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Autore: Giglian    27/02/2024    1 recensioni
Nell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l'unico filo che conduce alla salvezza. Ma, per chi giura di non avere buone intenzioni, nulla sa essere semplice.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei Malandrini.'
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Buongiorno a tutti! Ed eccoci al nuovo capitolo. Spero tanto che vi piaccia e non disturbo oltre, lasciandovi l’ennesima Fanart, che in realtà non è una Fanart fatta apposta per la mia Fanfiction ma mi trasmette tantissimo le stesse vibes dello scontro fra Remus e Lestrange!
Un bacione!















L’odore di zolfo intossicava l’aria, resa densa dalle fiamme. Gli stendardi verde-argento dei Malfoy venivano ripiegati su loro stessi da una coltre di vento...no, non semplice aria.
Ali.
Ali che sbattevano.
Lupin!”
Qualcuno lo stava chiamando, ma la sua voce appariva ovattata, come sotterrata da un lungo fischio. La terra, resa arida e secca, mulinava attorno alla sua faccia in un turbinio, appiccicandosi in modo sgradevole alla pelle improvvisamente sudata.
Quel posto si era surriscaldato in meno di un minuto. L’aria stessa sembrava bollente. Sentiva già la bocca screpolarsi.
LUPIN!”
E dire che volevano fare una cosetta rapida e silenziosa. L’esplosione aveva rimbombato in ogni angolo del giardino, provocando una nube di fumo e detriti.
Merda.
Avevano meno di tre minuti per filarsela da lì prima che quel posto brulicasse di maghi.
Remus si sollevò sui palmi escoriati, digrignando i denti...fino a quando nel suo campo visivo comparvero due maestose zampe insanguinate. Le avvertì ancor prima di vederle, pesanti e terrificanti, come una viscerale vibrazione che gli corse su per il corpo raggomitolato a terra facendogli tremare le ossa.
E quando alzò il viso… si ritrovò di fronte a due enormi occhi gialli.
Odio. E antichità.
Non riuscì a muoversi. Fu come essere colpiti dallo sguardo di dio.
Il sangue gli si cristallizzò nelle vene e il respiro smise di funzionare.
Il drago più grande era a pochi centimetri da lui. Il suo fiato incandescente gli sfiorò le palpebre socchiuse, bruciando.
Libero dalla sua prigione, e libero dal morso che gli stringeva le fauci impedendogli di aprire la bocca, quell’essere mostruoso spalancò le ali membranose sollevando fiumi di fuliggine tra di loro.
Era stato facile per lui togliersi la museruola, una volta liberi gli arti.
Ed ora lo guardava, immobile, mentre i suoi compagni più giovani si libravano nell’aria in un orgia di fiamme e ruggiti che fendevano il cielo come una tempesta.
Aveva le scaglie più nere del carbone, un nero cupo e polveroso su cui nemmeno il colore del rogo sembrava riflettere. Il rosso vivido di piccole lacerazioni spiccava sul suo corpo come se le gocce di sangue fossero file di rubini, mischiandosi alle intense gradazioni di viola che parevano risucchiare la luce.
Remus osò a malapena sollevare la testa, inginocchiato a terra come un umile servo.
L’animale lo soppesava. Sentiva il suo odio scivolargli addosso, più denso e soffocante del suo odore ceroso.
Il drago spalancò la bocca, proprio davanti a lui. Remus si specchiò in un inferno di denti grandi come tagliole.
E’ la fine…”
In fondo a quella gola, iniziò a germogliare come un bocciolo un nucleo di fuoco vivo.







Il giorno prima.



Narcissa Black inclinò il capo ed i capelli biondissimi ricaddero a ventaglio contro lo schiena della poltrona dove si era rifugiata.
Un piccolo nido imbottito di gommapiuma che si chiudeva sul suo corpicino esile.
Agitò pigramente la bacchetta e tutte le persiane della stanza si chiusero, togliendole la fastidiosa sensazione della luce del sole sulle palpebre dolenti.
Sentiva come un peso sullo sterno che la schiacciava e un principio di emicrania che minacciava di farla impazzire.
Sopportare quelle emerite cretine ed i loro sdolcinati convenevoli avrebbe provocato i conati di vomito a chiunque, rifletté, e comunque con tutto il trambusto che c’era in quel momento nessuno avrebbe badato alla sua assenza.
Al pensiero, un sorriso perfido le sbocciò sulle labbra.
Pace. Silenzio. Buio.
E il dolce sapore della vendetta.
Al di fuori del corridoio Porfiria era in pieno panico e da qualche parte un certo Prefetto di Grifondoro stava scatenando un vero putiferio ma tutto quel caos non le sfiorava le orecchie.
In realtà le bastava rimanere sola per chiudere fuori dalla testa le gracchianti voci degli insetti che brulicavano in quel posto. E in ogni altro posto dove i suoi l’avessero posizionata negli ultimi diciassette anni.
La solitudine era stata il suo unico, vero rifugio.
“Cissa! COSA DIAVOLO HAI FATTO?!”
Per l’appunto.
Regulus Black piombò nella stanza sbattendo la porta così forte da farla quasi uscire dai cardini.
Ai suoi grandi occhi sbarrati la Black replicò con la perfetta rappresentazione della noia.
Darsi tante pene per una stupida mocciosa mezzosangue.
Patetico.
“Non urlare. Ho mal di testa.” soffiò, con appena un accenno di fastidio.
“Non scherzare, è una cosa seria! Tonks non si sveglia più!” Il ragazzino balzò in avanti, e ci fu qualcosa nella sua apprensione che le diede sui nervi.
“… ’Tonks’?” replicò acidamente. “Cos’è, te la sei fatta per caso?”
“Smettila di dire stronzate.” lui digrignò i denti, facendosi sotto. “Porfiria sta per avere una sincope. Hanno dovuto tener fermo Lupin in dieci per impedirgli di entrare nella stanza!”
“Ecco cos’erano quei penosi lamenti…” la bionda sbuffò, divertita.
“Smettila. So che sei stata tu. Aveva un graffio violaceo sulla mano…era veleno, vero? L’hai avvelenata!”
“E se anche fosse?”
Sapeva che l’espressione sul suo viso lo stava vagamente mettendo a disagio, lo capiva dal modo in cui Reg si rimetteva in riga, faceva qualche passo indietro e la fissava con quell’insopportabile misto di pena e sgomento.
C’erano volte in cui si mettevano sulla stessa poltrona, giù a Slytherin. Lei allungava le pallide gambe su di lui e lui la lasciava fare, ognuno concentrato sulle proprie letture o semplicemente sulle note di qualche vecchio grammofono lasciato andare per coprire le lagne di qualcuna che non trovava più la cipria o i singhiozzi quasi quotidiani di quei pochi sfigatissimi mezzosangue che avevano avuto la sfortuna di ritrovarsi lì.
Sapeva che in quei momenti il ragazzino si sentiva rincuorato, vicino a lei in un certo senso.
Per questo si premurava di allungare i momenti in cui tra di loro c’erano invece muri insormontabili, anche se trovava irritante quell’aria da cucciolo addolorato.
Fino a quando lui non decise di usare l’ultima carta. Quella decisiva.
“Stai disobbedendo a quanto ti è stato detto.”
La Serpeverde serrò le mandibole. Il divertimento scemò.
Disubbidire. Che stronzata. Era un lusso che non poteva permettersi.
“Non farti saltare la mosca al naso.” sbuffò, fissandosi le unghie. “Non morirà. Volevo solo divertirmi un po’. Rodolphus si sta già occupando di lei.”
“Ah, allora siamo a posto!” ironizzò acidamente il quindicenne, con una risata isterica. “Ora sì che sono tranquillo!”
“Lestrange non piace a me quanto non piace a te, ma è leale ed efficiente e su questo non ci piove. E poi…” fece scivolare tra le dita un collare d’argento scintillante e sorrise perversamente. “…è il mio schiavetto oggi, no?”
Lui la guardò in silenzio. Conosceva bene quello sguardo. Delusione.
Che noia. Nulla a cui non fosse abituata.
Non c’era mai niente di nuovo, lì…
“Non è da te. Potevo aspettarmi scenate da Bellatrix, ma tu… perché l’hai fatto? Non riesco a capirti, Cissa…”
“Io neanche. Perché te la prendi tanto?”
Lui corrucciò le sopracciglia. Era sinceramente confuso.
“Io… non lo so…”
Bizzarro. Ma comunque niente di esaltante. Dio, quanto era annoiata…
“Starà bene.” minimizzò con la mano. “Sarà solo un po’ più debole del solito e il suo potere magico per un po’ farà ancora più schifo di quanto non faccia già, ma non morirà se è questo che ti preoccupa. Regole rispettate. Visto? Sono ancora la brava e ubbidiente bambina dei Black. Ora levati dai piedi.”
Aggiunse all’ultima frase una nota aggressiva che non si poteva rifiutare e il ragazzo uscì dalla stanza sbattendo la porta esattamente come era entrato.
Oh. Silenzio. Pace.
No.
Non più.
La stava provando di nuovo, si rese conto. Era come una brama. Un bisogno sfrenato di essere placata.
Un guizzo di emozione che faceva crollare la sua indomabile corazza. Digrignò i denti e serrò le unghie nei palmi fino al sangue.
Non l’aveva ammazzata.
Pensava solo a questo.
