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Autore: Valaus    22/03/2010    5 recensioni
Ottobre ed Aprile non sono solo due mesi qualunque. Sono l'Inverno e la Primavera, il Freddo ed il Tepore, l'Oscurità e la Luce, la Notte ed il Giorno. Ottobre ed Aprile sono due opposti, due mondi a parte, incongiungibili.
Allo stesso modo sono Draco Malfoy ed Hermione Granger. L'uno Ottobre, l'altra Aprile. Due opposti che non dovrebbero mai incontrarsi. Destinati ad odiarsi, a fronteggiarsi. Semplicemente impossibili.
Ma per Draco Malfoy ed Hermione Granger, "impossibile" è solo una parola come tante.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wow, sono colpita! O.o
Non mi aspettavo un simile seguito per il primo capitolo, sono lusingata!!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, seguito, messo tra i preferiti, ricordato... anche solo chi ha aperto la pagina per sbaglio e l'ha subito richiusa, grazie di cuore a tutti!
E grazie in particolar modo a chi mi ha recensito: Whitney (sono contenta che tu abbia apprezzato il mio consiglio sulla canzone! Anch'io l'ho trovata fin da subito adattissima a loro, ormai quando la ascolto non riesco a non immaginarmela incentrata su Draco ed Hermione!), stefy89d, Mirya (grazie mille per il suggerimento sul "se stesso", e se noti qualche altro eventuale errore, non farti scrupoli a segnalarmelo!), ross_ana e barbarak. Grazie grazie grazie, davvero!! ;)

Speravo di riuscire a postare questo secondo capitolo un pò prima, ma purtroppo tra l'università ed altri impegni vari il tempo non è decisamente dalla mia parte!
Ad ogni modo, penso di essere stata abbastanza veloce, tutto sommato.
Perciò, sperando che per il prossimo aggiornamento non vi siano intoppi e/o ritardi, vi lascio alla lettura!
















2.

“Child of light, shining star
Fire in her heart”







Respira Hermione, respira.
Ce la puoi fare.
Non è mica nulla di così trascendentale! Si tratta solo di fare il tuo lavoro.
Devi prenderti cura di un paziente.
Un paziente ferito.
Un povero paziente ferito.
Un povero paziente ferito che potrebbe farti fuori nel giro di pochi secondi.
No, non hai nulla da temere, sei al sicuro in quella stanza, la sua magia non funziona quindi non può farti un fico secco.
In teoria...
Potrebbe sempre decidere di strangolarti.
Oh Merlino, potrebbe farlo seriamente!!!
Dannazione, sono protetta dagli incantesimi, ma non dalla violenza fisica!
Per la maledettissima miseriaccia, quello mi ammazza!
Si si, lo so, mi ammazza.
Prima della fine della settimana mi fa fuori.
Settimana?! Prima della fine della GIORNATA!
No... no...
Calma...
Respira a fondo, fai arrivare l’ossigeno al cervello...
Non può farti niente.
E’ un Mangiamorte, è vero. Anzi, è IL Mangiamorte.
Ma non può farti niente.
Pensa positivo, non avere paura.
E’ Malfoy... è lo stesso Malfoy che hai incrociato ogni giorno per sette anni nei corridoi della scuola. La cosa peggiore che ti abbia mai fatto è stata chiamarti Mezzosangue.
Stai tranquilla, andrà tutto bene.
Mal che vada, Harry e Ron vendicheranno la tua morte...
Sai che consolazione!



~ω~





Hermione entrò nella stanza riservata a Draco Malfoy, per la sua quotidiana visita delle sette. Non si stupì di trovarlo nella stessa posizione delle mattine precedenti, sdraiato e col viso rivolto verso la finestra socchiusa.
Tanto meglio, preferiva non incontrare affatto il suo sguardo.
Avanzò col suo solito incedere sicuro e fiero.
Una farsa.
In realtà, era terrorizzata.
Per quanto poco prima di fare il suo ingresso nella stanza avesse tentato una sorta di training autogeno con la speranza di calmare gli incontrollabili battiti del suo cuore spaventato, era servito a ben poco.
Non poteva nasconderlo a se stessa, aveva una paura folle di lui in quel momento.
L’importante era solo non darlo vedere all’ex-Serpeverde.
Ricordava fin troppo bene gli insegnamenti ricevuti all’Accademia di Medicina Magica. Una delle prime regole che le avevano trasmesso era “mai mostrarsi spaventati”. Una sorta di prestito dal mondo animale.
Non c’è cosa peggiore che titubare ed indietreggiare di fronte ad una belva ferita. Ti si pappa in un sol boccone, prima ancora che tu ti renda conto di cosa sta succedendo.
Quando il professor McLandley usò quelle parole, lei e tutti i suoi compagni di corso sorrisero a quel buffo ed insolito paragone.
Ma mai come in quel momento, capiva che l’espressione era decisamente azzeccata.
Si avvicinò al letto con passi lenti ma decisi. Malfoy non parve prestarle la minima attenzione, continuava a fissare i pallidi raggi di sole del primo mattino con uno sguardo indecifrabile.
