davvero Felix Alfarson? Non poteva avere solo la vista, era stato fiutato e per questo era stato portato al campo. Eppure era certo di avere due genitori. Vedeva le driadi, vedeva Chirone e per poco non era svenuto nel veder un pegaso, eppure negava tutto con una testardaggine che Lorcan non aveva mai visto.
 
–Potresti offrirti per la missione...– Mormorò dopo poco. Era un idea folle e sbagliata, ma voleva aiutarlo, non era così che funzionava il campo, lo scontento era pericoloso, lo avevano imparato con Luke Castellan. –Probabilmente non ti manderanno, diranno che è pericoloso. Ma è già stato fatto: anni fa, un semidio figlio di Poseidone si offrì per una impresa poco dopo il suo arrivo... certo poi divenne uno dei più grandi eroi degli ultimi tempi, salvò il mondo più volte eccetera eccetera... ma questa parte penso non ti interessi.–
 
–Okay, dove devo firmare?– Con un sospiro Lorcan si rese conto che a “missione” aveva già perso l'attenzione dell'islandese, che lo fissava con una certa intensità, non molto rassicurante.
 
–Da nessuna parte, devi solo convincere culo di cavallo...– Stava ancora parlando quando il ragazzo balzò in piedi e corse via. –Grazie Lorcan, sei un amico.– E con quelle parole era sparito.

 

 Quel posto puzzava... o forse profumava, non ne era certo. Sapeva di legno vecchio e libri, un odore non troppo male, se non fosse stato mischiato a quello di vino ed umido, che gli provocava un fastidioso prurito al naso. Nonostante il nome, la Casa Grande, dava a Felix una certa sensazione di claustrofobia, il corridoio d'ingresso era stretto, con una porta a destra ed una sinistra, e si allargava al termine quando bastava per ospitare una scala scricchiolante ed un altro pezzo di corridoio. Non sapeva con certezza dove dirigersi, così sbirciò nella stanza sulla sinistra; la porta socchiusa gli concedeva una visione molto limitata: un pack-man, quello che sembrava un tavolo da ping pong, su cui un ragazzo riccio era seduto, dandogli le spalle, mentre parlava con qualcuno fuori dalla sua visuale. Per un attimo pensò di tornare più tardi, ma qualcosa dentro di lui si mosse ancora prima che potesse deciderlo, e si trovò a spalancare la porta. Il ragazzino si era voltato a guardarlo con un sopracciglio alzato, mentre il misterioso interlocutore, Chirone, sembrava piuttosto seccato dalla situazione.
 
–Serve qualcosa..?– Felix si ritrovò ad arrossire mentre, non sapendo bene cosa fare, si richiudeva la porta alle spalle.
 
–Io... si, hum, posso? Mi dispiace essere entrato così, io non so cosa...– La voce gli morì in gola quando il ragazzino, che non poteva avere più di sedici anni, saltò giù dal tavolo e gli andò incontro stringendogli la mano. –Figurati! Alexander, Alexander Townsand!– Felix sbatté le palpebre confuso, stringendogli a sua volta la mano, con scarsa convinzione. –Felix Alfarson...– Rispose con scarso interesse, puntando però le iridi chiare sul centauro.
 
–Voglio partire per l'avventura...– Si sentiva veramente stupido, sperava solo di sembrare più convinto di quando la sua voce non suonasse nella sua testa. Sentì alle sue spalle Alexander soffocare una risatina e bisbigliare un 'missione'. Voltò leggermente la testa verso di lui, infastidito, per poi tornare a concentrarsi sul più anziano, che ora sembrava quasi preoccupato.
 
–Non hai alcun tipo di addestramento, potresti venire ucciso...– Nonostante non credesse a quella farsa, anche trovandosi faccia a faccia con un centauro in carne ed ossa, la notizia gli fece venire un groppo alla gola. Ma dopo tutto, lui non sarebbe partito no? Sarebbe tornato a casa, niente morte per l'islandese, non quell'anno. Deglutì con forza e si umettò le labbra.
 
–Ma non sarei il primo, no? È già successo, il figlio di Nettuno...–
 
–Poseidone– Lo corressero in coro gli altri due, facendogli roteare gli occhi.
 
–Quello che è. E' partito, ed è diventato un eroe per questo.– Più parlava più era convinto di quello che diceva, una parte di lui fremeva all'idea di lanciarsi in una missione spericolata, a salvare il mondo da non si sa cosa. Si rese conto che gli stavano tremando le mani, non faceva freddo e non aveva paura; la sua era adrenalina. Cercò di mantenere il suo sguardo deciso, mentre analizzava sconvolto il proprio comportamento, stava forse impazzendo?
 
