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Autore: Yssis    24/03/2024    0 recensioni
A partire dal rapporto con suo papà (che in effetti non ha spiccate doti genitoriali) e quello con Kageyama (emotivamente costipato e dispensatore di traumi ambulante), per poi arrivare al legame con la Teikoku Gakuen (bulli griffati molto affezionati), superando la separazione da sua sorella (bu-uh) e inaspettati slanci sentimentali (le splendide cotte delle scuole medie)...
Per passare dall'impacciato magro orfanello Yuuto all'arrogante regista e capitano Kidou, la strada è lunga.
Genere: Angst, Comico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Altri, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ehi Kidou! Dato che oggi pomeriggio non abbiamo allenamenti, ti va di passare da me? Facciamo i compiti insieme e poi merenda, mamma fa dei biscotti super, li devi provare!

Forse anche Sakuma ricordava quel giorno, anche se non ci avrebbe scommesso. Sicuramente, però, per lui quel ricordo non era così significativo ed intenso come lo era per Kidou. Rievocava ancora senza sforzo quella sottile e avvolgente euforia mista ad ansia che l’aveva subito fatto annuire: sorpresa e contentezza muovevano il suo spirito di fanciullo che, inesperto di simili esperienze di condivisione fra pari, si ritrovava per la prima volta ad aver ricevuto un invito a casa di un amico. Era un evento tutt’affatto che raro o sbalorditivo in realtà, perciò cercò quanto più possibile di dissimulare la forte emozione che provava: non dovette essere un tentativo molto riuscito, perché Sakuma ridacchiò, guardandolo gongolare sul posto e riflettere ad alta voce che doveva subito chiedere il permesso a suo padre. L’amico gli aveva detto che non c’era fretta, poteva benissimo chiederlo quando fosse tornato a casa – a volte Kidou era proprio strano… Ma il coetaneo era già scappato via, in direzione della presidenza: anche lì ricevette lo stesso consiglio, avrebbe potuto parlarne a casa con suo padre. Così, Yuuto attese particolarmente emozionato la conclusione di quella mattinata di lezioni.

Tornato alla propria abitazione, annunciò trionfante l’invito ricevuto, di fronte allo sguardo impietosito dell’adulto. Quel bimbetto figlio di immigrati, orfano e gracile, nonostante tutto l’impegno e le lezioni sue e del signor Kageyama, manteneva un’indole che ispirava commozione… per non dire compassione. Stava invero dimostrando ottime attitudini, avrebbe ottenuto la migliore educazione e sarebbe stato inserito nell’ambiente più consono alle sue capacità - ambiente che non avrebbe mai raggiunto se non fosse stato per il loro intervento. Era quasi toccante.

Concesse il permesso a suo figlio di recarsi a casa della famiglia Sakuma quel pomeriggio e ne approfittò per alcune raccomandazioni doverose: vestirsi bene, portare un presente per ringraziare dell’ospitalità, salutare i genitori del suo amico, rispondere in maniera educata alle domande che gli venivano rivolte, non interrompere, non creare disturbo o disordine e convenientemente ritirarsi all’orario pattuito con l’autista senza farlo aspettare oltre. Yuuto trotterellò contento in camera sua, aprì il suo armadio e indossò il suo maglioncino preferito – rosso, con delle bordature blu sulle maniche e sul colletto. Preparò la cartella e tutto l’occorrente per fare i compiti lontano dalla propria stanza: chissà se anche Sakuma aveva tutte le penne colorate e con che colore preferiva scrivere. Si ritrovò a fantasticare e porsi domande a cui non vedeva l’ora di trovare una risposta, circa la stanzetta e la postazione di studio del suo amico. In effetti non aveva mai visto un’altra stanza, al di là della propria, e l’attesa andava fomentando l’aspettativa.