La ragazza non poté evitare di sentirsi quasi rasserenata da quel pesante silenzio. Indubbiamente, era molto meglio di ciò che era avvenuto nei tre giorni precedenti.

Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Le ferite che aveva riportato erano troppo gravi e troppo profonde perché gli bastasse una sola notte per rimettersi. Era troppo poco, persino per uno come lui.
Sapeva che da un momento all’altro l’antidolorifico che gli aveva iniettato via flebo avrebbe esaurito i suoi effetti. Sapeva che presto avrebbe iniziato a sentire il dolore. Un dolore atroce, acuto, penetrante, quasi disumano.
Ma non aveva idea che la sua reazione sarebbe stata tanto spropositata.
Soffriva, e anche parecchio, doveva dargliene atto. Ma ciò non giustificava la rabbia e la cattiveria con cui si era scagliato contro di lei. Non giustificava le urla, gli insulti, la distruzione di qualunque oggetto fosse presente nella stanza, che Hermione era stata costretta a riparare più volte per ritrovarlo puntualmente ad ogni nuova visita distrutto un’altra volta.
Non giustificava l’aggressione verbale di cui era stata vittima per tre giorni di fila.
E soprattutto, non giustificava l’aggressione fisica del giorno prima.
Sempre immersa nel silenzio quasi lugubre di quella stanza, sondò il corpo del biondino con la propria bacchetta, per controllare le sue condizioni.
Il suo sguardo si posò quasi involontariamente sul braccio destro del ragazzo, abbandonato sul lenzuolo bianco. Il Marchio Nero troneggiava, maestoso e terrificante, segnando a vita quella pelle emaciata e liscia.
Rabbrividì, al pensiero di ciò che quel tatuaggio significava.
Un lungo brivido le percorse la schiena, quando rifletté su ciò che il giovane che le stava davanti aveva compiuto in nome di quel disegno.
E non poté evitare di sussultare, al ricordo di ciò che era avvenuto la sera prima. Come in un flashback, rivide nella sua testa la scena che aveva vissuto.
Ripensò a Malfoy che, livido e furente, le si avventava contro, ringhiando come un animale; alla violenza con cui l’aveva spinta schiena contro il muro; alla forza con cui la sua mano si era chiusa sul suo collo, mozzandole il fiato. Ricordò l’orrenda sensazione di soffocamento, i suoi piedi che sfioravano il pavimento solo con le punte, le sue deboli mani che cercavano inutilmente di liberarsi da quella stretta. Anche la sera precedente si era soffermata ad osservare quel tatuaggio. Ma da una prospettiva ben diversa.
Se ora era solo il minaccioso monito di ciò che era stato e sarebbe potuto essere se lui non si fosse fermato di colpo, alcune ore prima aveva rappresentato per lei quanto di più prossimo alla morte.
L’aveva visto pulsare sopra le sue vene tese dallo sforzo e dalla rabbia. E poi, aveva visto i suoi occhi.
Quegli occhi che ogni volta la sconcertavano per la loro bellezza, ma che in quel momento, dilatati e lucidi per il dolore e la furia, le avevano solo fatto provare un indicibile terrore.
Era certa che non sarebbe uscita viva da quella stanza.
Sentiva che la sua ora era giunta. Le forze la stavano lentamente abbandonando, facendola scivolare verso un penoso oblio.
Ma poi, fortunatamente, Malfoy era rinsavito.
Si era bloccato di colpo, mollando la presa sul collo della moretta. Debole e provata, lei era crollata a terra, incredula nell’essere ancora viva. Aveva inspirato ed espirato rapidamente, più e più volte, con una foga che forse mai aveva avuto prima. Aria, aveva bisogno solo d’aria, di quell’aria che le era stata negata per lunghi ed interminabili minuti, nemmeno lei sapeva quanti di preciso.
Il ragazzo era rimasto immobile a fissarla, ad occhi sgranati.
Come se avesse realizzato solo in quell’istante ciò che aveva fatto, e ne fosse spaventato a sua volta.
Poi, voltandole le spalle, le aveva intimato di andarsene.
L’aveva sussurrato, in tono più supplicante che minaccioso, ed Hermione non se l’era fatto ripetere due volte.
Non aveva chiuso occhio quella notte, ripensando continuamente a ciò che era successo.
E neanche Draco era riuscito a dormire.
Non era il gesto in sé ad averlo turbato. Aveva fatto ben di peggio in vita sua.
Lo sconcertava il fatto che avesse agito senza alcun controllo né volontà. Era stato schiavo del proprio dolore fisico, ed aveva reagito irrazionalmente.
Si era trasformato in un animale per alcuni minuti. Pochi, brevi minuti, che alla moretta erano quasi costati la vita.
Ma la cosa peggiore per lui era la sensazione viscerale che provava. Quella era ciò che non gli permetteva di dormire.
Era... come definirla?
Una sorta di fitta allo stomaco, una sensazione di disagio, come se il suo intestino si stesse torcendo su se stesso.
Se ne stupiva lui per primo, ma la verità era che si sentiva in colpa.
