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Autore: Kimando714    20/03/2024    0 recensioni
La vita a quasi trent’anni è fatta di tante cose: eventi felici ed eventi che ti mandano in crisi, successi ed insuccessi, traguardi personali e lavorativi, vecchi legami che cambiano e nuovi che nascono … Giulia è convinta di saper navigare il mare di contraddizioni che la vita le sta per mettere di fronte, e così lei anche il gruppo storico di amici. Ma la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, e non sempre sei pronto a ciò che ti pone davanti. E forse, il bello dell’avventura, sta proprio in questo.
“Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera” - Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale
[Terza e conclusiva parte della trilogia “Walf of Life”]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 23 - YOU NEVER WALK ALONE



 

Non sarebbe stata una bella giornata.
Non era colpa della pioggia che continuava a scendere su Venezia, ingrossando i canali e facendo rischiare l’acqua alta. Non era nemmeno colpa del fatto che fosse in pensiero per Nicola e Francesco, fuori in giro da qualche parte.
E forse non sarebbe dipeso nemmeno da Lorenzo, che per quanto ne sapeva, poteva anche aver avuto tempo sufficiente per ravvedersi e ragionare meglio sulla situazione.
Forse era solo una sensazione che alla fine si sarebbe rivelata del tutto infondata, ma Caterina sapeva che quella non sarebbe stata una bella giornata.
Tenne lo sguardo rivolto verso la finestra della cucina, i vetri rigati di pioggia, il paesaggio frastagliato dalle scie che le goccioline si lasciavano dietro nel loro lento declino verso il basso. Era seduta alla stessa sedia dove una settimana esatta prima se ne stava Giulia, quando le aveva detto di essere incinta. Quando le aveva detto quale era stata la reazione di Lorenzo.
Ora c’era lei seduta al suo posto, con la stessa paura del sabato precedente.
Si rifiutò di controllare di nuovo l’ora, consapevole di averlo già fatto troppe volte, solo uno dei tanti segni dell’ansia che la attanagliava. Lorenzo sarebbe arrivato a momenti – se mai non avesse cambiato idea sul suo invito lì a casa.
Non aveva idea se suo fratello si aspettasse qualcosa di preciso. Forse aveva fatto due più due, capito che l’averlo invitato lì pochi giorni dopo il brutto litigio con Giulia non fosse affatto casuale. E se era quella l’ipotesi corretta, cosa si aspettava da lei?
Caterina non ne aveva idea.
C’erano così tante cose su cui ancora non aveva alcuna opinione che nemmeno lei avrebbe saputo quantificarle. Forse quella che la sua migliore amica stesse aspettando un figlio da suo fratello era quella che la lasciava più stranita in assoluto.
“Sembra una pazzia”.
Lo sembrava, o forse lo era del tutto. Le era sempre sembrato strano, come se qualcosa fosse fuori posto, vedere Giulia con suo fratello dopo una vita passata con Filippo – anche se non poteva escludere che fosse proprio quel particolare ad averle reso difficile abituarsi a quel nuovo scenario-, ma quello … Quello era diverso. Era qualcosa che non sarebbe mai più potuto cambiare.
Qualcosa a cui doveva di certo abituarsi, anche solo a pensarci, ma a cui perlomeno non aveva reagito allo stesso modo di Lorenzo. Caterina era sicura che alla fine le cose avrebbero preso una piega di normalità, ma sarebbe toccato a lei quel giorno stesso scoprire se suo fratello aveva cominciato a pensarla allo stesso modo.
Aveva speranza, ma c’era sempre qualcosa – il timore sottile del fallimento- che stonava. Un po’ come quel silenzio teso che aleggiava in casa sua in quel momento.
Il campanello suonò qualche secondo dopo, squarciando l’aria e facendola sobbalzare debolmente sulla sedia. Le ci vollero alcuni attimi per scuotersi e realizzare che si sarebbe dovuta alzare, andare ad aprire quello che con tutta probabilità era Lorenzo.
Caterina si alzò con lentezza, come se il suo corpo fosse affaticato, come se stesse opponendo resistenza ai movimenti che doveva compiere per arrivare alla porta d’ingresso.
Ci arrivò lo stesso, forse in meno tempo di quel che sperava. Aprì la porta con cautela, senza sapere cosa potersi aspettare dall’altra parte. Quando la aprì a sufficienza per intravedere il volto di suo fratello, non venne colpita da alcun senso di sorpresa: aveva un’espressione tetra, e le parve invecchiato di dieci anni.
-Ciao- lo salutò senza alcuna inflessione nella voce, aprendo la porta per farlo entrare.
-Ciao- Lorenzo varcò la soglia dedicandole solo una veloce occhiata – C’era traffico in autostrada, per quello ci ho messo più del previsto-.
-Non fa niente. Non me n’ero neanche accorta-.
Caterina gli fece strada verso il salotto. La pioggia continuava a battere contro i vetri, unico rumore ad accompagnarla oltre a quello dei loro passi sul pavimento.
-Vuoi bere qualcosa?- gli chiese, più per riempire il silenzio che non per reale cortesia.
-No-.
Lorenzo non parve invogliato a sedersi da nessuna parte. Si era palesemente prefissato di rimanere in piedi di fronte a lei, come se desse per scontato che sarebbe rimasto poco. Di certo non dava l’impressione di disponibilità all’ascolto.
Caterina rimase in piedi a sua volta, a qualche metro di distanza, guardandolo in attesa.
-Dovevi parlarmi, quindi-.
Caterina annuì impercettibilmente:
-Sì, direi di sì-.
“E sai benissimo anche di cosa”.
Lorenzo non disse nulla, quindi toccò di nuovo a lei parlare:
-Non ha molto senso girarci intorno, quindi forse è meglio andare subito al punto- iniziò, le braccia incrociate contro il petto e il cuore che le batteva forte per l’agitazione, anche se cercava di non darlo a vedere – Giulia mi ha raccontato quel che è successo-.
Lorenzo non batté ciglio, rimanendo inespressivo:
-Mi aspettavo mi avessi chiesto di vedermi per quello- sbuffò appena – Altrimenti non ti saresti mai fatta viva-.
“Un po’ come te”.
Cercò di ignorare quella frecciatina, alzando le spalle:
-Non siamo qui per parlare di questo-.
-Allora dimmi quel che mi devi dire-.
Lorenzo le era parso più brusco rispetto a prima, ma non aveva alzato la voce. Caterina cercò di interpretarlo come un segno che, forse, almeno in parte qualcosa avrebbe ascoltato.
-Forse hai un po’ esagerato con lei, non credi?- cercò di dirlo con calma, senza esagerare il tono di rimprovero – Capisco possa essere uno shock, ma da lì a trattarla in quel modo … -.
-Come l’avrei trattata?- Lorenzo la interruppe di scatto, con una veemenza che fece quasi indietreggiare di un passo Caterina. Aveva un sopracciglio arcuato, come se stesse sul serio aspettando una risposta.
Caterina tentennò, forse per la prima volta da quando suo fratello era arrivato lì. C’era una strana sensazione che la stava sopraffacendo, simile alla paura.
-Un po’ troppo bruscamente?- tentò, schiarendosi la gola – Guarda che anche lei è nei casini, non solo tu-.
Lorenzo non sembrò per niente impressionato.
-Non voglio sapere come sia potuto succedere, ma riguarda entrambi- Caterina proseguì con un po’ più di fermezza – Non puoi solo urlarle addosso che deve abortire e basta-.
Il cambio d’atteggiamento fu così repentino che se fosse stato un po’ più nascosto e invisibile all’occhio, Caterina non se ne sarebbe nemmeno accorta.
Quando aveva finito di parlare, però, lo sguardo che Lorenzo le aveva rivolto non lasciava alcun dubbio: non sarebbe stato così distaccato da quel momento in poi, come invece si era mantenuto fino a lì.
C’era qualcosa ora, nei suoi occhi – una vividezza rabbiosa che faceva brillare il verde dell’iride- che la fece indietreggiare per davvero, stavolta, almeno di un passo.
-Ma se riguarda entrambi, come hai appena detto, ho il diritto anch’io di dire la mia- Lorenzo alzò la voce, anche se non arrivò ad urlare nel vero e proprio senso della parola.
La rabbia che provò anche Caterina nei suoi confronti non la fece desistere:
-Ma non puoi minacciarla o costringerla- ribadì, alzando a sua volta la voce – Potete arrivare ad un altro accordo senza arrivare al punto in cui devi forzarla a fare qualcosa contro la sua volontà-.
Non aveva idea se Giulia glielo avesse già fatto presente o meno, e un po’ si pentì di aver parlato per lei, ma le sembrava l’unico modo per ritornare nella carreggiata della calma irrequietezza su cui si era mantenuta quella conversazione da quando era iniziata.
Il volto di suo fratello si fece rosso, tutt’altro che calmo:
-E alla mia volontà chi ci pensa, eh?- stavolta le urlò addosso per davvero – Poteva pensarci Giulia a tutelarsi meglio per evitare una gravidanza, che di certo non vuole neanche lei-.
“E tu non ci hai certo pensato” pensò amaramente Caterina.
Non disse niente, però, nel momento in cui Lorenzo fece un passo nella sua direzione.
-È solo colpa sua se ora ci troviamo in questo casino, ma a voi due non importa niente di quel che voglio io, no? L’importante è che subisca e che stia anche in silenzio!- Lorenzo gesticolava maniacalmente, ormai gridando senza controllo – Sarai contenta che sia successo tutto questo e che ora stia facendo la parte del cattivo, eh?-.
Fu così veloce, di nuovo, che Caterina quasi non si accorse dell’improvvisa vicinanza di suo fratello. Ma se ne rese conto quando avvertì una sua mano premerle sulla spalla, dandole una spinta non sufficientemente violenta per spostarla, ma che la ferì ugualmente.
La rabbia lasciò il posto alla paura, in una sensazione del tutto nuova. Poteva non andare d’accordo con suo fratello, ma non aveva mai provato in sua presenza il panico che stava provando ora, acuito dal fatto di essere da sola con lui, e fisicamente impossibilitata ad impedirgli di farle molto di peggio di una semplice spinta.
Indietreggiò di nuovo, ma i suoi piedi non la ressero a lungo. Inciampò su se stessa, cadendo malamente a terra, evitando di poco il divano dietro di lei. Quando alzò gli occhi verso l’alto, Lorenzo torreggiava su di lei, minacciosamente, e Caterina per lunghi secondi temette davvero che l’avrebbe colpita, stavolta non limitandosi.
“Ti prego”.
Avrebbe voluto dirlo, ma non riuscì a far uscire nulla dalla sua bocca.
Nel panico terrorizzante in cui si trovava, con il corpo immobilizzato e il cuore che le batteva in maniera così assordante da farle temere potesse scoppiare, riuscì solo ad avvertire in maniera distante la porta d’ingresso aprirsi.
Fu quasi come assistere ad una propria allucinazione, con la sola differenza che dentro di sé era consapevole che i passi di Nicola e Francesco, appena rientrati, non erano solo una sua impressione. Anche Lorenzo si era voltato nella direzione dell’ingresso, non appena le loro voci si fecero più distinte.
-Ehi, siamo a … -.
Nicola era appena comparso nel campo visivo di Caterina, con ancora il cappotto addosso, ma con le ciabatte già ai piedi. Teneva Francesco per mano, e lo tenne ancora più fermo quando con lo sguardo sembrò come scannerizzare ciò che stava accadendo in quel salotto.
Caterina si sentì raggelare.
-Ma che sta succedendo?-.
Lorenzo non rispose, limitandosi a muovere qualche passo lontano da lei, e Caterina, nonostante il dolore alla schiena che le rese difficile il movimento, cercò di far forza su un gomito per alzarsi almeno un po’.
-Nicola … -.
Prima che potesse aggiungere altro, lo osservò chinarsi su Francesco, silenzioso come se avesse intuito da solo che qualcosa non andava, e poi spingerlo gentilmente con una mano dietro la schiena:
-Va in camera tua, subito- gli mormorò, e Francesco non protestò mentre si incamminava lanciando dietro le spalle un ultimo sguardo ai suoi genitori e a suo zio – E tu … -.
Nicola si avvicinò così velocemente che Caterina temette che Lorenzo potesse essere tentato di colpirlo – un desiderio che di sicuro si teneva dentro da anni. Ma quando Nicola gli fu addosso, Lorenzo alzò le mani per difendersi:
-Non è successo niente, è solo caduta- cercò di dire, ma Nicola lo interruppe subito con forza:
-Pensi anche che ci creda?- gli gridò addosso, rabbioso – Esci subito da casa nostra!-.
Lo afferrò per una spalla, e per quanto fosse decisamente meno piantato di Lorenzo fisicamente, Nicola riuscì comunque a trascinarlo vero l’ingresso.
-Esci, cazzo!- gli urlò ancora, in un modo così irato che Caterina non ricordava di averlo visto mai – Giuro che qua dentro non ci rimetti mai più piede-.
Caterina udì la serratura della porta d’ingresso scattare, alcuni passi frettolosi, e di nuovo la porta chiudersi con un tonfo violento qualche secondo dopo. Suo fratello era uscito così velocemente che quasi le venne difficile credere che fosse stato lì fino a un minuto prima.
La preoccupazione che aveva dipinta in faccia Nicola, però, era un buon indizio per credere che tutto quello che era accaduto poco prima non fosse stato solo un sogno – o un incubo-: tornò indietro subito, a grandi falcate, chinandosi su di lei con gli occhi azzurri sgranati per la paura.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Caterina tentò di nuovo di sollevarsi, ma fallì miseramente.
-Aspetta, ti do una mano- Nicola le allungò una mano, che Caterina strinse subito. Le passò l’altro braccio dietro la schiena, riuscendo finalmente a rimetterla in piedi, e accompagnandola fino al divano. Caterina vi si sedette con un lungo sospiro.
-Stai bene?-.
Nicola le si sedette subito accanto, scostandole i capelli che le erano finiti davanti al viso.
-Sì, sto bene- rispose lei, per rassicurarlo.
“Per quanto possa stare bene dopo una conversazione del genere”.
-Ma che è successo?- Nicola era evidentemente scosso – Si può sapere che cazzo aveva in mente?-.
-I toni si sono un po’ scaldati-.
Caterina non riuscì a dire altro, non subito. Aveva ancora la mente piena delle urla di Lorenzo, e del panico che l’aveva assalita quando le si era avvicinato. Che altro sarebbe successo se Nicola non fosse rientrato proprio in quel momento?
Non volle darsi una risposta.
Oltre all’onta del fallimento per non essere riuscita a farlo ragionare, e fallendo così anche il trovare un aiuto per Giulia, si sentiva così umiliata anche solo dal senso di impotenza che aveva provato.
Suo fratello l’aveva fatta sentire debole ed inerme a casa sua. L’aveva fatta sentire minacciata e in totale balia della sua rabbia.
Cominciava a capire come mai Giulia fosse arrivata così scossa proprio lì, la settimana prima.
Ed ora sarebbe toccato invece a lei spiegare a Nicola cosa stava succedendo.
-È una lunga storia-.
 
