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Autore: TaliaAckerman    31/08/2023    2 recensioni
Mal Ennon è un promettente stregone in procinto di prendere un'importante decisione sul suo futuro. Ma il casuale e inaspettato incontro con una bambina di strada che sembra possedere un potenziale magico inaudito rischia di cambiare per sempre la sua vita. Dal primo capitolo:
Per un attimo Mal credette di star fissando un corpo morto, tanto era sottile ed emaciato; poi si rese conto che, seppur debolmente, il petto della creatura si alzava e si abbassava ancora.
Era alquanto curioso che si fosse sbagliato. Un mago del suo calibro doveva essere particolarmente attento nel rilevare fonti inaspettate di Magia, e quello che aveva percepito nell'istante di pochi secondi prima non era stato un potere qualunque.
Mosse un paio di passi verso quel mucchietto di ossa e stracci. Sotto due dita di sporcizia e polvere si intravedeva una chioma fulva e indomabile.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Dolceamaro



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Le onde che si infrangevano sulle pareti rocciose a strapiombo del fiordo di Gax si succedevano senza sosta, in un ciclo infinito, tanto che ogni frammento di costa sembrava assediato da uno strato di spuma impetuosa e bianca.
Bianca, come il sottile strato di neve che ricopriva i prati intorno alla città. Se per le vie dell'agglomerato urbano non era rimasto altro che qualche mucchietto di neve dura e sporca, nei campi che lo separavano dal fiordo aveva resistito stoicamente, scomparendo solo lungo la stradina sterrata che collegava Gax al suo piccolo porto.
Raisa ammirava l'inconsueto spettacolo con genuino senso di spaesamento negli occhi mentre Mal, al suo fianco, sorrideva tra sé e sé. Era felice di essere riuscito a sorprenderla.
«Te l'avevo detto che avresti visto la neve in estate» commentò a pochi passi di distanza dalla sua apprendista.
La ragazzina si chinò e strinse nel proprio pugno una manciata di neve ghiacciata.
«Neve in estate» ripeté assorta, riaprendo la mano e osservando i frammenti di ghiaccio che si erano parzialmente sciolti a contatto con il calore della sua pelle. «Non avevo mai visto una cosa del genere».
Quella parole si limitavano a confermare l'ovvio, ma ogni suono emesso dalla gola di Raisa era per Mal un motivo di buonumore.
Da quando l'aveva supplicato di non lasciarla sola, stesa sul pavimento davanti al camino spento, la ragazzina non aveva implementato più di tanto il dialogo con il suo mentore. Parlava di rado, quasi mai se non interpellata, e le sue frasi erano spesso semplici e banali, come quella che aveva appena proferito.
Eppure, paragonate alla possibilità – che giorno dopo giorno si era trasformata pressoché in certezza – che la bambina non fosse in grado di emettere suono che non fosse un ringhio o un singhiozzo, quelle sporadiche frasi assumevano un valore inestimabile.
Mal aveva approfittato di un incarico affidatogli da Re Robyn da svolgere a Gax per mostrare a Raisa la propria città natale. Aveva quasi accarezzato l'idea di farle conoscere i suoi genitori, ma era stata questione di poco perché si rendesse conto che non fosse il caso: lei non era la sua figlia adottiva, non era parte della famiglia, non era una bella sorpresa da presentare a una coppia di individui appena divenuti nonni. Era la sua apprendista, una prerogativa che spettava a lui soltanto. Ed era per questo che aveva preferito prendere una camera in una locanda poco distante dalla residenza del signore della città, evitando di farsi ospitare dai suoi genitori.
«Il sole sta per tramontare» Mal indicò l'astro che andava rapidamente calando, dando l'impressione di stare per venire inghiottito dall'orizzonte del Mare del Nord. «Ci conviene tornare al caldo, qui di notte ghiaccia per tutto l'anno».
Ma Raisa non sembrava essere intenzionata a muoversi dal suo posto, così Mal colmò la distanza che li separava e si sedette a a meno di un metro da lei. Pareva che il panorama del fiordo l'avesse totalmente catturata; se quella visione aveva il potere da dare una qualche pace al suo animo, anche solo per pochi minuti, Mal non si sentiva in diritto di sottrargliela per evitarle un raffreddore.
