Danae’s Truth
Title: “Danae’s Truth”
Author:
mise_keith
Disclaimer:
Ginevra Weasley appartiene a J.K.Rowling, e tantomeno Harry Potter (per
carità!) e chiunque altro verrà qui citato (a parte la Silente della situazione
che riconduco alla mia modesta e ripetitiva inventiva). Mi riservo solo di
meritarmi disprezzo ed eventuali elogi per lo sfogo a cui qui è sottoposta.
Characters: Ginevra Weasley,
Harry Potter, Draco Malfoy (e qualcun altro).
Genre: Angst/Drammatico.
Summary: FanFiction
ispirata alla leggenda di Danae, fanciulla greca murata viva dal padre e
fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro, secondo molti divenuta simbolo
della volubilità e voluttà della donna. Cosa succederebbe se sogni ed
illusioni dovessero scontrarsi con la dura realtà? Racconto di una battaglia
per la vita e per la comprensione, senza bene, male, giusto o sbagliato, ma
solo l’ineluttabilità delle proprie scelte.
Notes:
“Danae’s Truth” (La Verità di Danae) è la mia prima fanfiction dopo tanto
tempo. L’ultima l’ho scritta due anni fa. Oggi ritorno e ritento per mettermi
ancora alla prova.
Il titolo è riferito sia al
mito greco di Danae, murata viva dal padre e fecondata da Zeus sotto forma di
pioggia d’oro, sia all’interpretazione che di questo dà Gustav Klimt, nel suo
magnifico dipinto, fonte primaria della mia ispirazione, assieme alla mia
particolare fissazione per i casi della vita che ci pongono di fronte a ciò che
io chiamo “teorema della necessità”. Ovvero la costrizione delle scelte dataci dai
precedenti insegnamenti ricevuti che ci spinge a convincerci di negarli o
confermarli a seconda dell’intenzione. E che può portare ad una serie di
diverse conseguenze.
Non è una fanfiction
semplice. È contorta, in ogni sua frase, che può persino apparire completamente
senza senso, estrapolata dal contesto. Spero solo di essermi avvicinata il più
possibile alla meta che avrei voluto raggiungere. Di soddisfare chi vorrà
leggere come ho soddisfatto me.
Dedicated to:
Chiara (Thilwen) [E c’è da chiederlo?]
Thanksgivings:
A Chiara (Thilwen), perché senza di lei tutto ciò non ci sarebbe mai stato, e
la mia estate, come ogni mio giorno, sarebbe stata colma solo di rimpianti.
Grazie, grazie sempre, grazie di tutto!
A Gustav Klimt, alla sua
stupenda Danae, che è un po’ anche Ginny Weasley messa a nudo (in ogni senso),
alla sua arte, all’amore di ogni suo quadro che è Storia ed è una storia.
A “Wish you were here”, Pink
Floyd, canzone di questo mio anno, di lacrime e speranza di futuro, che ha
saputo ancora una volta risollevarmi nel bel mezzo di questa fic.
A chi vorrà leggere.
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Prologo
Forse non ne era valsa la
pena di precipitarsi fuori così, con quel freddo che serpeggiava lungo le
braccia, sotto al mantello pesante e scuro dagli alamari sbottonati e
scrostati, quel freddo che bloccava il cuore su un solo, lungo, unico battito,
la mente in una morsa di gelo.
Aveva cominciato a nevicare
giorni prima, da allora non aveva più smesso. La neve morbida e bianca si posava
su altra neve ormai sporca e indurita ai lati della strada, assomigliava a
polvere di zucchero mentre si librava nell’aria, si ritrasformava in
desolazione appena toccata la chioma lunga e disordinata sulle spalle, la
stoffa nera che copriva quasi casualmente le braccia conserte, le dita
intirizzite, il suolo grigio e ghiacciato.
Chissà dove portava la strada,
così lunga lì davanti, sembrava salire sempre più verso l’alto, o forse
scendere troppo sotto la via fredda e silenziosa, oltre la stessa parvenza di
vita dietro alle tende di ogni finestra, oltre il bianco sporco e incrinato dal
fango, oltre l’incerta ed incalzante angoscia.
Dove sto andando?, pensò fermandosi al centro della strada, sola, inerme di fronte a se
stessa.
Dove sto andando?
Ginny Weasley bloccò i suoi
passi insieme al violento flusso che le invadeva il cervello, veemente e
insensata corrente di ampi pensieri inconsistenti e rumorosi, calma Ginny calma.... Lungo respiro
profondo, come diceva la mamma, ma la mamma non conta più respirare Ginny,
calma....
Chiuse gli occhi, ansimando
come se avesse corso per lungo tempo, le mani intrecciate nervosamente, le
labbra tremanti, l’ansia e l’urgenza delle lacrime dietro alle palpebre
sbarrate e il peso della troppa quiete scesa giù dai tetti grigi fin sopra alle
sue spalle.
Dove sto andando? iniziò nuovamente a chiedersi il suo sguardo assente, mentre vagliava
incurante il viale infinito davanti a lei, scandito da infinite plumbee case
tutte uguali, infiniti grigi comignoli tutti uguali, infiniti mucchi uguali di
neve sudicia e mattonelle sporche del marciapiede al lato del lunghissimo ed
uguale nastro scuro della strada.
Si strinse ancora di più nel
mantello e ricominciò a camminare, questa volta più lentamente, un passo
davanti all’altro, calma, piano, calma,
piano...
