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Autore: Cassandra Moon F451    05/07/2023    0 recensioni
{Attenzione: Spoiler da "I Guardiani della Galassia v.3"} Rocket Racoon, capitano dei Guardiani della Galassia, amato e rispettato per i numerosi atti di eroismo ha imparato ad accettare la propria esistenza, anche nei momenti di tristezza, di nostalgia, anche quando ricorda il sorriso di Lylla, i sogni frantumati da un proiettile nel petto, un cuore che avrebbe desiderato essere suo.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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If I could tell the world just one thing,
It would be that we're all ok,
And not to worry because worry is wasteful,
And useless in times like these,
I will not be made useless,
I won't be idled with despair.

 

Rocket asciugò il muso nel bagno, l’acqua fredda dissipò la sonnolenza, indossò degli indumenti puliti, afferrò lo Zune ed uscì dall’ alloggio. Il quartiere era tranquillo, tutte le porte sbarrate, anche quella di Cosmo e di Groot.
Rocket respirò a fondo, benché Knowhere fosse ospitale, non poteva competere con un pianeta abitabile. Groot non era a suo agio nella Base Spaziale, lontano da un contatto diretto con la Natura, ritornava per stare con la famiglia. Era un gesto così genuinamente altruistico, da riempierlo d’orgoglio ed era sicuro, lo fosse anche la loro Gamora. 
Rocket aveva bisogno di stare solo, desiderava schiarire la mente, cacciare le ipotesi di un’esistenza impossibile; era andato lontano, senza avere alcuna speranza di raggiungere dei traguardi importanti: aveva una famiglia, era un padre, perché tale lo riteneva Groot, era il capitano dei Guardiani della Galassia, era un Avenger, stimato per la sua intelligenza, per la tenacia con cui aveva combattuto Thanos, sino alla vittoria. 
«Sei nato per volare nel cielo, per vedere il Nuovo Mondo, per avere quello che ti hanno strappato» 
Lylla non sarebbe rimasta sorpresa, perché riusciva a leggere nella sua anima, meglio di quanto facesse lui. Lylla sapeva che doveva continuare a vivere, non per gli altri, ma per sé stesso. Rocket non era mai stanco di scoprire pianeti, d'imparare, di volare nel cielo con la sua nave.
In un'esistenza così bella, piena di affetti, però, Lylla era perduta. 
Rocket capia Peter, innamorato di una donna morta, sapeva cosa lo tormentava, perché aveva imparato a conviverci: amare chi esiste nella memoria era doloroso;  avrebbe dovuto parlarne, ma non aveva trovato il coraggio di affrontare Quill. Aveva fatto finta di dover essere duro, di mostrare tutta la sua forza, anche se la sua amica, Gamora, gli mancava, né poteva essere altrimenti.
«Mamma è morta.» Groot non aveva più fatto menzione a Gamora, si era chiuso in una barriera di rami per due settimane, ignorando il tocco di Mantis, le parole di Drax, la presenza costante di Nebula, gli appelli strazianti di Peter. Rocket aveva atteso, era giovane, aveva diritto di vivere il lutto e di respingere ogni consolazione.