Scese dall’auto tutto contento, cerimonioso quasi: all’autista di casa, nel vederlo, parve quantomeno insolito un tale entusiasmo, ma non commentò, aiutandolo a scendere e salutandolo. Il bambino ringraziò con grande deferenza e rivolse lo sguardo alla casa di fronte a sé. Era una villetta indipendente di dimensioni molto più contenute di quella dove abitava lui, ma il giardino fuori era grazioso e ordinato, sul fondo si intravedeva anche uno scivolo su cui avrebbe volentieri giocato, se non avesse avuto troppa paura di sporcare i vestiti nuovi. Stringendo a sé il pacchetto che suo padre gli aveva dato come presente per i suoi ospiti, colto da un improvviso timore per l’ambiente sconosciuto dove andava introducendosi, Yuuto si alzò in punta di piedi e suonò al campanello di casa. Sarebbe stato sconveniente mostrarsi esitanti a quel punto, tuttavia realizzò che avrebbe potuto aprire chiunque la porta e lui, oltre a Jirou, non conosceva nessuno. I suoi timori si alleviarono vedendo spuntare sull’uscio proprio il compagno di classe, che agitò la mano in alto, in segno di saluto. Gli aprì il cancello e gli andò incontro: Kidou si introdusse nel giardino con le spalle chine, leggermente circospetto, guardandosi attorno pieno di curiosità, pronto a carpire ogni dettaglio.

Da quella prima volta, Kidou sarebbe entrato tantissime altre volte a casa di Sakuma, ma non avrebbe mai abbandonato quell’atteggiamento indiscreto, non avrebbe mai smesso di alzare di qua e di là gli occhi, affamati e ingordi di informazioni, anche semplici, banali, prevedibili, che accendevano qualcosa nel suo sguardo. Era come se fiutasse nell’ambiente domestico caratteristiche, storie, impressioni di chi lo abitava. Quel suo atteggiamento indagatore e incuriosito era qualcosa che sarebbe rimasto, anche a distanza di anni. Forse faceva parte del suo modo per adattarsi ad un ambiente dapprima sconosciuto e poi comunque estraneo alla sua quotidianità: forse erano proprio le altrui quotidianità ad attrarlo, come se potesse ammirare la possibilità che quella casa, in cui era ospite, fosse la sua. Forse, più semplicemente, da quando era rimasto orfano e aveva abbandonato la casa natia, era condannato a sentirsi ospite dappertutto.

Non che Sakuma elaborasse pensieri così complessi, vedendo il suo amico finalmente giungere in casa sua. Semplicemente era contento che fosse venuto. Lo fece accomodare, spiegandogli che suo padre era a lavoro e in casa c’era solo la sua mamma, che era curiosa di conoscerlo. Yuuto si impettì: non aveva mai parlato con una mamma. Si chiamava Mio ed era in cucina, in quel momento, a preparare il vassoio della loro merenda. Non era molto alta, aveva lunghi capelli lisci, chiari e raccolti in uno chignon, e indossava un grembiule bianco. Nei ricordi di Kidou avrebbe sempre profumato di lievito e bacche di vaniglia, come in quel loro primo incontro. Sakuma si era allontanato per far uscire il cane, in modo che non spaventasse Kidou: era un simpatico e ormai vecchio cagnolone con la lingua sempre penzoloni, ma sua mamma tutte le volte gli rammentava che le persone estranee potevano non essere abituate alla presenza di un animale in casa e doveva sempre fare in modo di mettere a loro agio gli ospiti. Yuuto, nel frattempo, si era doverosamente inchinato per salutare la padrona di casa, tutto rigido nelle sue spalle magroline.

La mamma di Jirou gli aveva sorriso con calore, dicendogli di alzare il capo: poteva chiamarla semplicemente Mio, non c’era bisogno di tante formalità, anche se era davvero educato e aveva fatto un inchino alla perfezione. Yuuto era arrossito per i complimenti ricevuti da una persona sconosciuta, dentro di lui batteva ancora il cuore dell’orfano speranzoso all’orfanotrofio: aveva porto in avanti il presente, specificando che lo mandava suo padre con grandi ringraziamenti per averlo invitato. Mio, per tutta risposta, aveva preso dal vassoio che aveva appena finito di sistemare un biscotto con una spolverata abbondante di zucchero a velo e con un occhiolino lo aveva offerto al bambino:

-Ti piacciono i biscotti, Yuuto-kun?-

Kidou annuì con foga e gli occhi brillanti, accogliendo fra le mani il dolcetto. Ringraziò a voce alta e lo portò alle labbra senza indugi: lo zucchero a velo gli sporcò il naso e lo fece starnutire in una maniera che la donna trovò adorabile. Con un fazzoletto si chinò a pulirgli il nasino, pensando che era davvero un bambino molto sfortunato, ad aver già perso i genitori a quella giovane età. Tuttavia, nella disgrazia, era stato adottato da una famiglia davvero prestigiosa, che gli avrebbe garantito un futuro splendido. Sperava soltanto che non fosse troppo difficile per lui, suo figlio gli aveva raccontato quello che era successo tempo addietro con il figlio minore dei Genda e che solo recentemente si stava facendo degli amici. Era stata lei a consigliare Jirou di invitarlo a casa per fare i compiti insieme e suo figlio non se l’era fatto ripetere.

-Sono contenta che tu sia qui, Yuuto. Vai da Jirou adesso, non ti preoccupare, grazie per essere passato a salutare. Quando è tutto pronto vi porto di sopra la merenda.-

-Grazie signora Mio, ci vediamo dopo allora!- salutò Kidou tutto contento, leccandosi appena le labbra per togliere i residui di zucchero. Era il biscotto più buono che avesse mai mangiato.

*

I pomeriggi a casa Sakuma divennero presto un’abitudine consolidata per il giovane Kidou, che per un periodo passò quasi più tempo a casa dell’amichetto che non nella propria. Adorava stare lì e, vinte le iniziali timidezze, dimostrava una confidenza con gli ambienti che faceva bene al cuore a guardarlo. Con Jirou e con gli altri compagni che talvolta si aggiungevano, formavano un gruppetto caotico e giocoso: studiavano rotolandosi sul tappeto, litigavano per il controller della console di gioco, rincorrevano il pallone in giardino inseguiti dal cane scodinzolante, che per primo andava a riposarsi all’ombra e che spesso veniva imitato.

Kidou sembrava molto a suo agio in un ambiente con tanti bambini attorno e anche i compagni di suo figlio sembravano alla donna cambiati, da quando c’era lui: era come se avessero acquisito un affiatamento diverso, una certa intesa e unione attorno a quel bambino che non si era mai visto e che recentemente era stato riconosciuto come membro del gruppo. Non che avesse doti da leader innate, ma qualcosa nel suo atteggiamento li faceva ridere e al contempo ispirava di novità e curiosità: diventarono più complici, fra loro non facevano più la spia, anzi cercavano di coprirsi a vicenda nelle marachelle che si inventavano, ringalluzziti dai permessi che Kidou otteneva prima di tutti gli altri. Lo seguivano a ruota, adoravano i suoi giocattoli: aveva i modelli più recenti e costosi e dimostrava una propensione innata alla condivisione, che certo non gli aveva insegnato la famiglia adottiva, ma gli apparteneva da prima. I bambini erano affascinati dal fatto che avesse una macchina che lo andava e veniva a prendere quando voleva, fra le altre cose, e di fronte a certe sue stranezze lo prendevano in giro, ma erano pronti a fargli da scudo tutt’attorno quando a scuola tirava una brutta aria.

Ma non era solo quel piccolo Kidou ad aver influenzato gli amichetti di Sakuma, anche loro gli stavano insegnando delle cose. Di giorno in giorno, il nuovo capitano, che quando giocava indossava quella vivace mantella rossa, assumeva sempre più una posa carismatica, quasi da diva: la sua figura sprizzava sicurezza goliardica, vedendoli insieme era evidente come cercasse di imitare il tono dei suoi compagni, quel modo di tenere il petto all’infuori e di stringere i pugni per destare paura e soggezione negli altri. Imparava a ostentare ciò che aveva, a sentirsi confidente con il suo nome e con l’ambiente che frequentava, in cui era sempre più inserito. La casa di Sakuma era la sua alcova di benessere e la sua palestra sociale: sembrava rilassato all’idea di trovarsi lì, al contempo la viveva come il momento delle prove sul palco, precedente allo spettacolo vero e proprio.

