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Autore: AlysSilver    20/11/2023    1 recensioni
Sequel di Inazuma Eleven New Dream
Dopo la fine del torneo nazionale, grazie alle informazioni di Luna, si è scoperto che Titans era solo la sede giapponese di un'organizzazione internazionale che infesta già molti altri paesi. Il calcio mondiale è in pericolo! Saranno nuovamente i ragazzi della Raimon a dover prendere in mano la situazione, intraprendendo un viaggio intorno al mondo!
Genere: Avventura, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Mark/Mamoru, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La calma della pausa pranzo era durata ben poco, interrotta dall'atterraggio e dalla subito convocata riunione. Come se non bastasse, ero riuscita a mettere sotto i denti ben poco e alla fine il mio stomaco stava incominciando a brontolare. Possibile che quel rompiscatole non avesse rispetto nemmeno per i nostri pasti? Già ci tiranneggiava dal primo momento in cui ci aveva visti, almeno per mangiare poteva lasciarci in pace! Osservavo l'allenatore camminare da un lato all'altro della stanza e cercavo di mantenere l'espressione più calma possibile, ma il mio unico pensiero era che se non ci avesse congedati in fretta, avrei addentato il suo braccio.

«Bene, passiamo alle comunicazioni relative alla nostra missione qui.- Con un gesto rapido della mano invitò il suo vice a proiettare una cartina della città. -Non abbiamo informazioni precise relative alla posizione esatta dell'organizzazione, ma sappiamo dove si sono verificati i loro movimenti. Si tratta delle tre scuole qui segnate, tutte situate nel quartiere di Seodaemun. Il nostro obiettivo sarà di conseguenza ispezionare il quartiere e le zone limitrofe.» Mi sorprese genuinamente la velocità alla quale Melany alzò la mano, anche perché lei era il tipo che di norma non ascoltava una parola e poi ti chiedeva un riassunto alla fine.

«Per la lingua come facciamo? Io non parlo coreano e il mio inglese fa acqua da tutte le parti.» Alex era pronto a darle man forte.

«Non ha tutti i torti, io sono l'unico di madrelingua coreana. Sirius è apposto perché è in parte americano e lo stesso vale per Emma che è abituata a viaggiare, ma gli altri?» Annuii, anche Eth, Derek ed io avevamo un buon livello di inglese grazie alle continue conversazioni con Sir, però lo stesso non si poteva dire per il resto dell'allegra comitiva. Avevo assistito alle più grandi mostruosità venire fuori da quelle bocche, sia durante le lezioni che fuori. L'unica incognita era Orlando, che si sperava avesse un minimo di padronanza linguistica. Il signor Ishiguro, con il solito tono gentile e garbato, diede subito una risposta alle nostre perplessità.

«Sulle vostre Fasce Inazuma è già stata installata un app di traduzione.»

«Meno male! Io me la scampavo qui, ma negli altri posti avrei fatto la figura del deficiente e non sarebbe stato molto stiloso da parte mia.» Con un gesto rapido lanciò una parte della sua chioma indietro, colpendo il povero Aiden in pieno volto. Poverino, che pazienza che serviva con quel biondino.

«Si tratta di un programma all'avanguardia che consentirà a voi di sentire le persone parlare in giapponese, mentre gli altri vi percepiranno nella loro.»

«Forte!»

«Con un semplice gesto del braccio potrete poi scansionare le scritte se avrete difficoltà. Chi vuole cimentarsi con l'inglese, però, è libero di farlo, magari potreste sfruttare l'occasione per migliorarlo e mettervi alla prova.» L'espressione sul viso di Mel diceva tutto, non ne aveva la minima intenzione, nemmeno se l'avessero pagata. Non rientrava nella sua filosofia. Il mister riprese poi l'attenzione su di sé.

«Formerò i gruppi tenendo conto delle competenze linguistiche, non vi preoccupate. Avrete a testa almeno uno con un livello decente d'inglese, anche se il fatto che non lo abbiate tutti mi fa dubitare del vostro sistema scolastico.» Quel tizio aveva qualche problema. Le opzioni erano due: o non dormiva bene e si svegliava sempre di cattivo umore, oppure mangiava pane ed acidità a colazione. Possibile che avesse ogni volta un problema di cui lamentarsi o qualcuno con cui prendersela? Non era mai allegro e felice? Era forse chiedere troppo? Gli avevamo forse fatto un torto di cui non eravamo a conoscenza? Perché non gli piacevamo, c'era forse qualcosa sotto?