Non l’aveva ammazzata. Ma avrebbe voluto. Era andata di nuovo fottutamene vicino a perdere il controllo. Era eccitante e terrificante allo stesso tempo.
Quando si trattava di lei…
Aveva pensato che Andromeda rappresentasse solamente una sua crisi esistenziale ma lei significava ben più di questo. Lei non era stata solo la causa del vuoto che la divorava dentro ma ne era in qualche modo parte. Era un pezzo di qualcosa che il suo stupido cervello non riusciva a comprendere. Era lei, il motivo per cui si sentiva così.
Come una bestia incapace di provare emozioni normali. Solo un lurido buco nero fatto di perversioni che era costretta a tenere in catene.
Andromeda Black le aveva abbandonate.
Aveva tradito.
Erano solo delle bambine e lei era stata l’unica ancora di salvezza ma ora era troppo tardi. Ora il sangue aveva iniziato a marcire nelle loro vene come per tutti gli altri. Gratificante e potente e tossico.
Non che desiderasse essere salvata. No, a Narcissa andava più che bene così.
Solo che… lei non c’era più e finché fosse stata via a Narcissa sarebbe sempre mancato qualcosa. La sua… bontà? Il suo senso morale? Qualcosa di fondamentale. Qualcosa che non capiva.
Qualcosa che traduceva nell’unico modo in cui una bambina deviata avrebbe potuto. Una brama inesauribile di violenza. Che però rimaneva inappagata.
Poi, all’improvviso… il guizzo della fiamma del caminetto.
E lei… non fu più sola.
L’atmosfera crepitò di una sorta di elettricità statica. Non tensione, non ansia. Qualcos’altro.
Le ombre parvero allungarsi verso di lei, le fiamme si fecero vive...e lui apparve.
Erano anni che non lo vedeva. Avrebbe dovuto trasalire, fuggire via.
Ma avrebbe significato esprimere una debolezza. E lui l’avrebbe fatta sua...
Narcissa Black si limitò ad inarcare un sopracciglio e stringere sotto di se i piedi fasciati dalle deliziose scarpine di seta, rannicchiandosi e scostandosi pigramente dalle ombre e dalle sottili lingue di fuoco che strisciavano verso di lei come per ghermirla.
“Cosa ci fai, tu, qui?”
La figura era completamente nel buio. Guizzi di fuoco sottili, come vapore aranciato e crepitante, si levavano dai suoi contorni ma non facevano luce. Riusciva a vedere solo il suo solito sogghigno ferino, che le scatenò dentro al ventre un caldo languore...e un gelido terrore.
“Mi hai evocato.” rispose. La voce dura e ammaliante allo stesso tempo.
“Non è vero.” sibilò Cissa. La figura sorrise.
“Oh, ma tu sai che è così. Come quella notte, quando bruciavi così tanto e in modo così delizioso, con tutto il tuo bel pacchetto umano di angoscia, rabbia e crudeltà. Mi hai chiamato perché volevi bruciare e ora hai la stessa identica frenesia, lo stesso disperato tormento. L’ho sentito e sono venuto. Era troppo irresistibile.”
Narcissa rimase in silenzio.
“Dimmi un segreto.” sibilò lui.
Una richiesta a cui era impossibile opporsi. Un segreto. Uno dei tanti che lui collezionava per poter corrompere l’anima degli umani fragili.
Il pegno da pagare per averlo evocato tanti anni fa.
La ragazza contrasse le labbra con fastidio.
“Mi manca sentire Regulus suonare.” sussurrò, gelidamente. “Così ho cercato di farglielo fare, oggi.”
Ammetterlo era peggio che spalmarsi acido addosso.
“Gliel’ho hai mai detto? Che ami ascoltarlo mentre suona?”
“Ovviamente no.”
Lui rise a bocca chiusa della sua cocente umiliazione. Lei non gli diede il vantaggio di farglielo capire e si limitò ad accoccolarsi meglio sulla poltrona con una smorfia di disgusto.
“Sei squisita, signorina Black.”
“Perché sei qui? Sai bene che non ti cederò. Mi pare di avertelo fatto capire allora.”
“Sì, tu sei una strega in gamba. Ma sai bene che una volta evocato uno di noi, non si può più scappare. Sei marchiata, bambina umana.”
La Serpeverde sorrise… e allungò una gamba bianca verso di lui. Languidamente. Uno dei ciocchi del camino scoppiò e l’aria fra loro parve incendiarsi.
“Da quel che ricordo, ha anche dei vantaggi.” la voce di Narcissa era diversa, ora. Seducente. Morbida come il suo sguardo, che ora scintillava pieno di promesse. Di ricordi di notti passate fra seta e fiamme. Quando si era sentita viva per la prima volta in vita sua. “Ma credo che di tentazioni ce ne siano, lì in fondo. Non sono così vanitosa dal credere che ti mancavo.”
“Anche noi ci annoiamo, sai?”
“Ma va? Tra un sacrificio e l’altro trovate anche il tempo di annoiarvi?”
“Ero di passaggio. Ed eri meglio delle alternative quaggiù. Trovavo troppo delizioso il tuo piccolo attimo di crisi per non assistervi, tesoro. Così giovane. Così tormentata.”
Ridicolo, pensò Narcissa. Disperazione, tormento, dolore.
Significava che avrebbe dato importanza. E per lei niente era importante. Non era importante che avesse solo anestetizzato un po’ la figlia di Andromeda, quella fastidiosa propaggine di lei, anziché ucciderla come avrebbe desiderato.
Non era importante che aveva anteposto ancora i voleri della sua famiglia a ciò che anelava la sua anima.
Distruzione. Morte. Grida e supplizio.
Sentirsi vive.
Aveva passato tanto di quel tempo a ribollire di abbia per poi giungere all’inevitabile conclusione che non c’era nessun grande nemico. Anche se Andromeda avesse desiderato la loro morte, nemmeno allora sarebbe stata un nemico nel senso stretto del termine.
Era semplicemente così che andava il mondo. Confidavi nelle persone, le amavi, concedevi loro l’onore del tuo tempo, l’intimità dei tuoi pensieri e la fragilità delle tue speranze e loro le accettavano o le rifiutavano e alla fine, niente di tutto questo dipendeva da te o sottostava al tuo controllo. Era semplicemente ciò che si riceveva. Il dolore era inevitabile. La delusione garantita.
Non ne valeva la pena. Non valeva la pena dare importanza. Al massimo, potevi solo perseguire un po’ il cupo desiderio che avevi dentro, lasciarti andare al piacere di fare del male, ma non per riparare ad un qualche tipo di dolore, no, era più come il gusto di cacciare. Era solo perché sarebbe stato terribilmente divertente togliere ad Andromeda la sua adorabile bambina.
Era questa la conclusione a cui era giunta Narcissa tanto tempo fa.
Evocare lui avrebbe significato che la sua conclusione fosse sbagliata. Che i sentimenti del suo cuore dipendevano da ciò che facevano gli altri. Non poteva accettarlo.
La creatura parve leggerle il pensiero, e probabilmente lo sapeva fare. L’aggirò come un predatore, annusando l’aria con aria indolente.
“Stai ancora assieme a quel patetico umano?” chiese, sardonico, mentre il fuoco lo avvolgeva.
“Ci sposiamo.”
“Che tremendo spreco di talento.”
“Spiacente di averti deluso.” Narcissa guardò altrove, tediata. Stava di nuovo riacquistando il controllo.
“Ne sei innamorata?”
Di nuovo quella domanda. Assurdo. Erano tutti così fottutamente fissati con l’amore. Cosa pensavano che fosse? Follia? Era questo che pensavano?
Che se nessuno si struggeva come stava facendo pochi corridoi più in là il Prefetto di Grifondoro, allora era come se l’amore non esistesse, come un albero abbattuto in una foresta senza che nessuno lo sentisse cadere?
“Certo che lo ami.” lui si deliziò. “Certo che sei in grado di amare. In quale altro modo avresti potuto essere così costellata di buchi? Come, se fossi stata davvero impermeabile come credi di essere, tanto invulnerabile alle ferite?”
“E’ fin troppo banale quello che stai dicendo. Ti ricordavo più interessante.”
Non doveva cedere.
Lui rise ancora. Aveva una risata capace di far sentire di miele la propria stessa carne. Bassa, roca. Ricordava di quando le rideva piano sulla pelle nuda, in ben altri contesti.
“Sempre la solita. Oh, ma io lo so. Nel tuo profondo, non sai resistere, eh?”
“Non pensare di ferirmi…”
Farsi ferire da lui avrebbe significato perdere. Soccombergli. Farlo mangiare, masticare pezzetto per pezzetto la sua anima.
“… nel profondo, non sai resistere a chi ti dice che sei unica. Che sei speciale.” insistette, avvicinandosi troppo al suo orecchio. La sua voce era la promessa di un lungo brivido sulla schiena. Necessaria.
“So cosa sono.” e gli lanciò un’occhiata astiosa mentre lo allontanò con la mano come se fosse una zanzara.
“No, tu pensi di sapere cosa sei ma non è così. Pensi di essere fredda, insensibile, ma non lo sei.” Lui si era chinato in avanti e Narcissa si era irrigidita. Ma quel gioco aveva stancato entrambi. Su una cosa erano uguali: si annoiavano facilmente. Così lui ritornò nelle fiamme, ma non prima di averla guardata oltre la sua spalla e averle lanciato l’ennesimo, tremendo monito. “Il momento in cui ti concederai di amare, Narcissa Black, per te sarà la fine. Te lo garantisco…”