Era pentito.
Pentito per il male che aveva fatto.
Provava rimorso nei confronti della Granger.
Nei confronti di una Mezzosangue. Della Mezzosangue che più odiava al mondo.
Mai aveva provato nulla di simile.
Aveva torturato, ucciso, distrutto famiglie, inflitto sofferenze fisiche e psicologiche.
E mai, per un solo istante, aveva provato un minimo di compassione per le sue vittime, mai un minimo senso di colpa.
E adesso, per una “banalità” come quella, si sentiva uno schifo.
Che gli succedeva? Forse l’emorragia alla testa l’aveva rincitrullito?
Hermione aveva ormai finito di visitarlo, senza che una sola parola fosse stata pronunciata. Non gli aveva chiesto come si sentiva, non l’aveva salutato, non aveva minimamente accennato all’episodio della notte precedente.
E Draco, a sua volta, era rimasto in un silenzio. Un silenzio di tomba.
La ragazza estrasse una penna dal proprio taschino e la utilizzò per annotare un paio di informazioni sulla cartelletta, dopodiché si voltò, dirigendosi verso la porta.
< Aspetta.> la bloccò il biondino, richiamandola.
La Grifondoro si bloccò di colpo. Si morse il labbro inferiore, deglutendo. Continuò a rivolgergli le spalle, invitandolo a proseguire solo col proprio silenzio.
Non sapeva cosa dire, e anche se avesse voluto, era quasi certa che non sarebbe riuscita a pronunciare una parola.
Il ragazzo rimase muto per qualche secondo. Nemmeno lui sapeva cosa dire.
O meglio, lo sapeva, ma non aveva idea di come farlo.
Alla fine, optò per il metodo più semplice e diretto.
< Mi dispiace...>
Hermione sbatté un paio di volte le palpebre, incredula.
No, non stava sognando. Malfoy aveva veramente detto quelle parole. E le aveva dette a lei.
Si voltò, girando su se stessa con una sorta di mezza piroetta, e rimase attonita a fissarlo mentre lui, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo della ragazza, proseguiva.
< Per quello che è successo ieri sera, intendo... mi dispiace di averti aggredita così...>
La moretta sospirò.
Quelle scuse la gratificavano, doveva ammetterlo. Le veniva quasi da sorridere per la soddisfazione.
Quasi.
< Non importa, non devi scusarti.> gli disse, per nulla sincera. Era quasi una sorta di proforma, la classica risposta alle scuse di qualcuno che ti pesta inavvertitamente un piede. Più una cortesia che altro.
Malfoy inarcò le sopracciglia quasi involontariamente, e le lanciò un’occhiata perplessa. Si sarebbe aspettato fuoco e fiamme da lei, non certo questa banalizzazione di quanto accaduto.
< Non sei il primo Mangiamorte con cui ho a che fare. Ho una certa esperienza ormai. Sono abituata a sentirmi sbraitare contro e quant’altro. E poi mi rendo conto che dev’essere difficile sopportare questa situazione... voglio dire, il dolore, la prigionia e tutto il resto...> proseguì lei.
Lo punse sul vivo, inutile dirlo.
< Ehi ehi, piano! Non generalizziamo a vanvera, per piacere! Io non sono mica paragonabile ad un qualunque Mangiamorte!> rispose Draco concitato, tirandosi su a sedere.
Hermione non riuscì ad evitare un sorrisetto.
Eccolo lì, il vecchio Mister Sono-il-principe-delle-Serpi-e-come-me-non-c’è-nessuno. Le era quasi mancato. Lo credeva morto per sempre, sepolto da quel nuovo lui più spaventoso ed incredibilmente più pericoloso.
Il biondino si accorse di quel ghigno, e rispose contraendo le labbra in una smorfia.
< Ti stai burlando di me Granger?> le domandò, ironico.
La ragazza scosse la testa in senso di diniego, sorridendo.
< Affatto.> si sfilò gli occhiali da vista dal naso, li richiuse e li appese per una delle stanghette al taschino del suo camice. < Constatavo semplicemente che, nonostante gli anni, sottosotto sei sempre lo stesso di Hogwarts.>
Il ragazzo si fece improvvisamente serio.
Hermione si allarmò. Forse aveva detto qualcosa di sbagliato.
Ad ogni modo, cercò di non darglielo a vedere. Si era già mostrata fin troppo debole ai suoi occhi per rincarare ulteriormente la dose.
< Sei la prima che me lo dice...> fece lui, quasi in un sussurro.
La moretta trattenne un respiro.
Forse si stava avventurando in un terreno pericoloso, eppure non riuscì a trattenersi dal rispondergli.
< Perché, gli altri invece che ti dicono?>
Malfoy la fissò intensamente per un paio di secondi, che ad Hermione parvero interminabili.
< Esattamente, tu cosa sai di me?> le chiese poi.
< In che senso?>
< Di quello che sono diventato, delle cose che ho fatto da quando sono entrato a far parte dei Mangiamorte...>
La ragazza scrollò le spalle.