L'aeroporto era davvero affollato quel giorno, le persone sembravano non rendersi conto degli altri, ma si muovevano comunque come un ingranaggio ben oliato in cui erano tutti al proprio posto. Si passavano così vicini da potersi quasi sfiorare, ma alla fine nessuno toccava mai veramente l'altro. Riflettendoci poteva essere una rappresentazione fisica del mondo moderno, in cui gli individui correvano da una parte all'altra non notando chi o cosa avessero intorno. Era proprio strano pensare cosa fosse diventato. Scossi in modo vigoroso la testa, non dovevo distrarmi se volevo evitare di perdere di vista gli altri... impiegai ben dieci secondi per rendermi conto che quelle erano diventate da un bel po' le ultime parole famose. Incominciai a guardarmi intorno in preda al panico, da quanto erano spariti? Possibile che fossi così deficiente da non accorgermi che si fossero allontanati? Grazie disturbo dell'attenzione, come al solito eravamo un'ottima squadra. Cosa dovevo fare? Chiamare qualcuno? Ma se non avevo nemmeno idea io di dove mi trovassi, che punti di riferimento potevo dare? E se l'allenatore si fosse arrabbiato e mi avesse cacciato perché ero troppo distratta? Già me lo immaginavo: "Che me ne faccio di un portiere con un deficit dell'attenzione! Tornatene in Giappone che è meglio!" Ella, dovevi respirare. Una volta calmata avrei risolto il problema con facilità, dovevo solo tranquillizzarmi. Mi inginocchiai a terra, coprendo con le mani il volto. Il fracasso che avevo intorno non mi aiutava e dovevo cercare di isolarmi il più possibile. Proprio allora lo sentii, mentre ero raggomitolata in quella posizione infantile, attirando lo sguardo indiscreto della gente. Avrei riconosciuto quel rumore tra mille, quello di quando il cuoio si scontra con una scarpa, per poi muoversi verso il corpo di un giocatore. Rizzai la testa senza pensarci un attimo, da dove veniva quel meraviglioso suono?

Una folla si era radunata a pochi metri di distanza da me e più mi avvicinavo e più quella incredibile "melodia" diventava forte e reale. Cercai di farmi spazio tra le persone senza infastidire nessuno. Volevo evitare se possibile di rubare il posto a qualche spettatore, ma era essenziale per me capire con esattezza di cosa si trattasse. Al centro di quella composizione, come se si stesse esibendo in un vero e proprio spettacolo, c'era un ragazzo che palleggiava ed eseguiva trick con un pallone dorato. Il volto era coperto da una lunga chioma scura, salvo per le punte bionde, tirata avanti dalle acrobazie e dal cappuccio della felpa che indossava. Si muoveva con uno stile che non avevo mai visto, quasi mischiasse al calcio il ballo. Rimasi senza parole anch'io, quando girò sulla testa e nel frattempo giocò con la palla. Non avevo mai pensato che la Break Dance potesse essere utilizzata in quel modo. Imbambolata com'ero, non mi ero quasi resa conto di essere avanzata di qualche passo rispetto al resto della cerchia. Quando la sfera aveva incominciato a venire nella mia direzione, avevo impiegato alcuni secondi a rendermene conto. Nonostante il primo istinto fosse stato di bloccarla con la mano, la stoppai di petto. Cosa voleva? Perché me l'aveva passata? Proprio allora incrociai per la prima volta il suo sguardo. Aveva gli occhi sorridenti, come pochi ne avevo mai ammirati. Quello bastò per capire tutto. Lasciai cadere a terra la borsa a tracolla e senza sapere bene il perché mi ritrovai anch'io coinvolta in quello spettacolo, che da una performance solista era divenuta un passo a due.

Passarono diverse decine di minuti prima che la folla si diradasse, anche se a me sembrarono molti di meno. Mi accostai per ricuperare subito il borsone, se possibile volevo evitare che qualcuno lo rubasse o che lo considerasse un oggetto smarrito.

«Sei davvero brava a calcio, sai?» Una voce giunse alle mie spalle. Aveva pronunciato una frase molto breve, ma si percepiva già da quelle poche parole il suo tono vivace, il quale creava un divertente contrasto con la sua voce così profonda.

«Grazie, anche tu! Non avevo mai visto nessuno mischiare mosse di danza con il calcio!» Ero a dir poco entusiasta, vederlo muoversi in quel modo era stato davvero esaltante.

«È uno stile che prende ispirazione dai ragazzi che usano la capoeira! Ho visto così tanti loro video che alla fine mi sono detto che avrei dovuto provare anch'io! Insomma, se loro mixavano due cose che amano, allora perché non avrei dovuto farlo e dare vita ad un mio stile personale?»

