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Autore: ___Page    20/07/2022    2 recensioni
Le giornate si dilatavano all'infinito, senza un senso. Forse innamorarsi poteva dargliene uno. In fondo, avevano tutto il tempo del mondo.
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Raccolta di one shot sull'amore durante una pandemia globale. Coppie crack, tanto fluff.
*Il secondo capitolo partecipa al Crack&Sfiga Day, indetto dal forum FairyPiece*
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#1: Sanji e Usopp - Vicini di balcone
#2: Ace e Perona - L'amichevole rider di quartiere
#3: Shachi e Baby - Condivisione WiFi
#4: Izou e Pen - Il webinar
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Perona, Portuguese D. Ace, Sanji, Usop
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VELVET BUZZSAW
 
"Con te mi trovo bene. E mi perdo anche meglio" [Serafino Bandini]
 




A Pen stare con le mani in mano non faceva bene. Non era che disdegnasse poltrire, starsene a letto fino a tardi, passare i pomeriggi di pioggia rintanato in casa o non muovere le terga dal divano.
Ma quando gli capitava di cedere alla pigrizia senza che fosse meritata, a posteriori se n'era pentito.
A Pen fare qualcosa serviva e con la fortuna di avere una professione che amava non era mai stato complicato.
Fino al lockdown.
I cantieri si erano fermati, il lavoro era diminuito e soprattutto si era spostato dallo studio al salotto di casa.
Pen non avrebbe capito subito la necessità di correre ai ripari, se Law non avesse proposto di punto in bianco, a una manciata di giorni dalla chiusura totale, a Koala di andare a convivere. 
A Pen era bastato per capire, non si sarebbe trattato di poche settimane.
Con le ore decurtate e senza neanche più Bepo da portare fuori, Pen doveva trovarsi qualcosa da fare.
Certo c'era sempre Shachi che, però, per quanto non sapesse prendersi cura di sé non andava portato fuori, e la casa da gestire ma, anche così, anche se allo studio si erano stupiti, Pen non aveva esitato a offrirsi volontario per seguire il corso di aggiornamento per la gestione del nuovo software, che avrebbero dovuto adottare a partire dall’estate.
Un solo uomo per il bene di tutti, tanto lui quanto i suoi colleghi sapevano per esperienza che alla fine avrebbero imparato sul campo, una volta che il nuovo software fosse stato effettivamente distribuito, ma il corso, che si teneva il venerdì dalle diciotto alle venti, andava seguito e Pen si era prescelto da solo.
Salvo poi scoprire che il corso era una noia mortale, di quelli che ti veniva voglia di appenderti al soffitto per i pollici, e a poco serviva l’ironia del professor. Iceburg che, per quanto non sprizzasse certo vitalità da tutti i pori, non si poteva comunque incolpare per tanta monotonia. Anzi, gli si doveva riconoscere lo sforzo che faceva per cercare di rendere un minimo interessanti le intricate spiegazioni ma, anche se Pen glielo riconosceva eccome, aveva abbandonato l’utopia di restare sul pezzo per centoventi minuti. Alla ormai terza lezione, non ci provava neanche più e in quel momento, ore diciotto e quarantotto postmeridiane, erano trentadue minuti che non stava più seguendo.
Studiò lo scarabocchio che si era trasformato in uno schizzo sempre più dettagliato di un sottomarino, accanto a cui un riquadro per ospitarne il progetto interno era già stato tracciato, prima di lanciare un’occhiata allo schermo.
Otto riquadri attorniavano quello centrale del professore, dove il monitor di quest’ultimo veniva condiviso per tutta la lezione. Nessuno dei suoi compagni di sventura aveva l’aria particolarmente coinvolta. Franky, il tipo con i capelli azzurri ed entusiasmo da vendere addirittura aveva tutta l’aria di essersi addormentato in una posa strategica.
E come sempre, da tre settimane a quella parte, su otto riquadri due erano perennemente oscurati.
E Pen non era una persona visceralmente curiosa, né così incoerente da andare a ficcare il naso negli affari di qualcuno che, proprio come lui, poteva anche essere solo un po' socialmente disfunzionale e non gradire di esporsi troppo con degli sconosciuti.
Accorgersi che la propria webcam era rotta, il giorno della prima lezione, era stata una piacevole scoperta e con Shachi non aveva esattamente insistito perché ci desse un'occhiata e la sistemasse. D'altronde, l'amico aveva da lavorare.
Tuttavia, per quanto non visceralmente curioso né incoerente, Pen era terribilmente annoiato.
Avrebbe potuto mollare la postazione ma ascoltare con un orecchio era meglio che non ascoltare affatto e di continuare il progetto del sottomarino non aveva particolarmente voglia.  
Senza darsi pena di girarsi verso il pc, allungò un braccio verso il touchpad e in pochi tocchi aprì una finestra di chat privata con I. Judan. E rimase a fissarla.
Improvvisamente gli sembrava stupido e fuori luogo iniziare una conversazione con uno sconosciuto o sconosciuta che probabilmente voleva solo essere lasciato in pace, che magari non era neanche davanti allo schermo in quel momento, con un “ciao”.
Sarebbe stato legittimo chiedersi che cosa volesse nonché non rispondergli. Almeno che non lo prendesse per un maniaco stalker e così Pen decise di esternare cosa lo avesse spinto a contattarlo.
“Webcam ancora rotta?”
Pen rilesse un paio di volte il messaggio, in cerca di refusi che non c’erano, tanto per concedersi un momento ancora di dubbio, prima di stringersi nelle spalle e pigiare invio.
I. Judan poteva anche non rispondergli se non gradiva, dopotutto. Era un paese libero e quando dopo cinque minuti la casella di chat continuava a restare muta, Pen riprese in mano la matita con un sospiro, rassegnato a progettare il suo futuro sottomarino pur di restare sveglio durante quella tortura formato webinar.
La mina aveva appena toccato il foglio quando un lieve lampeggio, ai margini del suo campo visivo, attirò la sua attenzione.
Sorpreso, Pen mosse il cursore verso il puntino che indicava un nuovo messaggio in chat, e non quella di gruppo su cui nessuno aveva mai scritto mezza parola in tre settimane.
I.Judan: “E tu?”
Pen corrugò le sopracciglia ma solo per un attimo. Non era come se potesse biasimare la domanda.
Pen Haruto: “Da tre settimane e non penso di farla riparare. Sai, il lockdown”
Pen si girò con la sedia, di nuovo dritto verso la scrivania, gli occhi fissi sul riquadro bluastro, in attesa.
I. Judan: “Immagino il disagio. Cioè la mia webcam funziona alla perfezione, ma mi sto facendo una maschera al cetriolo, quindi…”
Pen si fece pensieroso per un attimo, poche parole della spiegazione che Iceburg stava dando filtrarono nel suo orecchio, più comprensibili di quelle precedenti e successive. 
Pen Haruto: “Posso chiederti la ricetta?”
I. Judan: “Certo, puoi farci anche un fantastico antipasto”
Pen Haruto: “Senza contare che sarà più interessante di questo corso anche fosse solo cetrioli, yogurt e pepe”
I. Judan: “Oh, Pen Haruto, la usi anche tu? Non ti facevo tipo da maschera per il viso”
Pen Haruto: “A dimostrazione che non mi hai mai visto in faccia”
I. Judan: “Hai la webcam rotta da tre settimane, non è colpa mia”
Pen nascose un ghigno dietro le mani, per poi riportarle quasi subito alla tastiera e lasciarle ferme lì. Lanciò un’occhiata verso il blocco da disegno ora abbandonato, pensando febbrilmente a qualcosa da dire per tenere viva la conversazione, quando un nuovo messaggio saltò fuori dal fondo del riquadro.
I. Judan: “Questo corso mi ucciderà di noia e la cosa che mi scoccia di più è che sarò morto per un software che a me potrebbe servire al massimo per scegliere il font più accattivante per la prossima campagna”
“Graphic designer?” tabulò Pen senza pensare, immerso nel flusso di conversazione. “O… assistente?”
I. Judan: “Fa davvero differenza? Tanto tutti, pure i miei migliori amici, pensano che faccia il designer in ogni caso”
A Pen sembrò quasi di percepire l’esasperazione e l’alzata di spalle dall’altra parte dello schermo.
Pen Haruto: “Ho capito, assistente direttore artistico”
I. Judan: “Mi stalkeri, Pen Haruto?”
Pen Haruto: “È lo stesso problema che c’è con architetto e geometra. Nessuno capisce la differenza e si chiedono perché uno perde tempo a laurearsi per fare lo stesso lavoro per cui basta un diploma”
Pen sospirò nell’inviare il messaggio, sperando che il sentimento attraversasse l’etere com’era successo con il precedente messaggio del suo interlocutore. Uomo. Maschio. “Un assistente direttore artistico” senza apostrofo.  
I. Judan: “E tu cosa sei? Architetto o geometra?”
Pen Haruto: “Io sono un animo libero e faccio l’architetto di professione”
I. Judan: “Oh. È perché ti piace studiare? Voglio dire, potevi fare il geometra ed era lo stesso, no?”
Pen rimase interdetto per un attimo, salvo poi scoppiare a ridere senza trattenersi, certo di aver colto l’ironia come se i messaggi scritti avessero avuto una ben precisa cadenza.
«Stai ridendo?» la voce di Shachi lo raggiunse attraverso la porta socchiusa.
«No, te lo sei immaginato» alzò la voce in risposta, gli occhi di nuovo fissi al monitor.
I. Judan: “Io vado a togliere la maschera e fare la pipì. Se interroga coprimi, se dice qualcosa di interessante invece datti uno schiaffo, vuol dire che ti sei addormentato”
Pen scoppiò a ridere di nuovo e si lasciò sfuggire anche un grugnito con il naso.
«Stavolta ti ho sentito! Sono sicuro!»
«Fatti gli affari tuoi, Shachi!»
 