La palla di fuoco che brillava all'orizzonte si rifletteva negli occhi rossi della bambina e accendeva i suoi capelli corti e arruffati di riflessi ramati.
Aveva messo su peso rispetto a quando si erano incontrati: il suo volto non era più scavato, le costole e scapole meno sporgenti sulla pelle. Pur rimanendo di costituzione esile, appariva come una persona quasi perfettamente in forze.
«Da dove vieni, Raisa?»
Quelle parole aleggiarono nel silenzio della sera.
Lei continuò a fissare il mare, come ipnotizzata dal moto ondoso che si consumava contro gli scogli. Mal attese, paziente, dandole il suo tempo, finché le labbra della bambina non si mossero nuovamente.
«Da un luogo molto diverso» disse senza guardarlo. «Vengo da un luogo verde e pieno di fiumi, vicino dalla grande foresta».
La grande foresta... che si riferisse al Bosco Hardist, l'immensa macchia di alberi che si estendeva per miglia e miglia tra il territorio dello Stato dei Re e quello di Tharia?
Nelle aree limitrofe era più frequente che in qualunque altro luogo trovare persone di etnie estranee che abitassero dalla parte opposta del confine, questo anche a causa della guerra territoriale consumatasi tra Uomini Reali e Thariani quasi trecento anni prima; un elemento che rinforzava la teoria che Raisa potesse essere una mezzosangue.
Dopo qualche istante di silenzio in cui attese, senza venire soddisfatto, che la ragazzina continuasse a parlare, l'uomo tentò di scavare un poco più a fondo.
«Quindi abitavi vicino alla grande foresta... io ti ho trovata a Città dei Re, però» osservò, cauto. «Come mai ti trovavi nella più grande città di Fheriea?»
Gli occhi della bambina si velarono immediatamente di tristezza, forse di un sottile velo di lacrime, e Mal si insultò mentalmente.
Doveva sondare il terreno con delicatezza, essendo capace di cambiare approccio laddove si fosse trovato a incorrere in un vicolo cieco, ma tenendosi sempre a debita distanza. Se Raisa avesse percepito un intento indagatorio nelle sue parole o, ancor di più, se si fosse sentita forzata a rievocare cose che per il momento dovevano rimanere nascoste nel suo animo, Mal temeva ciò sarebbe potuto accadere. Un solo passo falso, un eccesso di confidenza mal riposta, e la bambina sarebbe potuta tornare a nascondersi dietro il muro di silenzio che aveva eretto intorno a sé per quelli che dovevano essere stati anni.
Guardarono il sole tramontare in silenzio, protetti dagli spessi mantelli con cui Mal aveva saggiamente sostituito quelli estivi durante quella trasferta. In pochi minuti, tutto quel che restava del giorno era una luce aranciata che si irradiava da occidente, aldilà del mare, verso l'ignoto. Presto anche quella luce avrebbe lasciato spazio al crepuscolo e, poi, solamente la fredda luminosità delle stelle stagliate sul cielo color indaco.
«Io sono un mostro» dichiarò ad un tratto Raisa a bassa voce, come se il nesso tra quelle parole e la precedente domanda di Mal fosse chiaro e lampante. Per un attimo, il mago si limitò a guardarla, confuso. Poi, con una stretta al cuore, capì: senza volerlo, la bambina aveva risposto anche a un'altra delle domande che desiderava rivolgerle da quando l'aveva incontrata.
Aveva già praticato la magia.
Si era manifestata molto prima del momento in cui era balzata sulla scrivania di Theor per difenderlo.
Per quanto ne sapeva Mal, il rapporto tra le persone che possedevano il dono era di circa un individuo su cento. Questo nelle Terre del Nord e, in linea di massima, negli altri stati maggiori di Fheriea. Solo nel Bianco Reame la percentuale si alzava leggermente ma, anche così, il numero di coloro che erano in grado di praticare la magia rimaneva in netta minoranza rispetto a coloro che non ne erano capaci.
Io sono un mostro.
Quella frase poteva significare una cosa sola.
Una bambina mezzosangue, forse una bastarda, che proveniva da uno sperduto villaggio tra il confine dello Stato dei Re e la nazione di Tharia. Una bambina che non aveva ricevuto un'educazione, che fino a poche settimane prima non era in grado nemmeno di scrivere il proprio nome. Una bambina figlia di agricoltori, allevatori o, nella migliore delle ipotesi, piccoli artigiani.