Rocket alzò la testa dal display dello Zune, essere davanti alla Caffetteria Tre non gli spiaceva: avrebbe trovato qualcosa da bere, sprofondato in una delle poltrone, mentre la musica si diffondeva nell’ambiente. Salì i gradini, si arrestò, perplesso: la porta era socchiusa, una dimenticanza inaccettabile per Nebula, Drax stesso era divenuto più attento; percepì il consueto marasma di odori differenti, notò la fenditura di luce proveniente dall’interno. Qualcuno era furtivamente entrato.
Serrò i denti, contrariato. Era il momento di girarsi, scegliere una playlist, cambiare direzione, tornare nel suo letto, ma non entrare nella Caffetteria Tre.
Era adulto, aveva un gruppo non perfettamente coeso da guidare, aveva lasciato la popolazione di Knowhere nelle mani esperte di Drax e di Nebula, il suo compito era garantire la sicurezza della Base, quel che riguardava gli altri non era di sua competenza. 
Rocket non era fatto per provare molta empatia, per mostrare compassione, pazienza, bonarietà; lui era scontroso, aggressivo, malfidente, non abbassava mai la guardia, se non con la sua famiglia, e con tutte le accortezze necessarie per un procione ricercato dall’ Alto Evoluzionario, con un’irresistibile attrazione per il furto, un talento innato per i piani di fuga, una sincera curiosità per la tecnologia, poteva dirsi fortunato ad essere intero.
Non era il tipo che tendeva la zampa, sorrideva, parlava della bellezza della vita. 
«Cazzo!» esordì torvo, scansando il battente. «È guasto.» constatò. 
Fu raggiunto dal' odore del felino e da una mistura bizzarra, nella sua assenza di una nota selvatica, si voltò alla sinistra del locale.
Il gatto era su di un tavolino, il pelo nero e folto, la colonna vertebrale arcuata, gli artigli metallici estratti, le fauci spalancate in un soffio aggressivo, era un avvertimento: gli occhi erano di un giallo più chiaro, il bagliore dell’iride pulsava, quasi si stesse caricando dell’adrenalina in circolo. 
«Capitano.» Rocket spostò lo sguardo sulla ragazza, la voce non aveva una sfumatura emotiva, era seduta in modo composto: la schiena dritta, la testa alta, le mani intrecciate all’altezza del grembo. 
«Rocket.» corresse lui.
Il gatto sbatté le palpebre, rilassò la figura, non ritrasse gli artigli e gli occhi rimasero luminosi, intenti a seguire il procione verso il frigo. 
«Scusa.» riprese l’altra, dopo un breve silenzio, azzardò: «Rocket.» la voce non mutò, però gli stati d’animo avevano un sentore specifico, che un  animale percepiva.
Prese un cartone, contenente una bevanda zuccherina ed un dolce, si strinse nelle spalle. «Bene.» non ammorbidì la voce, né cercò di essere conciliante. «Tranquilla, non l’hai rotta tu, quella.» sbottò. Era una brutta abitudine di Drax, e spesso Cosmo esagerava con la psicocinesi.
Rocket decise di guardala meglio: era umanoide, aveva la pelle molto chiara, senza traccia di efelidi, i lunghi boccoli biondi erano trattenuti in una treccia, il viso a forma di cuore possedeva lineamenti armoniosi, gli zigomi enfatizzavano il taglio allungato degli occhi verdi, forse troppo grandi, il naso era sottile, mentre la curva morbida delle labbra piene addolciva un poco l’espressione distaccata. Aveva qualcosa dei Sovereign, non appariva altera, né distaccata, eppure il suo aspetto non ispirava tenerezza, forse neppure simpatia, vedeva una traccia umana,  nell'epidermide, nella sua conformazione interna. Era un ibrido, pensò. Indossava una maglia blu a maniche corte, un paio di pantaloni di una tonalità più scura, aveva scarpe sportive ai piedi. Dedusse fosse uscita dai suoi alloggi, insieme al suo amico con dei raggi laser innescati nei bulbi oculari.
Il procione notò una tazza rossa, sul tavolino, da cui si sollevava una spira di fumo,  il liquido era Ipnocha: un infuso naturale che mitigava i dolori mestruali. Rocket ricordò quanto Gamora e Mantis l’apprezzassero, trasse un respiro, come ed espellere la malinconia, insieme al profumo aromatico, ma fallì. 
Un dettaglio, gli giunse alle narici, si diede dello stupido ad averlo ignorato: «Signorine, con chi ho l'onore? » domandò, si pentì immediatamente, era una richiesta spinosa per gli esperimenti dell’Alto Evoluzionario, una disattenzione a cui non poteva porre rimedio.
