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Autore: Anjulie    26/06/2003    4 recensioni
Lui, Benjiamin Price, è il famoso SGGK. Lei, Martine, una bambina di soli tre mesi. Accanto a loro gli amici, i compagni di squadra e una giovane donna… Clare, il cui passato è segnato da una tragedia che le ha sconvolto la vita. Saranno proprio Martine e Clare che, seguendo la traccia del cuore, insegneranno giorno dopo giorno, al tenebroso e solitario campione cosa significa amare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio tutti coloro che mi hanno espresso il loro piacere e apprezzamento nel leggere i primi capitoli della mia ff.

Il vostro entusiasmo e le vostre critiche spronano a fare sempre meglio.

Vi abbraccio tutti e ad maiora!

 

 

 

CAPITOLO III

 

 

La pioggia è il tuo vestito.

Il fango è le tue scarpe.

La tua pezzuola è il vento.

Ma il sole è il tuo sorriso e la tua bocca

e la notte dei fieni i tuoi capelli.

Ma il tuo sorriso e la tua calda pelle

è il fuoco della terra e delle stelle.”

(C. Govoni)

 

 

Era mattina presto ma al campo sportivo gli allenamenti della nazionale erano iniziati da un pezzo e i giocatori erano in pieno fermento in vista della prima partita del quadrangolare, che si sarebbe svolta di lì a due settimane.

La primavera piovosa aveva lasciato il posto alle prime calde giornate estive caratterizzate da uno splendido cielo azzurro nel quale era possibile scorgere solo di tanto in tanto qualche nuvola solitaria.

Patricia Gatsby, o Patty come la chiamavano tutti gli amici, era emozionantissima. Sebbene ormai fossero passati più di dieci anni dai tempi in cui faceva la manager della New Team, le sembrava quasi di rivivere quei momenti, quando, ragazzina, si occupava del benessere della squadra prima di ogni partita. Ancora adesso, incapace di stare ferma per un solo istante, si era aggregata ai preparatori atletici e in quel momento si stava dando da fare con gli asciugamani e le bottiglie di integratori.

Seguì con lo sguardo i giocatori in campo e immediatamente individuò la coppia formata da Oliver Hutton e Tom Becker.

La Golden Combi procedeva al riscaldamento correndo lungo la pista di atletica che circondava il campo sportivo e il viso di Holly era profuso di gioia per la possibilità di potersi ancora allenare con il suo vecchio compagno di squadra e rinsaldare così l’amicizia che, nonostante la lontananza e i rispettivi impegni professionali, non era mai venuta meno.

Patty sorrise: Holly era nel suo elemento. Era nato per giocare a calcio e aveva passato la maggior parte della sua vita sui campi in erba, tralasciando tutto il resto e concentrandosi ad inseguire il suo grande sogno: giocare con la nazionale giapponese e sollevare la Coppa del Mondo ai Mondiali.

"Boru wa Tomodachi" amava ripetere lui, quando era ragazzino, e Patty nel suo intimo era convinta che lo pensasse ancora.

Per lei quegli anni avevano avuto un prezzo.

Quando Holly non era ritornato da Parigi, dopo aver vinto la Coppa del Mondo Juniores, era stato come se qualcosa fra loro si spezzasse, come se il tacito e fragile legame che fino ad allora avevano condiviso si fosse dissolto come neve al sole.

Da quando lo aveva conosciuto, Patty aveva ascoltato Holly parlare ininterrottamente di strategie di gara, tattiche di gioco, avversari da affrontare, campionati da vincere. Giorno dopo giorno, instancabile, lo aveva incitato durante gli incontri e si era sempre presa cura di lui dopo ogni infortunio. Gli era stata accanto come un soldato fedele, elemosinando le briciole del suo affetto, travolta e soggiogata dall’entusiasmo, dalla passione che lui aveva per il calcio.

In quegli anni Patricia Gatsby non era mai esistita.