*
 
Nonostante la nausea e il bisogno di correre verso il bagno, stavolta Giulia non riuscì ad alzarsi subito dal letto.
Premette le palpebre chiuse, cercando di concentrarsi nell’ignorare il suo malessere sempre più presente. La nausea nell’ultima settimana era peggiorata, e di molto. Non aveva dubbi che fosse un mix tra le prime settimane della gravidanza e lo stress che non l’aveva abbandonata nemmeno un minuto. L’agitazione non aveva fatto altro che crescere durante quella giornata, sapendo che Caterina avrebbe provato a parlare con Lorenzo.
Aprì gli occhi solo per allungare una mano verso il suo cellulare, abbandonato poco distante da lei sul materasso. Quando sbloccò il display, però, non scorse alcun nuovo messaggio, neanche una chiamata che magari si era persa in una delle sue tante fughe verso il bagno. Niente di niente. Silenzio completo.
“Si sarà presentato a casa sua, almeno?” si chiese, “O avrà ignorato persino sua sorella?”.
Non aveva idea di cosa avrebbe fatto Lorenzo. Sapeva solo che Caterina non avrebbe desistito facilmente, perché nonostante la situazione non fosse facile nemmeno per lei, le aveva promesso che l’avrebbe aiutata. Giulia era sicura che avrebbe mantenuto la parola.
Al momento, però, non aveva alcuna notizia di come stesse andando, se mai Lorenzo avesse deciso di vedere sua sorella. Forse non si era direttamente presentato.
“Ma Caterina me lo avrebbe fatto sapere, se non fosse andato”.
Forse quel silenzio era dovuto a qualcosa che era accaduto.
Giulia cercò di non essere così pessimista: magari stavano ancora parlando. Caterina di sicuro le avrebbe fatto sapere qualcosa non appena ne avesse avuto possibilità, e forse non lo aveva fatto finora perché ne era stata impossibilitata.
Non per forza doveva essere successo qualcosa di brutto – non aveva alcun motivo per pensarlo davvero.
Giulia alzò gli occhi verso il soffitto della stanza: era da quando si era svegliata quella mattina che provava una sensazione negativa. Era come se qualcuno continuasse a sussurrarle ad un orecchio che qualcosa – di certo non qualcosa di buono- sarebbe accaduto quel giorno.
Lanciò un’ultima occhiata verso il suo cellulare, ma lo vide ancora inerme e silenzioso esattamente come un minuto prima. Non era cambiato niente.
La sua nausea, invece, era peggiorata. Non poteva più rimandare il suo ennesimo viaggio verso il bagno, non con lo stomaco così sottosopra come lo aveva in quel momento.
Quando fece per alzarsi le girò la testa. Aspettò qualche secondo per riprovarci: stavolta era più stabile, ma la testa continuava ad essere leggera, e il suo corpo terribilmente debole.
Preferì sorreggersi al muro per arrivare alla porta, e fece lo stesso anche quando uscì in corridoio. Il bagno le sembrava così dannatamente distante, in quel momento, impossibile da raggiungere.
Dovette fermarsi dopo pochi passi, la testa che le girava troppo e la vista che per qualche secondo si era annebbiata.
-Giulia?-.
Dovette tenere le mani sul muro per rischiare di non cadere, e concentrata com’era su quel movimento quasi non si accorse dei passi che si avvicinavano alle sue spalle.
Filippo le arrivò di fianco, e anche se Giulia stava tenendo gli occhi socchiusi, sapeva che la stava guardando con apprensione – esattamente come aveva fatto la domenica di una settimana prima, e tutte le altre sere a seguire, quasi intuendo che qualcosa non andava solo dai suoi silenzi e da ciò che non aveva detto.
-Giulia?- Filippo la chiamò ancora, facendosi più vicino – Che hai?-.
-Solo un po’ di nausea- rispose lei, perché tanto era sicura che l’avesse sentita vomitare almeno una delle tante volte in quella giornata – E un po’ di debolezza. Niente di che-.
Niente di che, ma non riusciva ad andare avanti. La vista si stava facendo offuscata, e cominciò ad avere paura. Sperò che Caterina e Beatrice fossero rimaste in salotto a giocare, senza doverla vedere in quello stato e spaventarsi a loro volta.
-Vuoi che ti dia una mano?- Filippo le posò delicatamente una mano su una spalla, quasi esitante, ma Giulia non trovò fastidioso quel contatto e non si ritrasse.
-Ce la faccio- mormorò, ma non appena pronunciate quelle parole riuscì solo a fare un altro passo prima di sentire i propri sensi venire sempre meno.
Forse la pressione era troppo bassa, forse la stanchezza fisica la stava sopraffacendo, forse lo stress e l’agitazione stavano facendo il resto.
Seppe solo che il mondo attorno a lei si stava facendo sempre più buio, mentre sveniva, avvertendo solo di sfuggita le urla allarmate di Filippo e le sue mani che le evitavano una rovinosa caduta a terra.
 