Rodolphus Lestrange si accese il sigaro con uno schiocco del suo zippo e scoccò un’occhiata ai Medimaghi attorno al grande letto a baldacchino.
“Fuori.” ordinò, asciutto.
“Ma… Signor Lestrange…La signora Malfoy ci ha fatto accorrere qui in tutta fretta per…”
“FUORI.” Ripeté, scoprendo i denti. La stanza si svuotò di tutta fretta.
Lui tirò fuori una piccola bustina dalla tasca e prese una pomata verde con un pollice, prima di spalmarla sul dorso della mano della ragazza che dormiva nel letto davanti a lui.
In pochi attimi, le guance di Tonks ripresero un delizioso colore rosato.
Lupin stava ancora strepitando la fuori, quasi impossibile da contenere.
Sorrise, poi scoccò un’occhiata alla più piccola erede dei Black. Era riversa a pancia in sù su un letto di sontuoso lino bianco, le lenzuola a coprirla fino alle clavicole, i capelli sparsi a ventaglio dietro di lei su un pomposo cuscino di piume, le labbra luccicanti come fragole, appena dischiuse in un respiro che ora era tranquillo.
Sorrise cupamente.
Il fottuto ritratto dell’innocenza.
Era quasi paradossale che un animaletto così docile e dolce fosse lì, a Villa Malfoy, e discendesse da quei demoni dei Black. Ma Andromeda era sempre stata diversa.
Tuttavia, ragionò, qualunque cosa Ninfadora Tonks avesse nel cuore… dopo aver conosciuto i Black… vivere tra di loro avrebbe rovinato inesorabilmente quella tenue, piccola luce di dolcezza che aveva dentro. Lui avrebbe dovuto saperlo più di chiunque altro, no? La versione del mondo dei Black era senza freni e piena di bordi affilati, di denti che aspettavano di perforare il fragile ottimismo di quella piccola Grifondoro, il suo senso morale, le sue speranze.
L’avrebbero fatta a pezzi esattamente come avevano fatto a pezzi Bellatrix.
Sarebbe spettato a lei decidere se rinascere nella meravigliosa fenice nera che era la sua futura sposa, la femmina più splendida e più intensa che avesse mai conosciuto, o se soccombere alle zanne come una vittima qualsiasi.
Lui… lui era semplicemente lì per capirlo.
“Lasciatemi ENTRARE!” Ruggì da qualche parte Remus Lupin. In lontananza si udirono dei tonfi sordi e qualche grugnito.
Che maggiordomo modello, sogghignò Lestrange. Un vero cavaliere.
Oppure no? Ridacchiò fra sé, guardando il cesto in vimini accanto al letto.
I maggiordomi avevano avuto il compito di ritirare il vestiario delle loro Signorine, dopo l’allenamento. Lupin voleva fiondarsi a cercare la sua marmocchietta ma Alfred gli aveva fatto capire senza mezzi termini che o le andava a ritirare i vestiti, o l’avrebbe vista molto presto girare nuda. O peggio, aveva aggiunto disgustato alludendo molto chiaramente a quale opzione considerasse più umiliante, con i vestiti sporchi del giorno prima.
Nel corredo però, c’era anche la biancheria intima.
Immaginarsi quel bamboccio alle prese con mutandine e reggiseni fece ridere Lestrange di gusto. Oh, c’erano divertimenti a cui non si sapeva propri resistere.
E a proposito di tentazioni… Il suo sguardo divenne crudele quando afferrò le lenzuola che coprivano Tonks.
Le sollevò in un unico gesto e la sua smorfia sadica si estese, gelidamente, mentre faceva scivolare gli occhi sul corpo inerme della ragazzina.
I medi-maghi l’avevano spogliata, lasciandola solo con la biancheria intima addosso.
Aveva i palmi delle mani e le ginocchia sporche di erba ma profumava lo stesso, la pelle come crema, il cuore calmo e caldo ed il sospiro che le scuoteva leggermente il petto.
Un laccetto del reggiseno era scivolato giù dalla piccola spalla nuda. Gli bastò un’occhiata per capire che era della taglia sbagliata.
“Ah, Lupin… che errore da principiante.”
Rodolphus allungò una mano verso la Grifoncina. Come l’artiglio di un mostro. Le sfiorò con un dito un seno, costretto in quel indumento troppo piccolo. Lei non si mosse. Era in balia di ognuno di loro e nemmeno se ne rendeva conto.
“Tu pensi che sia ancora una bambina…” mormorò fra sé e sé. “Ma la nostra piccola Black sta già diventando una donna.”
Tonks mugolò appena nel sonno, una leggera ruga sulla fronte come se fosse turbata da quel contatto indesiderato.
L’uomo sorrise, prima di risistemarle la spallina al suo posto e rimetterle le lenzuola addosso.
Lupin ormai aveva vinto la sua piccola lotta, lo sentiva dai suoi passi in corsa.
E quando Remus lo vide uscire dalla sua camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle, si sentì morire.
“Tu!” ringhiò, scoprendo i denti. “DOV’È?! COSA LE HAI FATTO?!”
Fece per colpirlo ma l’uomo si mosse con una velocità inumana che lo colse di sorpresa. Un colpo del torso e improvvisamente, non gli era più davanti mal su fianco. La mano gli calò addosso tra le scapole catapultandolo rovinosamente sul pavimento e mozzandogli il respiro, assieme al piede che gli piantò sulla schiena inchiodandolo a terra e facendogli sfuggire un urlo di dolore.
Merda! Era troppo debole… e lui… era troppo veloce! Non aveva nemmeno avuto bisogno della bacchetta per fermarlo!
Remus tossì, cercando di liberarsi ma Lestrange gli tolse la scarpa di dosso in un istante, facendosi indietro.
“Urlare così non s'addice per nulla ad un domestico.” Aveva un tono deciso. Non propriamente freddo, però con una nota metallica. Ferro. Ecco che cos’era. “E in ogni caso, Ninfadora Black sta bene. Puoi vederlo tu stesso.”
“Lei si chiama… Tonks!” sibilò Remus, odiandolo a morte, ma fu interrotto dallo squittio di Porfiria Malfoy.
“Oh… GRAZIE AL CIELO!” Strillò, fiondandosi su di loro. “Ma che cosa accidenti è successo qui, eh?!”
Era pallida come un morto. Benché l’aspetto stravagante di Tonks la irritasse visibilmente, era pur sempre una dei Black… e Porfiria era già abbastanza ai ferri corti con loro senza aggiungerci una loro parente che stava male sotto il suo tetto e la sua protezione!
Tra lui e Remus, non si sapeva chi si fosse agitato di più!
“Nulla di grave. Le ho dato un rimedio e starà presto meglio.”
“OH, Lestrange caro! Se non ci fossi tu! Quegli idioti di Medi-maghi non sapevano che pesci prendere!” la donna si posò una manona sul cuore e fece un respiro tragicomico, poi sventolò in modo insopportabile un dito verso Remus. “TU! Domestico! Va a preparare subito una tisana per la tua Signorina!”
Ora la mordeva. Non l’aveva nemmeno guardato in faccia, quella! E volevano allontanarlo DI NUOVO da Tonks!
Lupin fece per perdere il suo proverbiale autocontrollo e mandare tutti al diavolo quando Lestrange si mise in mezzo.
“Ho già provveduto io. Tutto ciò di cui ha bisogno la Signorina Black è un riposino rigenerante e un domestico pronto ad obbedirle per quando si risveglierà.”
La stronza – così l’avrebbe soprannominata Remus da ora in poi in barba alla sua educazione – tirò un sospiro di sollievo.
“Un cavaliere perfetto! Non che avessi dubbi, mio caro! Insegnerai molto bene a questi ragazzini ad essere bravi quanto te come maggiordomi, molto meglio di quanto potrebbe fare Alfred mi sa!”
“Non oserei mai paragonarmi al tuo Capo domestico, Porfiria cara.”
“Oh, e che mi dici di…”
SBAM.
Lupin entrò come una furia nella camera di Tonks e si sbattè la porta alle spalle.
Non avrebbe retto un minuto di più tutto quel dannato gracchiare! Ma poteva andare peggio di così?!
Tonks era lì da pochissimo e lui era stato tormentato in una sala del Tempo, lei era svenuta senza svegliarsi più e cos’è che aveva detto…? C’erano dei draghi da qualche parte da liberare…?!
Ok, doveva calmarsi, decise tra sé cercando di respirare. Non era da lui reagire così…
Gettò un’occhiata alla stanza e a Tonks, che dormiva beata. Effettivamente, il volto aveva ripreso colore e sembrava stare bene… le sfiorò una mano con la propria e fece un balzo quando si accorse che i suoi vestiti erano tutti ripiegati sulla sedia.
Saperla lì, quasi nuda sotto quel lenzuolo e vicino a quel Lestrange lo fece stare decisamente male… ma decise di togliersi dalla testa certe immagini o lo avrebbe ammazzato davvero.
Si concentrò sul fare esattamente quel che gli avevano richiesto di fare: il domestico.
Purtroppo i vestiti colorati di Tonks erano troppo fradici per poter essere indossati, ed il cambio che lei si era portata non si trovava da nessuna parte, per cui gli toccava ripiegare su quelli forniti dai Malfoy.
Fortunatamente c’era una vasta scelta ma dubitava che lei avrebbe gradito qualcuno di quei capi. Erano tutti leziosi e...ordinari. Sospirando, tolse di torno quelli troppo pieni di pizzi e merletti e scelse tra i più semplici che c’erano. Tra di essi c’era una specie di prendisole di tessuto caldo con un motivo a fragole che forse le sarebbe potuto piacere.
Diede un’occhiata alla stanza. Era enorme, sembrava più un mini appartamento.
Poi, con un improvviso moto di imbarazzo si rese conto che… avrebbero dovuto dormire assieme.
La camera aveva infatti la parte più ampia dedicata a Tonks, con cassettoni, un armadio, lampade a goccia e un rosso tappeto di pelo morbido, un antro che fungeva da cucina, un bagno fornito di una sontuosa vasca da bagno e un piccolo spazio a destra separato dove c’era un letto singolo e un paio di mobili dall’aria fin troppo modesta rispetto allo sfarzo del resto della camera.
Doveva essere per forza il suo alloggio.
Da una parte era scontato, visto che si presupponeva che le preparasse perfino la colazione, ed era decisamente meglio che stessero vicini! Non aveva scordato certo la forza con cui Lestrange l’aveva messo fuori gioco. No, con un tizio del genere nei paraggi era molto meglio che Remus stesse vicino a Tonks! Anche se si sentiva debole, non si sarebbe più fatto cogliere di sorpresa.
Ma d’altro canto… arrossì appena, concentrandosi sul sistemare.
Sirius l’avrebbe ammazzato davvero.






