LE LUCERTOLE DI AL-IDUN
1.
Camminava lentamente sulla sabbia bagnata e compatta, lasciando che le onde
le lambissero di tanto in tanto i piedi scalzi. L'acqua era molto fredda, ma
la sopportava. In mezzo a tutta quella confusione di bagnanti, bambinetti lasciati
liberi di infastidire e teli da sabbia stesi ovunque, la noia di qualche spruzzo
d'acqua gelida e salmastra era il minore dei mali. Osservò per qualche passo il
procedere della sua ombra, netta e scura, ingigantita dal grande cappello di paglia
dalla tesa larga che si era comprata al piccolo suk di al-Idun, propaggine
marittima della metropoli, di cui poteva vedere i bassi edifici bianchi scorrere
alla sua sinistra. Erano tutte strutture turistiche, quelle: alberghi di lusso
addossati a residence esclusivi, quartieri per benestanti che si alternavano a
grappoli di casette in muratura, tutto frutto di speculazione edilizia e di abusivismo
condonato. Una vera porcheria. Distolse lo sguardo da quell'orrore di cemento decorato
da paraboliche bianche spalancate verso il cielo per volgerlo dalla parte opposta,
verso il mare. Che stranezza, pensò. Un'astronauta che si fa sorprendere dalla
grandezza di una pozzanghera come il Mediterraneo. Quel che ne resta, ovviamente. Lontane,
dipinte volutamente di azzurro chiaro per confonderle con l'orizzonte, erano visibili
a stento le dighe galleggianti che si occupavano di impedire, nei limiti del possibile,
l'avvicinarsi di mucillagini radioattive e puzzolenti. Chissà cos'altro galleggiava sul
pelo dell'acqua oltre quelle barriere. Di quello che c'era sotto infatti se ne sapeva fin
troppo. Appeso al collo, sagomato a forma di pietra preziosa oblunga e sfaccettata per
dargli un aspetto più invitante, portava come tutti un emettitore grande come un dito
che attivandosi a contatto con l'acqua avrebbe dovuto rendere sicura ogni nuotata.
Camminava svogliatamente, i sandali unisex di gomma blu ciondolanti da una mano e una
borsetta resistente all'acqua nell'altra. Sotto un braccio teneva un telo da sabbia
comprato per l'occasione, strettamente arrotolato. Si chiedeva cosa ci facesse lei in
quel posto: in mezzo a tutta quella gente si sentiva a disagio. Era cresciuta sul pianeta,
sola nell'ovatta della gigantesca villa della madre avara, circondata solo da servitori,
tutori e guardie del corpo. Da dove le giungeva quel desiderio di ulteriore solitudine?
Scansò due giovanissimi fidanzatini che venivano in senso contrario, mano nella mano,
gli occhi di ciascuno persi dentro quelli dell'altro. Belli e perfetti, li invidiò: ammirò
la loro pelle bruna lucida d'olio solare, i capelli neri, la muscolatura tonica e ben
disegnata di lui, quella asciutta e snella di lei.
Si sentì come derubata, privata di qualcosa e si voltò a cercarlo con gli occhi: perché non
era lì con lei? Le aveva detto di non sapere nuotare eppure ogni scusa era buona per andare
a immergersi. L'ultima volta che l'aveva piantata lì da sola per buttarsi in acqua era stato
perché le aveva promesso una conchiglia. Che illuso. Eccolo: un poco più indietro rispetto a
lei, stava tornando a riva proprio in quel momento, sollevando spruzzi bianchi. Colpito in
pieno dal sole che gli faceva strizzare gli occhi, il suo fisico da sollevatore di pesi
sembrava persino più massiccio e imponente. Le gocce d'acqua ancora aggrappate alla sua
pelle brillavano ciascuna come un sole in miniatura. Il costume da bagno, di poco più
grande di un coprisesso maschile omologato, non lasciava molto all'immaginazione. Ansimava
affaticato e pensò che forse sarebbe stata la volta buona che l'avrebbe smessa di
tuffarsi. Si lasciò raggiungere, prendendosi tutto il tempo per osservarlo compiaciuta.
- Tuffati, è bellissimo.
- Non mi va – rispose lei asciutta. Non sapeva nuotare e gliel'aveva detto. Ma lui continuava
a far finta di non aver capito.
- Non sai cosa ti perdi – insisté. Stava già recuperando il fiato. Sgocciolava acqua salata e
passandosi una mano tra i corti capelli inzuppati e appiccicati alla testa, la spruzzò senza
volere. L'acqua era fredda ed evaporò rapidamente a contatto con la sua pelle bollente per la
prolungata esposizione al sole.