§
 

I. Judan: "Che fai connesso a quest'ora?"
Pen inarcò la schiena sulla poltroncina ergonomica, schioccando le dita tra loro, prima di portarle alla tastiera.
"Credevo di essere io il tuo stalker" digitò Pen, fermandosi un istante a studiare la I puntata che precedeva il cognome. "Iñaki Judan?"
I. Judan: "Ahhhh no. Non è abbastanza giapponese per essere il mio nome"
Pen si accigliò, incuriosito da quella rivelazione, forse un po' più che solo incuriosito.
Pen Haruto: "Neanche il tuo cognome suona molto giapponese"
I. Judan: "È quello di mia madre, è shandiano. Li porto tutti e due ma al lavoro uso solo questo, suona, sai... Più esotico e quelle cavolate lì"
Pen Haruto: "Lo ami, eh, il tuo lavoro?"
I. Judan: "Di certo più dei pregiudizi che ancora circolano nell'ambiente. Che sono comunque meno di quelli che circolano fuori"
Pen tolse le mani dalla tastiera.
Non voleva far morire lì la conversazione ma non era un terreno semplice da tastare. Non aveva idea di quanto il suo interlocutore parlasse per cognizione di causa e se ne volesse parlare proprio. Di contro non fare neanche mezzo commento e cambiare argomento poteva sembrare una fuga bella e buona da parte sua.
Forse ci stava pure pensando troppo, stava già per scartare il “forse” che un nuovo messaggio lo tolse dall’impaccio.
I. Judan: “Quindi come mai connesso a quest’ora?”
Pen Haruto: “E tu?”
I Judan: “Volevo mandarti un meme che è stato chiaramente fatto da qualcuno che ha già seguito il webinar prima di noi. Ma non mi aspettavo di trovarti su Reverie alle quattro di mercoledì pomeriggio”
Pen Haruto: “Con il lockdown il lavoro langue e mi sono iscritto a un canale di corsi creativi. Cambia docente e attività ogni una o due settimane e sono lezioni da un’ora. Per passare il tempo”  
I. Judan: “E cosa prevede il corso di oggi?”
Pen Haruto: “Origami”
I. Judan: “Origami?”
Pen Haruto; “Origami”
Un momento di stasi seguì la conferma di Pen. Le dita aleggiarono sulla tastiera, indecise.
“Poi se vuoi ti insegno” scrisse pigiando un tasto per volta con il polpastrello del suo indice dominante, conscio che per insegnare gli origami a qualcuno sarebbe stata necessaria una webcam funzionante e farsi vedere in faccia. O meglio sarebbero bastate le mani ma sarebbe stato davvero ridicolo restare nascosto dal collo in su. Per di più, gli sembrava anche fuori luogo proporre di insegnare gli origami a un giapponese, anche se non era affatto detto che il fatto di essere per metà giapponese implicasse che sapeva fare gli origami e…
I. Judan: “Io dovrei riprenderci la mano, mi farai vedere come si fa. Ora devo tornare al lavoro. Ci sentiamo venerdì”
Pen rilesse un paio di volte il messaggio, prima di affrettarsi a cancellare quello non inviato e digitare al suo posto un “Ehi, mandami il meme!”.
 