Ninfadora Tonks si svegliò che era ormai pomeriggio inoltrato e si stiracchiò con un sorriso sornione mugolando come un gattino. Non sapeva esattamente dove si trovava ma era in un letto decisamente comodo e soprattutto la stanza era piena di un profumo di cibo che le stava facendo venire l’acquolina in bocca.
Aveva dormito proprio bene, a dirla tutta!
Anche se non ricordava esattamente come fosse arrivata fino a lì. Si guardò attorno ancora un po’ intontita prima di accorgersi di una camicia da notte soffice come piuma adagiata con cura accanto a lei. C’erano due piccoli corridoi che davano su due stanze – una delle quali doveva essere una cucina a giudicare dal profumo – e un bagno dietro la quale sentiva scrosciare dell’acqua.
Dov’era Remus…?
S’infilò la camicia da notte aguzzando il naso in cerca di cibo visto che il suo stomaco stava ruggendo di fame quando si accorse… di un biglietto.
C’era un bigliettino ripiegato con cura sopra il comodino accanto al letto.
Lo prese ed il suo cuore mancò un balzo per l’eccitazione.
Parlava di…

La parte d'ogni drago che mai è nel cielo, che può solcare oceani e rimanere asciutta.”

Draghi! Parlava di draghi! Ma chi poteva averlo lasciato lì?! E che accidenti significava?!
“REMUS! REMUS!” Gridò, fiondandosi verso la stanza da bagno stringendo quello strano enigma e spalancando la porta di botto. “REMUS, GUARDA COSA…!”
Effettivamente Lupin ERA in bagno e rimasero a fissarsi nelle palle degli occhi per un breve momento mentre lei taceva, ormai a corto di parole perché Remus mezzo nudo era decisamente l’unica cosa in grado di serrarle la gola.
Il ragazzo aveva ben pensato di togliersi la camicia e approfittarne per farsi una doccia visto che lei non si decideva a svegliarsi ed ora si sentiva leggermente preso sotto esame e anche un tantino violato visto che Tonks sorrideva come un’ebete senza vergognarsi nemmeno per un secondo, impalata lì davanti a mangiarselo con gli occhi e lasciandolo pieno di brividi.
Si schiarì la voce e si rimise in fretta la camicia, arrossendo, mentre lei ridacchiava deliziata.
“Non si usa più bussare?” sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Scuuuuusa.” lei finse di pentirsi, anche se pentita non era affatto. “Nulla che non abbia già visto, comunque! Ti ricordi ad Abbott’s Grange?”
“Preferirei dimenticare…” bofonchiò lui. “Come avrai capito, questo è il nostro dormitorio personale. Stai meglio?”
Si avvicinò a lei senza pensarci sollevandole i capelli dalla fronte e sfiorandole la pelle con le nocche, preoccupato. Aveva ancora la camicia slacciata… e la pelle umida, ad un soffio da Tonks che si ritrovò improvvisamente con il naso quasi affondato nel suo petto nudo ed il cuore che spiccava il salto delle olimpiadi.
Fu con un enorme sforzo che si impose di ritornare alla realtà.
“Guarda! Ne sai qualcosa?” gli sventolò sotto il naso il foglietto e lui corrucciò le sopracciglia.
“E questo da dove salta fuori?”
“Era sul mio comodino! Qualcuno deve avermelo fatto recapitare!”
“In effetti, mi pareva di aver sentito le ali di un gufo…e la finestra era aperta.” Corrucciato, Lunastorta lesse l’indovinello e sollevò lo sguardo su di lei. “Che significa?”
Tonks era elettrizzata.
“Credo che ci sia qualcuno che voglia aiutarci a liberare i draghi! Anzi, sono SICURA che la soluzione sia la parola segreta per liberarli dalle gabbie!”
“Tonks… hey, alt, frena. Non ti sembra di esserci cacciati in un po’ troppi guai oggi? Non sappiamo chi ti abbia fatto recapitare il messaggio e nemmeno se fidarci, e poi che accidenti vuol dire?”
“Non so, quello intelligente sei tu…” pigolò la Grifoncina, mentre lui sospirava.
“Dai, raccontami per filo e per segno quello che hai scoperto.” Quando Tonks lo fece, la ruga sulla sua fronte era più profonda. “Tonks, nessuno potrebbe sapere del piano tuo e di Lemon e anche se per sfuggita qualcuno vi avesse ascoltate – cosa che spero vivamente di no per la vostra salvaugardia qui dentro – perché mandarci un indovinello piuttosto che direttamente la parola chiave?”
“Forse mandarci un foglietto con la password era troppo rischioso. Forse vuole che ci arriviamo da soli!”
“O forse è una trappola.”
“Andiamo, Rem! Non hai idea di come erano tenuti quei poveri animali! E Lemon… lei era così addolorata! Dobbiamo aiutarla!”
Perchè? Perchè dovevano sempre ficcarsi nei guai?
Lunastorta alzò per l’ennesima volta gli occhi al cielo, un po’ disperato.
“E va bene, va bene… cercherò di ragionarci su ma non ti prometto molto. Per ora limitiamoci a tenere gli occhi aperti e a dare meno nell’occhio possibile, va bene?”
I capelli di lei divennero giallo limone dall’entusiasmo. Certo, era una parola…
“Andiamo, ti ho preparato qualcosa da mettere nello stomaco.” cambiò discorso, sorridendo appena nel vederla spalancare gli occhi.
“Eh? Mi hai… preparato da mangiare?”
“Sono il tuo domestico o no?” Remus sorrise e la condusse nella cucina.
“Oh, Rem… non dovevi!”
Ma era inutile negare che avesse una fame abissale, visto che davanti a tutto quel ben di dio il suo stomaco aveva letteralmente ruggito!
Sul tavolo davanti a loro c’erano tazzine di porcellana e una tisana che profumava di fiori, piattini pieni di piccole torte ricoperte di glassa zuccherata, bon bon e pasticcini che cambiavano colore, pudding di pan di spagna, frutta intagliata a forma di boccioli di rosa…
Non sapeva che fosse così bravo a cucinare… e aveva fatto tutto quello da solo in poche ore?! C’era da mangiare per un esercito!
“Non è nulla di ché, davvero.” lui si strinse nelle spalle mentre lei lo guardava stupefatta...e subito dopo mortificata.
“Avresti dovuto riposare anche tu…”
“Ho riposato abbastanza.”
Tonks cedette e si sedette al tavolo. Il primo pasticcino che prese un po’ intimidita sembrava fatto della stessa consistenza delle nuvole.
Accidenti… è squisito…”
Il suo stomaco fece le fusa quando assaggiò il primo morso. Remus avrebbe tranquillamente potuto fare lo chef! E ora che ci pensava, chi diavolo era in grado di piegare in quel modo i vestiti? Erano perfetti… come appena stirati, senza nemmeno una pieghetta o una sgualcitura. Per non parlare delle sculture di frutta!
Eppure… c’era qualcosa che non andava. Che… la rendeva triste in qualche modo, ma non sapeva definire cosa.
Mangiò in silenzio, cercando di concentrarsi sullo strano indovinello che qualcuno le aveva fatto recapitare in camera, ma la sensazione di malinconia non accennava a smuoversi dal suo animo.
Lì era tutto così lussuoso e pulito… così diverso dalla casetta dove aveva vissuto con sua madre, così diverso da Hogwarts e dal suo caotico calore…
Si distrasse solo quando Rem le fu vicino, prendendole il piatto vuoto.
Tonks sobbalzò e lui la fissò interrogativo. Anche lui era stato silenzioso.
“Oh, scusa, avevi ancora fame? Ti cucino altro?”
“N-no, ma… che fai?”
“Lavo il piatto… hey, che c’è?” Il ragazzo la fissava sorpreso mentre lei balzava in piedi.
“N-no! Fermo! Non voglio che lavi il piatto che ho sporcato io!”
Doveva sembrarle piuttosto deficiente. La fissava un po’ sorpreso, con ancora le posate tra le mani, mentre lei ricambiava con aria allarmata.
Gli afferrò il piatto dalle mani, arrossendo – cosa che stupì Remus ancor di più perché in Tonks era decisamente raro da vedere.
“So pulire da sola le mie cose!” sbottò, un po’ troppo vivacemente. “Non devi fare tutto tu!”
“Tonks, davvero, non è un problema così…”
“Lo è, invece!” La grifondoro alzò la voce, sempre più agitata. “E da quanto tempo non mangi?! Non hai toccato cibo!”
“I… hem… ai domestici a quanto pare servono la cena in camera dopo che…”
Ecco. Ecco cos’era.
Tonks lo fissò in un misto di rabbia e disperazione. Era passato solamente un pomeriggio e loro due sembravano già su due mondi diversi.
Erano già lontani.
Ed era stato così dannatamente veloce e...e normale. Erano bastate poche ore e quel mondo, quel modo di fare che avevano tutti… già stava manipolando le loro teste!
“Tu sei mio amico!” digrignò i denti, sentendo gli occhi pizzicare. “Non sei il mio domestico!”
“Tonks… ma…”
La ragazza afferrò un bignè.
“Mangia.” ordinò, asciutta, e senza tante remore andò a sventolarglielo sotto il naso e quando lui fece un passo indietro ci mancava poco che glielo ficcasse direttamente in bocca.
“Tonks, aspetta, hey…!”
Lui la prese impacciatamente per le braccia ma lei continuò a tirare dritto fin quasi a spingerlo e persero entrambi l’equilibrio.
“Waaah!”
Il pasticcino le scappò via dalle dita quando Rem la prese tra le braccia e se la strinse contro per proteggerla nella caduta. Gli franò sopra il ventre ma si rialzò subito sui gomiti, fino a ritrovarsi a pochi centimetri dal suo viso.
Lui aveva della crema pasticcera fra i capelli.
Lei aveva gli occhi lucidi.
“Non voglio essere così.” sbottò tristemente, mordendosi le labbra. “Non voglio che tu sistemi le mie cose e mi prepari la colazione e tutto il resto!”
Perchè niente di quello era lei. Niente di quello le apparteneva né le sarebbe mai appartenuto. Così come non era mai appartenuto ad Andromeda Black.
E sapere che sua madre era stata costretta lì per anni, tra quei sorrisi di plastica, così sola, così spezzata… eppure così dannatamente coraggiosa da non lasciarsi plagiare. Quanto a lungo aveva combattuto? Quanto doveva aver sofferto? E ora Tonks era lì, nella tana del mostro, aveva tradito la sua fiducia, aveva infranto tutte le promesse che si sussurravano tra le lenzuola nelle notti in cui sua madre perdeva la sua corazza di donna invincibile e si rannicchiava ancora spaventata e fragile nel suo letto, stringendola fra le braccia come se non riuscisse a credere di essere riuscita a scappare. Facendole spergiurare e spergiurare che sarebbe stata attenta, che avrebbe dovuto fare tutto il possibile per non finire mai nelle mani di quei Black che la terrorizzavano ancora così tanto.
E invece, ora lei era dai Malfoy e qualcuno aveva deciso che la persona per la quale stava facendo tutto questo dovesse servirle il pasto, dovesse resistere senza mangiare o lamentarsi, che fosse in qualche modo diverso da lei, che era meno importante di lei e solamente...per cosa? Per del sangue che scorreva loro nelle vene? Lo odiava, quel dannato sangue! Non lo voleva! Non voleva niente di quello!
Non voleva che lei e Remus fossero lontani o diversi nemmeno per finta, nemmeno per due giorni!
Finalmente lui parve capire e si fece serio. Sollevò una mano e le sfiorò una guancia, cercando di calmare il suo ansimare con un rilassante movimento delle dita sulle mandibole, leggero e appena percettibile.
Sospirò, e poi le sorrise.
“Ho capito. Se è quello che desideri… ti lascerò sbrigare da sola queste faccende.” la rassicurò, serafico.
Poi, improvviso come una saetta, si sollevò sul busto e sempre tenendosela sulle ginocchia la strinse a sé, passandole una mano dietro il collo e una sulla schiena.
Fu così rapido e inaspettato che Tonks fece un verso buffo, come un singhiozzo trattenuto.
La pelle di Rem sapeva ancora di sapone. Le sue mani sembravano sempre grandi rispetto a lei, ma non le facevano male mentre passavano piano sulla sua schiena e poi tra i capelli alla base della nuca. Il suo tocco sulla cute era rilassante, piacevole.
Aveva affondato il viso sulla sua spalla, ignorando il fatto che il cuore le stesse battendo forte ed il respiro le fosse rimasto incastrato in gola. Remus era… come una cometa. Gelido e irraggiungibile da lontano, ma quando lo spazio fra loro si colmava… il calore era immenso.
“Scusami, Tonks.” mormorò nella stoffa del suo vestito. “Vederti in quel letto… così pallida… io …” la strinse un pochino di più. “…Mi sono sentito così inerme… non riuscivo a raggiungerti e…dio, non riuscivo a raggiungerti…!”
Non aveva visto la sua espressione quando l’aveva abbracciata, era stato troppo veloce, ma ora… ora poteva immaginarla.
Doveva essersi davvero preoccupato a morte. Non riusciva nemmeno a sollevare le braccia - che aveva lasciato a penzoloni lungo i fianchi - per consolarlo.
Era davvero… un contatto troppo intimo. E quell’intimità era dolorosa. Dio, se faceva male…
C’era davvero così tanta tenerezza in quel abbraccio che si sentì di gomma.
Pensava di essere una ragazza fin troppo disinibita per la sua età ma quando lui faceva così… ritornava di nuovo ad essere una marmocchia…
“Hey, Rem…” sussurrò soave, facendogli alzare lo sguardo. Aveva allungato una mano sul tavolo e afferrato un altro pasticcino. Questa volta lui fece per prenderlo ma lei gli fece una linguaccia e gli spiaccicò la sua crema pasticcera sulla fronte.
Poff.
Lui scoppiò a ridere, le prese un polso senza fare male e, nonostante lei lottasse, ricambiò il dispetto riuscendo a dirottare la sua mano contro la sua stessa guancia, impiastricciandogliela di panna montata.
Divenne ben presto una lotta forsennata che si tramutò poi in una strana e colossale stanchezza, e finì che si ritrovarono ancora l’uno fra le braccia dell’altro, fronte contro fronte… i volti di nuovo aperti in due splendidi sorrisi.
“Sei tremenda, sai?”
“Mai quanto te! Non azzardarti mai più a farmi da schiavo!”
“Quante storie, che ne sai che non volessi solamente prendermi cura di un’amica? Paige non si sarebbe lamentata così… ” insinuò lui con aria birichina, beccandosi in faccia una torta intera.
“Già, so io cosa avrebbe voluto farti Paige!” rise, fingendo che niente degli ultimi, bellissimi e dolorosi istanti fosse mai capitato. “Sarà mica un ringraziamento per aver salvato le tue virtù da un attentato vero e proprio?”
“Se ti fa piacere vederla così… sappi che ti sono infinitamente riconoscente!”
“Oh, meno male che lo hai ammesso…” soffiò perfida Tonks. “Iniziavo a pensare che forse lo avresti preferito…”
“Sicuramente mi avrebbe dato meno da fare!”lui le puntò il dito contro.“Draghi, eh?”
“Ups… Touchè…”
Lui tirò fuori la bacchetta dalla tasca e le porse il palmo.
“Dammi il biglietto.”
Lo prese e iniziò a guardarlo in silenzio. Poi lo sfiorò con la punta della bacchetta mormorando “Lumos”.
“Che fai?”
“Controllo che non ci sia un messaggio nascosto nella carta. Se in alcuni punti la carta è più spessa, la luce penetrerebbe in un modo diverso.”
“Oh!”
Remus fece anche qualche altro esperimento, sussurrando “Revelio” e altri incantesimi, ma alla fine sospirò.
“E’ quello che è. Solo un foglietto con scritto un indovinello sui draghi. Potrebbe voler dire tutto o niente.”
“Ci vorrebbe Cristhine. Lei è bravissima a risolvere enigmi.” sbuffò Tonks, delusa.
“Da brava Corvonero. Ma sprecheremmo troppo tempo. E anche io ho qualcosa di Corvonero, dentro di me.”
“Ah sì? Te l’ha detto il Cappello Parlante?”
Lui annuì con aria assorta.
“Era indeciso della Casata in cui mettermi. Secondo lui andavano bene tutte.”
Non si rese conto di quello che si era appena lasciato sfuggire fino a che Tonks non chiese d’istinto “Anche Serpeverde?”.
“Già.” Ammise con voce piatta, dopo un lungo silenzio. Tonks fece spallucce.
“Piton è Serpeverde. Mi piace Piton.”
Remus sorrise pensando alla faccia che avrebbe fatto James e poi la guardò bonariamente.
“Tu non sei attendibile! A te piacciono tutti, Tonks!”