*
 
-Giulia non risponde-.
Caterina rimise il cellulare sul tavolo, buttando fuori un lungo sospiro quasi avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo in cui aveva ascoltato gli squilli, sperando che dall’altra parte Giulia rispondesse. Non c’era stata nessuna risposta.
Forse, data l’ora, stava cenando, o forse si stava riposando, o forse semplicemente non aveva voglia di prestare attenzione al telefono – anche se doveva essere parecchio in ansia, in attesa di avere notizie su come era andata con Lorenzo.
Nicola sembrò quasi leggerle nel pensiero, quando sbuffò sonoramente:
-Forse non ha il coraggio di scoprire com’è finita con quello stronzo di tuo fratello-.
Aveva una faccia stravolta, come poche volte l’aveva avuta in vita sua. Caterina lo trovava somigliante ad un’ameba, arenato com’era sulla sedia al tavolo della cucina, di fronte a lei, con i capelli scomposti e gli occhi azzurri contornati da rughe di stanchezza.
-O forse ha altro da fare- sospirò di nuovo Caterina – Quando avrà tempo mi richiamerà-.
Aveva una strana sensazione, ma era piuttosto sicura fosse solo dovuta a tutto ciò che aveva vissuto un’ora prima. Nulla di strano che si sentisse ancora scossa.
Un po’ lo era anche Nicola, glielo leggeva in faccia: aveva dovuto badare sia a lei che a Francesco, che pur essendo ancora troppo piccolo per comprendere a fondo certe dinamiche, aveva comunque intuito che qualcosa fosse successo. Li aveva raggiunti nel salotto poco dopo che Lorenzo se n’era andato, contravvenendo a ciò che gli aveva raccomandato Nicola, ma troppo spaventato per ascoltarlo. Si era agitato così tanto che si era addormentato stravolto sul divano, dopo che Caterina aveva cercato al meglio di calmarlo ancora un po’.
-Non ci posso credere, comunque-.
La voce di Nicola risultò ancora piena del misto di sorpresa e shock con cui aveva accolto tutto ciò che gli aveva raccontato Caterina.
-Sulla loro relazione o sul fatto che ora è incinta?-.
-Entrambe le cose- Nicola alzò gli occhi su di lei, le mani tra i capelli con fare disperato, decisamente poco da lui – E tu lo sapevi! Perché non me l’hai detto prima, almeno che stavano insieme?-.
-Perché non credo volesse farlo sapere a troppa gente- rispose semplicemente Caterina, pur con una punta di colpa – E poi magari per sbaglio poteva sfuggirti qualcosa con Filippo, ora che avete ripreso a parlarvi-.
-Quindi ero inaffidabile-.
Caterina fu sul punto di dirgli di sì solo per il troppo nervoso accumulato.
-No, è che semplicemente era una situazione con cui andarci cauti- borbottò, passandosi una mano sul viso – E anche così è finita male lo stesso-.
Per un po’ di tempo, forse qualche minuto, nessuno di loro disse nulla. La pioggia all’esterno continuava a scendere, meno fitta rispetto a prima. Ora che il buio era completamente calato, però, dalla finestra non erano più distinguibili le venature di grigio del cielo plumbeo, né le gocce che continuavano a cadere.
Era una serata spettrale, in qualsiasi senso possibile.
-Adesso che farà?-.
Non c’era bisogno che Nicola specificasse a chi si stava riferendo.
-Non ne ho idea-.
Caterina gli rispose sinceramente: Giulia aveva avuto un’altra settimana per riflettere, ma ancora non aveva detto un’altra parola riguardo la sua gravidanza. Di certo non ne aveva detto nulla a Filippo, né a nessun altro. Doveva trovarsi in un limbo d’indecisione non facile da districare.
-Credo voglia proseguire la gravidanza, ma può ancora cambiare idea. Deciderà lei- sussurrò, dopo alcuni secondi – Tanto Lorenzo è comunque fuori dai giochi-.
“E forse sarà meglio così per tutti”.
Dopo quel giorno ne era ancor più convinta.
-Credevo davvero ti avesse fatto del male-.
D’un tratto la voce di Nicola si era fatta vulnerabile. Era la prima volta che appariva così, da quando Caterina l’aveva visto rientrare in casa e cacciare Lorenzo con una furia che non gli aveva mai visto addosso.
Lo guardò per qualche secondo: aveva gli occhi lucidi, colmi di paura come se stesse rivivendo quel momento.
-Quando sono entrato e ti ho vista a terra con lui di fronte … - si passò la lingua sulle labbra, gli occhi abbassati – Pensavo davvero ti avesse messo le mani addosso-.
-Tecnicamente lo ha fatto- Caterina ricordò la spinta che le aveva dato – Solo che sono caduta per aver inciampato-.
Allungò una mano sopra al tavolo, fino a quando non raggiunse quella di Nicola. La posò sopra la sua, stringendola appena.
-Non so come sarebbe finita se non fossi arrivato tu, però-.
Nicola sembrò ravvivato, meno intrappolato nei ricordi del recente passato, e ricambiò la stretta subito.
-Ha chiuso con Giulia, ma ha chiuso anche con te- annunciò, stavolta con voce ferma – È giunto il tempo che si arrangi-.
-Già- annuì Caterina – Non credo vorrò rivederlo molto presto-.
Sperò solo che lo stesso potesse valere per Giulia.
 
*
 
-Ma dovevi proprio fumà? Fa un freddo boia, li mortacci tua-.
Pietro rise sotto i baffi, tenendo stretta la sigaretta tra le dita. Martino era visibilmente infreddolito, ma il suo essere impegnato nello stringersi nel cappotto pesante non lo fermò dal guardarlo malissimo.
-Nessuno ti impedisce di andare avanti ed entrare- gli fece notare Pietro, facendo un altro tiro con la sigaretta. L’aveva appena accesa, a pochi metri dall’entrata del Celebrità. All’infuori di loro due, poche altre persone avevano deciso di affrontare la notte invernale di Mestre: qualcuno che fumava a sua volta, altri che tenevano già in mano bicchieri pieni di alcool.
Martino arcuò le sopracciglia, continuando a guardarlo malamente:
-Sì, e poi me spieghi tu come ce ritroviamo in mezzo a tutto quer casino, ve’?- sbuffò, scuotendo appena il capo – Vedi che poi se entri da solo e qualcuno ce prova con te vai in crisi de novo, come la prima volta che ce siamo incontrati-.
-Magari stavolta flirterei anch’io- Pietro era perfettamente consapevole di star mentendo solo per provocare l’altro, ma rise comunque alla faccia poco impressionata di Martino.
-Sì, credemoce-.
Pietro rise, rimanendosene in silenzio. Doveva ammettere a se stesso che forse un po’ di ragione Martino ce l’aveva ancora. Non aveva idea di come avrebbe potuto rigettare le avances di qualcuno senza apparire troppo sgradevole e senza farsi prendere dal senso di colpa, ma perlomeno stavolta, ne era quasi del tutto sicuro, almeno non sarebbe finito nel panico più nero.
Nonostante le sue proteste, Martino non si mosse da dove si era piantato. Teneva le braccia incrociate contro il petto e il cappuccio del cappotto a coprirgli la testa di ricci rossi, e nonostante l’aria piuttosto seccata per l’attesa, non disse altro in protesta.
“Proprio un santo” si ritrovò a pensare ironicamente Pietro.
Ci vollero ancora alcuni minuti prima che la sigaretta giungesse alla sua fine, e Pietro scaraventasse il mozzicone nel cestino che si trovava a pochi metri di distanza, lungo il marciapiede.
-Ora possiamo andare- annunciò, provocando uno sbuffo di gioia in Martino.
-Era ora- commentò, scuotendo il capo – Che sto trucco spaziale che me so’ fatto stasera nun era certo pe’ farlo vedè ai sassi-.
Pietro rise, mentre lo seguiva verso l’entrata del Celebrità. Martino aveva già aperto la porta, quando Pietro provò l’impulso di girarsi indietro.
Non era rimasto praticamente più nessuno fuori, solo qualche auto parcheggiata a poca distanza, ma la sensazione di essere osservato non se ne andò fino a quando, pochi secondi dopo, decise di ignorarla.
Entrò dietro a Martino, dimenticandosi di quell’impressione nel giro di pochi minuti.
 