§
 

Pen Haruto: “Stasera la maschera a che gusto è?”
I. Judan: “Avena. Ace credeva che fosse l’impasto dei biscotti”
Pen Haruto: “Ace?”
I. Judan: “Il mio amico che fa il rider, mi ha portato la spesa. Di solito vado io, così esco, ma ho avuto tre giorni infernali”
Pen Haruto: “Casini al lavoro”
I. Judan: “Catastrofi naturali”
Pen mosse le dita nell’aria, un gesto che stava diventando anche troppo familiare da tre settimane a quella parte, la mascella contratta e un piede che picchiava nervoso a terra. Mandò giù a vuoto, consapevole che fare finta di niente non avrebbe cambiato la realtà dei fatti e che lo stomaco annodato non c’entrava niente con il fatto che a pranzo avesse cucinato Shachi.
“Per lo meno, stasera è l’ultima lezione di webinar” digitò e inviò senza alcuna verve, anche se per il compagno di sventure doveva essere l’avvenimento del mese.
I. Judan: “Sì, non mi sembra vero. Anche se pensavo che mi sarebbero sembrate molto più lunghe, queste sei settimane”
«Sì, lo pensavo anche io»
«Hai detto qualcosa?»
«Si è impallato il pc e stavo imprecando» alzò la voce per farsi sentire da Shachi, che in cucina si apprestava a mettere insieme il secondo pasto della giornata.
Non c’era mai fine al peggio.
Pen prese un profondo respiro, la voce di Iceburg in sottofondo che raccontava un nuovo aneddoto su Tirannosauro, il suo furetto albino, di cui ormai conoscevano ogni abitudine alimentare e non.
Pen Haruto: “Le ultime tre poi sono volate. Giusto perché avevo deciso di scoprire il tuo nome, Isamu”
I. Judan: “Gli elenchi di nomi di Wattpad sono estremamente lacunosi, Pen. È giusto che io ti avvisi”
Pen Haruto: “Non sto usando Wattpad, per chi mi hai preso? Ho un elenco serio ma sto provando solo quelli che suonano bene con Judan”
I. Judan: “Non ti sembra un filtro un po’ azzardato?”
Pen Haruto: “Non direi, da qualcuno le doti artistiche le avrai prese, punto tutto su tua madre, non ti avrebbe mai dato un nome che non stesse bene con tutto il resto, Iesada”
Silenzio.
Se c’era una cosa che davvero turbava Pen di quel metodo di comunicazione, ancora di più di non vedersi in faccia, ancora di più di non poter sentire le rispettive voci e l’intonazione e osservare i gesti, erano le pause.
Quelle prolungate, che non sapeva come interpretare, se come la fine della conversazione, come un imprevisto dall’altra parte dello schermo o come una sua uscita infelice.
Certo in quel momento Pen aveva la doppia speranza che la mancata risposta potesse indicare che ci aveva finalmente preso ma anche così…
I. Judan: “Scusa, controllavo l’ora per la maschera. E comunque ritenta, sarai più fortunato. Io vado a sciacquarmi e fare pipì”
Pen mosse le dita senza pensare.
Pen Haruto: “Dammi il tuo numero”
Ma forse ci aveva messo comunque troppo, visto che dopo trenta secondi ancora non era arrivata una risposta.
I. Judan: “Come?”
Pen Haruto: “Il tuo numero di telefono. Così se interroga ti avviso”
Pen riportò le mani davanti al viso, le dita giunte a nascondere bocca e naso, il fiato sospeso. Non aveva nessun motivo ragionevole per stare così in tensione, voleva solo tenere i contatti con una persona con cui era piacevole parlare e che lo faceva ridere.
Eppure la poltroncina sotto di lui non molleggiava certamente da sola e lo stomaco gli fece una capriola quando dieci cifre apparvero nell’ultima riga della finestra di chat e poco ci mancò che gli scappasse un grido di esultanza.
I. Judan: “Mi aspetto venga usato responsabilmente”
Pen Haruto: “È in ottime mani. Posso salvarti come Iwai?”
I. Judan: “Mio dio, assolutamente no!”
 

§
 

Izou non era una persona diffidente. Tutt’altro. Si considerava un animale sociale, capace di trovare un punto di incontro praticamente con chiunque, l’anima della festa.
Trovarsi a fare gruppo con sconosciuti non lo metteva a disagio, era così che aveva conosciuto Ace e poi che lui, Ace e Satch avevano conosciuto Marco.
Izou non era una persona diffidente. Izou era una persona cauta.
Trovava profondamente ingiusto essere additato a diffidente quando la sua era solo sana cautela nello snocciolare dettagli personali e intimi finchè il rapporto non si definiva meglio sull’asse dell’amicizia.
Non portarsi gente appena conosciuta a casa era cautela.
Non sganciare il proprio numero di telefono dopo un primo contatto era cautela.
Non rivelare il proprio nome a Pen Haruto era innegabilmente cautela.
Non era neanche un conoscente, non sapeva cosa avrebbe potuto farci con il suo nome completo, anche se, okay, gli aveva dato il proprio numero di cellulare ma solo perché continuare a comunicare solo con la chat di Reverie era snervante.
Almeno quanto Satch che gli continuava a chiedere aggiornamenti su di lui, su di loro, insinuando che la cautela di Izou stava iniziando a sfociare nella diffidenza.
Satch non sapeva di cosa stesse parlando.
Izou non provava diffidenza nei confronti di Pen Haruto, non era quello il problema. Per essere precisi, non ci sarebbe proprio stato un problema, se Izou avesse provato niente per Pen Haruto.
C’era una familiarità nelle loro conversazioni, sin dall’inizio, che in altre circostanze sarebbe bastata a incasellare Pen Haruto nella categoria “amici”, se solo Izou non fosse stato consapevole che quello strano rapporto, che si era creato nel blackout di due webcam spente e una pandemia, fosse da definire su un asse diverso da quello dell’amicizia, almeno per lui.
Era nell’entusiasmo con cui si era ritrovato ad aspettare le lezioni del webinar, prima, e nell’urgenza con cui afferrava il telefono a ogni vibrazione da messaggio, poi. Era tutto lì, impossibile da ignorare, anche se non era chissà che.
Per il proprio benessere mentale non poteva essere chissà che. Per il proprio benessere mentale, si raccontava che fosse cautela la sua caparbietà nel non dirgli il proprio nome, non una garanzia che Pen gli avrebbe scritto almeno finché non avesse scoperto come si chiamava.
Per il proprio benessere mentale, Izou non gli aveva mai proposto una videochiamata né aveva mai usato un vocale perché Izou si rendeva conto che sarebbe potuto essere ben più preso di così da Pen Haruto e che non sarebbe servito poi molto, non quando era bastata una conversazione sulla sua maschera al cetriolo per entrargli in testa.
Sarebbe bastato così poco. Come ad esempio ricevere un vocale da Pen, sentire la sua voce, immaginarsi da quel momento in avanti ogni suo singolo messaggio pronunciato con un timbro di cui fino a quel momento non aveva cognizione.
Sarebbe bastato ascoltare il vocale che Pen gli aveva appena mandato.
Izou era conscio di non avere poi molte alternative. Il messaggio era lì, con la doppia spunta ancora grigia ma non poteva restare così per sempre. O meglio poteva, se Izou accettava di non sentire mai più Pen Haruto.
Il dito sfiorò appena lo schermo, accompagnato da un sospiro. Che gli aveva fatto, senza che neanche lo avesse mai visto in faccia o ci avesse mai parlato di persona, Izou non se lo riusciva a spiegare e, la cosa peggiore, neanche gli importava spiegarselo.
 