-Sai, Sakuma.– gli disse una volta, mentre erano loro due soli, seduti sul tappeto della camera da letto del celeste e sfogliavano dei giornalini: –Tua mamma è proprio bella.-

Era disteso supino, con i gomiti appoggiati a terra su cui faceva leva per sollevare il busto. Aveva alzato lo sguardo dalla rivista e teneva gli occhi su uno scaffale della libreria, su cui erano posizionate alcune foto incorniciate della loro famiglia: mamma e papà seduti sulla spiaggia e fra loro un piccolo Jirou di due anni, una un poco mossa dove di spalle si vedeva suo padre che camminava tenendo Jirou sulla schiena, la sua mamma sdraiata sul tappeto, con i capelli tutti in disordine che rideva abbracciando il suo cane, Jirou in groppa al cane… Erano foto domestiche o di vacanze, che trasmettevano pace nell’animo di Yuuto e un pizzico di invidia. Erano proprio felici e sembrava che sarebbe stato così per sempre. Avrebbe voluto anche lui avere delle foto così con sua sorella e i suoi genitori.

-Beh sì… Immagino di sì…-, aveva risposto intanto Jirou, un poco perplesso e inquietato dal commento del coetaneo. Avevano dieci anni e, insomma, era strano che un suo compagno di squadra facesse degli apprezzamenti su sua madre. –E’ mia madre…- ripeté, come se ciò bastasse a liquidare la riflessione che aveva suscitato in Yuuto la necessità di fare quel commento proprio strano.

Non che in Kidou ci fosse malizia di qualsiasi tipo, ma non fece mai mistero del fascino di quell’ambiente e di quella figura nella sua vita. Mio invero gli si era affezionata, lo accoglieva sempre con piacere in casa, preparandogli i piatti che sapeva gli piacevano di più; lo stava effettivamente vedendo crescere. I commenti provocanti e maliziosi nella squadra, all’ingresso delle loro medie superiori, si infittirono, divennero letteralmente un tormentone delle loro giornate.

*

-Devo sperare che venga Kidou a casa mia: se non c’è lui, mamma mica li prepara i biscotti e le torte buone!-

Si stava lamentando Sakuma con Genda, mentre finivano di farsi la doccia, dopo gli allenamenti. Il portiere si tamponava i capelli, ascoltando il compagno parlare con occhi divertiti. 

-Pensavo, essendo figlio unico, di essere scampato a certi paragoni: invece, da quando viene Kidou a casa mia, i miei sono sempre lì a dirmi “perché non studi come Yuuto, perché non prendi i voti alti di Kidou-kun?”: è la mia rovina!- e ancora… -Mi ha persino chiesto se poteva chiederle il numero di telefono!-

-Kidou ha il numero di telefono di tua madre?!- Genda non si trattenne più e scoppiò a ridere di gusto. –Cazzo, Sakuma, è una cosa seria. Kidou si fa tua madre .-

-Non dirlo manco per scherzo! Maddai, è mia madre !- piagnucolò il celeste, avvolgendosi i capelli in un turbante per asciugarsi il corpo. -Si può sapere cosa diamine ha in testa?-

-Evidentemente, le tette di tua madre.-, lo punzecchiò ancora, dandogli una spallata. Sakuma perse l’equilibrio, appoggiando il piede in un punto del pavimento bagnato, e rischiò un capitombolo a terra: Genda prontamente lo afferrò per le spalle e lo portò a sedersi, sventando il pericolo.

-Eh no, col cazzo, un’altra sospensione non me la prendo.– proferì e Sakuma gli tirò un bel calcio nel culo.

-Te lo meriti. E smettila di dire parolacce, rischi di essere sospeso anche per quelle se ti sente il preside o qualche docente particolarmente in vena.–

-Che noia ‘sta scuola, non vedo l’ora che finisca.– borbottò il portiere, riprendendo ad asciugarsi.

-Dai, un paio di mesi e poi è finita.-

-Chissà d’estate come farà Kidou a incontrarsi con tua madre…- tornò alla carica il rosso, gongolante al pensiero di comunicare il sugoso gossip anche agli altri.