Cos’hai fatto Ginny?, si chiese. Non sapeva cosa ci facesse lì, in quella strada babbana
troppo lunga per il gusto dei suoi piedi indolenziti. Non sapeva cos’era
successo veramente qualche ora prima, forse erano state le urla di sua madre
troppo forti alle sue orecchie insofferenti, gli sguardi di suo padre pesanti e
delusi sul viso, il freddo, la tristezza in casa, densa e amara, le parole
soffocate, sussurrate tanto piano da sembrare tanto poco importanti, perché
erano sempre stati felici, dopotutto, non è vero mamma?
“No, Ginny, non possiamo
essere felici della miseria.”; invece, un sibilo basso e penetrante, veleno
nero che rode l’inconsapevolezza, alza le cortine dell’illusione, spinge oltre
ciò che è stato verso l’oscurità di un presente sconosciuto.
Cos’è il futuro? L’acida e incapace tensione a casa?
La fine infinita di questo nodo d’asfalto?
Perché tutto era cambiato
così? Forse perché tutti avevano capito prima di lei come sarebbe andata, erano
fuggiti in tempo?...
Ron non era riuscito a
sopportare l’incombenza di un futuro trascinato per la sopravvivenza della
famiglia. Era fuggito con Hermione, negli Stati Uniti, si diceva, pur di
tentare una scelta che gli fornisse il beneficio di un dubbio possibile da
costruire, insieme a lei, che aveva amato dal sempre di quel suo lontano primo
anno ad Hogwarts, aldilà del naso all’insù e dei denti grandi, dei capelli
crespi e della sua voce perentoria, nell’amore inevitabile della consapevolezza
di non conoscere nessun altro così bene e così a fondo come il volto sempre
accanto al proprio.
Il negozio di scherzi di Fred
e George era fallito ancor prima di cominciare. Le loro ambizioni per quel che
credevano un futuro a portata di mano li avevano portati ad affidarsi ad uno
strozzino, che aveva stroncato quegli stessi sogni con i suoi interessi troppo
alti. I signori Weasley dettero loro tutto ciò che era rimasto di anni di
risparmi, e poi non li videro più.
Bill era stato licenziato.
Sovrabbondanza di personale. Dopo tre mesi di proteste per la sua mancata
liquidazione era stato riassunto alla Gringott, ma come fattorino.
Charlie era disoccupato. Faceva
qualche lavoretto saltuario, sempre in Romania, non aveva voluto spostarsi dal
luogo in cui aveva donato tanto amore ai suoi draghi, sequestrati dal ministero
in allerta, ritenendoli possibili armi per l’esercito che il Signore Oscuro andava raccogliendo lungo
il suo cammino.
E Ginny, la piccola Ginny?
Troppi confini immaginari le
erano rimasti indietro, nel tentativo di trovare una buona scusa per fermarsi.
Qual è la scelta più ovvia tra la peggiore delle
certezze e il più incerto dei futuri?
Un enorme frastuono dietro di
lei le fece perdere un altro battito. Si voltò di scatto, soffocando un
singulto per i nervi.
Alla sua sinistra si spalancò
con un per niente incoraggiante cigolio l’entrata di un autobus viola, a tre
piani, alquanto sgangherato. Si passò la mano fra i capelli, portandoli
indietro. Sospirò e salì i due gradini di fronte a lei.
Il conducente del nottetempo
sfiorò con lo sguardo l’impetuoso fiume rosso sulle spalle della ragazza,
indugiò sulle lentiggini fitte sulle guance, e chiese con voce incolore:
-
Dove sta andando?
Ginny ebbe un sussulto,
chiuse gli occhi e si strinse nelle spalle.
-
A Diagon Alley –
sussurrò sospirando.
*
Il viaggio era stato lungo,
troppo lungo, o forse era la notte che sembrava non passare mai, scandita dai
sonori sobbalzi del mezzo. Lei non aveva dormito. Si era seduta, fissando il
velluto consumato del sedile davanti a sé, immobile, gli occhi grandi e ambrati
spalancati sul silenzio, forse dentro al vuoto di se stessa; le mani
abbandonate sul grembo non avevano che un sussulto a qualche scossa
inaspettata.
La prima luce filtrò dal
finestrino opaco accanto a lei, e solo allora spostò il suo sguardo fuori,
oltre la caligine mattutina, verso un cielo annebbiato e spesso, ma graziato
dal giorno.
Scendendo, accompagnata dal
cigolio della porta scorrevole, fissò il fondo indefinito e lontano della via,
anche questa troppo lunga e troppo silenziosa di fronte ai suoi occhi.
E ora? Busserò a tutte le porte chiedendo del mio
destino? Sperando che vi sia un cantuccio anche per me nella carità della gente?
Non c’è ambizione per chi vuole un presente, o crede di averne bisogno. Forse
starò qui, a versare lacrime che non potrò neanche comprendere, perché finora
ho visto tutto questo da sopra le spalle degli altri. Forse piangerò e fuggirò
attraverso una goccia salata e cercherò la gioia di un fiocco di neve. Forse
smetterò di esistere adesso e perderò me stessa e sarà tutto più facile.
Appoggiata contro un muro,
qualcuno le scosse la spalla strappandola al suo pianto.
Due occhi fitti e pungenti
come capocchie di spillo la colpirono in piena fronte quando alzò il viso, la
squadrarono con attenzione, e arricciando il naso e inarcando le sopracciglia
esclamarono:
-
E tu da dove
salti fuori?
Ginny guardò la donna che le
era davanti, bassa e ben piantata, vestita di un mantello nero e spesso, da cui
emergevano due occhi azzurri gelidi e sottili circondati da qualche ciuffo
ribelle e scuro.
-
I- io?
-
Hai bisogno
d’aiuto?