«Ehi Itachi, disturbo? Scusa il vocale ma sto andando in farmacia»
 
Izou si accigliò, neanche il tempo di assorbire l’effetto della voce di Pen che si stava già preoccupando.
 
«Nessun sintomo, sto solo andando a prendere l’antistaminico. Ma comunque! Non ho saputo resistere, mi è appena successa una cosa incredibile e te la doveva raccontare subito, aspetta… Okay, dicevo. Mi ha appena chiamato Iceburg, a quanto pare Reverie ha una funzione che permette all’admin di un gruppo di vedere le attività di tutti i membri del gruppo. Quindi siamo stati sgamati, Iceburg sa che abbiamo chiacchierato tutto il tempo durante il webinar, anche se non sa che cosa ci siamo detti»
 
Izou ascoltò allibito il trillo che indicava la fine del vocale, seguito subito dall’inizio del successivo. E non sapeva cosa lo avesse colpito tanto. Se il fatto che Iceburg non avesse detto niente, se l’euforia che gli sembrava di sentire nella voce di Pen, se la voce di Pen.
La voce di Pen era probabilmente la rispsota giusta. Avrebbe dovuto lavorare in radio. O fare il doppiatore. O anche passare il tempo a mandare vocali a lui.
 
«Comunque insomma, ha pensato fossimo amici e dice che deve aver segnato male il tuo indirizzo email perché non riesce a mandarti l’attestato di partecipazione, e prima che potessi dirgli che non ho la tua email e che non ero neanche a casa, me l’ha letta per chiedermi conferma. Ti confesso che da te non mi aspettavo avessi usato la classica formula nome.cognome e so anche che non è molto aderente alle regole del nostro gioco ma, non me la sono andata a cercare per cui, insomma…»
 
Izou rimase immobile con il cellulare all’orecchio e il fiato sospeso.
 
«... Piacere di conoscerti, Izou»
 
Izou esalò, occhi sgranati. Era fottuto.
 

§
 

«Cosa fai qui?»
Fu l’entusiasmo malcelato nel tono sorpreso di Shachi a non lasciargli dubbi su chi avesse suonato alla porta. Sorrideva già quando raggiunse l’ingresso, dove Law aspettava che il suo ex coinquilino e amico storico si togliesse dalla porta e lo lasciasse entrare.
«Con il tesserino medico posso andare ovunque»
«Ma c’è il lockdown!» protestò Shachi.
«E allora?» fu l’asciutto commento di Law, mentre già si sfilava le scarpe.
«Preparo il caffè» annunciò Pen, ribollendo di gioia per l’inaspettata visita e conseguente rimpatriata.
Non aveva un’idea precisa di quanto tempo fosse effettivamente passato dall’ultima volta che erano stati insieme fisicamente tutti e tre. Anche se si videochiamavano abbastanza regolarmente, non era lo stesso che vedersi di persona.
Vedersi di persona era diverso, Pen non poteva negarlo. Non poteva negare di pensarlo. Non poteva negare che ne stava avendo una prova tangibile in quello stesso momento.
E se era diverso per loro, che erano amici da una vita e conoscevano le rispettive facce…
 «Pen, amico?»
Pen posò uno sguardo interrogativo su Shachi, sguardo che si fece perplesso quando si accorse dell’espressione accigliata dei suoi amici.
«Che c’è?»
«Stai bene?­»
«Sì, perché?»
Fu la loquace occhiata di Law che si abbassava verso la sua tazzina. Si accorse che stava picchiando ritmicamente il cucchiaio contro la ceramica e che non aveva idea di quale fosse stato l’argomento di conversazioni per svariati minuti.
«Oh» commentò, posando il cucchiaino e giungendo i polpastrelli sopra la tazzina e davanti al viso.
Law e Shachi si scambiarono un’occhiata, prima di riportare l’attenzione su di lui.
«Se qualcosa non va…­» cominciò Law, cambiando posizione sulla sedia.
«No no!» lo interruppe Pen, alzando le mani ai lati del viso, per poi riportarle davanti alla bocca, lo sguardo di nuovo perso nel vuoto, riflessivo.  
Law e Shachi si scambiarono un’altra occhiata.
«Pen…»
«Mi piace un ragazzo»
La mascella di Shachi rischiò di toccare il tavolo mentre Law, impassibile, aveva l’aria di essere ancora in attesa.
Pen spostò gli occhi da uno all’altro, indeciso su come proseguire, e si soffermò un attimo di troppo su Shachi, che richiuse con grande sforzo la bocca e deglutì a vuoto, agitato.
«Pen, io… io… sono lusingato ma… Cioè mi dispia…» balbettò sconnesso solo per venire brutalmente interrotto dall’occhiata incredula e il sopracciglio svettante di Law, che si rivolse a Pen subito dopo averlo zittito.
«Come lo hai conosciuto?»
Pen lo guardò di sottecchi. Non si stupiva che in pochi istanti Law si fosse già orientato nella giusta direzione. «A un webinar. E ci sentiamo. Spesso anche e mi trovo bene a parlare con lui»
«Ma…­­­»
«Non so che faccia abbia. Non ci siamo mai visti»
Il sopracciglio di Law si sollevò di nuovo, molto lentamente, ad accompagnare un’espressione che aveva un che di vagamente divertito e Pen percepì distintamente del fumo uscirgli dalle orecchie. Inalò a fondo e sfregò le mani tra loro prima di passarsene una tra i capelli.
«Ehi aspetta un attimo, parli del webinar che hai appena seguito da casa, vero?! Allora avevo ragione a dire che ti comportavi in modo strano quando avevi lezione!»
«Sei ancora fermo lì?»      
«Non è questo il punto, Shachi­»
«Oh okay, allora la prossima volta che mi prendo una cotta anche io ti mentirò spudoratamente e poi vediamo se non è questo il punto»
 «È offeso perché pensava di essere lui» commentò Law, strappando a tradimento un’incredula risata a Pen. Cosa di quella sua rivelazione lo avesse messo tanto di buonumore gli sfuggiva, ma neanche gli importava. Che Law fosse contento, gli bastava senza bisogno di spiegazioni.
Almeno quanto lui che una volta tanto non era andato in paranoia, e ci sarebbero stati tutti gli estremi per andarci, visto che non aveva mai contemplato prima di poter esser attratto dagli uomini. Ma a dire il vero non aveva mai neanche contemplato di non poterlo essere in assoluto, quindi non c’era niente da andare in paranoia.
Eccezion fatta per il dettaglio, appunto, che non aveva mai incontrato Izou di persona e di conseguenza c’era il rischio di...
«Quindi insomma, immagino tu sia preoccupato di averlo idealizzato troppo»
Pen si strozzò con la propria saliva, preso in contropiede anche se non aveva poi così motivo. Era di Law che si parlava, non c’era da stupirsi che gli avesse letto nel pensiero. E neanche c’era bisogno che gli confermasse di avere indovinato.
«Ridimensiona il rapporto. Se ti piace ancora dopo che ti sei ricordato che è un essere umano, non hai niente di cui preoccuparti»
Questa volta gli occhi di Pen si assottigliarono, le sopracciglia corrugate nell’espressione di una muta domanda che Law non aveva bisogno di sentire ad alta voce.
«Chiamalo. Con il video, senza video. Scopri almeno che voce ha» si strinse nelle spalle il moro.
«Ma di che cosa state parlando?» intervenne Shachi, spostando lo sguardo da uno all’altro, mentre il viso di Pen si distendeva in un’espressione a metà tra l’illuminato e il rilassato.
«Okay, io devo andare a fare pipì» annunciò il rosso, alzandosi di slancio, un sorriso da imbecille stampato sulla faccia. «Grazie amico» strinse una spalla a Law nel passargli accanto, lasciando Shachi ancora più interdetto.
Una manciata di secondi di assoluto silenzio seguirono la fischiettante uscita di Pen dalla cucina, prima che Shachi si rigirasse verso Law, puntando il pollice oltre la propria spalla, in direzione del bagno.
«Non starà andando a masturbarsi, vero? Che c’è?! Che hai da guardarmi così?!»
 