Nessuno, tanto meno Holly, perso dietro al suo sogno personale, si era mai preoccupato di cosa veramente desiderasse. E forse neppure lei era consapevole di avere dei sogni e delle ambizioni che non rispecchiassero quelli di lui. Davanti al meraviglioso fuoco che solo l’amore dell’adolescenza sa dare, Patty si era abbandonata, ignorando i propri desideri e perseguendo la felicità di Holly come se fosse stata la sua.

Quante lacrime aveva versato la notte, mordendo il cuscino, in preda alla frustrazione per quelli che temeva fossero sentimenti non ricambiati! Oh, e quanti giorni era ritornata a casa scintillante di gioia perché lui le aveva rivolto un sorriso che le era parso più speciale del solito!

Era andata avanti così, nutrendo il suo amore di speranze, alimentandolo con la forza e le emozioni che sentiva palpitare dentro ogni qualvolta posava gli occhi su di lui.

Poi tutto era improvvisamente finito in pochi secondi.

Non aveva avuto modo di prepararsi ad affrontare il dolore e gli eventi inarrestabili che l’avevano travolta, come una valanga che l’avesse colpita in pieno.

All’aeroporto, in mezzo alla gente, aveva aspettato con ansia al cancello di sbarco che Holly e gli altri giocatori della nazionale juniores scendessero dal volo che, da Parigi, li aveva riportati in Giappone campioni. Aveva cercato febbrilmente, con le guance rosse per l’emozione, il volto di lui tra gli altri, più o meno conosciuti, che si accavallavano davanti ai suoi occhi, mentre il desiderio di stringerlo e mormorargli “bentornato campione!” le aveva fatto quasi dolere braccia. Quando aveva capito che Holly non era lì, aveva sentito il cuore contrarsi in una stretta, proprio lì, in mezzo al petto, come se qualcuno l’avesse trapassato con una lama invisibile. Gli occhi avevano bruciato per le lacrime trattenute e il respiro le si era fermato per un istante, soffocato dal peso di quel tradimento inaspettato. 

Nessuna parola di consolazione era arrivata dagli amici, né il suo orgoglio ferito avrebbe potuto accettare i loro sguardi pietosi. Aveva trasformato il suo volto in una maschera di pietra e le sue labbra si erano tese in un sorriso, per salutare calorosamente il rientro dei campioni del mondo, i suoi amici più cari.

I giorni successivi al rientro della squadra erano stati un incubo fatto di festeggiamenti a cui lei era stata costretta a partecipare. Suo malgrado aveva invidiato Amy e Jenny… erano così felici!

Si era sentita meschina per quel sentimento incontrollabile che nasceva dritto dal suo dolore e dalla sua umiliazione: erano delle amiche fantastiche e a loro volta avevano passato dei momenti molto difficili. Prima Amy, così dolce e forte, sempre in ansia durante tutta la malattia di Julian. Per quanto tempo aveva avuto il timore che Julian potesse non farcela a causa di quel cuore ballerino che aveva sempre impedito al giovane attaccante di praticare il calcio con l’agonismo che avrebbe desiderato!

Poi Jenny… lei e Philip Callaghan si erano lasciati con la sola promessa di rivedersi, strappata all’ultimo momento, il giorno della partenza di lei per gli Stati Uniti. Tra loro si frapponeva un’età acerba, un intero oceano a dividerli e solo un giovane amore a legarli l’uno all’altra. Eppure proprio quel sentimento così immaturo aveva resistito alla lontananza e, quando si erano riabbracciati, tutti avevano potuto vedere come gli occhi del fiero capitano della Flynet brillassero di lacrime di gioia nel baciare con amore la testolina bruna della sua Jenny.

Per Patty quelle due ragazze erano state l’unica ancora di salvezza in mezzo al caos della sua esistenza. Le erano state accanto e avevano condiviso con lei quei terribili momenti, ben sapendo che cosa significasse per lei quell’abbandono senza spiegazioni, la solitudine nella quale si era trovata catapultata in mezzo a tutta quella profusione di gioia.

Allora non sapeva perché Holly non fosse rientrato in Giappone dopo la vittoria. Lo aveva scoperto più tardi, nel modo peggiore, attraverso i giornali, leggendo le interviste che lui aveva rilasciato al termine della partita della Coppa del Mondo e poi quando ormai si trovava in Brasile e aveva iniziato a giocare nel San Paulo allenato da Roberto Sedinhjo.