*
 
La prima cosa che notò, ancor prima di aprire gli occhi, fu l’intenso odore di disinfettante e medicinali.
Arricciò il naso, trovandolo troppo pungente e fastidioso, ma fu proprio quella sensazione ad aiutarla ad uscire ancor di più dallo stato di sonnolenza che aveva addosso.
Giulia sbatté le palpebre un paio di volte prima di riuscire ad aprire del tutto gli occhi. Quando ci riuscì rimase abbagliata dalla luce del sole che filtrava dalle finestre. Rimase accecata per qualche secondo prima di abituarsi a tutta quella luminosità.
L’attimo dopo si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
L’ultimo ricordo che aveva risaliva a quando fuori c’era buio, con la pioggia che rigava le finestre. Con quella consapevolezza spalancò gli occhi, e si rese conto della seconda cosa che non andava: non era a casa sua.
Quella in cui si trovava era inconfondibilmente una stanza d’ospedale.
Ora che se ne rendeva conto aveva anche l’ago di una flebo piantato nel gomito, e il monitor accanto al suo letto era acceso, in perenne controllo, un bip regolare che riempiva il silenzio della stanza.
Quando Giulia si voltò dall’altra parte si sentì un po’ meno spaesata, ma allo stesso tempo timorosa: Filippo era seduto su una sedia accanto al letto, delle profonde occhiaie scure a cerchiargli gli occhi e uno sguardo particolarmente grave. Sembrava piuttosto turbato, ma per spiegarlo bastava pensare che si trovavano in ospedale, non certo in un luogo qualsiasi.
Filippo non sembrava ancora essersi accorto che si era appena svegliata. Giulia provò a schiarirsi la gola per attirare la sua attenzione, e sembrò funzionare subito: lo vide alzare immediatamente lo sguardo su di lei, sorpreso.
-Ti sei svegliata-.
Filippo aveva parlato con voce roca, come se non avesse parlato per ore e ore, e come se avesse pianto. Non c’era traccia di lacrime ora negli occhi, ma la pelle arrossata e stanca intorno non lasciava alcuna certezza.
-Giusto ora- mormorò Giulia, a mezza voce.
Filippo si fece un po’ più vicino, trascinandosi dietro la sedia:
-Come ti senti?-.
Giulia alzò le spalle:
-Come se un trattore mi fosse appena passato sopra-.
-Non mi è difficile crederlo-.
Quella continua serietà nell’espressione di Filippo non l’aiutò a sentirsi meno agitata. Sembrava sempre sul punto di dirle qualcosa, ma senza arrivare al dunque.
E forse lei stessa avrebbe dovuto parlare con un medico il prima possibile, per spiegare al meglio la situazione in cui si trovava – incinta, a quante settimane nemmeno lei lo sapeva ancora, e non lo avrebbe saputo ancora per qualche giorno fino all’appuntamento con la ginecologa-, per sapere cos’era successo.
Ma per il momento non le sembrava possibile muoversi, sia per i macchinari che la tenevano sotto controllo, sia perché dubitava che il suo corpo ce l’avrebbe fatta: si sentiva stanca anche solo rimanendo sdraiata. Filippo, però, era lì, e sembrava decisamente sapere qualcosa.
-Perché siamo qui?- gli chiese Giulia, con un filo di voce – Cos’è successo?-.
Filippo rimase in silenzio per diversi secondi, lo sguardo ora diretto altrove lontano da lei. Giulia lo osservò mordersi nervosamente il labbro, le mani giunte e posate su un angolo del suo letto.
-Molte cose, direi-.
Sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli, e Giulia ebbe la sicurezza che le stava davvero nascondendo qualcosa, almeno per il momento.
-Sei svenuta ieri sera- Filippo riprese a parlare, tornando a guardarla – Non riprendevi i sensi, quindi ho chiamato l’idro-ambulanza, e quando sono arrivati hanno preferito portarti qui per vedere se ti riprendevi e per fare qualche controllo del caso-.
A quella notizia a Giulia venne in mente qualcos’altro:
-Ma le bambine?- domandò perplessa. Era evidente che non fossero lì in ospedale.
-Sono venute qui anche loro stanotte, quando ti hanno ricoverata. Non sapevo a chi lasciarle- le spiegò Filippo – Effettivamente potevo chiedere ad Alessio ed Alice, ma sul momento non ci ho pensato. Stamattina ho chiamato tua madre, e adesso sono a casa con lei-.
-Quindi mia madre è qui a Venezia-.
Giulia non seppe se sentirsi rincuorata o ancor più spaventata all’idea di dover spiegare – o perlomeno giustificare con una qualche bugia- quel suo ricovero.
-Sì, ma non le ho ancora detto niente. Le ho solo detto che hai avuto un piccolo incidente che era meglio tenere sotto controllo- replicò Filippo.
-Ed è vero?-.
Giulia non era del tutto sicura di voler sentire la risposta che le avrebbe dato Filippo. Sembrava turbato, ormai non aveva più alcun dubbio, ed era piuttosto sicura che dopo aver ascoltato ciò che aveva da dire, lo sarebbe stata anche lei.
-Sì, direi di sì. Eri disidratata e molto debole, e hai avuto un calo di pressione-.
Stavolta Filippo abbassò di nuovo il viso, e fu evidente che gli ci volle un po’ più di forza per aggiungere ciò che doveva seguire.
-Cose che possono capitare in gravidanza-.
“Oh no”.
A Giulia sembrò come se il tempo si fosse appena congelato, ritirato su se stesso e incapace di andare avanti.
Dovette rendersene conto anche Filippo, che ora la guardava agitato, lo sguardo contratto come a chiedersi se avesse fatto bene o meno a dire ciò che aveva appena pronunciato. E forse a quella domanda nemmeno Giulia avrebbe saputo rispondere, perché non avrebbe saputo dire se era meglio scoprire in un singolo attimo che Filippo sapeva, o scoprirlo pian piano, magari anche dopo giorni passati nell’ignoranza di essere stata scoperta.
Ma ormai era successo, e Filippo sapeva già tutto. Giulia si sentì crollare, per il panico e anche per la paura di ciò che qualcun altro poteva avergli riferito.
-Te l’hanno detto-.
Non riuscì nemmeno a distogliere lo sguardo da lui, gli occhi che si facevano lucidi non sapeva neanche lei se più per la paura di ciò che sarebbe seguito, o più per il dolore – tutto ciò che si era tenuta dentro per una settimana intera.
-Cazzo, Filippo … -.
-Non è che l’hanno fatto apposta- Filippo si affrettò a interromperla, con voce sorprendentemente rassicurante e calma – Non siamo ancora ufficialmente separati, quindi davano per scontato che sapessi già tutto in quanto ancora tuo marito-.
“Credono che sia tuo”.
Giulia non dette voce a quelle parole, così come non lo aveva fatto Filippo stesso. Ma era quello il concetto taciuto: avevano pensato che fosse lui il padre, quando non lo era. Giulia non volle neanche provare ad immaginare la confusione che doveva aver provato Filippo in quel momento, oltre a molte altre cose che accompagnavano l’implicazione che nella sua vita ci fosse a tutti gli effetti qualcun altro che non era più lui.
-Certo, lì per lì quando la dottoressa mi ha spiegato della gravidanza e dei problemi che si è portata con sé non stavo capendo … Ma ho tenuto il gioco- Filippo parlò arrovellandosi le mani, nervosamente – Mi importava solo sapere che stavi bene, in fin dei conti-.
Era evidente che era ferito, e che probabilmente avrebbe voluto chiederle qualcosa di più, ma qualcosa le diceva che non lo avrebbe fatto. Forse il vecchio Filippo, invece, lo avrebbe fatto eccome, ma non la persona che era in quel momento.
In un modo o nell’altro, quella sensazione la fece sentire anche peggio, e non fece nulla per fermare le lacrime che cominciarono a rigarle il viso.
-Non avresti dovuto scoprirlo così-.
Filippo sospirò appena, un mezzo sorriso malinconico dipinto sulle labbra:
-Lo so-.
 
You're giving me a million reasons to let you go
You're giving me a million reasons to quit the show

You're givin' me a million reasons
Give me a million reasons
Givin' me a million reasons
About a million reasons

 
-Volevo dirtelo-.
Giulia lo disse tra le lacrime, ma si sforzò di essere sufficientemente chiara.
-Volevo parlarti, ma questa settimana è stata un inferno-.
“Ed ero sola, e non sapevo a chi chiedere aiuto”.
Non si accorse subito che Filippo si era avvicinato ulteriormente. Lo aveva fatto mentre lei aveva tenuto gli occhi chiusi, in un ultimo tentativo di non rendere visibili tutte le altre lacrime che rischiavano di seguire quelle che già le avevano inumidito le guance. Quando rialzò le palpebre ritrovò Filippo che aveva abbandonato definitivamente la sedia su cui era rimasto fino a qualche secondo prima, e l’aveva raggiunta sul letto, sistemandosi di lato dove non l’avrebbe disturbata.
Non le era mai stato così vicino da mesi, e in un’altra situazione Giulia l’avrebbe trovato strano, e forse avrebbe rifiutato del tutto quella vicinanza, ma ora non solo non la infastidiva, ma la trovava anche confortante.
-Ho notato certe stranezze, ma non sapevo se potevo chiedere- le disse a mezza voce, dopo un po’.
Giulia annuì, tutt’altro che sorpresa:
-È successo un casino-.
Filippo si chinò su di lei, il viso contratto in un’espressione grave:
-Vuoi parlarmene?-.
Fu strano sentirselo chiedere. Aveva provato ad immaginarsi, nei giorni scorsi, come avrebbe potuto dire a Filippo cosa stava succedendo nella sua vita – dirglielo come si parla ad una persona da cui ormai ci si è allontanati e non si è più in totale confidenza. Si era immaginata mille modi diversi in cui avrebbe potuto iniziare, e anche mille modi diversi in cui Filippo avrebbe potuto reagire quando lei avrebbe finito di dirgli tutto, ma in nessuno degli scenari ipotetici di quella conversazione prevedeva che fosse Filippo a chiederle se voleva raccontargli tutto.
Doveva essere consapevole che avrebbe fatto male, che sarebbe stato tutt’altro che semplice, ma Giulia lo vide comunque determinato a volerla ascoltare.
 
Head stuck in a cycle, I look off and I stare
It's like that I've stopped breathing, but completely aware

'Cause you're giving me a million reasons
Give me a million reasons
Givin' me a million reasons
About a million reasons
 
-Sì- rispose in poco più di un sussurro – Anche se non è facile-.
Si mise seduta un po’ più dritta, un po’ per prendere tempo e un po’ per mettersi in una posizione migliore per la sua schiena dolente.
Sospirò a fondo, cercando le parole. Le sembrò di essere tornata ad una settimana prima, quando era andata a casa di Lorenzo per dirgli che era incinta, con la sola – enorme- differenza che stavolta non aveva paura.
-Mi stavo vedendo con una persona. Da un po’ di mesi- confessò, faticando a non abbassare lo sguardo – Non è che fosse qualcosa di serio, ma ci frequentavamo-.
“Era davvero questo?”.
Non si era mai soffermata molto a pensare a ciò che aveva con Lorenzo. Forse non aveva voluto perché non ci aveva mai davvero visto un futuro.
Ora le sembrava strano cercare di dare una definizione, un confine entro il quale si erano mossi.
-Avevo qualche sospetto, visto che te ne andavi ogni weekend- ammise Filippo – Però erano affari tuoi, e non era giusto che ti chiedessi qualcosa-.
Prima ancora che Giulia potesse prendere in considerazione quale sarebbe stata la sua reazione, dette il colpo:
-È Lorenzo-.
Per la seconda volta in pochi minuti le sembrò che il tempo rallentasse fino a fermarsi. Osservò con attenzione chirurgica le più varie espressioni alternarsi sul viso di Filippo: c’era sorpresa, incredulità, fino ad arrivare alla confusione completa.
-Lorenzo?-.
-Sì-.
Ora non c’era nient’altro se non lo shock, e forse, se non se lo stava immaginando, anche la gelosia.
-Cazzo- borbottò Filippo, gli occhi sgranati e il volto cereo, mentre si passava una mano sulla fronte.
Giulia si passò la lingua sulle labbra secche, consapevole che a Filippo sarebbe servito qualche minuto per metabolizzare la cosa.
-La gravidanza non è voluta- si costrinse a proseguire, perché ora che aveva iniziato non aveva intenzione di fermarsi, neanche sapendo quanto sarebbe stato arduo – Non so bene neanche io come sia successo, ma sono incinta. Lo so da poco anche io. Gliel’ho detto sabato scorso, e l’unica cosa che è stato capace di dire è che non lo vuole, e che dovrei abortire-.
Lo disse tutto d’un fiato, così veloce che quasi si chiese se era risultata comprensibile o se era finita per mangiarsi le parole. Filippo però aveva di nuovo cambiato espressione, ed ora la furia era visibile nei suoi occhi e nella mascella serrata.
-Quel grandissimo bastardo … - imprecò a denti digrignati.
Prima che potesse chiederle cos’altro potesse essere successo, Giulia riprese a raccontare:
-Me ne sono andata via, e sono andata da Caterina. Per quello non sono rientrata a casa. Mi avresti visto in uno stato … - ammise, a mezza voce – Mi avresti sicuramente chiesto cos’era successo, ma non ce l’avrei fatta a dirti tutto. Però l’ho raccontato a Caterina, e lei ha deciso di parlargli. Dovevano vedersi ieri, ma non ho avuto più notizie, e me lo sento che è andata male-.
Non ne aveva davvero la sicurezza, questo lo sapeva, ma non poteva fare a meno di provare la stessa sensazione negativa che aveva avuto per tutto il giorno precedente. Si chiese dove fosse finito il suo cellulare: avrebbe trovato qualche chiamata a vuoto da Caterina? Un suo messaggio in cui le diceva sommariamente cosa si erano detti? O magari aspettava di vederla dal vivo per farlo?
Forse non sapeva nemmeno che ora si trovava in ospedale. C’erano così tante domande senza risposta che Giulia si sentì girare la testa.
Cercò di non pensare alla possibilità di prendere in mano il suo cellulare e trovare una qualche telefonata o un messaggio da Lorenzo. A quell’evenienza si sentiva davvero mancare per la paura e la rabbia.
-A lui non gliene importa niente-.
Sentì di nuovo gli occhi farsi lucidi, stavolta per il nervoso e l’ira, l’abbandono che aveva subito e che le aveva ricordato ancora una volta cosa volesse dire essere sola.
-Mi ha solo manipolata per avermi, come un fottuto trofeo, perché è evidentemente ossessionato da me- sbottò, la voce incrinata dalla nuova ondata di pianto – Ma con un bambino cambia tutto. E forse è meglio che abbia deciso di non esserci-.
-Giulia, mi dispiace. Davvero-.
Filippo mosse una mano, fino a portarla accanto alla sua. Non la sfiorò, forse timoroso che lei non volesse essere toccata, e si limitò a lasciarla lì vicino.
-Non te lo meritavi-.
Prima che potesse frenarsi, Giulia parlò:
-Non mi odi?-.
Stavolta Filippo tornò a guardarla semplicemente disorientato:
-Per cosa?-.
“Per lo stesso motivo per cui ti ho odiato io”.
Era consapevole che non era la stessa identica situazione, ma il confine era molto labile. Non lo aveva tradito a sua volta, ma c’erano troppe implicazioni di mezzo nel pensare che, tra tutti, era stata proprio con Lorenzo.
-Per essere stata con lui. Per essere incinta di lui-.
-Non è facile pensarlo, lo ammetto. Però non posso biasimarti, non dopo il casino che ho creato io- Filippo sospirò piano, prima di sorriderle timidamente, il viso stanco per gli eventi della notte – Quindi è ok. Troveremo una soluzione-.
“Troveremo”.
Poteva essere stato un errore, una disattenzione, ma Giulia volle credere che Filippo intendesse davvero un noi nelle sue parole. Era la prima volta che ci sperava da quasi un anno.
 