§
 

Izou ricontrolló per la terza volta che fosse tutto pronto, appurando, per la terza volta, che non mancava nulla, mentre lanciava per la terza volta un'occhiata all'orologio.
Le venti e cinquantaquattro e tutto era al suo posto, la borraccia, il barattolino di gelato all'uva-fragola, il telecomando della tivù, quello della soundbar, quello del ventilatore che chissà perché lo aveva messo lì visto che non faceva poi così caldo.
Come se il telecomando del ventilatore fosse poi così strano rispetto a guardare un film insieme ma a distanza con Pen. O rispetto al film stesso; Izou non aveva neanche idea del perché avesse proposto quello.
Non aveva idea del perché lo avesse proposto lui, l'idea era stata di Pen ma a Pen la proposta era piaciuta. Doveva essere un amante degli horror. Izou dal canto suo si era lasciato attirare dall'ambientazione della galleria d'arte e dal protagonista.
Velvet Buzzsaw.
Già il titolo non prometteva niente di buono ma ormai era tardi per ripensarci e, comunque, era più curioso di quanto gli piacesse ammettere e lui gli horror da solo non li guardava. Non che tecnicamente non fosse solo, ma...
Il suono a goccia di una nuova notifica stroncó il nuovo treno di pensieri all'uscita della stazione, proprio mentre tornava in salotto dalla canonica pipì prefilm.
Raggiunse il divano e afferrò il cellulare, un vago senso di aspettativa alla bocca dello stomaco.
Pen: “Buonasera, ho una consegna per il signor Judan, un promemoria per una serata film in compagnia”
Izou: “I promemoria dovrebbero servire a ricordarsi dei propri impegni per tempo, non all’ultimo minuto. E poi non te lo sei sudato il mio nome? Ora usalo”
Pen: “Sembra quasi ti dispiaccia se non lo faccio”
Izou percepì uno spasmo allo stomaco, piacevole e perturbante al tempo stesso. Avrebbe voluto ribattere con qualche piccata e acida risposta ma non riusciva a staccare gli occhi dal piccolo “sta scrivendo” verde che appariva e scompariva come se Pen stesse tabulando a bocconi, forse indeciso su cosa dire.
Perché mai sarebbe dovuto essere indeciso su cosa dire? Cosa doveva mai dirgli? Izou avrebbe voluto essere meno coinvolto dalla possibile risposta.
Pen: “In ogni caso non ho temuto neanche un istante che ti potessi dimenticare. Hai la mia totale fiducia, Izou Judan. E a proposito, sei pronto?”
Lo spasmo si trasformò in un crampo di breve durata, fastidio o forse dispiacere, Izou non sapeva neanche per cosa. Forse perché intanto il termine giusto era “delusione” e poteva essere per la disattesa aspettativa di ciò che Pen stava scrivendo, o perché da quando aveva scoperto il suo nome Pen lo aveva usato raramente senza metterci il cognome, o preferirigli “signor Judan”, o continuare a usare nomi giapponesi che iniziavano per I.
Forse era che Izou riteneva non avrebbe dovuto deluderlo affatto, era che non gli piaceva per niente trovarsi in quella bolla, sapendo che era destinata a scoppiare prima o dopo, ma ora Izou non voleva rovinarsi la serata. Poteva sempre metterci un freno poi, ci avrebbe pensato a tempo debito.
Qualche passo indietro e tutto sarebbe tornato come prima, quindi era sciocco non godersi l’attimo per delle inutili pare.
Izou: “Io sono sempre pronto, per qualsiasi evenienza, Pen Haruto. Ma non riusciremo mai a coordinarci alla perfezione, mi auguro tu lo sappia”
Pen: “Basta capire chi dei due è più in differita dell’altro per non farci spoiler. Dammi tu il via”
Izou avrebbe giurato di aver percepito dell’eccitazione nel messaggio di Pen, che probabilmente amava intrattenersi in quel genere di attività con i propri amici. Agli occhi di Pen forse era addirittura il battesimo di fuoco di Izou, quella serata, e Izou si voleva impegnare.
Non aveva mai commentato un film per via scritta ma fu con sollievo che scoprì che non gli risultava poi così difficile senza perdersi nessun passaggio saliente. Forse anche perché il suo istinto non aveva sbagliato e la trama era fedele alle aspettative che titolo e trailer trasmettevano, sebbene ben fatto. E molto più godibile con i commenti di Pen ad accompagnarlo di quanto mai lo sarebbe stato in visione solitaria.
Almeno fino alla prima morte. Izou aveva capito che stava per arrivare, sapeva che genere di film stavano guardando, la musica, l’atmosfera. Si era aspettato la morte, non che delle maledettesime scimmie dipinte prendessero vita e cacciasero le zampe fuori dalla tela per seviziare il gallerista curioso.
Il cuore in gola, Izou si accorse di essersi schiacciato contro lo schienale, di provare un violento desiderio di mettere in pausa e che il suo cellulare stava suonando. Senza riflettere, senza guardare, Izou lo portò all’orecchio strisciando il bottone verde.
«Delle scimmie dipinte?! Sul serio?!»
«Non te la prendere con me, mica lo sapevo!»
«Delle scimmie!»
«Delle scimmie!» confermò Izou, un principio di risata sulle labbra.
«Delle fottutissime scimmie!» ribadì Pen, il divertimento palpabile nella sua voce.
«Lo so! Che razza di gente malata scrive una cosa simile e…»
La sua voce.
Quella di Izou gli morì in gola quando realizzò che quella di Pen stava parlando in diretta. Erano al telefono. Stavano parlando al telefono, come una chiamata, come una normale conversazione.
E non che fosse la prima volta che comunicavano vocalmente ma era sempre stato comunque tramite vocali e questo era così diverso, così famigliare e… intimo.
E Izou non si era neanche accorto di aver risposto, non si era neanche posto il problema, lui…
«Izou, ci sei?»
«Eh? Oh sì, sono qui, sono qui, scusa è che stavo… mettevo in pausa» affermò, fissando il telecomando che neanche si era accorto di aver afferrato.
«Ah anche tu?! Allora non devo fare finta che in realtà non voglio perdermi pezzi per capire che cosa cavolo succede ora!»
La risata di Pen era come uno scacciapensieri di conchiglie appeso in un portico, ma la voce era profonda come il mare, rassicurante come lo sciabordio delle onde. Izou sarebbe potuto stare ad ascoltarla per ore.
«Non devi, non serve tu faccia mai finta con me» affermò prima di rendersi conto e un lungo silenzio seguì la sua affermazione. Ma, per qualche ragione, neanche il più vago sentore di panico si insinuò sotto la pelle di Izou. Sapeva che non era un silenzio negativo. Non sapeva come ma se lo sentiva e, ciò nonostante, la leggerezza lo pervase quando Pen ridacchiò di nuovo, all’altro capo del filo.
«Ehi Pen…­»
«Okay allora adesso ti las… sì, dimmi!»
Aspettativa. Izou la riconobbe subito nel suo stomaco, nella voce di Pen se la stava probabilmente immaginando. Forse.
«Pensavo, non è più pratico commentare in diretta così? Possiamo coordinarci meglio per essere sempre allo stesso minuto e poi onestamente… io mi sono preso un colpo, non so te, ma preferirei non essere da solo per il resto di questa roba!» sgranò gli occhi, svolazzando una mano nell’aria, anche se nessuno poteva vederlo.
Ma gli sembrava solo equo, se voleva che con lui Pen fosse sempre spontaneo e non si trattenesse, fare altrettanto.
«Se non vuoi ovviamente io…»
«Voglio! Mi… mi farebbe piacere restare al telefono sì»
Izou sentì le proprie labbra arricciarsi all’insù. Su tutte le altre sensazioni era meglio non soffermarsi, decise.
«Okay» sussurrò, quasi un soffio, un segreto.
«Okay. Io sono al minuto…»
 