«E così ti sei ritrovato a ballare e calciare, giusto?» I suoi occhi si illuminarono e un sorriso gli si formò sul volto.

«Esatto!» Per la prima volta credevo di aver capito cosa vedessero in me i miei amici quando parlavo del nostro sport. La gioia e la felicità che si leggevano nel suo sguardo erano qualcosa di indescrivibile! Aveva iniziato a parlarmi a raffica di due mila argomenti diversi quando lo interruppi.

«Scusa, ma, ora che ci penso, come facevi a sapere che so giocare a calcio?»

«Ho notato la tuta e soprattutto la Fascia. Dalle nostre parti la usano esclusivamente i calciatori, gli altri atleti spesso non sono molto avanti a livello tecnologico, preferiscono le tradizioni.»

«Complimenti per l'attenzione ai dettagli! Io sono Gabriella Evans, piacere di conoscerti.» Eseguii un leggero inchino in segno di saluto.

«Do Hyun Ra. Sei giapponese, vero? Io adoro il Giappone, ci sono stato solo una volta per una gara, però vorrei tanto ritornarci!» Trattenni una risata, quel ragazzo era persino peggio di me quando si trattava di dare confidenza a persone conosciute da pochi minuti. Se fosse stato adolescente nello stesso periodo di mio padre, sarebbero stati migliori amici. Su quello non avrei avuto alcun dubbio.

«Per me è la prima volta in Corea invece. Ho viaggiato un po' ovunque per il lavoro di papà, ma non sono mai venuta qui.»

«Seul è una città magica, moderna quanto eclettica...- Il suo volto si incupì perdendosi nel vuoto. -sempre se non la si guarda troppo affondo. Se si attraversa lo specchio le tenebre potrebbero prenderti e risucchiarti, l'ho visto spesso. Pochi riescono a resistere alle loro richieste, pochi resistono alla tentazione...» Un brivido mi percorse la schiena, l'atmosfera sembrava aver perso d'improvviso la gioia che riempiva l'ambiente. Appoggiai una mano sulla sua spalla, forse per calmarlo o anche solo per richiamare la sua attenzione.

«Ehi, stai bene?» Mosse la testa in una piccola serie di scatti, riprendendo solo alla fine la mia direzione e la sua normale allegria.

«Come? Ah, sì. Scusami, pensieri vari. Comunque, sono abbastanza certo che ti stiano cercando.- Indicò alle mie spalle, dove due figure conosciute correvano verso di me. -Io ti saluto a questo punto, alla prossima capitano della Raimon.» Rimasi paralizzata nel sentire quelle parole, non glielo avevo mai detto. Come poteva sapere che fossi il capitano della Raimon? Quando mi voltai per chiederglielo però era già sparito. La voce di Ethan al contrario era più vicina che mai.

«Ella, eccoti! Non ti trovavamo più e ci siamo spaventati. Il mister ci ha mandato a cercarti e temo sia abbastanza irritato. Non che di norma sia tranquillo, però diciamo che lo è meno del solito.» Sirius al contrario parve accorgersi subito della mia confusione.

«Che succede? Sembri aver visto un fantasma. È a causa del ragazzo con cui stavi parlando?»

«Giusto, chi era quello?»

«Non ne sono sicura. Credo sia stato l'incontro più strano della mia vita.» Il mio fidanzato crucciò la fronte.

«Cosa intendi con strano?»

«Sembrava gentile e amichevole, ma credo mi conoscesse più di quanto volesse ammettere. Se questo fosse stato il nostro primo incontro, come poteva sapere in quale squadra giocassi?» Ethan alzò le spalle divertito.

«Sei sicura di non averglielo detto tu per sbaglio? Senza offesa tesoro, però tu parli parecchio e non sei nuova dal raccontare i fatti tuoi a chiunque senza pensarci troppo.» Lo fulminai sottecchi.

«Sì, ne sono certa. Gli ho solo detto il mio nome, nulla più e dubito che in Corea del Sud seguano più di tanto il campionato giovanile giapponese.» Sir parve rifletterci un momento prima di rispondere, forse alla ricerca della frase più adatta e sensata.

«Per te dobbiamo preoccuparci? Potrebbe avere a che fare con loro?»

«Potrei sembrarvi pazza, ma c'è qualcosa in lui che mi dice che non si tratta di una minaccia.»

«Speriamo che tu non ti stia sbagliando.»
   
 
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