Nei piccoli centri urbani, le famiglie più abbienti e acculturate tendevano a inviare nelle città i figli che avessero manifestato il dono della magia, affinché ricevessero un addestramento. Ma la gente comune, molto spesso, ignorava persino l'esistenza della magia stessa; e un potenziale grande come quello di Raisa doveva essersi palesato in maniera dirompente, facendola apparire agli ottusi occhi della sua gente come uno scherzo della natura, un'anomalia, un mostro.
Mal si avvicinò alla ragazzina fino a portarsi a non più di una spanna da lei.
«Raisa...» cominciò, esitante. «Tu sai che cos'è la magia?»
Lei tremò.
«Credo di sì» rispose laconica.
Mal si morse il labbro; non era il caso di lanciarsi in una lezione su cosa fosse esattamente la magia, su come la sua energia fluisse costantemente in ogni cosa, animata e non, e su come l'equilibrio su cui si reggeva il mondo dipendesse da quello stesso flusso. L'unica cosa che contava era farle capire di non essere sola.
«Vedi, anche io ho a che fare con la magia» spiegò in ton calmo. «Tutte le cose strane che mi vedi fare, le cose che non riesci a spiegarti, sono frutto della mia magia o del modo in cui interagisco con la magia del mondo esterno».
No, si stava spingendo in un campo troppo complesso, per il momento. La verità era che era molto più difficile di quanto non avesse mai pensato: che parole aveva usato Camosh per spiegargli cosa fosse la magia? No, si disse, non era stato Camosh a farlo entrare in contatto con essa. Fin dai propri primi ricordi, Mal percepiva la magia come qualcosa che faceva parte del suo mondo. Chi era stato il primo a parlargliene? Suo padre, sua madre, l'anziano insegnante dell'accademia di Amaria?
Alla fine decise di cambiare totalmente approccio.
«Il fatto è che tutte queste cose sono assolutamente naturali» disse, dopo aver preso un ampio respiro. Cercava in tutti i modi di incrociare lo sguardo della sua apprendista, ma questo rimaneva apparentemente lontano, fisso sui flutti che si infrangevano sulle rocce e sulla piccola spiaggia ghiaiosa. «Molte delle persone che conosco ne sono capaci. Gli uomini con cui abbiamo parlato a palazzo, ad esempio. Persino quel ragazzino che hai visto tutto intento a studiare, nella stanza in cui ti ho presentata al maestro Theor. Ci definiresti tutti dei mostri?»
Raisa aggrottò le sopracciglia.
«No» disse incerta.
«Visto?» sorrise l'uomo. «Le cose straordinarie che sai fare, ciò che ti rende diversa dalla maggior parte delle persone, non ti rende affatto un mostro. Ti rende speciale».
«No» ripeté la ragazzina, ma questa volta lo fece con tutt'altra intonazione nella voce. Si voltò verso di lui e Mal scorse nuovamente nei suoi occhi lo sguardo fisso e spiritato di quando si svegliava terrorizzata nel cuore della notte. «Io sono un mostro, sono un mostro che ha fatto del male» le sue mani presero a tremare in maniera incontrollata mentre proferiva quelle parole. «Io mi merito quello che è successo, quello che mi hanno fatto, sono un mostro e...»
Mal le afferrò il polsi con delicata fermezza.
Come riscuotendosi da uno stato alterato di coscienza, Raisa si interruppe e sollevò su di lui i grandi occhi rossi; dalle sue ciglia ora pendevano grandi lacrime, pronte a staccarsi lasciando strisce umide e salate sulle sue guance.
«Tu non sei un mostro» disse Mal con forza. «Qualunque cosa sia successa, qualunque cosa tu abbia fatto, non è stata colpa tua».
Proprio in quel momento, all'imbocco dell'insenatura apparvero una dopo l'altra alcune piccole luci, segno che i pescatori stavano tornando a casa dopo la giornata di lavoro. Presto avrebbero raggiunto il porticciolo poco distante dal luogo in cui Mal e Raisa si trovavano in quel momento.
«Tu non sei un mostro» ripeté un'ultima volta l'uomo.