Degli amici di Holly solo Benji aveva rifiutato di fare finta che tutto procedesse a meraviglia e aveva affrontato il suo dolore, cercando di aiutarla a superarlo.

Era rimasto seduto accanto a lei in silenzio, per ore, davanti al campo vuoto degli allenamenti, fino a quando il cielo non aveva iniziato a tingersi di rosso. Allora si era alzato in piedi e le aveva teso la mano guardandola con il suo strano ed indecifrabile sorriso  - Tornerà. -

Lei era scoppiata a ridere, una risata amara e un po’ isterica che l’aveva lasciata vuota e inerte come una bambola di pezza.

- Tornerà?! – aveva urlato dando sfogo al tormento che aveva nel cuore, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime cocenti – Credi che sia importante adesso? Cosa ti fa pensare che tutto sarà come prima? Che io lo perdonerò per quello che mi ha fatto? -

Benji l’aveva attirata a se soffocando il suo pianto contro il suo petto, accarezzandole i capelli come una bambina – Lo farai. – aveva mormorato mostrando una sicurezza che lei era ben lontana dal provare – Perché sei forte e troverai la tua strada anche senza di lui. Quando Holly ritornerà tu lo perdonerai. –

- Tu stai scherzando! – Patty lo aveva guardato con ferocia, attraverso le lacrime che colavano inarrestabili, ma lui aveva assunto quell’atteggiamento caparbio che tanto la faceva infuriare quando erano ragazzini.

- Lo perdonerai perché lo ami. – aveva ribattuto e lei lo aveva guardato come se fosse impazzito e aveva continuato a crederlo, anche dopo che Benji se ne era andato, anche dopo aver ricevuto la prima lettera di Holly.

Oh…si, le aveva scritto! Una lunga lettera piena di spiegazioni inaccettabili che lei aveva strappato in preda a un dolore e a una furia che solo una donna innamorata può provare.

Un’altra sarebbe rimasta a crogiolarsi nella disperazione ma non lei, non Patricia Gatsby!

Dopo un periodo di comprensibile smarrimento aveva preso in mano le redini della sua vita e aveva iniziato a girare il Giappone facendo quello che era sempre piaciuto fare, trasformando un semplice hobby in una professione vera e propria.

La fotografia l’aveva sempre affascinata fin da ragazzina e se prima i suoi soggetti preferiti erano le azioni dei giocatori durante le partite di calcio, e uno di loro in particolare, in seguito aveva messo a frutto la sua particolare abilità, andando a fotografare la natura e i suoi abitanti anche nei luoghi più sperduti. Possedeva una sensibilità particolare per le forme e le luci e le sue fotografie erano state immediatamente apprezzate e richieste. Nel tentativo di dimenticare Holly si era gettata a capofitto in quell’unica cosa che sembrava darle un po’ di serenità e ben presto aveva iniziato a godere dei frutti del suo impegno e della sua abnegazione.

Si, perché Patricia Gatsby non faceva mai le cose a metà. Animata dallo stesso fuoco che aveva dimostrato quando seguiva la carriera di Hollly, aveva iniziato a collaborare con riviste prestigiose del calibro di National Geographic e la sua vita professionale si era arricchita anno dopo anno di esperienze eccezionali.

Piano piano aveva smesso di interessarsi al calcio, di seguire con apprensione ogni successo di Holly, e dopo alcuni anni riusciva anche a trascorrere anche un’intera giornata senza che il pensiero di lui le si affacciasse alla mente.

Convinta di essere completamente guarita da quella che ormai giudicava solo una cotta da ragazzini, non aveva esitato un solo istante ad accettare il servizio che le era stato commissionato in Brasile.

Non aveva mai saputo chi lo avesse avvertito del suo arrivo, forse sua madre o addirittura Bruce, ma la terza mattina del suo soggiorno a San Paolo, assieme al vassoio della colazione, aveva ricevuto in camera un enorme cesto di gigli bianchi e un invito a cena.