< Beh, a parte quello che ovviamente sa tutta la Comunità Magica...>
< Ovviamente...> sottolineò lui, con un ghigno.
< Non tantissimo a dire il vero.> proseguì lei < Più che altro, ho sentito parecchie storie sul tuo conto, ma non...>
< Che tipo di storie?> la interruppe l’ex-Serpeverde.
Hermione si morse il labbro inferiore, incerta se proseguire o meno.
< Storie su quante persone ho ucciso?> la incalzò lui < Su quelle che ho torturato sia per conto del Signore Oscuro che per mio piacere personale? Storie su come Voldemort mi abbia più volte affidato il compito di scovare ed eliminare i traditori della nostra causa e io l’abbia fatto, anche se alcuni di essi erano miei ex compagni di Casata? Su come abbia fatto fuori persino i miei vecchi “amici” Tiger e Goyle? O ancora, storie su come ho ucciso in tutti questi anni? Sui miei metodi, definiti non ortodossi persino per un Mangiamorte? Su come ho costretto le mie vittime ad implorarmi in ginocchio di ucciderle, pur di far cessare le loro tremende sofferenze? Sul fatto che quasi nessuno è uscito vivo da un combattimento contro di me, e quelli che l’hanno fatto hanno comunque avuto un destino peggiore di chi invece è deceduto? Sono queste le storie che hai sentito?>
Non furono tanto le parole che usò, né le scene che richiamarono alla mente della moretta, quanto il suo tono di voce, così freddo e distaccato, a farla rabbrividire.
Una voce che non tradiva alcuna emozione, così come il suo sguardo, impassibile per tutta la durata di quel macabro monologo. Quasi come se le avesse appena parlato del tempo, o di cosa aveva mangiato per cena la sera precedente.
Aveva pronunciato quelle parole con una tale leggerezza, che davano l’impressione di essere per lui completamente vuote, prive di un qualche significato. Eppure, ciò nonostante, il modo in cui le disse la terrorizzò.
Solo in quel momento comprese ciò che Harry le aveva spesso ripetuto.
Non è urlando che si spaventano le persone. Un urlo può far sussultare perché è improvviso e frastornante, ma annoia subito e da fastidio. Sono le frasi dette sottovoce quelle che incutono vero terrore.
Quello era il metodo di Voldemort. Si rivolgeva alle sue vittime con voce dolce e melliflua, agghiacciandole.
E, a quanto pareva, era anche il metodo di Draco Malfoy.
< Beh... si.> gli rispose, esitante.
Il volto del biondino rimase imperturbabile, i suoi occhi fissi in quelli di Hermione.
< Allora non sono storie...>
Lei lo fissò a sua volta, deglutendo.
Non era certo una novità, sapeva bene con chi aveva a che fare. Lo aveva visto coi suoi occhi, attraverso i corpi devastati che si era ritrovata spesso a tentare di curare ed i cadaveri maciullati che troppe volte avevano varcato la soglia dell’obitorio dell’Ordine. Lo aveva provato sulla sua pelle una manciata di ore prima. Tuttavia, sentire lui stesso che lo ammetteva era un’altra cosa.
< Lo immaginavo... anche se, onestamente, non avevo idea che tu fossi capace di tanto...>
Malfoy annuì.
< Ed ecco la risposta alla tua domanda.>
La ragazza parve non capire.
< Eh?> gli fece, perplessa.
< Mi avevi chiesto cosa mi dicono gli altri...> rispose lui semplicemente, sistemandosi meglio a sedere sul materasso e poggiando la schiena contro il cuscino. < Questo è esattamente ciò che tutti, Mangiamorte e non, mi dicono di solito: “Non avevo idea che tu fossi capace di tanto”. Me lo sono sentito ripetere così spesso in questi ultimi cinque anni che ormai non ci faccio neanche più caso.>
Hermione si avvicinò lentamente al fondo del letto, poi si sedette sul bordo del materasso, poggiando delicatamente la cartellina sulle ginocchia piegate.
Malfoy non poté trattenersi dal guardarla. Un tempo non si sarebbe seduta a quel modo. Avrebbe optato per una posizione ben più comoda e molto meno elegante.
Ora, seduta così compostamente, sembrava davvero una signora a modo.
Faceva la sua figura, dovette ammettere con se stesso.
< Non mi meraviglia che te lo dicano tutti.> riprese improvvisamente lei, distogliendolo da quell’esercizio di osservazione ed analisi < E’ la verità. Credo che quasi nessuno si aspettasse qualcosa del genere da te.>
Draco storse il naso.
< Grazie tante...> mormorò.
< Non sto cercando di sminuirti o cosa. Tutti sapevamo che saresti diventato un Mangiamorte, e tutti sapevamo che saresti stato un valido elemento per l’esercito di Voldemort. Insomma, per quanto spesso a scuola fossi più fumo che effettivo arrosto, era impossibile negare che te la cavassi. Avevi voti altissimi, seguivi un sacco di corsi, riuscivi bene praticamente in tutto...>
Il biondino ridacchiò sotto i baffi.
< Stiamo ancora parlando di me?!> domandò sarcastico, scoccandole un’occhiata.