La ragazza fissò Rocket, rimase immobile, tutti i muscoli erano tesi, preparata a ricevere un colpo, a rannicchiarsi in un angolo.
Conosceva quelle sensazioni, era affondato nell’abisso di sofferenza, di umiliazione che gli occhi di lei non riuscivano a celare, Rocket non si allontanò, non si avvicinò, attese.
«Effe.» un mormorio le uscì dalla bocca socchiusa, si arrestò di colpo.
I nuovi arrivati avevano iniziato a scegliere i propri nomi, Nebula non era stata entusiasta, a differenza di Drax, nel giro di poche settimane, si erano trovati a chiamare: Phyla, Daria, Cuspide, Yellow. 
«Floor, Teef, Lylla e io… Rocket.»
«Cassandra Moon.» affermò, non era sicura, non era a suo agio, ma aveva deciso di essere qualcuno ed era un buon inizio, indicò la gatta, seduta sulle zampe posteriori: «Spark.» aggiunse. Cassandra osservò la folta coda di Spark. «È stata lei a scegliere, mi è spiaciuto per Light.» puntualizzò, in un sussurro mite.
Rocket non indagò su come Spark avesse deciso o quali polemiche fossero sorte con Light, annuì accostandosi al tavolo, sedette sullo sgabello, davanti a Cassandra: «Nebula e Drax vorrebbero parlarti.» spezzò il silenzio con l’affermazione più imbarazzante; la prima che aveva mentalmente scartato, gli era tornata nella gola, non ne sapeva la ragione, strinse i denti attorno alla cannuccia.
Cassandra serrò le labbra, sciolse l’intreccio di dita per sollevare la tazza, era ancora molto calda, ma non sembrò provare fastidio, la risposta fu: «Sì.» deglutì un sorso. «L’avevo immaginato, non sono sicura di poter essere una risorsa.» aggiunse, al monosillabo, la frase più lunga che le avesse sentito pronunciare.
Rocket posò lo snack e l’allungò verso la ragazza, non c’era alcun commento pertinente, se pure ne avesse trovato uno, sarebbe rimasto zitto, perché era un argomento a lui estraneo, perché lo riportava alle lacrime di Lylla ed al suo passato.
Spark scrutò la sua amica, non la raggiunse, ma riusciva a percepire la difficoltà con cui l’altra cercava di comunicare, di adattarsi a quel mondo, Rocket poteva sentire i respiri, il disagio di non conoscere parole adatte a sé. 
Erano differenti, eppure simili. 
«Tu sei me.» erano state le parole di Yondu, Rocket non aveva mai dubitato che avesse ragione, che avesse parlato per scuoterlo e ricordargli che avvelenava la sua vita e metteva in pericolo chi amava per la paura di ottenere di meglio.
«Senti.» prese la parola lui, si schiarì la gola. «Domani, faccio quattro chiacchiere con Drax, mentre riparo la ca… » ingoiò un’oscenità. «La porta.» le sorrise. 
Cassandra era pensierosa. «Grazie.» disse educata. Rimase immobile dei minuti interi, sfarfallava le ciglia, il torace di alzava ed abbassava, ma nessun muscolo esterno si muoveva, somigliava ad una bambola e nella posa innaturale, vide il segno del loro creatore: l’Alto Evoluzionario.
«La nostra casa doveva essere un pianeta.» la voce di Cassandra si alzò un poco. «Era lontano, quando saremmo arrivati, avremmo gestito l’intero ecosistema, creando una società pacifica, in cui avrebbe regnato la giustizia. » cercò gli occhi di Rocket e questi annuì.
«Un personaggio come Thanos, nel Nuovo Mondo, non sarebbe esistito. » proseguì Cassandra e nella sicurezza che lasciava trasparire dal viso, composto a gran calma, Rocket intuì stesse recitando un brano imparato, poi assimilato, sino ad divenire un tassello della mente, brutalmente estirpato. «La gestione delle risorse sarebbe stata oculata, avremmo impiegato le nostre capacità per garantire il progresso tecnologico e la prosperità dell’ambiente. Avremmo messo a disposizione della comunità i mezzi per crescere a livello culturale.» fece una pausa, abbassò la tazza, le mani libere s’intrecciarono di nuovo. «Gli uni degli altri guardiani e fratelli.» si raddrizzò sulla seduta, l’ultima affermazione cadde nel vuoto.
Non esisteva un Nuovo Mondo, anzi ne erano esistiti tanti, cancellati dalla stessa volontà che li aveva forgiati.
Rocket non ebbe alcun dubbio: Cassandra Moon ne era consapevole. Era una verità pesante, gravitava tra loro, senza palesarsi nelle parole.
Cassandra lanciò un’occhiata allo snack, interrogativa.
«Mangia.» disse il procione. «Devo scartarlo io, Miss C?» chiese ed era ironico, un pessimo tentativo di alleggerire l’atmosfera, sbuffò. «Sì, puoi, se ti va.» si passò le zampe sul muso.