And if you say something that you might even mean
It's hard to even fathom which parts I should believe

'Cause you're giving me a million reasons
Give me a million reasons
Givin' me a million reasons
About a million reasons
 
Forse fu anche quella sensazione – nuova e famigliare allo stesso tempo- a spingerla a continuare a parlare, a farla sentire a suo agio per poter dire tutto ciò che le passava per la mente.
-Ho paura di lui- disse con voce sommessa – Ho paura che si presenti sotto casa per costringermi a fare qualcosa che non voglio-.
Ci aveva ripensato mille volte in quei giorni. Lorenzo sapeva dove abitava, e per quanto sapesse che Filippo ancora viveva nella stessa casa, poteva anche non essere affatto intimorito da lui. Poteva raggiungerla sotto casa e continuare a minacciarla.
Il non sentirsi sicura nemmeno a casa sua era una sensazione che le dava la nausea.
-Se ci prova lo butto dentro al primo canale che trovo- Filippo lo disse ridendo, ma con una nota di serietà nella voce che Giulia non ebbe difficoltà a riconoscere – Non ti succederà niente, Giulia. Se prova ad avvicinarsi lo ammazzo sul serio-.
Forse non lo avrebbe ucciso, ma Giulia credette davvero alla promessa di Filippo di aiutarla.
Un po’ le fece credere che sarebbe potuto rimanere al suo fianco ancora per un po’, nonostante tutto quello che si erano appena lasciati alle spalle.
Quel pensiero la portò ad un altro ancora, e prima ancora di ponderare le conseguenze e le implicazioni che ciò che voleva chiedergli avrebbe portato, parlò d’istinto, senza freni:
-Secondo te è possibile rimandare il tuo trasloco?-.
Vide l’espressione di Filippo farsi incredula. Non aveva idea di quale sarebbe potuta essere la sua risposta – non quando le sue cose erano per la maggior parte già stipate in scatoloni e valigie, e quando la data di trasloco ad un altro appartamento, poco distante dal loro, era ormai già nota-, ma Giulia, per la prima volta da troppo tempo, si ritrovò a sperare.
-Non so se riesco a rimanere a casa da sola- ammise a mezza voce – Non ora-.
“Ho paura che Lorenzo possa presentarsi sotto casa e farmi del male”.
Stavolta Filippo non la guardava più con sorpresa, ma con comprensione.
“Mi hanno già ricoverata una volta, cosa succederebbe se dovessi ancora stare male e nessuno potesse badare alle bambine?”.
Lo osservò mentre annuiva tra sé e sé, soppesando una risposta che a lei era ancora ignota.
“Forse c’è una parte di me che ancora si fida di te più di chiunque altro”.
Si chiese se, un giorno, quella parte avrebbe potuto occupare anche le altre parti di se stessa.
Al momento, però, l’unico ad avere una risposta sembrava essere Filippo:
-Posso annullarlo- le sorrise di nuovo timidamente, come se temesse di sembrare troppo entusiasta – Non avevo ancora firmato nulla, di fatto. Se vuoi che rimanga a casa, io ci rimango-.
Sembrava aspettare di nuovo una sua conferma, come se anche il minimo non convincimento di Giulia potesse cambiare completamente il suo destino.
E Giulia trovò piuttosto sarcastico, un’ironia della sorte alla quale non poteva sfuggire, che mesi prima fosse stata lei a chiedergli di andarsene, ed ora fosse sempre lei a chiedergli di non andare via.
-Rimani-.
Stavolta fu lei a muovere la mano verso quella di Filippo. Non la posò sulla sua, ma si limitò a sfiorarla, e fu sufficiente quel contatto una volta così naturale a farla sentire un po’ più al sicuro.
-Almeno per un po’-.
 
Baby I'm bleedin', bleedin'
Stay
Can't you give me what I'm needin', needin'
Every heartbreak makes it hard to keep the faith

But baby, I just need one good one
Good one, good one, good one, good one, good one
 
Quell’“almeno un po’” non aveva confini temporali, quasi fosse una richiesta ben diversa da quella che poteva sembrare, ma a quel pensiero Giulia non avvertì l’urgenza di specificare alcunché.
Forse era lei per prima ad aver finalmente trovato un momento per smettere di andarsene.
Filippo la guardò per diversi secondi senza dire nulla, prima di prendere la sua mano nella sua:
-Non mi muovo-.
Fu un contatto breve, perché pochi secondi dopo lasciò già la sua mano, tornando a tenerla comunque vicina, ma era bastato quel breve lasso di tempo per far sentire Giulia in un modo in cui non si sentiva da tantissimo tempo.
Il silenzio venne interrotto dalla risata sommessa di Filippo:
-Preparati ad un giro di telefonate e di visite- le disse, finalmente con una nota di leggero divertimento nella voce – Tua madre vorrà sicuramente venire a vederti in giornata, e penso che tua sorella ti chiamerà non appena scoprirà che sei sveglia-.
-Devo solo inventarmi qualche scusa da rifilare loro, almeno per il momento- sbuffò Giulia.
“Ma ci penserò dopo”.
-Possiamo pensarci insieme- Filippo sembrò leggerle nella mente – Che dici di una bella intossicazione alimentare?-.
La risata a cui si lasciò andare Giulia era la più sincera da molti mesi a quella parte. Si sentì leggera per davvero, senza sforzarsi di farlo, in una situazione tutt’altro che leggera.
Ma forse era quello che significava smettere di essere soli dopo troppo tempo.
 
When I bow down to pray
I try to make the worst seem better
Lord, show me the way

To cut through all his worn out leather
I've got a hundred million reasons to walk away
But baby, I just need one good one, good one
Tell me that you'll be the good one, good one
Baby, I just need one good one to stay [1]
 