-Piantala! E’ inquietante-

-Chi, il capitano o l’idea del capitano con tua madre?-

-Genda Koujirou, se non la smetti con questa storia te ne faccio pentire.-

-Oooh Sakuma ti prego, non farmi male, sto morendo di paura. - ghignò perfidamente, chinandosi su di lui. Sakuma gli tirò un pizzicotto fra il naso e la guancia, facendolo squittire di dolore.

In quel momento passò per gli spogliatoi Kidou, che appunto era al telefono.

-Sì, abbiamo finito adesso in effetti. Davvero, possiamo? Sarebbe splendido, allora a dopo!- chiuse la chiamata e, sollevando gli occhi sorridenti, incontrò lo sguardo paonazzo di imbarazzo di Sakuma e l’espressione sogghignante e sognante di Genda.

-Che avete da guardarmi così?-

-Con chi eri al telefono, Kidou-kun?- gongolò Genda andandogli incontro: Sakuma avrebbe voluto sprofondare, Genda stava per scatenare il caos.

Kidou fece spallucce: -Con la mamma di Sakuma, dice che possiamo passare a casa prima di cena, così guardiamo lì tutti insieme la partita dell’altra semifinale.-

Genda aveva smesso di ascoltare a metà della frase e le sue grasse risate avevano attratto gli altri loro compagni, ancora nelle docce o già di fuori, che si stavano ritirando: spuntarono, affacciandosi sulla porta degli spogliatoi, con sguardi famelici di curiosità.

-Che avete tanto da ridere?– chiese infatti Jimon, avvicinandosi a Genda che aveva giocosamente preso per le spalle Kidou e gli stava strofinando il capo, sfilandogli i rasta dalla coda. Yuuto non capiva che diamine avesse da sghignazzare con tanta soddisfazione.

-Eh eh il nostro capitano è il più sveglio di tutti, ragazzi. Noi qui a dire cazzate e lui già fa strage di cuori! Ha persino conquistato Mio.- gongolò trionfante, mentre Kidou si dimenava senza successo, cercando di scrollarselo di dosso.

Narukami si avvicinò a Sakuma con aria perplessa:

-Kidou ti ruba la mamma, Sakuma-kun?-

Il celeste era paonazzo dall’imbarazzo e avrebbe volentieri preso a pugni il loro portiere. Per fortuna Kidou, con una scrollata di spalle e con quel tono serio, che non ammetteva repliche e che aveva imparato dal comandante, liquidò la cosa.

-Genda, per favore, non dire stupidaggini.-

Ma il portiere era troppo divertito da quella dinamica per farsi inibire subito e provò a ribattere: -Perché allora andiamo sempre da Sakuma a vedere le partite? Potremmo venire tutti da te, c’è anche più spazio.-

-E’ vero.– riconobbe Kidou, per poi sfoggiare un sorriso pacato e tanto lieve da sembrare quasi dipinto. -Se volete possiamo stare da me, per le prossime volte. Ma quella di Sakuma è una proprio una bella casa .– si interruppe un momento, come se avesse detto qualcosa di importante, eppure non lo capì nessuno, nemmeno lui, così continuò: -E comunque ho già detto a Mio che andiamo, per cui adesso preparatevi che la partita inizia fra un’ora.-

La discussione languì così, a casa di Sakuma si stava effettivamente bene: Kidou fece attenzione in seguito a fare meno commenti a riguardo, ma il tormentone aveva preso avvio e lui lo sopportava con una pacatezza d’animo che Jirou trovava inspiegabile. Era arci-sicuro che, a discapito dei risolini di Jimon e Genda, non ci fosse niente fra sua madre e il suo migliore amico, e indubbiamente casa Kidou era più grande e bella… Eppure a Yuuto piaceva stare a casa di Sakuma e quei biscotti alla vaniglia con la nevicata di zucchero sopra erano la sua merenda del cuore.

-Signora Mio, ha visto!? Abbiamo vinto, abbiamo vinto il football frontier! Siamo i campioni!-

-STAI SCHERZANDO, KIDOU?! Magari volevo chiamarla io, mia madre!!-

-Arrenditi Sakuma, il capitano ti ha proprio rubato la mamma.-

author's corner
Nella vita di Kidou c'è un surplus di papà, ma una evidente carenza di mamme. Così ho provato a porre rimedio :)
  
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