Ma tu mi piaci più di chiunque altro…

Ma non lo disse.
“Riassumendo il tutto.” continuò Rem, grattandosi il mento. “Abbiamo dei draghi trattenuti illegalmente, una Tassorosso che farà di tutto per liberarli con o senza di noi, una parola d’ordine che sblocca le gabbie che li imprigionano, parola che conoscono solo i Malfoy e… altro?”
“E serve la presenza di Lemon per non essere fatti arrosto quando li si libera, ma dice che sarà marcata stretta per tutto il resto del tempo.”
“E solo un giorno per risolvere tutti questi problemi. Oh, e questa sera c’è la cena di gala, giusto che tu lo sappia.”
“Dio, uccidimi!”
“Attenta a quello che ordini, ‘Signorina’… ”
“Non possiamo inventarci una scusa?”
“Temo di no.” Rem si alzò con un ghigno e le porse la mano. “Coraggio. Stando in camera di certo non risolveremo quel dannato indovinello. E magari riesco anche a capire chi accidenti ce lo abbia spedito e perché.”
Lei si sollevò di scatto con rinnovata energia e si piazzò la mano sulla fronte a mo’ di militare.
“Facciamogliela vedere!”







I lavori di quel sabato erano stati decisamente faticosi e dovevano ancora volgere al termine, cosa che di unanime accordo si era stabilito di completare il giorno dopo perché il Boccino di James aveva fatto dannare tutti quanti e il Marauder rischiava seriamente il linciaggio pubblico.
Lily Evans si accoccolò meglio vicino al camino della Sala Comune sentendo… una presenza calda che le ancorava la vita.
James sonnecchiava piano, i capelli che ricadevano sul viso e le braccia che la stringevano come se fosse stata il suo peluche ma… non le dava fastidio.
Anzi, era piacevole. Come avere una coperta termica spalmata addosso.
Quella su cui si erano rannicchiati assieme era la famosa poltrona della discordia… lei e James litigavano sempre un sacco per quel posto.
La poltrona del Re.
Ed ora, vi si accoccolavano assieme, gambe e mani intrecciate, ad accogliere lo scoppiettio del fuoco sulla pelle.
Chi l’avrebbe mai detto… nessuno a Grifondoro ci avrebbe mai creduto solo qualche mese prima.
La Grifoncina sorrise dolcemente e si raggomitolò meglio contro di lui. James mugolò come un micio, quasi vibrando di piacere, e strofinò il naso contro il suo braccio senza aprire gli occhi.
Dopo il fattaccio di San Valentino, James era apparso sempre stanco… esausto era la parola giusta. Si addormentava durante le lezioni e saltava gli allenamenti, gli occhi gonfi e l’aria sempre stropicciata e assonatissima.
Lei gli stava vicino e lasciava che l’abbracciasse durante quei pisolini, in un modo così intimo e familiare che sembrava stessero assieme da sempre. Anche se non avevano più parlato di ciò che era successo, non piaceva a nessuno dei due l’idea di separarsi dall’altro e ogni pretesto era buono per… stringersi.
Sentiva che lui era stato spezzato, in qualche modo. Liu l’aveva traumatizzato molto più di quanto non pensassero, ma James non voleva parlarne.
Solo… dormire, e sentirla vicina durante il suo sonno.
E per una volta Lily aveva deciso di dargli esattamente ciò di cui aveva bisogno e di ignorare l’elefante nella stanza.
Si godettero il silenzio per un po’ fino a che James non fece uno sbuffo e Peter irruppe nella stanza pochi secondi dopo, trafelato e paonazzo.
Ci si sarebbe mai abituata?
“James! Allarme Rosso!”
“Sono invisibile, sono invisibile…” mugugnò lui, affondando ancora di più il naso nella camicetta di Lily come a nascondersi. Lei li guardò interrogativa.
“Che succede?”
“Pericolo! Panico!” continuava a sbraitare Peter fino a che lui non aprì pigramente un occhio solo puntandoglielo addosso.
“Dov’è?”
“Che?”
“Che vuol dire che? Il motivo per cui sei qui!”
“S-sì… cioè…”
“Ma non puoi pensarci tu?”
“Sì, stavo solo… stavo solo per dirti che lui è…”
“Parla pure tutto il giorno!” frecciò Potter, sarcastico. “Davvero, recita poesie. Non mi importa.”
“Non riesco a calmarlo, va bene?!”
“La piantate di fare i misteriosi, voi due?!” sbuffò la Evans, alzando gli occhi al cielo. “Che succede?”
“Succede che Sirius ha sviluppato un fastidiosissimo istinto paterno nei confronti di sua cugina che lo porta a dare i numeri.”
“E quindi?”
“E quindi vuole picchiare Remus.” sbuffò James, del tutto indifferente.
“Non lo voglio solo picchiare!” ruggì Black, entrando dopo Minus con una strana espressione e gli occhi chiazzati di rosso. A Lily sembrò di captare una vaga strisciolina di fumo e fiamme dietro di lui ma il quadro si richiuse subito. “IO LO AMMAZZO, MI HAI SENTITO RAMOSO?! IO VADO LA’ CAZZO, IO LO TROVO, GIURO SU DIO, LO STANO COME UN FOTTUTO SEGUGIO E DOPO…!”
Seguì una serie di commenti su come avrebbe torturato uno dei suoi migliori amici.
“Tonks?” sussurrò Lily, divertita.
“Tonks.” confermò James, con un mezzo ghigno.
“Quindi sono davvero assieme!”
“Si saranno incontrati fuori da scuola mentre dovevano sbrigare le loro faccende…”
“Quali faccende?”
“E che ne so? Roba di famiglia immagino…”
Il fatto che James non fosse curioso la diceva lunga sul grado di stanchezza che si sentiva addosso.
A quanto pare era di comune accordo e di comprovata prassi Maraudersiana lasciare che Sirius facesse il diavolo a quattro fissandolo in silenzio come quando si ha a che fare con un bambino particolarmente capriccioso, ma Lily non era d’accordo.
Così, Black andò avanti ad abbaiare fino a quando la rossa Grifondoro non ne poté davvero più, e cioè esattamente dieci minuti dopo.
“La vuoi piantare?!” scoppiò, sorprendendo tutti. “Insomma, Sirius! Che ti piaccia o meno, Tonks non è più una bambina! E’ una giovane, effervescente novità in una scuola piena di ragazzi allupati, esattamente cosa pensavi potesse capitare?!”
Lui la fissò strabuzzando gli occhi e per un bellissimo, miracoloso momento chiuse il becco.
“Ed in più è una Black! Non sono in molti a saperlo ma non pensi che non appena la verità sul suo conto prenderà piede non ci sarà un solo ragazzo qui dentro che vorrà farle la festa?! Ah, no, non ti azzardare nemmeno a strozzarti con la tua stessa saliva adesso! E’ la verità e tu lo sai bene! Non ho idea del perché una come Tonks sia rimasta inosservata fino ad adesso e a dirla tutta ogni volta che ci penso mi accorgo di essere un tantinello confusa, il ché mi fa presupporre che Silente ci abbia messo lo zampino, e questo spiegherebbe la verità che nessuno ha il coraggio di sbatterti in faccia!” si alzò, esasperata, andandogli sotto al naso come mai nessuno aveva osato fare con Paddy. “Sai che cosa penso? Che Tonks sia stata costretta fino ad adesso a mantenere un profilo basso, ora invece è riuscita a venire allo scoperto, ed è nel pieno del suo boom di ormoni e – NO, TAPPARTI LE ORECCHIE NON TI IMPEDIRA’ DI SENTIRE QUELLO CHE STO PER DIRTI! - ed è LAMPANTE che sia famelica!”
Ignorò il silenzio attonito che seguì quella parola.
“Sì, famelica! Come tutti gli accidenti di Marauders! Ha fame di vita, di esperienze, di normalità, e solo un cieco non se ne accorgerebbe! Per cui che ti piaccia o meno Tonks prima o poi si farà le sue storie, e non pensi – per un solo momento – che sarebbe meglio che al suo fianco ci sia uno come Remus e non un imbecille qualunque? Perché ti assicuro che se continuerà a disperarsi così accadrà proprio questo, che si accontenterà di un imbecille, e quell’imbecille si approfitterà della sua ingenuità come Rem non farebbe mai! Quindi che farai, signor Felpato, farai secchi tutti gli adolescenti scemi di questa scuola facendoti odiare dall’unico elemento non fuori di testa della tua famiglia o lascerai che finalmente sia felice con il tuo migliore amico?! Migliore amico che, per altro, finalmente riesce a scoprire un minimo di interesse per una ragazza dopo aver passato gli ultimi cinque anni a chiudersi in se stesso e a vedere, anzi no, peggio ancora, a sentire la sfilza di cretine che gli avete fatto sfilare da sotto il naso! E tanto per la cronaca…” finì ansimando, rigettandosi sulla poltrona con James che la fissava strabiliato, “… il fatto che Tonks sia la fuori con Remus, con uno che ha la forza e la gentilezza di Remus, non farebbe altro che rendermi contenta! Quante streghe al mondo possono vantare la protezione di un Lupo Mannaro gentiluomo? Quindi tappati il naso e accetta il fatto che due persone a cui vuoi bene possano finalmente avere il loro lieto fine!”
Sbam. Bomba lanciata.
E a quanto pare, aveva appena vinto un round.
Sbuffò mentre Sirius afflosciava le spalle sotto la sua cinica logica e, funereo e sconfitto, abbrancava il suo ragazzo per la collottola.
“Ho bisogno di bere.” gli sibilò.
Non aggiunse altro.
James ridacchiò, anche se istintivamente un suo braccio parve scattare verso Lily. O forse se l’era solo sognato.
Le strizzò l’occhio.
“Ritorno fra poco.” le promise, facendosi trascinare via.
La Grifoncina lottò contro la tentazione di afferrarlo a sua volta e fare un imbarazzante tiro alla fune con Black, ma a quanto pareva l’amico era in piena crisi e aveva molto più bisogno di James di lei.
Perlomeno farlo sbronzare avrebbe impedito a Sirius di fare qualche follia, che sembrava disperatamente pronto a fare.
Rimase solo Peter, che la guardò pieno di una meraviglia che la imbarazzò un pochino, sussurrando un :”forte…” prima che Black tuonasse anche a lui di seguirli.
Li fissò allontanarsi e sospirò, fino a quando non si accorse della lucina azzurrastra che emetteva la sfera dove, fino a pochi giorni prima, era stata il contenitore della votazione dei Grifondoro per il Caposcuola.
Ora i biglietti svolazzanti non c’erano più, confluiti assieme a quelli delle altre Casate nella sfera principale in Sala Grande.
Solo dodici ore alle elezioni.
Qualcosa le si appesantì sullo stomaco.
Solo dodici ore al grande cambiamento della scuola. E della sua vita.
Non sopportò di vedere quella luce un secondo di più e si trascinò fuori dalla Sala Grande, decidendo di prendere aria nel cortile. James non sarebbe tornato tanto presto.
Camminò sovrappensiero per un po’ fino a quando non vide qualcosa che la costrinse a fermarsi.
“Professor Silente?” le sfuggì di bocca, sorpresa.
Il vecchio mago stava contemplando con le mani dietro la schiena il lago Nero in lontananza, con qualcosa di indecifrabile nello sguardo. Era nel vialetto principale accanto ad una carrozza e ad alcune valigie consunte.
“Sta partendo?!”
Lui non diede segno di essere stupito di vederla lì e si girò, calando una maschera di porcellana sulla sua espressione di prima, che coprì con un sorriso gentile.
“Oh, Signorina Evans. Si gode anche lei l’aria fresca?” indicò con il capo le valigie. “Temo di dover partire per qualche tempo, in effetti…”
La cosa le mise addosso un vago senso di allarme.
“Ma… ma tra poco ci sarà l’arrivo degli studenti delle altre scuole… e… le elezioni… e…“ si zittì di botto, rendendosi conto di assomigliare a una bambina piagnucolosa che prega il papà di non lasciarla da sola.
Il preside però non se la prese, anzi, sembrò capire il suo senso di panico.
“Non preoccuparti, Lily. Vi lascio in buone mani. Hagrid, la Professoressa McGranitt e i nostri professori… hanno tutto sotto controllo e tengono a voi più di chiunque altro. Mi spiace solo perdermi la prima elezione del Caposcuola di questo istituto. Dimmi, sei emozionata?”
Solo dodici ore.
Lily non rispose, mordendosi le labbra. Silente ammorbidì il suo sguardo, fissandola con tenerezza.
“Ne sei proprio sicura, non è così?” la sconvolse, con un’occhiata sagace. “Sei certa della tua decisione?”
Quindi… lo sapeva?! Certo, a lui non poteva sfuggire mai nulla. Ma perché non l’aveva fermata…? Come avrebbe dovuto sentirsi lei, ora? Quale emozione era consona all’essere stata beccata in pieno ad infrangere le regole dall’autorità massima?