Il cuore aveva preso a batterle all’impazzata ma lei lo aveva ignorato cercando di convincersi che tutta quell’emozione era dovuta solo al piacere dell’invito e al desiderio di rivedere un vecchio amico.

Erano passati anni da quella malaugurata finale della Coppa del Mondo Juniores ed entrambi non erano più ragazzini alle prese con i loro confusi sentimenti. Per quello che ne sapeva Holly poteva anche essere felicemente fidanzato o sposato!

Nonostante tutto si era preparata a quell’incontro con cura, indossando un abito corto di un turchese acceso che faceva risaltare la sua figura slanciata e il colore ambrato della sua pelle leggermente abbronzata dal sole sudamericano.

Quando Holly l’aveva vista entrare, puntualissima, nella sala da pranzo del lussuoso ed esclusivo ristorante, aveva dovuto fare uno sforzo su se stesso per impedirsi di rimanere assai poco elegantemente a bocca aperta. Non era possibile che quella giovane donna d’aria sicura e sofisticata fosse la Patty che lui ricordava ancora adolescente in Giappone.

Eppure lei lo aveva stupito una volta di più: smessi i panni della ragazzina scalmanata, gli aveva parlato della sua professione con una dedizione e una passione del tutto simili a quelle che lui aveva sempre manifestato per il calcio.

Lo aveva incantato con i racconti dei suoi viaggi e presto lui si era accorto di non seguire più il filo del discorso, perso come era ad ammirare la curva gentile del suo viso, il sorriso luminoso, i movimenti agili ed eleganti delle sue mani che sottolineavano le parole.

Avevano trascorso una serata piacevolissima, ricordando gli anni del liceo, ridendo degli episodi buffi. Senza che nessuno dei due se ne accorgesse il lieve sentimento che li aveva sempre legati come un filo invisibile era di nuovo lì, tra loro, come se quell’incontro ne avesse rispolverato l’esistenza, rendendolo più forte e più vero.

Il giorno seguente avevano passeggiato come due vecchi amici. Holly l’aveva condotta a vedere il campo dove si allenava con il San Paolo e la sera l’aveva invitata a cena a casa sua.

Aveva cucinato lui e Patty lo aveva preso in giro di fronte a quella dote inaspettata, dovendosi poi ricredere al primo assaggio della squisita paella. Quando dopo cena si erano trasferiti in salotto con in mano un bicchiere di vino bianco, Patty si era sentita così felice e rilassata come non le accadeva da tempo. Era lì, nell’unico posto dove desiderava essere, accanto all’uomo che aveva cercato disperatamente di dimenticare. Di fronte al sorriso gentile di Oliver e alle sue affettuose premure tutte le difese che aveva eretto con tanta cura erano crollate come un banale castello di carte.

Quando lui le si era avvicinato, togliendole di mano il bicchiere e posando le proprie labbra su quelle di lei in un gentile invito, non aveva trovato motivo di ritrarsi. Era quello che aveva sempre desiderato, quello che le aveva sempre impedito di innamorarsi di nuovo di un altro uomo.

Compiacente gli aveva fatto scivolare le braccia sottili attorno al collo e non aveva protestato quando lui l’aveva presa fra le braccia e l’aveva portata in camera da letto.

Tutti quegli anni di amore represso erano esplosi in quell’unica sera in cui Patty aveva finalmente ritrovato il suo amore. Nei suoi gesti non c’era stata incertezza o timore ma solo un infinito desiderio di donarsi, di essere, almeno una volta, parte di lui. L’aveva stupito con la sua passione, andandogli incontro con grazia, allettandolo, seducendolo come solo una donna innamorata sa fare.

Colmati dal vento. Spazzati dal lampo.

Era rimasta fra le sue braccia tutta la notte, crogiolandosi nel calore di lui, guardando con crescente preoccupazione la sottile lama di luce del sole filtrare tra le imposte accostate. Mano a mano che l’alba si faceva più vicina, l’incredibile luminosità del giorno che nasceva aveva posto fine a quell’incredibile notte che aveva aspettato per tutta la vita.