Hermione inclinò leggermente la testa, sorridendo.
< Beh si, è vero, per certi versi non eri tanto diverso dalla sottoscritta. Forse, eri l’unico degno rivale che avessi a livello scolastico ed intellettuale. E probabilmente, se non ci fossi stata io, il ruolo di primo della classe sarebbe toccato a te.>
< Merlino, allora ringraziamo il Cielo per averti mandata ad Hogwarts!!> esclamò lui, fintamente melodrammatico. < Non si è mai visto un Malfoy secchione sfigato, non sia mai!>
< Uhm, ora sono io che ti ringrazio!> sottolineò Hermione.
< Prego Granger!> replicò il biondo, ridacchiando.
La moretta alzò gli occhi al cielo. Si era sentita apostrofare “secchiona” e “sfigata” tante di quelle volte che ormai aveva perso il conto.
< Il punto è > riprese < che sebbene tutti si immaginassero quale sarebbe stata la tua sorte, nessuno credeva che saresti arrivato a questi livelli. E non perché tu non ne fossi effettivamente in grado, solo che...>
< Non ne davo l’impressione?> concluse Draco per lei.
< Esatto...>
Il ragazzo inarcò le sopracciglia.
< Anche Tom Riddle era, a detta di tutti, uno studente modello ed un bravo ragazzo...> suggerì.
< Appunto, tu non sei mai stato un bravo ragazzo!> replicò lei schietta, sfoggiando un sorriso canzonatorio.
Malfoy rispose a sua volta con la stessa espressione.
Se un tempo avere a che fare con la Grifondoro per più di dieci secondi era per lui quanto di più odioso al mondo, dovette riconoscere che in quel momento invece quegli scambi di battute non gli dispiacevano affatto.
Anzi.
Quando la Granger era lì con lui, riusciva a non sentire più quel senso di oppressione fisica e mentale che l’accompagnava per tutto il resto della giornata. Da un certo punto di vista, si poteva quasi dire che stesse bene in sua presenza.
Quasi, ovviamente.
Il silenzio che calò subito dopo la sua ultima frase fu per Hermione il segnale che la conversazione era terminata.
Si rialzò con l’intenzione di andarsene e, con un rapido gesto della mano, si sistemò i bordi leggermente spiegazzati del camice.
< Comunque dicevo sul serio...>
La voce di Malfoy richiamò la sua attenzione. La moretta risollevò lo sguardo, incontrando quello nuovamente serio del ragazzo.
< Non avevo intenzione di farti del male. E’ stata una reazione eccessiva e spropositata, me ne rendo conto e mi scuso. Ti assicuro che non accadrà più.>
Hermione sbiancò.
Altre scuse. Ben più articolate.
Non si aspettava certo una cosa del genere da lui. Non era psicologicamente pronta a tanto.
Dopo un istante di stupefatto smarrimento, riuscì a riprendere il controllo di sé.
< Lo spero per te, perché se un episodio del genere si dovesse ripetere, ti assicuro che sarà l’ultima cosa che farai nella tua vita.> gli rispose, assumendo quel tono saccente che l’aveva accompagnata per tutta la sua adolescenza.
Il biondino sorrise, ironico.
< Certo...> mormorò, voltandosi a fissare la finestra socchiusa.
La ragazza si diresse verso la porta, pronta a riprendere il suo normale giro di visite agli altri pazienti.
Mentre il rumore dei suoi tacchi rimbombava dal freddo marmo del pavimento alle pareti della stanza, entrambi riflettevano su come quella sua ultima minaccia fosse infondata e per nulla credibile.


~ω~





Ora capisco cosa prova un uccello in gabbia.
Anzi no. Un topo.
Un fottutissimo, lurido topo, rinchiuso in una buia gabbia e lasciato senza né cibo né acqua.
Non che qui mi lascino a morire di stenti. Piuttosto, mi trattano fin troppo bene, tenendo conto del motivo per cui sono qui.
Non so se lo facciano per pietà o per paura.
Forse è più probabile la seconda opzione. Dubito di essere una persona che possa suscitare pietà.
Magari un paio d’anni fa avrei anche potuto esserlo.
Ma ormai...
Con tutto quello che ho fatto, con ciò che sono diventato, credo seriamente di non poter indurre nemmeno un briciolo di compassione nella gente. Nemmeno se mi vedessero agonizzante e moribondo, a piangere tutte le mie lacrime ed implorare il perdono per i miei peccati.
Che sia chiaro, io non ci tengo affatto a suscitare questo tipo di sentimenti!
Io sono nato per incutere terrore, paura, rabbia, risentimento. Non certo compassione o tutte quelle altre stucchevoli emozioni.
Non le faccio provare, e nemmeno lo voglio!
Eppure....
Eppure, quando guardo Lei negli occhi, c’è qualcosa.
Non mi guarda come fanno tutti gli altri.
Anche Lei ha paura spesso, me ne rendo conto. Soprattutto dopo l’altra notte.
Ho notato il suo modo di fare guardingo, o come sussulta ad ogni mio cambio di espressione. Studia ogni mio movimento, per valutarne le conseguenze.