Di certo non eccitazione.

Eppure…era ciò che provava.

Famelici… i Marauders sono tutti famelici…

Raddrizzò le spalle e lo guardò quasi con sfida.
“Lo sono.”
Silente non si risentì. Anzi, nei suoi occhi comparve un brillio divertito e scoppiò a ridere.
Che uomo bizzarro…
“Ti va di aiutare un povero vecchio a sistemare i suoi bagagli?”
“Cos…oh, certo…”
Quando afferrò una delle valigie, quella fischiettò un allegro motivetto e parve farsi più leggera di proposito.
“Le piaci. Di solito a me cerca di staccare le dita!”
“Professore… posso chiederle…” mormorò Lily, cercando di non pensare alle sue falangi in pericolo e sistemando le borse nella carrozza. “… per caso… non è che potrei… riavere la mia collana…?”
Ci fu un breve momento di silenzio prima che lui le rispose calmo: “Temo non ancora, purtroppo. Mi duole privarti di un così bel gioiello, immagino che tu ci tenga molto.”
“E’… un regalo.” ammise lei, arrossendo, caricando l’ultima sulla pila. “E… so che è strano, ma… averla al collo mi fa sentire più al sicuro.”
Non sapeva perché la partenza improvvisa di Silente la facesse sentire tanto a disagio. Quasi esposta.
Avevano affrontato tanti pericoli in quell’ultimo anno, ma la presenza del loro preside aveva trasmesso loro quel tipo di fiducia che si può percepire soltanto sotto la luce di una candela nel bel mezzo dell’oscurità.
“Cercherò di non stare via a lungo.” rispose lui, flemmatico, chinando il capo per ringraziarla dell’aiuto. “Sai, c’è davvero tanto della tua famiglia in te.”
“Che intende dire?”
“Un mago cresciuto fra maghi avrebbe usato la bacchetta per spostare le borse…”
Lily arrossì di nuovo.
“Oh… giusto…”
“Non c’è da vergognarsi. Le nostre radici fanno di noi ciò che siamo…”
“E’ solo che… beh, da tempo sono abituata così, visto che in estate non possiamo usare le bacchette…”
“Il tempo…” lui parve perdersi. I suoi occhi si velarono, e guardò di nuovo all’orizzonte con quell’aria strana, quasi malinconica. “… un concetto pieno di mistero, se ci pensi bene. Forse, meno astratto di quanto si pensi. Eppure, così inafferrabile. Viene da chiedersi se si possa davvero controllare, o se tutto ciò che facciamo lungo la sua scia sia sempre e solo prestabilito da un fato già scritto. Rimane allora da chiedersi quale sia davvero il senso di quello che facciamo.”
Lei non seppe bene cosa rispondere e rimase lì, a dondolarsi sui piedi, sentendosi un po’ goffa.
L’atmosfera fra loro era cambiata. Silente non le trasmetteva più la sua solita aria di tenerezza e calore, e le sue rughe, mentre scrutava il vuoto, si erano fatte più profonde.
Come se vedesse qualcosa che lei non riusciva a vedere. Qualcosa che sembrava addolorarlo in un modo molto intimo, un dolore a cui Lily sembrava sbagliato assistere.
Un intrusa in un quadro.
“Perché… perché sta partendo?” mormorò, per spezzare quella stasi e perché sinceramente curiosa. Non era da Silente abbandonare la scuola, a meno che non fosse assolutamente necessario. A meno che non ci fosse una qualche emergenza.
Lui le piantò lo sguardo addosso come un macete. Occhi freschi, limpidi e dolci, eppure con una liquidità antica e saggia come quelli di una creatura quasi ultraterrena.
“C’è qualcosa che devo scoprire. Qualcosa che voglio provare a cambiare. A salvare.”
Le sorrideva adesso, ma era un sorriso triste. Lo percepì anche se la sua maschera di porcellana era ancora ben tirata sulla sua faccia, sulla sua anima.
C’era qualcosa che feriva Silente. Immaginò che in una vita così ricca come la sua, così lunga, le cose che lo addoloravano dovevano essere tante. Erano abituati a vederlo sempre allegro e sorridente, quasi che fosse sbucato dal nulla da sotto il Cappello Parlante, già così, come lo strambo personaggio di una fiaba che prendeva vita all’improvviso. Già con quella barba bianca, quegli occhiali a mezzaluna perennemente impolverati, il suo lungo cappello blu tutto storto e la sua espressione buffa e rassicurante.
“La aspetteremo.” La maghetta gli rivolse il più dolce e rassicurante dei sorrisi. Era davvero egoista pretendere che quell’uomo vivesse per loro. Non spettava a lui essere sempre la loro candela nell’oscurità. Aveva tutto il diritto di spegnersi ogni tanto, se lo desiderava.
Lui parve analizzare qualcosa nel suo viso e ridacchiò, smorzando la tensione.
“Ed io non vi farò aspettare troppo! Temo che i viaggi troppo lunghi facciano poco bene al mio stomaco, non so se mi spiego. E poi, non resisterò molto senza rubare i zuccotti nella dispensa privata di Minerva! Il Signor Potter te li ha fatti mai assaggiare? Una vera delizia! Sarà un vero tormento senza poterli intingere nel latte, la mattina!”
Sorpassò sul fatto che sapesse che James trafugava nell’ufficio della McGranitt e pure sul fatto che lo faceva lui stesso, e ricambiò la risatina.
“Spero che ne valga la pena, allora!”
La mano di Albus Silente calò su di lei. Sulla sua testa.
Lei si sorprese, così come si sorprese nel vedere il suo sguardo.
Era lucido, e pieno di… amore. Gli occhi di Silente erano pieni di amore.
L’uomo diede un buffetto alla ragazza che aveva davanti a sé, in un silenzio quasi religioso.
Così giovane. Così coraggiosa.
La contemplò come si contempla un dipinto. E ritornò con la memoria ad altri occhi, che lo fissavano, così adulti e seri, in un letto di Infermeria.
Ritornò a quella promessa, al giuramento macchiato di sangue fatto ad un ragazzo terrorizzato.

Qualcosa che doveva provare a salvare.

Al momento in cui tutto, per Albus Silente, era cambiato.

Deve proteggere Harry. Deve proteggere mio figlio.”
Io cambierò il tuo destino.”



“Ne varrà la pena.” sussurrò, sorridendo a Lily Evans dal profondo del cuore. E suggellando una nuova promessa. “Anche se dovessi andare in capo al mondo intero. Anche se dovessero passare mille anni.”
“Dopo tutto questo tempo?” rise stupita la Grifoncina.
Le sopracciglia di Silente si arcuarono all’insù per un breve momento. Poi il mago smise di accarezzarle la testa, voltandole le spalle. Ma, anche se non poteva vederlo, l’ombra di quel sorriso così bizzarro ed enigmatico aleggiava in ogni sillaba della parola che pronunciò, salendo sulla carrozza.
Impressa in quella parola come pietra.

Sempre.”









