“A volte la vita con sue
imprevedibili giravolte ti porta là dove
mai avresti creduto d’approdare.”
Questo il
pensiero di Haruka dopo aver sputato l’ultimo
rimasuglio del disgustoso amalgama del quale sentiva ancora
l’orrendo sapore in
bocca.
“Adesso
che succede?” Si
chiese Michiru aprendo un occhio e guardando in direzione del bagno.
Magari era
ancora mezza intontita dal sonno, ma le era parso chiaramente
d’udire l’inequivocabile
rumore di chi si sta strozzando, immediatamente seguito da una sequela
d’improperi
a lei diretti e nient’affatto velati.
Haruka
poggiò le mani al lavabo, e guardandosi fissa nello
specchio soprastante, si di disse che quanto stava scendendo,
vorticando per lo
scarico, giù fino alle fogne a far compagnia ai ratti, altro
non erano che i rimanenti
brandelli della sua dignità.
“Quella
donna mi sta facendo a pezzi…”
Pensò
e, scuotendo il capo sconfortata poggiò la fronte alla
superficie fredda ed inanimata, come a cercare nel suo stesso riflesso
la forza
per sopportare ed andare avanti. Amava Michiru, nessun ripensamento a
riguardo,
ma, quando accadevano simili cose, si chiedeva se per caso questa non
stesse impartendole
una lenta e trasversale punizione per i suoi passati indugi e tutto il
tempo
durante il quale l’aveva fatta trepidare in fremente attesa.
“Maledizione”,
rifletté,
sbatacchiando gli stipi e perlustrandone le mensole, presa nella caccia
che
quotidianamente la vedeva alla disperata ricerca dei suoi pochi, miseri
e ormai
dispersi averi, “sapevo che non sarebbe stata una
passeggiata, come pure che la
convivenza si nutre di compromessi e vicendevole spirito
d’abnegazione. Ma
questo è il colmo!”
“Ma
che diavolo sta
combinando?”
Silenziosamente
Michiru scivolò tra le lenzuola e a passi felpati si
approssimò alla porta. Indispettita
per quanto si vedeva costretta a fare, nonché dal fatto che
era lì, lì per riaddormentarsi,
quando Haruka aveva ricominciato con quel baccano d’inferno,
poggiò l’occhio
alla toppa e inorridita vide che l’intero contenuto del suo
beautycase veniva
fatto oggetto d’esperimenti aeronautici. Ad uno ad uno
infatti venivano presi,
sommariamente osservati e infine fatti volare in direzione imprecisata.
“Dove
accidenti è il collutorio?!”
Con una manata
definitiva Haruka sperperò migliaia di yen di
prodotti cosmetici mentre, con le fauci in fiamme, rifletteva sulla
natura
contraddittoria del legame che la teneva avvinta. E, siccome le ore
antelucane
si prestano particolarmente bene alle recriminazioni,
rifletté sul fatto che
ultimamente la sua routine era stata alquanto stravolta. E, intanto che
la sua ricerca
proseguiva nei cassetti, continuava a ragionare dicendosi che
sì, probabilmente
la sua precedente vita era fin troppo solitaria e priva
d’amore, ma che il ritrovarsi
il tubetto di crema depilatoria della sua dolce metà laddove
normalmente teneva
il dentifricio, e improvvida lavarcisi i denti, la faceva alquanto
dubitare della
giustezza della sua scelta.
“Perché
non si può cominciare la giornata così!”
“La
solita
rincoglionita.”
Pensò
Michiru quando
afferrò la cagione che aveva scatenata la bestia
così presto. E d’accordo, forse
non avrebbe dovuto lasciare quella roba a portata di mano,
però chi era a
lamentarsi al minimo segno di ricrescita? La faceva facile lei, era
bionda e
fingeva di essere un maschio, quindi come poteva capire? Inoltre una
disattenzione poteva capitare, come se poi sua signoria, non
più tardi di una
settimana prima, non le avesse mosso la medesima obiezione a riguardo.
Per cui
com’è che era? Se Haruka si beveva le sue lenti a
contatto, scambiando il contenitore
in cui le aveva lasciate in ammollo sul comodino per un bicchiere
d’acqua di
fonte, era colpa dello stress. Viceversa, se lei tralasciava di riporre
un
tubetto, che con tutta evidenza non era dentifricio, sia per
l’odore, che
per consistenza, per non parlare dell’evidente
illustrazione sull’involucro, era senza fallo una
disordinata?
“Se
così è, ben ti sta
amore mio.”
E detto
ciò Michiru se
ne ritornò al calduccio.
Trovata
finalmente la sospirata bottiglia Haruka vi si
attaccò come un avvinazzato. E, ingollando il mentolato
fluido, non poté far a
meno di notare quanto la tinta di quel balsamo per le sue gengive
urlanti fosse
somigliante al colore dei capelli che tanto le piaceva accarezzare,
nonché del
vello che Michiru eliminava mediante la letale crema che aveva avuto
modo di degustare.