- I suoi abitanti – gli diede un colpetto al ciondolo emettitore. Somigliante a una vera gemma,
era verde chiaro, opaco e posato su quel petto ampio sembrava più piccolo.
- Sono rimasti in casa – le sorrise alzando il braccio sinistro. Al polso portava un bracciale
emettitore di tipo un po' più prestante di quello che era obbligatorio avere al collo.
- Te lo presto – accennò a sfilarsi l'emettitore da polso.
- No, grazie.
- Vengo con te a farti la guardia mentre nuoti.
Lei sorrise, ma disse ancora no.
- Ti aggrappi a me.
- Ho detto di no.
- Ti porto in braccio.
- Uffa! - sbottò lei, ma ridendo – Non ci vengo in acqua!
Riprese a passeggiare e lui le fu subito al fianco, in silenzio. Sentiva che era di
buon umore: ormai aveva imparato a capire quando era esuberante e quando invece così
ombroso da dover essere lasciato a bollire nel proprio brodo. Un'onda più lunga delle
altre le schizzò i polpacci e le ginocchia. Qualcosa le tirò la scollatura della lunga
canotta arancione, dalla parte della schiena.
- Ma che fai? - disse voltandosi, infastidita. Era lui a tirarle la scollatura per sbirciarci dentro.
- Ma hai il costume da bagno sotto...
- E allora?
- Perché ti sei messa questa roba? - con un dito tozzo le sollevò una larga spallina della canotta.
- Hey, sono io che decido come mi vesto, chiaro? - adesso la stava davvero seccando.
- Non ti vergognerai mica, eh? Ma ti sei guardata intorno?
Certo che si era guardata intorno! Il senso del pudore era il vero grande assente su quelle
spiagge: c'era gente che avrebbe dovuto uscire di casa indossando uno scafandro da vuoto e
invece esibiva il peggio del proprio corpo con una indifferenza preoccupante. Avevano attraversato
anche una spiaggia di nudisti ed era rimasta davvero in imbarazzo. Donne e uomini, giovani e
vecchi... tutti insieme, completamente nudi. Certe volte le sembrava che la sua morale fosse
rimasta ferma a tre secoli prima. Non si era mai sentita così: le era sempre stato tutto
indifferente. Ma ora non più. Non voleva mettersi nel mucchio insieme agli altri. Lui le aveva
regalato un bellissimo costume da bagno, indovinando anche la taglia, e lei lo aveva indossato
subito. Aveva dovuto radersi l'inguine per poterlo usare. Pensò che forse era stato quello a
darle fastidio. Ma se a lui piacciono rasate, non me lo poteva semplicemente chiedere? Gli mise
il broncio: detestava sentirsi manipolata.
- Non mi rispondi? - la stuzzicò ancora spingendole con dolcezza un dito contro le costole, ma lei
reagì allontanandolo, sbuffando stizzita. Un mugghiante mezzo della polizia, con ruote a pallone
dotate di tasselli molto pronunciati per garantire la miglior presa sulla sabbia, li sorpassò e
andò a fermarsi una cinquantina di metri più avanti, proprio davanti a loro.
- E adesso che c'è? - mormorò lui allungando il collo. Lo sbirciò di sottecchi: quando teneva
la schiena così dritta il ventre gli diventava piatto e i pettorali sembravano quasi raddoppiare. In
quel momento gli avrebbe perdonato qualsiasi cosa. Ma non stava guardando lei.
Le sfilò il telo da sabbia da sotto il braccio e lo srotolò. Granelli di sabbia volarono via ovunque,
infastidendo i bagnanti che se ne stavano seduti e sdraiati lì vicino, ma nessuno osò protestare. Se
lo annodò sul petto, trasformandolo in una gonna lunga fino ai piedi. Quando raggiunsero il punto in
cui il veicolo monoposto a tre ruote si era fermato trovarono una poliziotta in divisa intenta a
digitare sul portatile, una ragazzina seminuda in lacrime, le due amiche che la consolavano e un
capannello di dannati curiosi intorno. Afferrò brandelli di conversazione qua e là, ma non ci capì
molto. Troppo curiosa per trattenersi, una volta che si furono allontanati si voltò verso di lui.
- Hai capito cosa è successo?
- Le ha ritirato il permesso di balneazione perché il coprisesso non è regolamentare.