James non stette via a lungo. La trovò seduta sotto il glicine nello stesso punto in cui Silente era partito. Era rimasta a lungo a fissare la carrozza, fino a che non era diventata un puntino nel cielo, e anche dopo.
Non si era resa conto del tempo che passava fino a quando Potter non le sfiorò la spalla.
Guardò distrattamente l’orologio.
Mancavano undici ore.
“Vieni con me!”
James la guardò con un’aria strana. Ma che prendeva a tutti quel giorno?
“Non sei ubriaco.” constatò Lily, ironica.
“Nah. Avevamo un impegno, non potevo sbronzarmi.”
Lei lo guardò, iniziando a farsi sospettosa.
“Quale impegno?”
Lui ghignò, prendendola per mano senza rispondere.
Ah, quello sguardo. Quella fame. La fame dei Marauders. La loro fame.
La condusse dentro al castello, senza guardare nessuno di quelli che li salutavano e quando il Prefetto di Tassorosso li fermò perché cercava l’aiuto di Lily per allestire uno dei palchi, fece letteralmente esplodere un lampadario.
E mentre quello si voltava strabuzzando gli occhi, la obbligò a darsela a gambe portandola via praticamente di peso.
“Insomma, James! Ma ti sembra il modo?!” Abbaiava Lily, venendo allegramente ignorata. “Con tutto quello che c’è da fare!”
“Appunto, hai bisogno di una pausa.” cinguettò lui, amabile, fermandosi davanti a una statua a forma di goblin. “E anche io.”
“James… anche a me piacerebbe prendere un attimo di respiro ma non c’è davvero tempo… le elezioni, i prossimi esami, le partenze…!”
Si bloccò di botto. James aveva tirato fuori qualcosa dalla tasca del mantello.
“No.” alitò, sconvolta. “No, non ci credo.”
Era un ciondolo dorato, con un congegno circolare ancorato a una manopola e che reggeva al proprio centro una piccola clessidra di vetro.
“Sei eccitata, ammettilo.”
“Do… dove… diavolo…”
“Lo sapevi che Gazza ne stava portando una cassa piena da Silente settimana scorsa?” lui se la dondolò pigramente davanti al naso, come un gatto che gioca con un topolino. “Una cassa intera! Ma ci credi? Strano forte. Beh, sgraffignargliene una a quel cretino non è stato affatto…”
DOVE DIAVOLO HAI TROVATO UNA GIRATEMPO?!” urlò Lily, e lui le balzò addosso tappandole la bocca con le mani.
“Ma che ti gridi! Vuoi farci sentire?! Ahi!”
La ragazza gli aveva appena morso un dito, e bello forte anche!
Lo guardò con un misto di panico e sgomento, incapace di pensare o ragionare.
Più o meno come quando ci si trova davanti ad un disastro imminente. Non un disastro come quando si sta per venire investiti da un treno, più un disastro… come quando si vede una città affondare portandosi dietro grattacieli e tutto il resto.
Perché James dannato Potter, l’essere più incosciente sulla faccia del pianeta, aveva appena rubato una Giratempo.
“James… qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare, sappi che è pericoloso. Terribilmente, irrimediabilmente pericoloso.”
Il ché sarebbe stato un avvertimento per qualsiasi essere umano normale. Per James era un incentivo.
Se ne rese conto quando vide i suoi occhi brillare.
Cavolo!
Lui le puntò un pollice sotto il mento, sollevandoglielo appena mentre, improvvisamente, qualcosa dentro di lei sembrava andare a fuoco.
“E cosa senti, in proposito?”
C’era una sorta di solennità in quella domanda, come una sfida a dare la risposta giusta.
Eccitazione.
Lily ricacciò molto saggiamente i suoi sentimenti in un angolino lontano lontano del suo cervello e gli piantò addosso uno sguardo di sfida.
“Pensi davvero che te lo lascerò fare?”
Il tipo di sguardo di una strega pronta a combattere a suon di bacchetta, se necessario.
Che avrebbe intimorito qualsiasi essere umano normale.
Ma James non era normale.
Le sorrise, estasiato. Ci si crogiolò come se quello sguardo fosse il sole e lui avesse quel tipo di pelle che non si scotta mai.
“Rilassati, Rossa. Sono il figlio di una Veggente, ho a che fare con le Giratempo da tutta la vita.”
“Tua madre… ti lasciava maneggiare delle Giratempo?!”
“Certo che no, è fuori di testa ma non così fuori di testa!”
Lui se la stava godendo davvero un mondo.
“James…”
“Sto solo dicendo che capitava che ogni tanto qualcuno del Ministero le chiedesse di verificare la sicurezza di alcune di esse, quelle più potenti. Quindi la osservavo all’opera, tutto qui.”
“E tua madre ti ha mai spiegato niente al riguardo di NON usarle in modo scorretto?” ormai la voce di Lily aveva raggiunto livelli di isteria e acidità decisamente elevati. “Ti ha parlato – che ne so – del caso di Eloise Mintumble, tanto per dirne una? C’è un motivo per cui questi aggeggi sono sotto sorveglianza ministeriale! Ci vogliono dei corsi appositi solo per poterne toccare una!”
“Per rispondere alla tua domanda, sì, conosco il caso della Mintumble. Era andata indietro nel 1402 per ben cinque giorni, e ritornando al presente il suo corpo aveva portato con sé tutti i cinquecento anni di viaggio, facendo fuori lei e anche parecchi suoi discendenti. Ma io non voglio andare nel 1402, e questa è una banalissima Giratempo base, ovvero, il massimo a cui puoi aspirare di arrivare è di cinque ore nel passato. La danno ogni tanto anche agli studenti più nerd per stare al passo con le lezioni.”
“Sì, ma dopo durissime selezioni e sempre sotto la supervisione di un insegnante! Ci sono delle regole che…!”
“… E prima che tu me lo dica, no, non incontreremo i nostri noi-stessi di cinque ore fa, perché se ben ricordo stanno sonnecchiando su una poltrona in Sala Comune come due amabili piccioncini e noi invece stiamo andando in un posto molto, molto diverso.” la interruppe lui, con un’alzata di spalle.
“E dove, di preciso?”
Lui sorrise pigramente e fece il solletico a un’orecchia appuntita del goblin. Quello rise e nella sua pancia si aprì un varco, grande a sufficienza per passarci uno alla volta.
James staccò una torcia dal muro e, quando illuminò quel passaggio buio, Lily notò una lunga e tortuosa scala che scendeva nelle tenebre.
“Via libera! Allora, ti fidi di me o no?”
Si trovava davanti ad un passaggio segreto male illuminato affiancata dal capo dei Marauders che aveva in mano una Giratempo rubata, abbastanza vicina a lui da sentire il calore del suo corpo.
“Niente affatto.”
“Ottimo.” cercò la sua mano, l’afferrò e la tirò a sé. “Reggiti forte.”
Puntò il piede sul primo gradino e il pavimento cominciò a mutare, diventando liscio come ossidiana.
“Waaah!” Gli si aggrappò alle spalle, ma la scivolata ebbe breve durata.
Finirono col sedere in una stanzetta grande quanto uno sgabuzzino di pochi metri, alta e circolare. Non aveva luci né arredamento a parte uno strano armadio nero dall’aria parecchio sinistra. Era di legno, intagliato con strani simboli da ambo i lati.
Sembrava non venire aperto da parecchio tempo, a giudicare dalla ruggine sulla maniglia.
“E questo posto, come l’avete trovato?” chiese, non riuscendo a contenere la curiosità crescente.
“Non l’ho trovato da dentro la scuola, in realtà.” James aprì l’armadio. “Ma faccio prima a mostrartelo.”
“Vuoi… vuoi entrare in quell’armadio?”
Lui sorrise, già con un piede dentro. Si girò verso di lei porgendole la mano con il palmo rivolto verso l’alto e ripeté la domanda di prima.
“Allora, ti fidi di me?”
E Lily ripeté la stessa risposta.
“Niente affatto.”
E afferrò la sua mano.




L’interno dell’armadio era stretto, tanto che dovette sollevare entrambe le braccia sopra la sua testa per riuscire a starci dentro insieme. Potter le passò un braccio dietro la vita e l’altra mano, invece, risalì lentamente verso le sue. Il movimento li portò ancora più pressati uno sull’altro, ma tutto quello che Lily riusciva a sentire era il suo dito che risaliva, come un ronzio elettrico, lungo il profilo del suo gomito, poi su, fino alle vene sui polsi, in una lenta carezza che arrivò impercettibile alle sue dita con una lentezza frustrante.
Represse un brivido, zittendosi di botto mentre i loro nasi si sfioravano e il sangue le affluiva sulle guance in un incendio.
Dannato Marauder.
L’armadio era ancora aperto, e solo uno spiraglio di luce arrivava a loro tramite la torcia che avevano appoggiato al muro.
Quando avrebbe chiuso l’anta, sarebbero stati completamente al buio…
James appoggiò la fronte contro la sua, il braccio ancora alzato sopra le loro teste, un ghigno sardonico che faceva capolino nella mezzombra che rendeva i suoi lineamenti diabolici affettati come il profilo una spada.
Le passò tra le mani la Giratempo. La sentì colpire dura e tiepida il suo palmo.
“Cinque giri, Rossa.” sussurrò.
Una sfida.
Voleva che fosse lei a farlo.
Il James Potter stanco, spezzato e fittizio che Liu Chang aveva lasciato dietro di sé era improvvisamente scomparso.
Era di nuovo lui. Era di nuovo pronto a… no, era proprio un bisogno. Aveva bisogno di sfidarla. Aveva bisogno di quello. Di loro.
E anche lei.
Senza smettere di guardarlo negli occhi, Lily chiuse le proprie dita sulla manopola della Giratempo.
La porta dell’armadio si chiuse e improvvisamente lo spazio divenne molto più largo, ma la Grifoncina rimase ancorata a lui mentre la girava.
Un giro. Due giri. Tre giri.
Non aveva mai utilizzato una Giratempo. Ovviamente.
Erano oggetti rari, e sorvegliati.
Quattro giri. Cinque giri.
Il buio si dissolse. Ebbe la sensazione di volare all’indietro, a grandissima velocità. Un turbine di colori e forme le sfrecciò davanti agli occhi.
Le orecchie le pulsavano e per un folle momento le parve di sentire una ragazza gridare il suo nome, da qualche parte in quel vortice.
Poi si ritrovò di nuovo al buio, con i piedi per terra. Lo stesso armadio di prima.
“Figo, eh?” ridacchiò James al suo orecchio. “Dai, vieni!”
Le Giratempo erano straordinariamente potenti.
Il fatto che ne fosse stata recapitata una scatola a Silente, settimana scorsa, e Silente fosse dovuto improvvisamente partire subito dopo per un viaggio di emergenza le aveva fatto suonare un campanello di allarme, ma decise che a quello avrebbe pensato dopo.
Perché quando James aprì la porta dell’armadio, la stanza di prima non c’era più. Al suo posto, c’era una… una spiaggia.
“Ma… che cosa…”
Strabiliata, Lily balzò fuori. Il rumore spumoso del mare riecheggiava attorno a loro, mentre una lunga lingua di sabbia bianca correva fino a perdita d’occhio, affiancata da picchi e colline di un verde brillante. Con la schiena rivolta alla scogliera, perfettamente incastonata nell’ambiente, una casetta bianca svettava davanti all’oceano.
Aveva il tetto spiovente color acquamarina un po’ rovinato e un porticato dove fila di collane di conchiglie blu e sonagli argentati tintinnavano nel vento.
Sulla sabbia, proprio davanti, c’erano coperte di patch, candele e due cestini di vimini.
Non si trovavano più ad Hogwarts.
“Ci siamo… ci siamo smaterializzati?” chiese, stupefatta, mentre James si toglieva le scarpe.
“Non proprio! E’ un Armadio Svanitore!” cinguettò allegro. “I miei a quanto pare ne hanno uno, che ho scoperto portare alla sua esatta copia ad Hogwarts, più o meno un mese fa, quando sono venuto qui in vacanza!”
“Dov’è qui, per l’esattezza?!”
“Siamo a White Rocks, Irlanda, in una delle proprietà dei miei.”
“Una delle… perché, quante ne hai scusa?”
Lui fece spallucce.
“Un po’. Non le ricordo tutte!”
Oh, certo, una frase perfettamente normale! Con la sincera nonchalance di uno sfondato di soldi!
Lily scosse la testa, allibita e divertita assieme, mentre James davvero sembrava non rendersi conto di essere probabilmente una delle persone più ricche che conoscesse e che le persone comuni non avevano “una quantità di residenze di cui non si ricordavano l’esatto numero”.
Quando glielo disse, non fece una piega.
“Cristhine è più ricca.” disse solo.
Tutto perfettamente sensato.
Lily guardò la casetta, immaginandosi James, il piccolo James, a cavallo di quell’altalena sull’albero sbiancato dalla salsedine, o a giocare con le onde cavalcando la sua piccola scopa giocattolo. O adocchiando uno strano armadio nero in mezzo alla sabbia, probabilmente chiuso a chiave e ricoperto di incantesimi di sicurezza fino al momento in cui non era riuscito a capire il modo per forzarli tutti. Tipico di lui.
“I miei qui non ci vengono spesso, e la casa è un po’ vecchia, ma a me piace.”
Lily guardò di nuovo la residenza. Sembrava una grossa conchiglia incastonata negli scogli. Il cuore le si gonfiò come un palloncino.
“E’… bellissima…”
Lei… non aveva avuto molto modo di viaggiare. I suoi genitori non erano ricchi, e la scuola di Petunia era ancora più costosa di quella di Lily, per cui le vacanze erano rare. Non vedeva il mare da moltissimi anni.
L’intento di James fu chiaro dopo una seconda, rapida occhiata.
Un appuntamento. Una giornata tutta per loro.
Lontani da tutti e da tutto, perfino dal tempo.
Avevano a disposizione… tutto il pomeriggio. Su quella spiaggia solitaria, accompagnati solo dal rumore dei gabbiani.
Lily sorrise, poi si tolse le scarpe e cominciò a correre. Un istante dopo e, ridendo, James era al suo fianco.
Le sembrava pazzesco essere fuori da Hogwarts. Le sembrava pazzesco essere lì.
Si rincorsero fino ad arrivare alla riva.
Immerse i piedi nell’acqua, ancora fredda, e rimase a contemplare meravigliata gusci di conchiglia fino a quando James non la raggiunse e, sospirando, le appoggiò il mento sulla spalla.
Non era della loro sfida che aveva bisogno. Non solo.
Le sembrò che James tornasse a respirare davvero solo in quel momento, dopo lunghi giorni di apnea.
Odiò Liu Chang per ciò che gli aveva fatto. La ragazza era sparita dai radar, rinchiudendosi nel proprio dormitorio, e a quanto aveva sentito in giro premeva per farsi spedire in Erasmus a Durmstrang, ma Lily ne sentiva ancora la presenza tossica tutto intorno a loro.
Il sorriso terrorizzato di James mentre svelava le sue paure a lei per la prima volta…

Se non torno quel tipo… non potrò… non sarò abbastanza forte. Non… non sarò in grado di salvarti…”