*
 
-Stasera non sono molto calmi, eh?-.
Pietro lo disse sorridendo, anche se un po’ temeva la sua stessa impressione, ovvero che per quella sera né Christian né Federica si sarebbero convinti a mettersi a dormire. Un dubbio più che legittimo, visto le proteste del bambino più grande e i pianti della sorella minore che si erano prolungati fino a pochi minuti prima.
Alessio lo guardò tetro, con aria stravolta:
-No, sarà un bel problema metterli a letto-.
-Ce la potete fare- la figura longilinea di Alice scivolò proprio in quel momento nel corridoio dell’appartamento, uscita dal bagno un secondo prima – Ho fiducia in voi-.
-Tu esci tra poco?- le chiese distrattamente Alessio, cercando di cullare alla bell’e meglio Federica tra le braccia, le guance rossissime per lo sforzo dei pianti di protesta che si erano interrotti da pochi secondi. Christian era già scomparso alla vista, rifugiatosi nella sua camera, ma continuando a sua volta a piangere e ad affermare di non avere sonno.
-In a few minutes- Alice si abbassò per lasciare un bacio sui capelli biondi della figlia, ma fu il gesto più sbagliato possibile: Federica ricominciò il suo pianto l’attimo dopo, riempiendo il corridoio dell’appartamento di nuovi strilli.
Per quanto gli mancasse avere nella sua quotidianità Giacomo e Giorgio, Pietro doveva ammettere che si riteneva piuttosto fortunato nell’evitarsi per diversi giorni a settimana quel tipo di pianti cava timpani.
Osservò Alessio roteare gli occhi al cielo, esasperato:
-Ecco, e ti pareva-.
Prima che chiunque potesse aggiungere altro, sparì con Federica nella camera dove già c’era Christian ad aspettarli. A Pietro non rimase che osservare la schiena di Alessio sparire dietro l’angolo della porta, domandandosi se ne sarebbe uscito vincitore o se i bambini non avrebbero ceduto al sonno entro poco.
-Un po’ mi spiace dovervi lasciare nei casini-.
Pietro si girò verso Alice: aveva uno sguardo vagamente malinconico, ma a tratti anche un po’ divertito. Si ritrovò a pensare anche che fosse particolarmente bella quella sera, il vestito verde che le donava particolarmente e che si sposava bene con i suoi capelli rossi, e con gli occhi leggermente truccati.
Non aveva idea se fosse rimasta d’accordo con Sergio nell’aspettarlo lì, direttamente alla porta di casa, o se si sarebbero incontrati in un posto a metà strada. Sapeva solo che quella era una delle ultime sere prima di Natale in cui si sarebbero ritagliati un po’ di tempo insieme, da soli – e l’assenza di Alice era, d’altro canto, anche il motivo per cui lui si trovava lì, a dare una mano ad Alessio con i bambini. Sembrava che anche per loro quella sarebbe stata l’ultima sera prima di Natale da passare insieme.
“Ma come amici”.
-Ce la caveremo- la rassicurò Pietro con un sorriso sincero – Tanto ormai siamo tutti esperti in bambini piccoli e scalmanati-.
-True- rise Alice – Come stanno Giacomo e Giorgio?-.
Pietro rise a sua volta nel pensare ai suoi figli:
-Stanno bene. Si divertono parecchio all’asilo. E crescono troppo velocemente-.
-Sentimento comune a tutti i genitori-.
Per alcuni secondi si limitarono al silenzio, relativo solo ai pochi metri di corridoio che lui ed Alice stavano condividendo. A poca distanza era facile udire la voce di Alessio, apparentemente calma, che cercava di suonare sufficientemente convincente per indurre al sonno Christian e Federica. Le loro proteste si erano fatte meno udibili, segno che almeno uno di loro stava realmente cedendo alla stanchezza.
Fu in quei momenti di tranquillità monotona che Pietro avvertì Alice avvicinarsi a lui con passi fluidi, e quando si voltò verso di lei per averne la conferma la ritrovò di fronte a sé, con dipinta in viso un’espressione tutt’altro che calma. Era evidentemente esitante riguardo qualcosa, da dire o fare, mentre si mordicchiava il labbro inferiore, uno sguardo di scuse negli occhi.
Non riuscì a capire che stava succedendo.
-Pietro, devo dirti una cosa-.
Quelle prime parole che Alice gli rivolse a bassa voce lo fecero sentire ancora più perplesso.
-Ero molto indecisa se dirtela o no, ma credo che dovresti saperlo-.
-Di che parli?- le chiese frettolosamente Pietro, la fronte corrugata.
Non aveva idea a cosa potesse riferirsi Alice. Riguardava qualcosa su di lei? Su di lei ed Alessio?
Quell’ultima ipotesi un po’ gli strinse la bocca dello stomaco.
Alice lo guardò di nuovo come se fosse sul punto di scusarsi di qualcosa. Sospirò a fondo, scuotendo il capo, prima di tornare a guardarlo:
-Lo scorso sabato ero con Sergio a Mestre. In giro, senza una meta precisa- iniziò a parlare, l’accento inglese che si faceva sentire molto più del solito – Abbiamo parcheggiato lungo una via che non conoscevamo-.
Pietro sentiva che continuava a sfuggirgli qualcosa, anche se al sentire nominare Mestre e il sabato precedente ebbe una sensazione strana. Se non ricordava male anche lui si trovava là, probabilmente con Martino.
Ma Alice doveva riferirsi a qualcos’altro.
L’occhiata colpevole che gli lanciò nuovamente lei, però, gli fece supporre che qualcosa doveva essere andato storto.
-Davanti ad un gay bar-.
La realizzazione lo colpì come un pugno in faccia.
“Cazzo”.
-Ti ho visto per caso mentre entravi, e … - Alice dovette leggergli in faccia il panico che lo stava animando, perché gli posò una mano su un braccio – You don’t have to worry, non l’ho detto a nessuno e non ne ho l’intenzione-.
Pietro sentiva ancora il respiro accelerato e i battiti del cuore irregolari per l’agitazione, la paura di essere stato scoperto da qualcuno che conosceva che però non conosceva il suo segreto. Quelle ultime parole di Alice, però, lo fecero sentire un po’ più calmo: l’aveva visto con Martino al Celebrità, probabilmente aveva fatto due più due, ma non era intenzionata a causargli alcun danno.
E d’altro canto era Alice quella che l’aveva visto. Razionalmente Pietro sapeva che con lei era al sicuro, che era una persona onesta e buona e che non avrebbe mai fatto nulla per recargli danno, ma la razionalità non esisteva, non quando stava prendendo consapevolezza di essere stato scoperto.
Alice non ritirò la mano: continuava a tenerla posata sul suo braccio, come un gesto per dargli sicurezza, e a guardarlo.
-Già mi sento un po’ in colpa per quel che è successo, anche se è stato del tutto casuale- gli disse ancora – Per questo volevo dirtelo-.
Pietro non riuscì comunque a dire nient’altro:
-Cazzo- imprecò, stavolta a voce. Se ne rese conto un secondo dopo, scuotendo subito il capo:
-No, dico, non è colpa tua. È stata una coincidenza-.
“Una coincidenza del cazzo, però”.
Cercò di calmarsi. Era evidente che Alice si sentisse davvero colpevole, per qualcosa che, a detta sua – e Pietro tendeva comunque a crederle, nonostante tutto- non aveva né cercato né fatto in modo che avvenisse.
-Esatto. Davvero, non hai niente da temere con me, Pietro- Alice parlò con tono rassicurante e sincero, gli occhi verdi che lo fissavano con intensità – Non mi devi spiegazioni. Della tua vita puoi fare quel che vuoi-.
In un modo o nell’altro, quell’ultima frase riuscì a tranquillizzarlo davvero, almeno in parte. Si sentì sollevato dal fatto che Alice non gli avesse chiesto niente, ma provò comunque il bisogno di darle almeno una spiegazione parziale. Ma che dirle? Che era lì per vedere un amico? Che non si era accorto che fosse un locale gay?
Quell’ultima ipotesi gli fece storcere il naso. Non aveva pianificato un coming out con Alice, non in quel momento, ma l’ipotesi di rinnegare il Celebrità – e tutto ciò che veniva insieme- gli stava lasciando un vuoto dentro.
-Già- iniziò, ancora senza una minima idea di come giustificare la sua presenza laggiù – Ecco, è che … -.
-Forse ora si è calmata-.
Non si era accorto dei passi di Alessio, né che finalmente, in effetti, non c’erano più pianti nella stanza accanto. Christian e Federica dovevano essersi addormentati, ed Alessio era tornato indietro – da quanto tempo, Pietro non ne aveva idea.
Non doveva aver ascoltato molto, però, a giudicare dallo sguardo confuso che lanciò sia a lui che ad Alice.
-Tutto bene?- chiese Alessio, un sopracciglio alzato – Avete delle facce strane-.
Pietro immaginò che dovevano sembrare sospetti, così vicini e rimasti silenziosi non appena Alessio si era avvicinato. Fu Alice a parlare per prima, lanciandogli un sorriso di circostanza, e visibilmente forzato:
-Stavamo solo condividendo pensieri da genitori sempre in ansia-.
Pietro annuì a sua volta:
-Già-.
Incrociò le braccia contro il petto, osservando il viso di Alessio: era evidente che non se l’era bevuta, e che continuava a dubitare di ciò che era successo in quel corridoio, ma non fece altre domande. Pietro sperò quasi che ne facesse, perché quel silenzio stava cominciando a farsi fin troppo pesante.
-I really have to go- dopo qualche attimo fu di nuovo Alice a prendere parola, facendo finta di essersi appena ricordata di avere un impegno – Passate una buona serata-.
Non attese altro tempo prima di fare qualche passo indietro, lungo il corridoio, verso l’ingresso per recuperare il cappotto e infilarsi le scarpe.
-Anche voi- la salutò di rimando Alessio, accostatosi a Pietro. Non disse nulla fino a quando non scattò la porta dell’appartamento, Alice che se l’era chiusa alle spalle dopo aver preso le ultime cose che le servivano per uscire.
-Sicuro di stare bene?- quando Alessio glielo domandò, Pietro aspettò qualche secondo prima di girarsi verso di lui, poco sicuro della sua stessa espressione – Sei pallidissimo-.
Pietro non ne dubitava affatto, ma non poteva nemmeno spiegargli a cosa era dovuta la sua tensione.
-Sì, ho solo un po’ di freddo-.
In tutta risposta ricevette un buffetto su una spalla, Alessio che stavolta gli sorrise, più nessuna traccia di dubbio sul suo viso:
-Vado a prendere un’altra coperta da usare mentre stiamo sul divano-.
Pietro era sicuro che, qualunque sarebbe stato il film che avrebbero deciso di guardare quella sera, non sarebbe riuscito a concentrarcisi nemmeno un secondo.
 