Per quel giorno era abbastanza; le aveva procurato dolore a sufficienza, inducendola a soffermarsi su quei ricordi dolorosi, di qualunque cosa si trattasse effettivamente. D'altra parte, quel primo sfogo poteva significare una svolta importante nel blocco che sembrava affliggere la ragazzina per quanto riguardava l'utilizzo della magia. E, chissà, forse, nel momento in cui si fosse sentita pronta per raccontare cosa le fosse accaduto di così terribile, parlarne sarebbe stato liberatorio per lei.
Dal canto suo, Mal poteva dirsi soddisfatto: quelle che aveva ricavato quella sera erano le prime, vere informazioni che riusciva a ottenere sulla sua apprendista, sulla strega martoriata e reietta che ormai da settimane viveva sotto il suo tetto senza che lui conoscesse anche solo il suo vero nome.
«Ora dobbiamo proprio andare» disse sorridendo, invitandola ad alzarsi. «Ci aspettano un pasto caldo e una bella dormita».
Mentre percorrevano al contrario la strada che nel pomeriggio li aveva condotti fin quasi in riva al mare, Mal non riuscì a impedirsi di tornare col pensiero a una frase in particolare che Raisa aveva pronunciato.
Ho fatto del male.
Solitamente, i poteri dei bambini che possedevano il dono si manifestavano per la prima volta in piccole cose: un oggetto spostato senza bisogno di toccarlo, una ferita che guariva più in fretta del previsto; al massimo, una fiamma del camino che per un attimo si innalzava più alta del dovuto o un piccolo vortice che si generava in acque quiete senza un apparente motivo. Che incantesimo poteva aver generato una bambina dell'età di Raisa, alla sua prima esternazione della magia, per arrivare a ferire – forse addirittura uccidere – qualcuno?
Varcarono i portoni di Gax poco prima che il guardiano provvedesse a chiuderli per la notte. La città non disponeva di muraglioni in pietra, non aveva mai avuto bisogno di difendersi da assedi e, pur essendo la seconda città delle Terre del Nord, rimaneva un centro da poche migliaia di abitanti. Una semplice palizzata in legno percorreva i confini della città, interrotta ogni tanto da un pilastro al cui apice era assicurata una torcia.
Anche la strada principale che si accingevano a percorrere era illuminata da fiaccole assicurate ai muri delle abitazioni.
Mal, assorto nei suoi pensieri, non si accorse che Raisa dietro di lui si era fermata. Il suo sguardo era chino, la sua espressione – per quanto abbattuta – molto più vicina a quella di una persona normale rispetto a quelle che era solita mostrare.
«Davvero io sono come te?» chiese ad un tratto. «E se invece in me ci fosse qualcosa di sbagliato, se io fossi cattiva, diversa dagli altri come te?»
Mal avrebbe voluto andarle incontro e scuoterla per le spalle, scrollarle di dosso quei timori ingiusti, farle capire una volta per tutte che non era sola al mondo.
Invece rimase fermo, a una decina scarsa di metri da lei.
«Le persone avranno sempre paura di ciò che è diverso da loro, di ciò che non comprendono» disse asciutto. «Ma, soprattutto, avranno sempre paura di chi è più forte di loro».
Raisa sollevò lo sguardo, stupita da quelle parole.
«Più forte?» ripeté sconcertata.
Mal fece un passo verso di lei. Era il momento, il momento di tentare una volta per tutte: quella sera, forse, sarebbe potuta essere il punto di partenza del suo addestramento.
«Io non so che cosa tu abbia fatto esattamente e non ti costringerò mai a dirmelo. Ma voglio che tu sappia che posso insegnarti a controllare quella forza che vive dentro di te».
La bambina davanti a lui sembrava essere nuovamente sull'orlo di scoppiare in lacrime; tuttavia, dovette imporsi di controllarsi, perché non una goccia si staccò dalle sue ciglia.
«È possibile?» gli chiese con voce tremula, come se le sue parole rappresentassero un'esile corda di salvataggio a cui aggrapparsi. «Credi che io ne sia capace?»
«Non lo credo» rispose Mal deciso. «Ne sono convinto».
Un altro passo. Ancora qualche metro e avrebbe potuto poggiarle una mano sulla spalla.
«Ma se desideri questo, devi anche sapere che non potrò aiutarti in alcun modo se prima non sarai tu stessa ad accettare la fiamma che brucia dentro di te e a perdonarti per ciò che hai fatto, qualunque cosa sia».