“Shht.”
James parve quasi udire i suoi pensieri e glieli zittì. Era sereno, e aveva fatto le cose con una certa romantica organizzazione, bisognava dirlo.
Un picnic a lume di candela.
Un volo sulla scopa fino al golfo, a quota abbastanza bassa da poter sfiorare il mare con i talloni, in modo che non le venissero le vertigini.
Un ballo lento, a piedi nudi sulla sabbia.
L’oceano. Una scogliera. Una scommessa. Una corsa. Una sfida.
Inseguirono Spyro, il boccino di James, cercando di acchiapparlo fino a non avere più fiato, sia per la fatica che per le risa. Si schizzarono fino a ritrovarsi entrambi fradici, e si scaldarono accendendo un piccolo falò.
Me ne ricorderò per sempre.” Pensò Lily Evans. Era sopraffatta da questo pensiero. “Ricorderò ogni cosa e, fra moltissimi anni, sarò ancora capace di percepirlo con i sensi.”
Il peso dell’abito, il vento salato ed il sole sul viso, le fragole ricoperte di cioccolato che si scioglievano sulla lingua.
Il tramonto arrivò fin troppo in fretta.
Era stato un giorno perfetto.
Niente folla, niente pericoli, niente paure.
Solo loro due.
Il loro piccolo giorno segreto rubato al tempo.
E la stanchezza con cui James si sdraiò con il ventre rivolto verso la tovaglia da picnic fu diversa stavolta, una stanchezza sana e felice.
Lily allungò le gambe permettendogli di passarci sopra un braccio, possessivo e tenero allo stesso tempo, immergendo i piedi nella sabbia e guardando l’orizzonte che si incendiava.
“Ancora pochi minuti e poi dobbiamo tornare indietro.” bofonchiò di malavoglia James, affondando la faccia contro una piega della sua gonna. “Dobbiamo tornare prima che i nostri alter ego scendano nel passaggio segreto, altrimenti rischiamo di beccarli…”
“Si ritorna alla solita vita, eh?” ridacchiò Lily, guardando il cielo. “Però in fondo, non è tanto male… sempre che tu non abbia intenzione di dormire per sempre.”
Lui rimase un po’ in silenzio e poi sospirò senza alzare il viso.
“Ho abusato del potere dell’Incantatore… la stanchezza è una conseguenza di questo. Non è una magia che sprigiono spesso, e non allenandola mai comporta dei limiti fisici decisamente importanti…”
Oh. Interessante.
Quindi il potere di James non era illimitato… anzi, andava allenato, addirittura! Come un muscolo…
Si morse la lingua perché, fosse stato per lei, avrebbe parlato di quello per ore. Era un’accademica, dopo tutto! E sarebbe stato decisamente interessante scoprire fin dove la magia di James potesse arrivare… ma lasciò perdere e si limitò a passargli le dita fra i capelli, cosa che parve gradire molto di più.
Che razza di Famiglio viziato…
Fece per sorridere quando qualcosa guizzò nel suo campo visivo. Non riuscì a capire per bene che cosa fosse effettivamente cambiato nel paesaggio fino a quando non abbassò gli occhi sul bicchiere di succo di fragola che aveva appoggiato al suo fianco.
Strizzò gli occhi, mentre il suo riflesso sul bordo del bicchiere… decideva di muoversi per conto suo.
Di nuovo quella sensazione. La Lily nel bicchiere era solo una macchia confusa rossa e rosa, ma… non era più lei.
Ne ebbe la certezza assoluta.
La fissò senza che James si accorgesse di nulla per un breve secondo, paralizzata, fino a quando qualcosa – qualcuno - le sussurrò dentro la testa.
Scappa.”
Sussultò di scatto, sollevando il viso. E lo vide.
Il fiato le schizzò fuori dai polmoni, le orecchie fischiarono, la percezione della forza di gravitò si distorse.
Nel cielo c’era una crepa.
E accanto a quella crepa, che svettava luminosa nell’assoluto nulla come se fossero ancora sotto una cupola del tempo in procinto di frantumarsi, il Dissennatore Grigio, il Rinnegato, li fissava immobile come un angelo della morte.
Scattò in piedi nell’esatto istante in cui le mani di Potter si stringevano all’improvviso e lui sollevava gli occhi percependo il pericolo.
“James!” strillò, ma i piedi persero l’equilibrio per via dell’improvvisa forza gravitazionale tra lei e il suo Famiglio e franarono entrambi sulla sabbia.
Era tornato! Non riusciva a pensare ad altro mentre cercava di divincolarsi dalle coperte e dalle braccia del suo ragazzo. Era tornato, era tornato… perché?! Voleva… voleva di nuovo baciare James, rubargli l’anima come quel giorno…?!
“Cazzo!” tuonò James, riuscendo a staccarsi da lei.
Afferrò la bacchetta e balzò in piedi prima del Marauder ma il Dissennatore era sparito.
Non c’era più.
Ma il panico rimase… anche perché, improvvisamente, il terreno sotto i loro piedi cominciò a tremare.
“James! Che succede?!” strillò, balzando all’indietro mentre tutto attorno a loro… delle strane crepe multicolore facevano affondare la sabbia e spaccavano la roccia.
E’ il tempo, pensò all’improvviso, senza sapere perché ma sentendo sulla pelle piena di brividi che quella era la verità. Il tempo si sta rompendo.
E James parve pensare la stessa cosa perché tirò fuori dalla camicia la Giratempo...e sbiancò.
“Cosa… cazzo…” alitò, sgomento, perché su quel dannato affare… c’erano delle crepe.
Ma era… era impossibile! Le… le Giratempo non si rompevano! Mai!
Potevano essere dissolte tramite specifici incantesimi del Ministero, ma rompersi in quel modo, come se fossero stati gioielli di vetro qualunque…!
Era assurdo!
James l’afferrò per un braccio.
“Dobbiamo tornare. Ora!” tuonò, e iniziarono a correre verso l’armadio lanciando dietro di sé incantesimi a casaccio nel caso il Dissennatore li stesse inseguendo.
Si lanciarono dentro l’armadio e se lo richiusero alle spalle mentre un boato esplodeva alle loro spalle.
James armeggiò frenetico la manopola della Giratempo e Lily si contorse nel tentativo di fargli spazio.
Un giro… due giri… tre giri…
“James! Sbrigati!” gridò Lily. Non c’era più tempo…!
“Questo… questo dannato affare si è incastrato…!” James sbuffò digrignando i denti mentre cercava di completare il quarto giro. Era assurdo… la manopola di una Giratempo… non poteva incastrarsi…
Qualsiasi legge della fisica stava venendo infranta davanti ai loro occhi!
L’armadio iniziò a tremare attorno a loro. La strana luce multicolore sembrò filtrare dall’alto sulle loro teste.
Si stava aprendo una crepa… proprio lì?! Cosa sarebbe successo cadendoci dentro…?! Si sarebbero… dissolti?!
Lily chiuse gli occhi, affondando le unghie nella sua camicia.
James sbloccò la manopola con un urlo feroce.
Quattro giri. Cinque giri.
Il viaggio di ritorno fu decisamente diverso da quello di andata. Non ci fu più l’impressione di cadere all’indietro ma… le sembrò che tutto si dilatasse, anche i respiri.
Il turbinio multicolore dell’andata era durato pochi attimi, il tempo di un battito di ciglia. Quello del ritorno durò molto di più… e per uno strano, assurdo secondo parve loro di affondare in quella strana dimensione fatta di bagliori accecanti e forme convulse… forme nelle quali, Lily vide loro stessi.
Sbarrò gli occhi, mentre accanto a sé, come se fossero davanti a uno strano film multidimensionale, vedeva sé stessa afferrare la mano di James ed entrare nell’armadio.
Li sentì passarle accanto come se potessero toccarsi, ma la Lily del passato – o del futuro? Non riusciva più a capirlo – non parve sentirla né vederla.
Ed improvvisamente, li vide girare la Giratempo come avevano fatto loro cinque ore prima.
No! No, sarebbero finiti dritti dal Dissennatore Grigio! Dritti in quelle crepe!
Allungò la mano verso di loro. Non andate! Non fatelo!
“LILY!” Gridò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. L’altra versione di sé, abbracciata a James, fece per girarsi verso di lei… ma prima che potesse vederla, tutto finì e loro ruzzolarono fuori dall’armadio Svanitore.
Era finita. Erano in salvo.
Rimasero per terra ad ansimare per lunghi, interminabili minuti.
“Ero io…” realizzò Lily a voce bassa e roca, sentendosi infinitamente scema. “Quel grido che avevo sentito… che chiamava il mio nome… ero io…”
La Giratempo si crepò definitivamente con un sonoro “crack”… e poi si dissolse come polvere scintillante davanti ai loro occhi, lasciandoli attoniti.
“Ecco perché Silente ne aveva una cassa intera.” sussurrò James, serio. “Le stava analizzando!”
“Cosa pensi che sia successo?” sussurrò di rimando Lily, sconvolta. “Quello che abbiamo appena visto… non è possibile!”
“Eppure è successo…”
“James… pensi che ci sia… un problema nel tempo?”
La domanda cadde fra di loro come una mannaia.
Entrambi rabbrividirono alla sola idea. James scosse la testa, desolato.
“Non lo so.” ammise.
“Tua madre!” si ricordò Lily all’improvviso. “Tua madre ha dei problemi nella sua chiaroveggenza, non è così?”
“Più o meno dall’inizio dell’anno, sì!”
“Pensi che… pensi che sia tutto collegato? Pensi che stia succedendo a tutti i Veggenti? Le era mai capitato prima d’ora?”
Lui alzò le spalle, scuotendo la testa e stirando la bocca in una smorfia.
“No, ma non posso dirlo con certezza. I miei non parlano spesso del loro lavoro o del loro passato con me, a dire il vero.” C’era una sorta di amarezza in quella frase che cercò di far passare per leggerezza e disinteresse. “Io… so solo che questa cosa non mi piace affatto…”
No, pensò Lily. Non piaceva nemmeno a lei.
Mostri ed ex psicopatiche… potevano anche affrontarli. Avrebbero potuto affrontare una guerra vera e propria, probabilmente, con quel pizzico di sconsideratezza, follia e coraggio che li contraddistingueva.
Ma problemi con il tempo…
James captò la linea dei suoi pensieri e sospirò.
“Andiamo. Abbiamo da fare.”
Fare cose che potevano affrontare. Fare cose da studenti. Cose normali.
Quello era decisamente dentro la loro portata. Quell’altra, invece, era roba da Silente e Ministri, roba da Potter senior e consorte. Roba da adulti. Anzi, era probabile che stavano analizzando la situazione proprio in quel momento, ed era per quello che erano partiti tutti quanti senza dire dove andavano!
E… beh, i suoi genitori non venivano mai sconfitti. A lui non rimaneva che fidarsi, lasciare fare ai “grandi” e non fare mai più la stronzata di maneggiare una Giratempo rubata. Insomma, la solita routine del figliol prodigo.
Allora perché era così turbato?
Forse perché, qualcosa gli suggeriva, dentro di sé, che al centro di tutto… c’erano loro. Era folle ed egocentrico anche solo pensarlo, ma… sentiva sulla pelle che c’era qualcosa che gli stava sfuggendo.
Una cosa importante, un dettaglio o un indizio fondamentale che era andato perduto.
Non ricordava assolutamente niente di quando quel Dissennatore aveva cercato di portargli via l’anima, quel giorno sul Campo di Quidditch. Ma era da allora che aveva la sensazione di aver perso qualcosa di fondamentale.
Aveva attribuito quell’amnesia al trauma, ma… e se dentro quel ricordo smarrito si trovavano più risposte di quanto avesse pensato?
Restava da chiedersi se voleva davvero scoprirle… o se decidere di lasciarle perdute.
   
 
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