§
 

Alla fine Velvet Buzzsaw si era rivelato senza infamia e senza lode. Un’ambientazione di tutto rispetto incastrata con una trama che avrebbe potuto dare di più del classico horror medio, ma tuttavia abbastanza poco banale da essere sufficientemente intrattenitivo. Se visto in compagnia, ecco.
«Non guarderò mai più l’arte contemporanea con gli stessi occhi»
«Nel senso che d’ora in poi cercherai segni di omicidio nei pressi di qualsiasi opera?»
«Precisamente!»
Izou non sapeva da quanto fosse finito il film, da mezz’ora forse, forse di più, erano ancora al telefono e per Izou ci sarebbero potuti restare anche tutta la notte. Era stato divertente pronosticare chi e come sarebbe morto durante la visione, soddisfacente e a tratti goliardico commentare la pellicola a posteriori, e Izou fremeva per scoprire che aggettivo avrebbe descritto lo scivolare in rilassate chiacchiere su tutto e niente.   
«Stavo per dichiarare che non metterò mai più piede in una galleria d’arte ma non posso perdermi lo spettacolo di te che ti improvvisi detective»
Izou ridacchiò sdraiato sul divano, una mano incastrata nei capelli una volta tanto sciolti, mentre scuoteva piano il capo. Ormai non si stupiva più dell’inadulterata sintonia che permeava l’aria intorno a lui quando parlava con Pen.
«Ehi, Izou… Senti…»
Izou spalancò gli occhi. Ovviamente la sintonia si era dissolta nel momento esatto in cui aveva prodotto il pensiero, figurarsi. Scemo lui.
Fatto sta che Pen aveva finalmente usato il suo nome senza aggiungerci niente e il suo tono era tutt’altro che rilassato, aveva anche esitato e, se aveva sentito bene, deglutito pesante prima del “senti”.
«Che succede?»
«So che ora non è possibile, che c’è il lockdown e non dipende da noi ma i-io vorrei incontrarti. Di persona. Non appena sarà possibile, insomma, potremmo già farlo a distanza però…»
Izou si rimise a sedere sul divano, il volto improvvisamente una maschera, in contrasto con le violente sensazioni che il resto del suo corpo stava inviando freneticamente al suo cervello. Non si era aspettato che la bolla fosse destinata a scoppiare così presto.
Perché non poteva dire di sì, non sarebbe finita bene, non poteva finire bene, non dopo aver idealizzato così tanto quel rapporto dietro il monitor di un cellulare a fare da scudo. E Izou si era raccontato solo bugie a dirsi che non era poi così coinvolto, era decisamente troppo coinvolto, troppo per affrontare il fallimento, la delusione di scoprire che senza pandemia e lockdown e l’incognita di quale fosse il loro aspetto quel rapporto non poteva sopravvivere.
«Io penso che sia meglio di no­»
Non si accorse di aver parlato finché non sentì la propria voce, così distaccata da essere irreale.
Un «Oh» dall’altro capo del telefono e poi più niente. Silenzio. Che stava già durando troppo.
«Mi dispiace, è molto tardi, ora devo andare. Grazie della bella serata e buonanotte»
Il cellulare precipitò sul divano con un tonfo sordo. Qualcosa nella sua cassa toracica aveva prodotto un rumore molto simile.
 