Raisa contrasse le labbra e strinse i pugni, come se il suo intero corpo fosse percorso da scariche dolorose e contrastanti. Ma Mal non avvertì nulla che avesse a che fare con la magia, questa volta: si trattava del semplice, primordiale conflitto interiore di un essere umano. Rimorso, rabbia, speranza, paura... chissà quante emozioni stavano scuotendo il corpicino esile della ragazzina e il suo animo in quel momento.
Mal rimase a fissarla, impietoso, anche se in realtà avrebbe desiderato abbracciarla ancora una volta e confortarla. Ma quella era la sua battaglia ed era fondamentale che riuscisse a vincerle con le sue sole forze.
«Voglio farlo» soffiò alla fine la ragazzina tra i denti, serrati come in una morsa. Sembrava che ogni parola che proferiva le procurasse una fitta di dolore. «Voglio che mi insegni. Voglio imparare a controllare la mia... la mia magia».
Era la prima volta che pronunciava quella parola.
Mal percepì un brivido di vittoria percorrergli la schiena. Non aveva garanzie su come avrebbe reagito la ragazzina ai primi allenamenti, non sapeva nemmeno quanto tempo ci sarebbe voluto prima che riuscisse a utilizzare la magia a comando, ma quello che stava vivendo in quel momento era un nuovo inizio per entrambi.
Prima, però, c'era una cosa di cui voleva essere sicuro. Negli ultimi tempi si riconosceva a stento, talvolta.
L'addestramento nelle arti magiche era un percorso lungo e tortuoso, specie per coloro che, all'età di Raisa, ancora non avevano ricevuto alcun tipo di preparazione a riguardo. L'età media di dieci anni del momento in cui i bambini e le bambine venivano scelti dai grandi maghi come loro apprendisti non rappresentava quasi mai il loro primo contatto consapevole con la magia. Raisa doveva essere anche più grande e fino al giorno prima non aveva mai dato prova anche solo di poter arrivare ad accettare il fatto di essere dotata di simili poteri. Insegnarle tutto partendo da zero e, soprattutto, farlo con il fiato di Theor sul collo non sarebbe stato facile per entrambi. Chiunque decidesse di dedicare la propria vita allo studio e alla pratica delle arti magiche si accingeva a percorrere una strada irta di difficoltà.
Mal non desiderava imporre una simile scelta a quella bambina che aveva già sofferto così tanto ma, più di ogni altra cosa, doveva essere sicuro che fosse...
«Sei felice qui con me, Raisa?»
Lei parve esitare ma poi, lentamente, annuì. Ma non era ciò che Mal voleva; non bastava.
«Voglio sentirtelo dire» proferì con fermezza. «E voglio che mi guardi bene in volto mentre lo fai. Te lo chiedo ancora: sei felice qui, Raisa?»
La ragazzina alzò il volto e, cogliendolo completamente alla sprovvista, si aprì in un sorriso che parve a Mal la cosa più bella che avesse mai visto.
«Sephirt» rispose solo. «Mi chiamo Sephirt».







Note dell'autrice: ed eccoci arrivati al termine di questa breve avventura. Come avrete notato, tutti e cinque i capitoli sono narrati dal punto di vista di Mal: all'inizio avevo pensato di inserire anche il pov di Raisa/Sephirt, ma alla fine ho deciso che fosse più giusto così. Per chiunque fosse rimasto incuriosito e volesse leggere di più su di lei, e attraverso i suoi occhi, consiglio la lettura della storia principale. A onor del vero, del secondo volume della storia principale (La missione di Jel), perché è lì che Sephirt fa la sua prima apparizione; la storia può essere tranquillamente letta anche senza aver letto il primo volume, in quanto segue un arco narrativo del tutto differente. Detto questo, spero che questo piccolo spaccato sul rapporto tra questi due personaggi vi sia piaciuto. Personalmente ho amato scriverlo e non è detto che prima o poi torni a trattare di loro; ma sopratutto, mi ha permesso di capire che ciò di cui amo maggiormente scrivere in questo momento sono l'introspezione e i rapporti interpersonali, anche aldilà della dimensione dinamica e fantasy della narrazione.
Un saluto a tutti e lettori e grazie per essere arrivati fino qui,

~TaliaAckerman  

  
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