Studia me, come faceva ad Hogwarts con gli Ippogrifi, o tutti quegli altri stupidi animali.
Di solito mi da fastidio essere analizzato a quel modo dalla gente.
Ma non se lo fa Lei.
Si potrebbe quasi dire che mi piaccia...
Non Lei, no!
Il modo in cui mi guarda mi piace... non è lo stesso sguardo di timore misto a disprezzo che mi rivolgono tutti gli altri...
C’è qualcos’altro sotto.
C’è altro persino sotto la sua paura.
Non saprei come definire quel bagliore che le vedo negli occhi.
Non ho idea se si tratti veramente di compassione, o comprensione, tenerezza....
Pietà...
No, questo non mi piace affatto.
Non voglio suscitarle pietà.
A nessuno, ma soprattutto non a Lei.
Anche se, da un certo punto di vista, ultimamente c’è qualcuno che sta iniziando a provare pietà per me.
Io.
Io provo pietà per me stesso.
E non per la condizione di prigionia in cui vivo, o per la degenza, o per il fatto di essere stato soggiogato da Scemo e più Scemo, o peggio per la prolungata assenza dal campo di battaglia.
No, non per questo.
Nemmeno per il fatto che ormai l’unica occupazione delle mie giornate sia fissare una misera finestrella che mi proietta un paesaggio neutro, una campagna verde che probabilmente nemmeno esiste. O, se esiste, io di certo non sono in grado d’identificarla.
No. E’ la mia dipendenza che mi fa provare pietà per me stesso.
Non so se dipendenza sia la parola più calzante per definirla.
Quello che so per certo, è che ormai vivo solo in base a quello.
La mia lucidità mentale persiste solo perché grazie a quello tutto acquista un senso.
Le mie giornate vanno avanti blandamente, in attesa di quello.
Tutto il mio mondo ormai ruota intorno a quello.
Quello.
Il momento in cui Lei fa il suo ingresso.



~ω~





Draco non sapeva che ore fossero di preciso, ma a giudicare da come la stanza si stava lentamente rabbuiando, non gli risultava difficile immaginare che fosse ormai tardo pomeriggio. Forse addirittura già sera.
Ciò significava che di lì ad un paio di minuti, Hermione sarebbe arrivata.
Si ritrovò a sorridere tra sé e sé. Il pensiero di lei in quella stanza gli dava immediatamente una sensazione di benessere.
Ancora non si capacitava di tutto ciò.
Passava le sue giornate a fissare la finestra aspettando che lei arrivasse.
Non sapeva se ridere o piangere di quella situazione.
Doveva mordersi la lingua, questo era certo.
Non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura quanto gli piacesse passare quei pochi minuti in presenza della Granger.
Pochi minuti che poi, stranamente, diventavano sempre più di quanto previsto.
Quarti d’ora.
Mezz’ore.
Quella mattina addirittura un’ora intera.
Chissà, magari anche a lei non dispiaceva stare lì con lui.
Altrimenti, quel suo continuo attardarsi non si spiegava.
Il biondino ridacchiò.
Ok, fondamentalmente lei rimaneva sempre di più nella sua stanza perché iniziavano a discutere e a lanciarsi frecciatine.
Però, era anche vero che avrebbe potuto semplicemente mandarlo al Diavolo, voltargli le spalle ed andarsene. Invece no, restava lì a rispondergli. Ed ovviamente, una risposta di lei generava una contro-risposta di lui, e via dicendo.
Ma non solo.
Spesso avevano chiacchierato.
Ebbene si, Draco Malfoy ed Hermione Granger che chiacchieravano.
Non ripescavano certi i “bei vecchi ricordi” di Hogwarts, non parlavano della Guerra né della situazione attuale del Mondo Magico, né si raccontavano rispettivamente dei fatti salienti delle loro vite private. Più che altro, parlavano l’uno dell’altra in relazione a qualcosa che era saltato fuori da una battutina.
Eppure, era quasi come confidarsi. Quasi definibile “una normale conversazione tra adulti”.
E, ascoltandola parlare, il ragazzo si era reso conto di come in tutti quegli anni il suo giudizio sulla moretta fosse stato indubbiamente contaminato dai pregiudizi.
L’aveva sempre creduta una sciacquetta secchiona, una che aveva appreso la teoria sgobbando sui libri ma che in pratica era interessante quanto il fondo vuoto di una tazzina di tè.
Invece si era sbagliato. Ed anche di parecchio.
Al di là delle sue indubbie conoscenze magiche, Hermione era una donna di carattere. Aveva un’opinione praticamente su tutto, sapeva tantissime cose e si interessava di centinaia di argomenti differenti. Non era una bella statuina, aveva un cervello che lavorava ad un ritmo irrefrenabile.
Ed era curiosa come una scimmia. Ciò che non sapeva, pretendeva di conoscerlo immediatamente.
Era quasi intenerito dallo sguardo avido con cui lo fissava ogni volta che le parlava di qualcosa per lei nuovo.
E faceva domande. A non finire.