*
 
La musica jazz non era mai stata particolarmente nelle sue corde, ma quella sera la stava trovando piacevole. Forse era tutta l’atmosfera a renderla più interessante, perché in quel bar, in un angolo deserto di Venezia, con le vetrate oscurate per la sera già arrivata e le luci soffuse, Pietro non sarebbe riuscito ad immaginarsi nessun altro tipo di musica da ascoltare in sottofondo. Il jazz si sposava bene con l’insieme, e perlomeno lo stava aiutando a calmarsi. Cosa fondamentale per quello che lo stava attendendo.
Si rigirò il cellulare tra le mani ancora una volta, guardando l’ora: mancavano cinque minuti alle sette, l’ora in cui si sarebbero dovuti incontrare.
“Non è ancora definibile ritardo” ricordò a se stesso, “Non puoi rimproverarla per non essere arrivata in anticipo quanto te”.
Non c’era molta gente nel bar. Probabilmente i tavolini sarebbero stati occupati per la maggior parte solo dopocena. O magari tutti erano troppo impegnati a organizzare qualche festa di Capodanno in anticipo di un giorno, e nessun altro si sarebbe presentato per quella sera.
Forse solo Alice sarebbe arrivata.
Pietro le aveva scritto a Santo Stefano, in un impulso d’ansia, perché quella situazione di stallo era ben peggiore che dare finalmente una definizione ben precisa a quel che Alice aveva visto la sera in cui, inconsapevolmente, si erano incrociati a Mestre.
Gli ci erano voluti tre giorni interi per arrivare a quella conclusione, ma alla fine ci era riuscito. Non aveva idea se avrebbe avuto altrettanto coraggio nel parlarle apertamente faccia a faccia, però.
Per messaggio era stato più facile: le aveva risposto per ricambiare gli auguri di Natale, e poi si era buttato qualche minuto più tardi, chiedendole se poteva vederla per parlarle. Non aveva specificato di cosa, ma Alice probabilmente aveva capito e non aveva battuto ciglio. Aveva deciso lei il posto e l’ora, e a Pietro non sorprendeva che avesse scelto proprio quel posto. Era decisamente nello stile di Alice: tranquillo, discreto, con tutto sommato della buona musica.
Non mancava neanche il menu degli alcolici, ma stavolta si era costretto a puntare su un misero bicchiere d’acqua. Doveva essere lucido, completamente concentrato, per quel che doveva dirle.
Fu mentre prendeva un altro sorso dal suo bicchiere che scorse con la coda dell’occhio la porta del bar aprirsi, e riconobbe subito Alice. Anche lei dovette individuarlo all’istante, perché si diresse a passo sicuro verso il tavolino che Pietro aveva occupato, proprio accanto ad una delle vetrate che davano sulla calle di fronte.
-Hi- Alice lo salutò sorridente, accingendosi a sederglisi di fronte – Hai avuto difficoltà a trovare il posto?-.
-No, quasi per niente- ammise Pietro, salutandola con un gesto della mano.
“Il che è un miracolo, visto che siamo a Venezia”.
-Meglio così, o mi sarei sentita in colpa- ironizzò Alice, mentre si toglieva la sciarpa e si sfilava il cappotto, per lasciarli posati sullo schienale della sedia. Non sembrava per niente in ansia, al contrario di quanto si sentiva Pietro.
-Non sapevo se avresti detto di sì a questa cosa- ammise a mezza voce, guardando Alice di rimando. La vide contraccambiare l’occhiata con fare sorpreso:
-Why not? È da un po’ di tempo che non passiamo una serata da soli-.
Era ovvio che stesse cercando di fare il possibile per metterlo a suo agio, decisamente aspettandosi quel che stava per accadere, e Pietro le fu grato anche se non servì molto a calmarlo.
-Già-.
Rigirò il bicchiere d’acqua tra le mani, in un mero quanto inutile tentativo di prendere tempo. Sapeva che Alice era in attesa che prendesse di nuovo lui la parola, e sapeva anche che lo stava osservando. Si sentiva il suo sguardo addosso, paziente nel silenzio tra loro due.
Si chiese se avesse detto ad Alessio dove stesse andando, quando era uscita di casa. Magari aveva semplicemente accampato qualche scusa, forse aveva detto che doveva vedersi con Sergio. O forse non gli aveva detto niente. Qualcosa gli diceva che non gli avesse detto che era lui la persona che doveva vedere, in qualsiasi caso.
Prese un sospiro profondo: il tempo stava passando, e forse più ritardava il momento, più rendeva difficile dirlo e basta.
-È che … - Pietro si schiarì la gola, tenendo gli occhi abbassati – Lo so che non mi hai chiesto alcuna spiegazione e che non ne vuoi, però volevo parlarti di quel sabato. Di quando mi hai visto-.
Quando alzò a malapena il viso, vide Alice guardarlo con espressione seria:
-Lo sai che non sei costretto-.
-Lo so-.
E Pietro lo sapeva davvero, perché in fondo di Alice si fidava. Poteva averla ardentemente invidiata, anni addietro, sperato di essere al suo posto, ed essere anche stato geloso qualche volta, ma l’aveva sempre vista come un’amica. Come una persona affidabile.
E sapeva che lo era stata anche in quell’ultima settimana. Non si era comportata diversamente, né gli aveva dato l’impressione di volerlo evitare, né nient’altro di diverso dal solito. Martino avrebbe commentato la cosa dicendo che doveva essere la normalità, ma Pietro non riusciva ancora ad entrare del tutto in quell’ottica.
Alice, in ogni caso, si era comportata da amica, e non aveva fatto nulla per tradire la sua fiducia. E forse poteva aver fatto coming out già con un paio di persone, ma quello sarebbe stato il vero banco di prova.
Un po’ gli fece strano pensare che sarebbe stata Alice ad ascoltarlo, tra tutti, ma in fondo andava bene così. Doveva essere destino che fosse lei.
-Lo so- ripeté con più convinzione – Ma voglio farlo-.
Alice annuì subito, senza dire nulla. Ora era meno calma di prima, ma Pietro non l’avrebbe definita agitata. Era più emozionata. Come se si rendesse conto lei stessa, prima ancora di viverlo, dell’importanza che avrebbe rivestito quel momento.
“Andrà bene”.
Pietro non riuscì a capire da dove arrivasse quell’improvvisa ondata di ottimismo, ma preferì non lasciarla scappare. Gli sembrò di non essere solo, in quel momento.
Sospirò di nuovo, stavolta alzando il capo per guardare Alice dritta negli occhi:
-Mi hai visto entrare un in gay bar perché è quel che sono-.
Pietro sentì la propria voce tremare, ma fu solo un attimo fugace.
-Sono gay-.
Alice non disse ancora niente, ma ora gli stava sorridendo. Pietro si costrinse a non gridare per il panico e l’euforia che si sentiva addosso allo stesso tempo.
-E sei una delle prime persone a saperlo- ammise, a bassa voce.
Incredibilmente fu quella cosa a scomporre Alice dal suo silenzio, facendole aggrottare la fronte per lo stupore:
-Davvero?-.
Pietro annuì:
-Sei tipo la quinta persona in assoluto, se non sbaglio-.
“E ne dovranno seguire almeno altre cinque” si ritrovò a pensare. E poi, prima o dopo, avrebbe anche trovato il coraggio per parlarne ai suoi genitori, ai suoi fratelli … Un giorno anche ai suoi figli. Ma ci voleva un passo per volta, sempre se l’ansia non sarebbe stata troppa nelle prossime volte in cui sarebbe capitato.
Per alcuni secondi Alice non disse niente, ma gli sorrise in un modo che bastò per fargli capire che era felice. Non per sé, ma per lui.
-Mi sento molto onorata- quando parlò, dopo altri secondi, Alice aveva la voce un po’ rotta dall’emozione, e l’accento inglese aveva reso le parole un po’ più incerte.
Pietro non era del tutto certo di essersi aspettato una reazione del genere – qualcosa che andava ben oltre l’aver preso semplicemente nota del suo coming out-, e non seppe come comportarsi. Con Giada era stato disastroso, complicato in un modo che però si era del tutto aspettato. Era stato difficile anche con Fernando e Alberto, perché all’epoca ancora era nella fase in cui si odiava il più delle volte. Con Martino non era stato neanche un vero e proprio coming out: era tutto piuttosto intuibile da quando aveva messo piede per la prima volta al Celebrità.
Con Alice era diverso, forse perché lei gli stava mostrando una reazione differente dalle altre.
Quando la vide allungare una mano verso di lui, posandola sul dorso della sua, lo trovò un puro e semplice gesto di amicizia e di vicinanza.
-Pietro, I’m so proud of you- Alice glielo sussurrò a mezza voce – Dovresti esserlo anche tu-.
Anche se avrebbe un po’ faticato ad ammetterlo, Pietro sentì gli occhi farsi lucidi per davvero in quel momento.
 
Sometimes we may get tired or sick
That’s okay, I am by your side
If you and I are together
We can smile
 
Avrebbe voluto dirle che ci stava provando da anni – non solo ad essere fiero di se stesso, ma perlomeno a non vergognarsi. E forse, un po’ alla volta, stava iniziando davvero a riuscirci, e forse sarebbe stato anche grazie alle parole di Alice.
-Non ti fa strano?- le chiese, in un momento istintivo, con la voce un po’ roca – Voglio dire … Mi hai sempre visto con Giada-.
-No, non mi fa strano. Magari te ne sei reso conto tardi, magari non volevi ammetterlo- Alice scosse il capo, dandogli un’ultima stretta alla mano prima di allontanarla un po’ – Avrai avuto le tue ragioni. Ma stasera ti stai aprendo su una parte di te che sono sicura sia molto importante. Sono contenta che ti fidi abbastanza per dirmelo-.
-Non è stato facile- ammise Pietro, e per un attimo tanti ricordi tornarono alla mente – C’è stato un amico, che ho conosciuto in quel locale dove mi hai visto, che mi ha dato una mano. Ma non è stato comunque semplice per tanto tempo-.
“E con lui anche qualcun altro”.
Sapeva che, quando avrebbe raccontato a Martino di quella sera, sarebbe stato altrettanto felice di sapere che era andata bene, che glielo aveva detto che ormai era tempo di lasciarsi andare senza troppi pensieri.
E s’immaginò anche Fernando, lì di fianco a lui, sorridente allo stesso modo. Era merito soprattutto suo se ora si trovava lì con Alice, a parlarle di sé senza provare quella vergogna che lo aveva accompagnato per anni, gli anni più bui della sua vita, e forse Fernando non era fisicamente lì con lui, ma sentiva la sua presenza, sentiva la felicità che avrebbero provato insieme.
Anche Alice gli stava sorridendo, forse felice in una maniera diversa, ma non meno sincera:
-Ce l’hai fatta ora. Questo è l’importante-.
Stavolta Pietro ricambiò il sorriso.
 