Cassandra attese alcuni minuti, il tempo di mettere ordine nei pensieri, di non cedere alle emozioni, immobile, imperscrutabile, se non nello sguardo triste. «Grazie.» concluse, tornando ai modi cortesi.
Rocket fissò con curiosità Cassandra studiare l’incarto, strappare con leggiadria il lato destro e fermarsi, indecisa su come consumare il cibo, senza sporcarsi le dita, avvolse la carta ad un’estremità del dolce, lo sollevò ma non lo addentò.
«Sono stata plasmata per ricoprire il ruolo di guida spirituale e morale della comunità.» lo ammise con candore, come fosse normale. «Non devo interagire con il mio popolo, non mi è concesso preferire la compagnia di un individuo.» elencò scrupolosa. «Sono state scelte sette persone per assistermi nelle incombenze quotidiane, quali indossare gli abiti, far pervenire miei messaggi alla comunità. Io non devo rivolgermi ad un singolo, fatta eccezione per coloro che sono dedicati al mio servizio. Se parlassi ad uno, compirei un’ingiustizia, anche se cercassi di consolare o di punire. Sarebbe un errore, perciò sono i Sette a portare la mia parola al popolo. È un compromesso.» Cassandra masticò un pezzetto di dolce, un minuscolo angolo, ci mise un bel po’ a deglutire e poi tacque. «Sette altri sarebbero diventate guardie armate per difendermi da qualsivoglia pericolo.» ci fu un’altra pausa. «Phyla è una di loro.» svelò il mistero sulle abilità della Guardiana più giovane.
Rocket distolse il muso, non volle replicare, non volle pensare a come fosse stata addestrata Cassandra, a chi avesse convinto una bambina che l’ isolamento e la completa anafettività, fossero dei valori.
«Avrei prodotto una discendenza.» Cassandra non mise alcun accento sulla frase. «Il Sire sapeva che il più virtuoso serbava il germe dell’ingratitudine, nel cuore.» sospirò.
Rocket cercò il biasimo in lei, non lo trovò, i suoi occhi erano più inquieti, non cercavano un confronto e lui si limitò ad ascoltare, forse, era ciò di cui aveva bisogno.
«La mia discendenza doveva possedere dei requisiti specifici. La mia discendenza non doveva essere mescolata con il popolo che avrebbe guidato.» bevve un sorso, continuò a spiegare. «Io devo astenermi dall’unirmi con chi non può garantire la successione di rango. Devo astenermi dall'offendere il mio posto e chi mi ha preparato per esso.»  il nesso logico era crudele, più tragico di quanto già non sembrasse.
L’Alto Evoluzionario avrebbe deciso quando Cassandra fosse stata pronta per una gravidanza, le avrebbe imposto la gestazione e sottratto il bambino, perché fosse “perfetto per il suo ruolo”, come i genitori.
«Il Sire aveva fiducia nel mio buon senso.» precisò, un’ombra di agitazione attraversò il volto di Cassandra, le frasi erano meno fluide nella sua bocca. «Sapeva che avrei avuto quattordici alleati, fidati, ma cosa sarebbe accaduto, se avessi desiderato provare un’esperienza, a me preclusa? » domandò, posò il dolce, le dita si mossero nell’aria, sopra al tavolo. «Quanto avrei resistito?»
Rocket sperò di aver frainteso.
«Io ho i sensi ben sviluppati, perché ne faccia saggio uso, non perché decida di sporcare il lavoro del Sire.» si affrettò a dire, affondata nel suo passato, spaventata da cosa significasse nel presente. «Non devo cedere agli istinti più bassi, ma devo donare al Nuovo Mondo, un’ eredità adeguata. Il Sire giunse ad un compromesso.» si arrestò di nuovo.
Rocket poté quasi avvertire il dolore, ingiusto quanto una lama spinta nella parte più intima dell'anima..
«Oggi, mi hanno tolto la possibilità di essere mamma.» Lylla piangeva i suoi cuccioli mai nati.
Cassandra portò l’indice destro alla punta del naso, cercò di riprendere il discorso, fallì entrambe le volte, le spalle erano incurvate.
«È okay, Cassandra Moon.» Rocket balzò sullo sgabello, reggendosi sulle zampe anteriori. «Sei al sicuro. Sei con noi.» mormorò comprensivo.
Lei sorrise, in un oceano di delusione, si aggrappò alle sue parole, deglutì e volle terminare la sua storia e Rocket acconsentì.
«C’era un minuscolo organo, in me.» raccontò senza imbarazzo. «I miei bassi istinti sarebbero stati amplificati e soddisfatti da esso. Il Sire, allora, lo rimosse. Io non avrei desiderato provare certe cose e non avrei insozzato il suo…» spalancò gli occhi, conscia di tutto l'orrore compiuto su di lei. «Il mio corpo. » parve un urlo, nella lacerante angoscia, chiuse gli occhi ; tacque, spaventata da come avrebbe reagito il Capitano dei Guardiani. La gatta tornò a fissarlo torva.