Domande intelligenti, mirate, curiose. Domande a cui esigeva sempre una risposta.
E non una risposta qualsiasi. Una che la soddisfacesse.
Ascoltava, registrava mentalmente ed imparava.
Riusciva ad imparare persino da uno come lui.
Ora non gli sembrava così strano che fosse diventata una strega dal simile talento, sebbene fosse nata Babbana. E non gli risultava difficile capire come, a soli ventidue anni, rivestisse già una carica di tale importanza.
Era in gamba come pochi.
I suoi pensieri furono interrotti da una fitta perforante al braccio destro.
Sapeva cosa significava.
Strinse con forza un lembo del lenzuolo bianco col pugno, affondando gli incisivi nel labbro inferiore.
L’avambraccio era teso, pulsante. Le vene sembravano quasi tentare di saltare fuori da quello strato protettivo di pelle.
I contorni del Marchio Nero erano diventati rossi.
Bruciavano come l’Inferno. Sembrava quasi che gli stessero perforando tutto il braccio, ossa comprese.
Ma non un solo lamento o un respiro più profondo fuoriuscì dalle labbra di Draco Malfoy.
Si limitò a sopportare, in un silenzio quasi religioso.

Fu così che Hermione lo trovò, quando entrò nella sua stanza qualche minuto dopo.
Seduto a gambe incrociate sul letto, la schiena tesa contro il cuscino, lo sguardo serio e rigido rivolto alla finestra, ed il lenzuolo stretto nel pugno destro.
Capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.
Gli si avvicinò, cauta. Pronta a reagire in caso di necessità.
< Che c’è che non va?> gli domandò, con voce preoccupata.
Malfoy, senza dire una parola, si voltò a fissarla. Poi, con un’occhiata, ammiccò al proprio braccio.
La moretta seguì il suo sguardo, e vide il tatuaggio fiammeggiare. Temeva che la sua carne iniziasse a bruciare da un momento all’altro. Le sembrava già di vedere il fumo.
< Fa male?> gli chiese, ingenuamente.
Una domanda sciocca, si disse. Pronunciata con lo stesso tono di una bimba di cinque anni ed uscitale altrettanto spontaneamente.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio.
< Non ne hai idea...> sussurrò a fatica.
Hermione si rese conto, dal tono sofferente della sua voce, di come stesse tentando di sopportare quel dolore, e che parlare non l’avrebbe aiutato.
Si sedette sul bordo del letto, a fianco a lui, in silenzio. In attesa che il Marchio smettesse di bruciare.
Si morse l’angolo destro del labbro inferiore, riflettendo. Poi, bisbigliando a mezza voce, fece comparire dal nulla un cubetto di ghiaccio, e lo premette delicatamente sul tatuaggio.
A quel contatto freddo, Malfoy ebbe un lieve sussulto.
< Va un po’ meglio?> gli domandò innocentemente.
Lui la fissò con un’espressione indecifrabile, annuendo stancamente.
Era stupefatto.
Questo non rientrava decisamente nei suoi compiti di Curatore. Questa non era prassi lavorativa, era gentilezza.
Un gesto disinteressato, fatto solo per dargli sollievo.
E diamine se gliene dava!
Se non fosse stato assolutamente certo che quella davanti a lui in quel momento era Hermione Granger, avrebbe pensato che si trattasse di un angelo. Del suo angelo custode, disceso dal Paradiso apposta per prendersi cura di lui.
Dopo un paio di minuti, il braccio smise improvvisamente di pulsare. A Draco sfuggì un sospiro di sollievo, che fece capire alla ragazza che era tutto finito.
Fece scomparire il cubetto di ghiaccio, ormai quasi del tutto sciolto.
< Ti stava chiamando?> chiese poi al ragazzo, distrattamente.
In realtà, la cosa le interessava parecchio, ma aveva paura che mostrandosi troppo curiosa avrebbe potuto irritarlo. E dopo l’esperienza di qualche sera prima, quello era l’ultimo dei suoi desideri.
Draco scrollò le spalle.
< Non saprei, può darsi... o magari stava semplicemente chiamando a raccolta tutti.>
La moretta lo fissò perplessa.
< Credevo che, nel tuo caso...>
< Il Marchio è uguale per tutti, non conta il ruolo che si ricopre.> tagliò corto lui.
Hermione non riuscì a nascondere una smorfia. Era sempre restio a parlare di ciò che rappresentava tra i Mangiamorte. Ed era strano per Malfoy. Ai tempi di Hogwarts sarebbe corso per i corridoi a vantarsi di una cosa del genere, sciorinando dettagli a destra e a manca.
Ma, dopotutto, non era più quella persona. Doveva cercare di ricordarselo un po’ più spesso.
< Mi togli una curiosità?> esordì improvvisamente lui, distogliendola dai suoi pensieri.
Sorpresa, la moretta annuì, invitandolo a formulare la propria domanda.
< Com’è che sei sempre qui? Voglio dire, va bene che sono un paziente di un certo calibro, ma ormai mi pare di essermi ripreso abbastanza, eppure tu vieni sempre qui almeno due volte al giorno... devo dedurne che ti sei presa una cotta per me, Granger?> concluse, ridacchiando canzonatorio.