–Non esiste, è fuori discussione, Percy era parte di una profezia, era in figlio di Poseidone, un semidio potente. Era così che le cose dovevano andare.– Un ghigno si dipinse sulle labbra di Felix: ce lo aveva in pugno. Sapeva, o meglio sperava, che prima o poi, nel dire tutte quelle stronzate, il vecchio avrebbe fatto un passo falso e così era stato.
 
Alzò il mento con aria fiera e, nonostante si sentisse molto in soggezione, fissò Chirone dritto negli occhi. –E chi ti dice che io non sia parte di una profezia? Chi ti dice io non sia figlio di qualche dio super potente? Chi ti dice che non è così che le cose devono andare?– La sicurezza sul volto dell'altro vacillò, scalpitò sulle quattro zampe e frustò l'aria con la coda. Lo sguardo che gli scoccò trasudava di quella che Felix non sapeva se riconoscere come rabbia o paura, posò in fine lo sguardo su Alexander, dietro di lui, tornato seduto sul tavolo con le gambe a penzoloni.
 
–Cosa ne pensi?– Felix si girò a guardarlo, il ragazzo a sua volta si voltò, incredulo alla domanda di Chirone, per controllare che non ci fosse nessuno alle sue spalle. Un centauro, vecchio di migliaia di anni stava chiedendo a lui? Un sedicenne del Kent?! Constatato che, si, la domanda era rivolta a lui, si aprì in un sorriso a trentadue denti, per poi rabbuiarsi e farsi serio.
 
–Il ragazzo non ha tutti i torti... ma è pericoloso, molto. Però è vero, potrebbe essere il destino che gli sta dicendo di partire... o comunque sta decidendo per lui.– Questa volta fu Felix a sorridere, gli fece l'occhiolino, facendo arrossire leggermente l'altro e si voltò verso Chirone allargando le mani.
 
–Sentito il ragazzo? È il destino che mi sta dicendo cosa fare, o si. Decisamente il destino.– Sorrise angelico. Il centauro si passò una mano sul volto sconsolato.
 
–Per gli dei... pregate tutti che sia vero.– E con questo li superò, uscendo dalla porta.

Felix aspettò di non sentire più il suono degli zoccoli prima di scoppiare a ridere. –Ahahahahah! Il destino... ahahahaha– Si asciugò una lacrima dall'angolo dell'occhio e ricambiò lo sguardo di Alexander, che lo osservava dubbioso.
 
–Che ti prende...– Felix gli si avvicinò sorridendo e gli posò una mano sulla spalla, guardando con dolcezza il povero figlio di Clio. Quasi gli faceva tenerezza, si sentiva in colpa per averlo usato in quel modo, probabilmente lui teneva davvero a quella causa per cui tutti li stavano lottando, ma non Felix. –Io non vado da nessuna parte, mi serviva solo una scusa per uscire dal campo e tornare a casa.– Si strinse nelle spalle. Lo scintillio che passò negli occhi chiari dell'altro lo spaventò un poco, il suo sguardo si rabbuiò e con una manata spostò la sua mano dalla propria spalla.
 
–Sei un cretino, posso dirlo? O si, certo che posso. Per te sarà anche un gioco, ma qua ci sono in ballo delle vite, la tua vita. Non crederai a tutto questo, ma è comunque vero. La tua idea, la tua opinione non cambia nulla.– Ridacchiò quasi istericamente saltando giù dal tavolo, non la migliore delle mosse, poiché ora si trovava una spanna sotto Felix. Tuttavia Alexander era risoluto, non si sarebbe arreso solo per qualche centimetro, alzò lo sguardo e lo fissò in quello dell'altro, che nel frattempo aveva smesso di sorridere. –Pensaci, per una volta esci dalla tua testa e sii un po' aperto, okay? Tu puoi non credere al sole, puoi non credere alla luna, pensare che siano tutto un progetto della NASA. Puoi credere che la Terra sia piatta, per gli dei! Il punto è, ciò che tu credi non cambia la realtà delle cose. Hai un padre? Bene. Avevi una madre? Benissimo!– Gli si fece più vicino e gli puntò un dito contro. –Molti qui non conoscono né il proprio padre né la propria madre, tu in qualche modo hai tre genitori, di cui due ti amano o amavano. Quindi fai un piacere a tutti quanti, smetti di fare la cazzo di vittima.– Detto ciò uscì, lasciandolo da solo.