«Stronzo.» sibilò lui,  spostò il muso per nascondere il ghigno rabbioso.
«Scusa. » la voce di Cassandra era un tremolio dolente, cercò di alzarsi, ma le gambe erano deboli. «Scusa.» ripeté, sedette e Spark le saltò sul grembo.
Rocket sollevò le braccia. «Ehi, no. Non dirlo.» tentò di guardare la ragazza. Sapeva a che mutilazione era stata sottoposta. «Adesso, noi abbiamo cura di voi. Troveremo una soluzione. » disse, la speranza di confortarla era fioca.
Cassandra Moon emise un singhiozzo, un suono basso, espulso dal corpo con un sussulto, gli occhi chiusi lasciarono cadere le lacrime, la mano destra nascose la bocca, la sinistra carezzò Spark, che miagolò afflitta.
Rocket ascoltò il pianto, Cassandra non era isterica, era straziata, forse aveva compreso l’enormità della mutilazione, proprio parlandone e lui non sapeva cosa dirle, come era accaduto con Lylla.
«Cassandra Moon. » la chiamò, distese le braccia verso la testa della ragazza, che non si ritrasse alla carezza gentile di Rocket. «So che fa male.» la zampa affondò nei capelli. «Qualcuno che amavo.» confidò. «Fu presa, operata perché non avesse dei figli. Pianse tutta la notte, io non avevo niente per aiutarla, solo quello che provavo, che sognavo per lei e per noi. » ebbe l’impressione di essere stremato, ma non poteva cedere, doveva essere forte, portare il peso di Cassandra.
Portare il peso di Lylla. Portare il peso di Floor. Portare il peso di Teef. Portare il peso di Groot. Portare il peso di Yondu. Portare il peso di Gamora.
«Porta l’amore, butta il resto.» gli aveva detto Mantis.
Un giorno, l’avrebbe fatto.
«Cosa volevi?» chiese Cassandra, sollevò la testa, il volto arrossato dal pianto, le lacrime scivolavano sino al collo. 
«Vivere con lei.» rispose Rocket con un mezzo sorriso. «Abitare in un pianeta lontano, pacifico. Volare nel cielo, azzurro e infinito. Ritornare per crescere dei piccoli e stare insieme. Amarci. Essere una famiglia. Non c’era altro.» e non ci sarebbe mai stato.
Cassandra cercò di prendere la tazza, ma era ancora incerta. «Sembra così bello. » commentò. «Io non ho mai visto il cielo.» 
Rocket usò la zampa libera per prendere il recipiente, avvicinandolo un poco a Cassandra. «Lo vedrai. » promise.
Cassandra bevve un sorso, non era calma, ma la vicinanza di Spark e di Rocket sembrava aiutarla. «Io non potrò amare.» 
«Troveremo una soluzione, Cassandra Moon. » anche questa era una promessa. «O mi stai dicendo che non vuoi bene a nessuno? » chiese retorico, una punta smussata d'ironia.
Lei comprese, fece un cenno di assenso, qualche lacrima sfuggiva dalle ciglia, ma doveva aver passato di peggio e aveva imparato che poteva esserci di meglio. 
Rocket le accarezzò la testa, sentì che aveva qualche linea di febbre. «Compassione significa condividere il peso.» disse, posò la tazzina. «Ecco, tu puoi condividere il peso con Nebula, con Drax e… Con me, Rocket. » la guardò: «Lo sai?»
Lei annuì, non parlò per diverso tempo, abbastanza per far iniziare la simulazione dell’alba, pianse a tratti ed in altri, rimase meditabonda, finì l’infuso, mangiò il dolce, Spark non si mosse, prestandosi alle sue carezze.
«Andiamo a riposare. » propose Rocket, sedutosi sul bordo del tavolino. «Vi accompagno.» non era una proposta.
Cassandra parve acconsentire, prima di alzarsi, lasciò scendere la gatta dalle ginocchia.
«Lei come si chiamava?.» domandò, la voce era affaticata, un po’ roca e gentile.
Rocket rivide quel muso dolce, gli occhi scuri pieni di vita e di amore, avvertì un sollievo inaspettato, come se lei fosse al suo fianco e l'avesse accarezzato.: 
«Il suo nome era Lylla..» rispose. 
«Lei è Lylla.»
 un suono leggero, luminoso come i primi raggi di luce.

 

My hands are small, I know,
But they're not yours they are my own,
And I am never broken.
In the end only kindness matters.

{Jewels - Hands}

 

 

Ipnocha: una tisana di mia invenzione, suppongo esistano infusi calmanti anche nell'MCU. 
Daria, Cuspide, Yellow, Light: esempi di nomi scelti dai ragazzini. Sì, il mio preferito è Cuspide.

   
 
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