These wings sprouted from my pain
But these wings are going towards the light
Even if it's tiring and painful, I will fly if I can
Will you hold my hand
So that I won’t be afraid anymore?
If you and I are together
I can smile
 
Per un attimo si chiese se quella conversazione – o almeno quella parte fondamentale- potesse dirsi conclusa. Ma passarono alcuni attimi, durante i quali Pietro si era lasciato un po’ più andare nell’ascolto della musica jazz che ancora risuonava in sottofondo nel locale, in cui Alice sembrò essere presa da un dubbio. Non era un’impressione di cui Pietro era sicuro, ma l’aveva vista corrugare la fronte per una frazione di secondo, come se stesse avendo un conflitto con se stessa. Stava forse esitando a fargli domande che avrebbero potuto sembrare imbarazzanti?
Pietro fu quasi sul punto di dirle che poteva chiedergli altre delucidazioni se qualcosa non le era chiaro – probabilmente pentendosene subito dopo-, ma stavolta Alice non si fece attendere:
-You know … Ho sempre avuto una sensazione su di te-.
Era ancora visibilmente esitante, gli occhi abbassati, e Pietro si domandò dove stesse andando a parare. Alice sospirò a fondo, prima di proseguire:
-Anni fa avevo il dubbio che tra te e Alessio potesse esserci qualcosa, ma ho sempre lasciato perdere- lo disse velocemente, un po’ a disagio, e Pietro un po’ si sentì sbiancare in viso – Non sarebbe stato carino chiedere, e poi potevano essere solo mie impressioni del tutto sbagliate-.
“Era così evidente?”.
Ricordava che anche Fernando l’aveva capito al volo, quando ancora lo conosceva del tutto superficialmente, quindi forse non era poi così strano che Alice potesse aver avuto quel dubbio. Era una persona attenta, osservatrice: di sicuro doveva aver notato qualcosa in tutti quegli anni. Non gli era mai sorta quell’incertezza, ma ora ne aveva direttamente la conferma definitiva.
Negare non sarebbe servito a niente.
-Non lo erano- ammise, arrossendo terribilmente –  Cioè … Non posso parlare per Alessio. Lui è sempre stato un mistero. Però posso parlare per me-.
Non seppe come prendere il fatto che Alice non sembrasse affatto sorpresa, quasi se lo aspettasse del tutto.
-Ne eri innamorato?-.
A quanto pareva quella era la serata delle confessioni.
Pietro sospirò a fondo, prendendone consapevolezza: ormai non poteva più negare, né riusciva a vedere il senso di continuare a fingere.
-Molto. Però poi ho preferito allontanarmi-.
Non cercò di far trasparire nella sua voce una sorta d’accusa nei confronti di Alice. Si era allontanato da Alessio anche per la sua presenza, ma era stata solo una minima parte del tutto.
-Ora le cose vanno meglio- aggiunse – Soprattutto con me stesso. E anche con lui-.
-E quindi … - lo incalzò lei.
Pietro alzò le spalle, rassegnato:
-Mi sono innamorato. Di nuovo-.
Quando avrebbe raccontato a Martino quella parte di conversazione – dove aveva ammesso senza giri di parole alla ex dell’uomo che amava di esserne stato innamorato per anni, e di esserlo tutt’ora- sapeva già che gli avrebbe riso in faccia accusandolo di starselo inventando. A ruoli inversi, Pietro avrebbe sicuramente reagito così.
Ma Alice non sembrava averla presa male. Non sembrava nemmeno turbata. Forse aveva capito tutto così tanto tempo fa che ormai aveva interiorizzato tutto a sufficienza.
-È una bella cosa, no? Però fa anche paura. Lo comprendo bene, lo sto vivendo con Sergio- disse lei, d’un tratto un sorriso malinconico e spento ad adornarle le labbra – I love him, but … -.
“Ma è sempre un casino” avrebbe voluto dire Pietro, ma tutto quello che riuscì a fare fu lasciarsi andare ad un sospiro profondo. Capiva fin troppo bene quello che stava intendendo Alice.
-Non riesco nemmeno a trovare il coraggio per chiedergli di andare a vivere insieme- mormorò lei, con voce distante.
Pietro si era chiesto più di una volta che ci facesse ancora nella stessa casa con Alessio: poteva capire lo facessero per i bambini, che erano ancora molto piccoli, ma con la presenza di Sergio la questione si faceva più complicata. Ora cominciava a capire cosa la stesse frenando così tanto: la paura di rimanere ancora ferita.
Non riuscì a darle torto.
-Non devi sentirti in colpa- le disse – Sono sicuro che ti ama e che sa perfettamente che ti ci vuole tempo. Ti aspetterà-.
 
This road may be long and rough but
Will you stay with me?
We may fall and sometimes get hurt but
Will you stay with me?
 
Volle credere che lo stesso potesse valere anche per se stesso. Che magari Alessio ci sarebbe stato per lui quando finalmente avrebbe deciso di prendere la situazione in mano, anche se, doveva ammetterlo, la loro situazione era, se possibile, ancor più complicata.
Fu pensare ad Alessio che gli fece venire in mente qualcosa:
-Non ti dà fastidio?- chiese a bruciapelo, guadagnandosi un’occhiata confusa da Alice – Che provi qualcosa per Alessio?-.
Un po’ si sentiva come quelle persone che decidono di frequentare volontariamente un ex di un amico. Forse lui ed Alice si erano un po’ persi di vista, ma la considerava ugualmente un’amica, e il senso di colpa c’era eccome.
Ma lei scosse il capo all’istante, con tranquillità:
-No. Ormai lo considero semplicemente in modo fraterno- Pietro la ascoltò mentre parlava lentamente, ponderando le parole – È il padre dei miei figli e gli vorrò sempre bene, ma l’amore che provavo per lui è finito da tempo. Ho trovato qualcuno che mi ama davvero, meglio di quanto non avrebbe mai fatto lui-.
Pietro si limitò ad annuire. Era ovvio dal modo in cui l’aveva detto che, seppur in minima parte, Alice ancora doveva essere ferita da come era finita con Alessio. Non doveva essere un dolore che le portava ancora rabbia – non poteva esserlo di certo, non quando li vedeva così pacati tra loro-, ma di sicuro più di qualche rimpianto. Un po’ la capiva: c’era stato un tempo in cui lui si era sentito in un modo molto simile ogni volta che pensava ad Alessio.
Alice tornò ad alzare lo sguardo dopo alcuni secondi, scostandosi dal viso una ciocca di capelli rossi che le era finita davanti agli occhi. Osservò Pietro in silenzio per un po’, prima di tornare a parlare:
-Però credo che da qualche parte ci sia una persona che saprà amare davvero-.
Pietro non fece nient’altro se non annuire passivamente:
-Probabilmente-.
“Ma potrei benissimo non essere io”.
Non poteva permettersi quella presunzione.
Non era più un ragazzino illuso, né qualcuno che poteva pretendere di imporre i propri sentimenti su Alessio.
Ma non poté nemmeno negare a se stesso una fitta all’altezza del petto al pensiero che, effettivamente, potesse esserci qualcun altro al mondo che potesse rendere Alessio più felice di quanto non avrebbe mai potuto fare lui.
-Dovresti provarci-.
Pietro alzò di scatto lo sguardo verso Alice, gli occhi sgranati nel chiedersi se l’avesse sentita davvero dire quelle parole, o se fosse stata solo un’allucinazione sonora.
Ma Alice gli stava sorridendo timidamente, come se si rendesse conto lei stessa dello shock che gli aveva appena causato.
-A parlargli, dico- aggiunse, con voce gentile – Non ti assicuro che possa ricambiarti, e non voglio illuderti inutilmente, però … -.
-Però?-.
Alice scosse appena il capo:
-È una sensazione anche questa, quindi nulla di provato-.
E poi lo guardò come se stesse cercando di comunicargli qualcosa che andava oltre le parole, come se le risultasse difficile potersi esprimere semplicemente a voce.
-Ma ti guarda sempre in un modo in cui non l’ho mai visto guardare nessun altro-.
Era sottinteso che intendesse “neanche me”, ma non lo disse.
E Pietro non poté fare a meno di chiedersi se gli sguardi che aveva visto Alice in Alessio fossero gli stessi sguardi che poteva aver visto in lui. Era una domanda che avrebbe voluto porle, ma la risposta poteva essere troppo pericolosa, sia che fosse stata affermativa che il suo contrario.
-Credo che ne avrò conferma solo se avrò abbastanza coraggio per farmi avanti- disse, ridendo ironicamente perché il solo pensiero di poter arrivare ad un punto simile lo terrorizzava – Per ora devo ancora trovarne per fare coming out-.
“E chissà che dirà in quel momento”.
Non credeva davvero che Alessio avrebbe preso in un qualche modo le distanze quando avrebbe saputo. Sarebbe stato un controsenso unico, illogico, ma sapere avrebbe cambiato le cose, la sua consapevolezza.
-Lo farai quando ti sentirai pronto. Ma vedrai che andrà bene- Alice gli sorrise apertamente stavolta, con affetto sincero, con vicinanza – Sai che sei hai bisogno di una mano, per qualsiasi cosa, non sei solo-.
Pietro le sorrise di rimando.
Lo sapeva, certo che lo sapeva.
Era stato solo a lungo, a vagare senza una meta. Ma ora non era solo, non più da tempo, non nel percorso che stava compiendo.
 
I never walk alone
If you and I are together, we can smile
You never walk alone
If you and I are together, we can smile
If you and I are together, we can smile [2]






 
[1] Lady Gaga - "Million reasons"
[2] BTS - "You never walk alone"
*il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Dopo alcuni giorni dagli eventi del capitolo precedenti, ritroviamo qui i nostri protagonisti a cercare di gestirne le conseguenze. La prima a provare a farlo è Caterina, che si è assunta l'onere di provare a far ragionare il fratello o, perlomeno, cercare di trovare un punto d'incontro. Un tentativo che però si rivela inutile e, anzi, finisce con Nicola che caccia di casa Lorenzo dopo aver creduto che Caterina abbia subito qualche tipo di violenza.
E mentre Caterina racconta tutto a Nicola, senza più segreti, in una zona poco distante di Venezia ritroviamo anche Giulia ... Che a quanto pare sta avendo qualche problema di salute, di cui scopriamo la natura poco più tardi.
Purtroppo per Giulia, però, la piccola "deviazione" all’ospedale ha fatto sì che i medici rivelassero, seppur involontariamente, la sua gravidanza a Filippo. Lo shock iniziale di Filippo, però, è destinato a crescere poco a poco nel corso del dialogo, quando scopre che quella gravidanza inattesa fosse il frutto della relazione tra Giulia e Lorenzo, quel Lorenzo, e che, in aggiunta, l'uomo non ne vuole sapere nulla.
Filippo, nonostante tutto, non si tira indietro e promette di rimanere vicino a Giulia, anche quanto la stessa gli chiede di rimanere ancora a casa con lei e le bimbe e rimandare il trasloco. Come si evolveranno ora le cose tra i due? Ci sarà un lento riavvicinamento o sarà solo una parentesi momentanea? E Giulia, alla fine, cosa deciderà di fare con questa gravidanza?
Dopo aver seguito Giulia e Filippo, sul finale torniamo a concentrarci su Pietro... Ed un mistero è stato svelato 👀 La sensazione di essere osservato da qualcuno la settimana precedente, mentre era con Martino al Celebrità, era in effetti fondata, e la persona ad averlo visto è proprio Alice.
Ed è proprio con lei che Pietro, per risolvere la situazione ed essere onesto, fa coming out. Il primo di una lunga serie? Questo lo scopriremo!
Ci rivediamo con il capitolo successivo mercoledì 3 aprile!

Kiara & Greyjoy
 
PS: e nel frattempo vi auguriamo una buona Pasqua!:)

 
 
   
 
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