Kwagatama- parte
I
Adrien si
sarebbe aspettato di tutto, al suo rientro a casa. Persino
l’appartamento
distrutto per la fame insaziabile di un certo kwami della distruzione
che
metteva le sue zampine ovunque lasciandosi dietro una catastrofe dietro
l’altra.
Ma quello
proprio no. Non la figura esile della sua ragazza sdraiata sul suo
lato, i
capelli neri sparsi sul cuscino. Adrien era così sorpreso
che per un attimo si
era chiesto se fosse una visione data dalla stanchezza mista alla
mancanza che
sentiva ogni giorno nei suoi confronti.
Sapeva quanto
Marinette fosse impegnata in quei giorni. La sua università
avrebbe indetto una
sfilata di beneficienza di lì a poche settimane, e lei gli
aveva confessato di
essere leggermente indietro con i bozzetti dei suoi vestiti. Si stava
dando da
fare, e purtroppo le occhiaie erano la prova più che
evidente che non stesse
dormendo, quindi in parte era contento di averle dato le chiavi di casa
sua. Vederla
riposare dopo l’inferno delle sue giornate come futura
stilista lo rendeva più
tranquillo.
Senza neanche
cambiarsi i vestiti ma togliendosi solo la maglia, l’ex
modello del marchio
Agreste si adagiò accanto a lei, per poi accarezzarle il
profilo del volto con
la punta delle dita per non svegliarla. La vide sorridere, come se
avesse
riconosciuto il suo tocco anche nel sonno, ed il suo cuore si compresse
per la
dolcezza del momento.
Dio, se
l’amava.
A volte si domandava perché aveva passato così
tanto tempo a sognare un amore
impossibile per Ladybug, quando la donna della sua vita era sempre
stata al suo
fianco. Si sentiva fortunato, ad averla come compagna.
Ad Adrien
non sfuggì la pelle d’oca sulle braccia della sua
ragazza. Si era tolta la
giacca, probabilmente a
causa dell’afa
del pomeriggio estivo, ma a notte fonda la temperatura era un
po’ calata e lei
lo avvertiva più di lui. Si fece più vicino a
lei, per riscaldarla in un
abbraccio e per riuscire a dormire con lei, quando si accorse di una
collana a
lui sconosciuta attorno al suo collo. Con il buio non riusciva bene a
distinguere il ciondolo che era uscito dalla scollatura della
maglietta, e per
questo decise di osare.
Con un dito
ne accarezzò i lineamenti, e li disegnò nella sua
mente per avere una visione
chiara dell’oggetto. E per poco non ci rimise i polmoni
quando capì che quel
ciondolo aveva la stesse forme e dimensioni del kwagatama che portava
anche lui
al collo.
Il kwagatama
che Plagg aveva creato per lui.
I sospetti
non ci misero poi molto a venire a galla, tanto che lo spinsero a
scostare i
capelli Marinette per vederne gli orecchini. Per un attimo la bellezza
della
ragazza lo trasse in inganno, facendogli quasi perdere la questione e
convincendosi
che fosse solo una coincidenza. Ma quando il pensiero che lei non aveva
mai
osato cambiare quegli orecchini e che erano molto simili a quelli di
Ladybug gli
passò per la testa, dormire abbracciato a Marinette era
l’ultimo dei suoi
desideri.
Il biondo si
mise seduto, coprendo la ragazza con una coperta. Si mise accanto alla
finestra, la visione dell’insieme oramai più che
chiara di sempre negli occhi
verdi illuminati dalla debole luce lunare.
Gli orecchini,
la collana, il box dei fili di cui lei era tanto invidiosa…
l’impressione che
le aveva sempre dato sul fatto che tenesse una parte di sé
nascosta. Era ovvio
che gli tenesse segreto qualcosa d’importante, ma sarebbe
stato ipocrita da
parte sua incolparla di ciò. Diamine, lui era Chat Noir, il
partner di Ladybug
e guardiano di Parigi. Doveva mantenere la sua identità
segreta.
Ma se il
segreto riguardasse una doppia identità? Se la donna che
amava fosse la stessa
supereroina che tante volte lo aveva rifiutato? Che rischiava la vita
ogni
giorno per salvaguardare la sicurezza della loro città?
La
guardò,
dormiente e tranquilla. Se fosse stata davvero Ladybug, sarebbe
cambiato
qualcosa?
Forse tutto,
forse niente. Non poteva saperlo, non finchè sarebbe tutto
rimasto un “se”.
In quel
momento un telefono vibrò. Lo schermo si
illuminò, ed Adrien si accorse che a
segnalare l’arrivo di un messaggio era niente meno che il
cellulare di
Marinette. Si avvicinò al comodino su cui era poggiato, il
senso di colpa nel
violare la privacy di Marinette che gli mangiava lo stomaco, e lesse il
nome
del destinatario.
Lo fece,
anche se avrebbe mai voluto trovarsi in una situazione del genere.
Lo fece,
perché
voleva sapere.
Ed il nome
che campeggiava sullo schermo diede credito ancora di più ai
suoi dubbi.
Il Maestro
Fu.