Hermione inarcò un sopracciglio.
< Si, nei tuoi sogni...> lo smontò. Si ricacciò gli occhiali indietro sul naso con l’indice, poi proseguì. < Anche se effettivamente ti sei ripreso, non sei ancora guarito del tutto. E’ mio compito tenerti sotto controllo ed accertarmi delle tue condizioni finché non sarai completamente in buona salute.>
Draco inclinò la testa da un lato.
< E... ?!>
< E cosa?> chiese lei, perplessa.
< Il tuo tono lasciava intendere che ci fosse un e...>
La moretta sospirò. Che senso aveva mentirgli?
< E... beh, mi dispiace per te.>
Lo sguardo del biondo s’indurì di colpo, ma lei non se ne accorse.
< Non meriteresti una simile compassione da parte mia, però mi spiace saperti qui tutto solo, senza nulla da fare e nessuno con cui parlare. E dato che io sono l’unica persona che può entrare qua dentro oltre ad Harry e Ron, che non ci tengono per niente a venirti a trovare, mi sento in dovere di passare ogni tanto. Insomma, per tenerti compagnia...>
L’ex-Serpeverde abbassò lo sguardo, mentre i suoi lineamenti si distendevano.
Tutto qui. Nulla di grave. Le faceva tenerezza la sua solitudine.
Per un attimo aveva pensato che fosse impietosita da lui.
Non avrebbe potuto sopportare una cosa del genere.
Tornò a fissarla, esibendo una di quelle sue espressioni di scherno tipiche del vecchio Draco di Hogwarts.
< Tenermi compagnia? Diamine Granger, mi ritieni così disperato da aver bisogno di te per allietare le mie giornate? Ma non farmi ridere!!>
Hermione, stizzita, si alzò di colpo in piedi.
< Beh, per quanto la mia compagnia possa piacerti o meno, è l’unica che tu possa avere qui, perciò ti conviene fartela andare bene!> gli rispose, aspramente.
< Abbiamo una gran bella coda di paglia, vedo!> la canzonò lui.
< Io avrò pure la coda di paglia, ma tu sei un cafone maleducato!>
< Bella scoperta, ci sei arrivata con soli vent’anni di ritardo rispetto al resto del mondo, complimenti!>
< Fottiti!> sbottò la moretta, voltandogli le spalle di colpo e dirigendosi verso la porta a passo spedito, accompagnata dalla risata divertita del biondo.
Si sbatté la porta alle spalle, furibonda.
Lei era gentile con lui e cosa otteneva in cambio? Veniva schernita come quando era una ragazzina.
Dannato Malfoy, mi farà diventare pazza!
Si abbandonò con la schiena contro la porta, cercando di recuperare la calma perduta.
Sobbalzò, quando sentì un rumore sordo alle sue spalle. Il rumore delle nocche di una mano contro il legno della porta.
Aveva bussato. Solo un colpo leggero, ma l’aveva sentito.
Lui era lì, al di là di quella porta. E l’aveva chiamata.
Hermione rimase immobile, in silenzio. Non diede segno di aver sentito quel battito.
Anzi, non diede alcun segno della propria presenza.
Eppure, era certa che lui sapeva che era ancora lì.
Ne ebbe la certezza quando lo sentì parlare.
< Non essere arrabbiata con me, Granger.> la sua voce ovattata le giunse stranamente dolce all’orecchio. < Ho un ruolo da rispettare io. Cosa ti aspetti, che ti ringrazi per la gentilezza? O che ti dica che mi fa piacere che tu venga ogni giorno a tenermi compagnia?>
La moretta rimase in ascolto, stupita della delicatezza con cui il ragazzo si stava rivolgendo a lei. Che fosse il fatto di essere nascosto dietro una porta a permettergli di usare un simile atteggiamento?
< Sai che non posso farlo, non sarebbe da me.> proseguì lui. < Non posso dirti una cosa del genere. Anche se è la verità.>
La Grifondoro sgranò gli occhi, così intensamente che le si riempirono di lacrime dopo pochi secondi.
Ringraziò il fatto che non si trovava dentro quella stanza, di fronte a lui. Sapeva di essere avvampata come mai prima di allora. L’avrebbero sicuramente scambiata per una Mandragora, ne era certa.
Sentiva il cuore pulsarle nel petto. Batteva ad una velocità spropositata. Rischiava seriamente un infarto.
Si, sarebbe morta sul posto.
O chissà, forse era già morta. Dopotutto, in quale strana realtà Draco Malfoy avrebbe potuto dire una cosa simile a lei?
< A domani...> gli sentì sussurrare nuovamente, poi il silenzio.
Non si era mossa di un millimetro, ed il suo battito cardiaco non accennava a decelerare.
Sospirò, coprendosi il volto con le mani. Si sentiva stupida, stupidissima.
Inevitabilmente, lo stesso pensiero di qualche secondo prima la riattraversò. Ma, adesso, aveva un significato del tutto diverso.
Dannato Malfoy, mi farà diventare pazza!
   
 
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