§
 

Izou si sentiva un idiota.
Amava il proprio lavoro, lo amava. Amava meno, ed era un eufemismo, la pressione che l’ambiente metteva addosso in certe situazioni, che gli venisse detto di ostentare di più la propria omosessualità quando metteva i mocassini e che i tacchi del giorno dopo venissero presi come un atteggiamento accondiscendente verso i consigli non richiesti, anziché per ciò che erano, ovvero una scelta di stile.
Ma non tutti i colleghi erano così, la moda era il suo regno da sempre, la pittura una passione che in quel lavoro poteva trovare un impiego e la sua posizione a dir poco desiderabile, alle dirette dipendenze di Whitey Bay che si fidava ciecamente di lui. Così ciecamente di affidargli il primo shooting fotografico dall’inizio del lockdown.
Dopo settimane di articoli messi insieme con immagini di archivio e manichini per modelle, tutto sempre in ambienti chiusi e rigorosamente asettici, tutto controllato in remoto e spesso a posteriori, erano di nuovo all’aria aperta, con tutti i permessi per lavorare con modelle e modelli in carne e ossa - si sperava nella giusta proporzione - e a contatto con altri esseri umani, in presenza, reali e tangibili oltre la distanza di sicurezza che, comunque, la direzione si era più volte raccomandata, non andava superata se non in caso di estrema necessità.
A Izou non sembrava vero, a Izou sembrava un’occasione da segnarsi a fuoco nella memoria, anche se le norme stringenti dei primi tre mesi e mezzo si iniziavano ad allentare e si intravedeva un po' di luce in fondo del tunnel. Era incline a pensarla come Marco, a cui una volta tanto persino Satch aveva dato retta e ragione, che gli avrebbero liberati per l’estate per poi tornare alla chiusura in autunno. Quindi Izou non voleva illudersi ma voleva comunque godersi il momento.
Solo che si sentiva un idiota.
Era stata una piacevole sorpresa scoprire che la sua idea di un servizio sulle collezioni estive di mascherine griffate fosse stato non solo approvato, ma anche accolto con grande entusiasmo. Era stato eccitante vedersi assegnare il primo progetto tutto suo, da senior, e scoprire di esserne perfettamente all’altezza, non tanto per mansioni come scelta della location, dei soggetti, delle collezioni appunto e del tema. Bay lo coinvolgeva sempre su ognuno di quegli aspetti.
Era stato più essere il riferimento di ogni singolo membro coinvolto nel progetto, controllare tutti i modelli e le modelle, rispondere al triplo delle domande a cui era abituato a rispondere quando lo faceva in veste di assistente. Se l’era cavata, più che egregiamente, era ancora lucido nonostante la quantità di parole a mitraglia che aveva dovuto immagazzinare, il servizio stava procedendo senza intoppi.
Eppure, si sentiva un idiota.
Il set era spettacolare. Liguria Plaza, nel quartiere di Water Seven, riverberava di blu ogni ora del giorno e quando il sole tramontava, incendiando il deserto che Raftel era da settimane, virava semplicemente all’indaco per un fenomeno che nessuno sapeva spiegare. Era come trovarsi sul fondo dell’oceano.
Izou aveva pensato molto all’acqua in quei giorni, al potere calmante che l’acqua aveva su di lui. L’acqua era leggerezza, l’acqua era purificatrice.
«Okay a posto! Vai! Sii fluida e impalpabile come l’acqua!» rispedì Lulis verso la spettacolare fontana monumentale Aqua Laguna, dopo averle sistemato due boccoli rossi e la cintura dell’abito, e si portò quattro dita alle tempie sudate, gli occhi chiusi. «Certe volte mi sento un idiota a dire queste cose»
Ed era appurato che Izou si sentisse un idiota ma a onor del vero non era una sensazione che si portava dietro da pochi secondi, ma da due settimane.  E non per ciò che aveva appena detto a Lulis, ovviamente, ma per qualcosa che aveva detto a qualcun altro. Qualcuno di infinitamente più importante.
Io penso che sia meglio di no.
Io penso che sia meglio di no.
Io penso che sia meglio di no.
Come aveva fatto a essere così stupido?! Anziché ignorare l’istinto e concedersi un attimo per riflettere, prima di rispondere, magari prendendo tempo e invece…
Aveva cercato di ignorare la pregnante assenza di Pen per tutta la prima settimana, dopo la famigerata serata di Velvet Buzzsaw. La sua credenza, che sarebbe bastato fare pochi passi indietro e smettere di sentirlo con tutta quell’assidua frequenza, per tornare alla normalità pre-Pen Haruto, si era rivelata ovviamente errata e non si stupiva neanche più.
Aveva pensato e fatto e detto talmente tante cose sbagliate in quegli ultimi mesi.
Poi era arrivata la notizia del servizio sulle mascherine e, in un mix di nostalgia, adrenalina e delirio di onnipotenza, aveva preso la scusa per scrivergli. Gli aveva raccontato ogni cosa, ogni dettaglio, persino quando e dove avrebbe diretto il suo primo photoshooting, ma consapevolmente fingendo che non fosse successo nulla. Che i sette giorni di vuoto e nulla fossero stati solo sette giorni molto pieni e impegnati per entrambi.
Pen non aveva risposto.
Niente su Whatsapp, niente su Reverie, niente sulla mail di Izou che, in effetti, Pen non aveva mai usato e quindi era stato anche idiota controllare. Davvero inaspettato, che avesse fatto una cosa idiota.
E poi, due giorni prima del grande evento, Izou si era finalmente deciso a fare ciò che andava fatto e in un lungo messaggio gli aveva detto tutto. O quasi.
Che era dispiaciuto, che si era fatto prendere dal panico, e questo non lo giustificava, ma sapeva di averlo deluso. Che mai nella vita gli era capitato di instaurare un rapporto con qualcuno che non conoscesse la sua faccia e che, così abituato dall’avere il proprio aspetto messo davanti a tutto il resto, non sapeva cosa aspettarsi dal loro incontro.
Gli aveva detto tutto, tranne che l’idea di perderlo lo atterriva.
E forse era già successo perché Pen non aveva risposto neanche a quel papiro e Izou non ci voleva pensare, non ci poteva pensare, e aveva deciso di non controllare il telefono fino alla fine dello shooting, dopodiché, senza più il servizio a tenerlo impegnato non sapeva che cosa avrebbe fatto per non soccombere.