Folgorata quindi comprese che il sunto a margine di quella convivenza,
altro non
era che la labile differenza che intercorreva tra un pelo e un capello.
“E io
che sarei, un apostrofo biondo tra una depilata e
l’altra?!”
Si chiese, per
poi concluderne che come persona ormai si ritrovava
ad essere diventata, né più né meno,
il netto risultante tra la gioia d’averla
accanto e i fastidi che ne potevano derivare. Una partita doppia
insomma, dove
il benessere dell’addormentarsi tra le sue braccia veniva
equamente bilanciato l’indomani
nell’aprire il garage e scoprire che la fiancata della spider
era rigata e
sverniciata.
“Quisquilie
davanti all’altare del
grande amore d’accordo”,
ammise
sbuffando, “ma certe considerazioni fanno male
all’orgoglio e ancor di più all’igiene
dentale!”
“Eccola
che ritorna.”
A bella posta
Michiru fece
finta di dormire, come se non volesse essere disturbata, anche se, al
primo
sentore del ruotare della porta sui cardini, abilmente s’era
mossa per far sì
che le lenzuola le scivolassero completamente di dosso e apparisse, a
chi
faceva il suo ingresso, come la versione aggiornata della Maya.
Sospirò
lievemente e sperò che il volto non la tradisse, mentre
tutta una serie di
pensieri le attraversava la mente e gli angoli della bocca le si
volevano per
forza piegare all’insù in un sorisetto di malizia
mal trattenuta.
“Che
farà adesso?”
A passo di
carica Haruka varcò la soglia, aveva tutta
l’intenzione
infatti di farle una ramanzina senza fine per quanto accaduto ma, alla
vista di
lei che giaceva dormiente, e completamente vulnerabile, tra le coltri,
rimase
interdetta sull’uscio. Chiaramente non era la prima volta che
la vedeva in
negligé, anzi, la tigre del materasso ne aveva
un’intera collezione da
sfoggiare, né considerava soltanto adesso quanto le sue
forme fossero diafane e
delicate se paragonate alle sue. Ma a quel punto, su due piedi e con
ancora un
grumo d’epilady incastrato tra i molari, capì
infine quanto fosse solo mera apparenza e
chi davvero comandasse in quella casa. Perciò non aveva assolutamente nessuna
possibilità di salvarsi.
“Mm,
tesoro.”
Mormorò
Michiru
impunita, dandole una prolungata carezza al volto, quando
l’altra, vinta e
assai perplessa, la svegliò.
“Piccola
donna, grandi rotture!”
Sentenziò
saggiamente Haruka. Ma non diede voce a quest’intuizione,
e porgendole la vestaglia, si avviò verso la cucina
ripromettendosi di esaminare
bene la scatola e il contenuto prima di mettere su il caffè.
N.d.A.
Eccomi qui nuovamente alle prese con queste due
impedite.
Devo dire che un po’ mi mancavano, oltre al fatto che ogni promessa è un debito e che avevo voglia di divertirmi un po’ a mettere alla berlina tutte le seriosità cui le avevo fatte oggetto in precedenza. Non so dove mi porterà questa sorta di divertissment, giacché nel pieno delle mie facoltà mentali ammetto di sapere dove il tutto comincia, ma d’ignorare totalmente le infinite variabili che quest’esperimento potrà assumere. Una cosa sola è sicura, impererà un canone inverso dove le sicurezze acclarate in precedenza verranno sovvertite dal paradosso.
Già che ci sono spendo due righe per gli
altri miei lavori in corso.
Per quanto riguarda “Ricordati di
me” è prossimo l’aggiornamento,
“Andante” invece è una gravidanza un
po’ più complicata, ma spero presto di
uscire dal mio stallo. Quanto alle “Figlie della
tigre”, pure se non
sembrerebbe, la cucciolata è ancora viva,
tant’è, pensavo
di riscriverla ex novo, in quanto, a
rileggerla, trovo l’attuale stesura insoddisfacente.
“Osmosi” invece prosegue
sul suo binario discontinuo, ma del resto, essendo una serie di storie
slegate
l’una dall’altra, va bene così.
Infine ne approfitto per ringraziare chi, con la
sorprendente richiesta
d’un messaggio autografo, mi
ha riempito
di soddisfazione, ma pure d’imbarazzo. Giuro, non me
l’aspettavo affatto,
perciò grazie infinite, poiché per un
irripetibile momento m’è
parso d’avverare un sogno a lungo
vagheggiato.
Bene, per il momento è tutto
e mi auguro che quest’esperimento diverta
chi legge nella stessa misura di chi l’ha scritto.