 

<°>

 

 L'amicizia tra Timothy e Parker era insolitamente profonda, per due tipi come loro, era per entrambi la più stretta che possedessero e contemporaneamente alla stregua dell'unica, sopratutto per il primo.
 
Condividevano quella visione nera della vita, quel senso di abbandono ad essa. Non la nera disperazione dei suicidi, ma nemmeno l'entusiasmo dei folli. Nel loro modo di approcciarsi alle vicende dell'esistenza avevano leggere sfumature: se il primo era quasi succube degli eventi e delle azioni che gli altri facevano per lui, il secondo aveva quasi un desiderio di redenzione, che tuttavia non sfociava nell'indole dell'eroe, come se nemmeno lui credesse in quella possibilità. Non si cercavano a vicenda, ma gradivano la presenza l'uno dell'altro quando accadeva, si affiancavano nel camminare o si sedevano vicino, ma non programmavano attività assieme. Era per quello che quel pomeriggio il giovane figlio di Thanatos si sentiva così tanto in ansia mentre attendeva Parker. Si trovava seduto su un vecchio tronco portato alla deriva dal mare, mentre distrattamente annodava un cordino trovato in spiaggia.
 
A pranzo il figlio di Morfeo gli era passato di fianco posando una mano sulla sua spalla: –Dopo le attività aspettami in spiaggia– E senza aggiungere altro era sparito così come era venuto. Non c'era niente che potesse fargli sospettare qualche cosa di grave, nessun indizio di una catastrofe imminente, eppure non era da loro, gli sembrava sbagliato. Parker non gli era sembrato diverso: aveva parlato con il suo solito tono annoiato, gli occhi pigri e l'espressione impassibile; il solito vecchio Parker, alla fin fine.
 
–Sono in ritardo, scusami– La bassa figura del figlio di Morfeo apparve nella sua visione periferica, mentre scavalcava il tronco per potersi sedere al suo fianco. –Volevo solo salutarti.– Disse strascicando le parole come il suo solito, mentre incrociava le braccia e si piegava in avanti per posare i gomiti sulle ginocchia, gli occhi castani che andavano a perdersi nelle onde che andavano ad infrangersi sulla battigia poco lontana.
 
Timothy rimase in silenzio osservando la figura dell'amico, senza smettere di giocare con la cordicella. Non avrebbe risposto e questo Parker lo sapeva, che parlava solo se interpellato direttamente. Era forse anche per questo che apprezzava la sua compagnia: niente parole a sproposito, commenti inutili e discorsi frivoli, soli risposte franche, velate di tanto in tanto di un nero umorismo che caratterizzava anche lui stesso.
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto, in ascolto delle onde del mare e del sussurro delle fronde, senza la necessità di parlare. Non si sentivano a disagio, non era la prima volta che succedeva, che semplicemente stessero uno accanto all'altro senza dire nulla. Tuttavia quell'occasione era speciale, era un addio, o che gli dei volessero, un semplice arrivederci.
 
–Perché ti sei offerto?– Ruppe così il silenzio il maggiore dei due, voltandosi indietro e guardando finalmente l'amico negli occhi. Timothy resse lo sguardo solo pochi secondi, prima di abbassarlo sulla sabbia. –Io... non lo so, me l'hanno detto, non avevo niente da fare tanto.– Disse a mezza voce, facendo velocemente saettare gli occhi verso Parker, giusto per controllarne l'espressione, per poi tornare alla sabbia, con un lieve sospiro di sollievo. Agli occhi del quindicenne la più grande qualità del figlio di Morfeo era quella morti consideravano il suo peggior difetto: la sua espressione. Se c'era una cosa che il figlio di Thanatos non poteva sopportare era la pena e la compassione sui volti di chi lo guardava, presto o tardi ci cadevano tutti: un sorriso amaro da una parte, un fremito alle sopracciglia dall'altra. Lo facevano sentire miserabile, più di quanto non si sentisse già da solo. Ma Parker era diverso: nel suo sguardo vecchio, il suo viso annoiato e gli occhi spenti, Timothy trovava normalità per se stesso. Parker guardava tutti allo stesso modo, non gli importava chi fossi o da dove venissi, non bastavi ad incrinarli quel suo solito viso di gesso. Avevano ben tre anni di differenza, non così tanti, ma a quell'età sufficienti per poter far chiamare quelli come lui “bambini” da parte di quelli come Parker. Ma non era così, non si era mai sentito chiamare in quel modo, nemmeno “ragazzino”, solo Timothy.
 