Ma ora aveva ancora qualcosa con cui riempirsi il cervello per anestetizzare il cuore.
«Izou?»
«Sì­» si voltò abbassando le mani, verso un ragazzo che lo superava di mezza spanna, occhi dal taglio dritto e leggermente allungato, mascella squadrata evidente nonostante la mascherina, zazzera spettinata a regola e rossa. «Devi fare pausa?» si accigliò per un attimo il moro, prima di realizzare con una rapida occhiata che il ragazzo era ancora in borghese. Era appena arrivato. «L’area per i modelli è là. Con questa situazione dobbiamo tenere tutto il più separato possibile. Dai il nome e ti daranno gli outfit che hanno preparato per te, poi ci vediamo sul set» spiegò pratico e rapido a quell’ultimo acquisto, oer giunta in ritardo, che però non ricordava davvero chi fosse. Di solito non aveva problemi a memorizzare le facce e associare i nomi.
Non che il ragazzo sembrasse aver inteso le sue parole. Era ancora fermo lì a fissarlo e Izou cominciava a spazientirsi. Poi, il ragazzo scoppiò a ridere e il suono di uno scacciapensieri riecheggiò nei ricordi di Izou.   
«Beh sono lusingato. Anche se forse è merito della mascherina e non dovrei esaltarmi troppo»
Izou trattenne il fiato, il volto più bianco che mai con il sangue tutto defluito allo stomaco.
Non poteva essere, doveva stare allucinando eppure quella voce… Un po’ diversa senza il filtro del telefono ma non così tanto, ovattata dalla mascherina ma non abbastanza. La voce di…
«P-Pen?­»
Un primordiale, irrazionale slancio di perfezionismo lo pervase. Per un attimo si domandò se lo chignon fosse a posto, allentato e spettinato il giusto, se non fosse troppo sudato e poi l’eyeliner, il rossetto che tanto non si vedeva. Poi si ricordò di tutto il resto e prese a domandarsi cosa ci facesse lì Pen.
Perché quello era Pen, nessuna risposta verbale avrebbe potuto essere più eloquente di come il ragazzo si stava accarezzando il coppino, gli occhi al suolo accesi da un sorriso imbarazzato. Izou lo stava ancora fissando pietrificato quando Pen risollevò il capo e, perso lo sguardo nel vuoto per un attimo, mando giù a vuoto e prese un profondo respiro prima di cercare di nuovo il contatto visivo.
«Forse non avrei dovuto ma ho pensato… In effetti, forse non ho pensato» ammise con un altro sospiro. «Ho riletto il tuo messaggio non so quante volte e non funzionava nessuna risposta, se non di persona. Mi faceva ipocrita dirti che non mi sarebbe importato neanche se avessi due teste via messaggio» buttò fuori tutto d’un fiato.
Troppo diretto, probabilmente. Non che avesse senso girarci intorno ma a giudicare dall’espressione di Izou poteva avergli rotto qualche sinapsi.
«Per la cronaca, non mi è neanche chiaro di cosa saresti preoccupato» tentò ancora, indicandolo con una risata nervosa, ma ancora nessuna reazione sembrava destinata a pervenire da Izou.
Pen esalò una terza volta, l’ultima, rassegnato. Dopotutto, lo aveva messo in conto che le scuse di Izou non significassero necessariamente che avesse cambiato opinione, sul portare il rapporto a un livello diverso dall’amicizia virtuale. Così come mai si era concesso più di semplicemente sperare che Izou ricambiasse i suoi sentimenti.
E, certo, non andava bene ma non poteva fare altro che accettarlo.
«Ora immagino sia meglio che vada, stai lavorando e…» le parole gli morirono in gola quando dita non proprio ferme e stabili  si intrecciarono alle sue, tirando appena per impedirgli di allontanarsi, prima ancora che Pen avesse anche solo avuto tempo di muoversi.
Il fiato sospeso, il cuore a mille, Pen spostò lo sguardo dalle loro mani al volto di Izou, mezzo coperto ma gli occhi dicevano abbastanza.
«Mi dispiace»
Pen si avvicinò, strinse la presa. «Lo so, non devi scusarti ancora»
«Ero nel panico, lo sono da quando mi hai mandato il primo vocale»
«Cosa?!»
«Ma è un panico così eccitante! Come quando c’è il temporale e le onde di cinque metri e vorresti lanciarti comunque in acqua!»
«Ehi aspetta! Come sono passato da modello a catastrofe naturale?!»
Izou scoppiò a ridere «Mi hai incasinato il cervello, lo sai, Pen Haruto?» si fece più vicino anche lui, abbastanza da premere la fronte contro la sua e Pen non perse tempo a procedere.
Poteva sembrare strana, tutta quella intimità al loro primo incontro, se non avessero saputo entrambi che, in realtà, quell’intimità era lì da settimane, in attesa solo di potersi manifestare con i gesti oltre che con parole di cristalli liquidi.
«Mi dichiaro colpevole, Vostro Onore» Pen incastrò tra loro anche le dita delle mani libere. «Posso restare?»
«Sì. Per favore» Izou mosse il volto per strusciare il proprio naso sul suo, come un gatto intento a fare le fusa, e sospirò rilassato, finalmente calmo dopo giorni di mare mosso e tempesta. «Lo sai?»
«Cosa?»
«Non riesco a credere che tu sia rosso. Oggi è tipo il giorno più bello della mia vita»
 
 


Angolo dell'autrice:
A-ehm. 
Prova microfono. Mi sentite? Sì? No? 
Okay, la verità è che non ho scuse, la mia vita si è un po' incasinata e ora sono di nuovo un po' più non incasinata e quindi insomma, eccomi di ritorno. Ancora.
Non ho molto da dire sulla storia. La coppia è strana, lo so e non penso sia una novità con me. Il film è opinabile ma per qualche ragione mi sembrava assolutamente perfetto per loro! E per finire, nella cronologia narrativa, questa storia viene prima del secondo e del terzo capitolo, è la prima ondata per intenderci, quella del 2020. Wow, 2020! Sembra passato mooolto di più.
La verità è che mi mancavate e spero ci sia ancora qualcuno dietro a questo schermo che ha ancora voglia di leggermi.

Oh giusto! "Judan" è una parola giapponese, vuol dire pallottola, ma come cognome non suonava così giapponese e quindi insomma, il resto è nella storia. 

Grazie a chi è passato da qui. ;)

Pace e bene a tutti e un bacione. 
Sempre vostra, 
Page. 
 
  
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