–Ho capito... buona fortuna allora– Le labbra del figlio di Morfeo si incresparono in un sorriso, un sorriso vero, non ampio e solare ma leggero e quasi timido, non storto ed inaffidabile, come i suoi soliti ma amichevole. Un sorriso che quasi lasciò interdetto l'altro, che si ritrovò a rispondere al gesto abbassando lo sguardo quasi in imbarazzo. –Vedi di tornare, ho bisogno di qualcuno con cui lamentarmi della vita.– Continuò con semplicità, tornando a guardare il mare, con di nuovo la sua solita espressione, il sorriso sparito, senza lasciare traccia, come un miraggio. Timothy si ritrovò ad osservargli il volto, come alla ricerca di una conferma che fosse effettivamente stato li, su quel volto annoiato che pareva quasi vecchio, mentre osservava il mare.
 
–Tornerò...– Mormorò, quasi più a se stesso che all'amico, prima di alzarsi ed incamminarsi verso la propria cabina, con l'intenzione di preparare le cose per l'indomani mattina.
 
L'amicizia tra Timothy e Parker era insolitamente profonda, del tipo che un interazione poteva interrompersi in buoni rapporti semplicemente andandosene.
 Eppure forse, quella volta, avrebbero dovuto salutarsi..?

 



 

Angolo    

Autrice

Okay questo capitolo è una cacatina. Sono veramente due righe che probabilmente sarebbe stato meglio aggiungere al precedente, ma vi sembro forse un essere itelligente? No, certo che no.
Lo pubblico sia per mostrare che ho più o meno fatto qualcosa in questi due mesi e quindi fingere una sorta di costanza, che morirà subito visto che mi accingo ad iniziare la quinta liceo.  Ma anche e sopratutto perchè finalmente i nostri eroi partiranno dal prossimo capitolo!
Volevo dedicare un capitolo giusto alla partenza, ci sono varie cose da chiarire e da fare per cui c'è una remota possibilità che il prossimo capitolo possa risultare discretamente sossolo e ricco.
Ma parlando di questo capitolo. Non ci crederete ma sono quasi soddisfatta di ciò che ho scritto, shoccante, lo so. Ovviamente non è che sia il mio miglior scritto, ma nemmeno il peggiore, e sono anzi riuscita a raggiungere alcuni dei pallini che mi ero fissata. In primis l'essere un po' più prolissa e narrativa, e non basarmi quasi esclusivamente sui dialoghi, penso di esserci riuscita... se poi il risultato sia discutibile o meno starà a voi deciderlo.
In ogni caso spero questo breve capitolo vi sia piaciuto.
Prima di dileguarmi a studiare, un paio di annunci. 
 Primo: vi consiglio davvero tanto la canzonicina di questo capitolo, non solo perchè bella bella, ma anche perchè da indizi, se non praticamente dice, chi è l'aantagonista di questa storia èwé
 Secondo: Visti i tempi e la penso scomparsa/mancata frequentazione del 70% dei partecipanti a questa storia, i personaggi non di prima classe saranno significativamente meno presenti del previsto, e di conseguenza quelli di terza ancora meno. Mi dispiace perchè alcuni erano veramente bellini, giuro. Tuttavia per il bene della storia ci sono da fare dei sacrifici, e per essere onesta a me e sopratutto a voi, riconosco di non essere capace di gestire così tanti OC. Appariranno di certo, di tanto in tanto, ma non così tanto come mi ero promessa. Spero davvero possiate capite.
 Terzo: Avevo detto "paio", ik, ma mi è venuto in mente ora. E' una cosa su cui non dovrei scusarmi troppo, ma io sono ansiosa e lo faccio. La prima classe sono tutti protagonisti, ma mi sembra relativamente ovvio Felix lo sia leggermente di più. Questo non vuol dire che apparirà di più, ma che il suo ruolo è leggermente più chiave degli altri. L'intenzione sarebbe di dare equo spazio a tutti. Tuttavia potrebbero accadere momenti, come questo capitolo, dove il mio OC riceverà parecchio spazio. Semplicemente essendo mio mi è più facile da muovere e gestire ed è un ottimo mezzo per svincolarsi da blocchi o situazioni scomode. Sorry not sorry. 
Ora vado a studiare o sono fottuta.
Alla prossima

ΩEbeΩ

   
 
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