La mattina si era alzata in silenzio e si era rivestita nella penombra della stanza. Aveva gettato un ultimo sguardo a Holly, profondamente addormentato, ed era uscita dalla stanza e dalla sua casa con il cuore gonfio di pena.

Non sapeva che cosa quella notte significasse per lui. Per lei era stata l’esperienza più sconvolgente della sua vita ma non ne era pentita. In quel momento sapeva che negli anni a venire avrebbe avuto almeno il ricordo di quell’unica notte perfetta in cui aveva sentito di appartenergli completamente.

La mattina stessa aveva chiamato la compagnia aerea e aveva trovato un volo per il Giappone. Preoccupata e confusa, aveva fatto i bagagli in fretta e furia ed era partita, ignara che Holly stesse rivoltando l’intera San Paolo per cercarla.

Scostò dal viso una ciocca dei suoi lunghi capelli e non poté trattenere un sorriso nell’osservare il cross preciso che Holly aveva fatto partire in direzione di Tom.

Adesso il suo lavoro come fotografa continuava ad avere la priorità su ogni altra cosa ma le partite di calcio avevano ripreso ad avere il loro fascino particolare.

Sì… da quando un Holly esausto e disperatamente innamorato era arrivato direttamente dal Brasile, il giorno dopo la fine del campionato, e aveva bussato alla sua porta in un’assolata mattina di giugno di un anno prima.

Era furibondo e Patty non l’aveva mai visto tanto arrabbiato. Quando aveva scoperto che lei era fuggita, ritornando in Giappone, si era sentito franare la terra sotto i piedi. A causa dei suoi impegni con la squadra non aveva potuto inseguirla immediatamente e aveva dovuto aspettare la fine del campionato, procrastinando, come lui stesso aveva affermato con un lampo di furia negli occhi scuri, “l’immenso piacere di darle una sculacciata come si sarebbe meritata”. 

Lei era in partenza per un servizio sui Monti Kitami e lui, che da quando aveva iniziato a giocare a calcio non aveva trascorso un solo giorno della sua vita lontano da una sfera a scacchi, aveva preso i suoi bagagli senza battere ciglio e l’aveva seguita rifiutandosi di posticipare quello che riteneva un chiarimento necessario.

Patty sorrise al ricordo. Quello che era iniziato come un viaggio in cui entrambi si guardavano in cagnesco e non perdevano occasione di rimbeccarsi a vicenda, si era rivelato la migliore delle medicine per il loro rapporto incerto. Lontani da tutti erano riusciti a trovare il coraggio di aprire il loro cuore e per la prima volta da quando si conoscevano Holly le aveva confessato i suoi sentimenti e il suo timore di perderla. L’aveva corteggiata, stuzzicata, lusingata, ricolmandola di tutto l’amore e le attenzioni che le aveva fatto mancare in quegli anni e Patty aveva capito che, nonostante quello che le aveva fatto, il suo cuore sarebbe sempre stato indissolubilmente legato a quello di lui.

Certo rimanevano ancora delle difficoltà da superare, perché Holly continuava a giocare in Brasile e lei viaggiava per tutto il mondo a fotografare la natura che tanto amava ma con il tempo tutto si sarebbe sistemato.

La Patty, scatenata tifosa della New Team, non avrebbe esitato un solo istante ad abbandonare tutto per seguire Holly in Brasile e aiutarlo a realizzare il suo sogno ma la nuova Patricia Gatsby, così indipendente e sicura di sé, aveva scelto di realizzare le proprie aspirazioni e un Oliver fiero e orgoglioso l’aveva appoggiata in tutto e per tutto.

Si guardò lo splendido anello che portava all’anulare della mano destra e il ricordo della voce di Holly, emozionata e colma d’amore, le risuonò nella mente.

Avrebbero trascorso insieme questo periodo prima che lui facesse ritorno in Brasile per l’inizio del campionato e per tutto l’anno seguente, lei avrebbe fatto, come al solito, la spola tra il Sud -America e il Giappone. L’anno prossimo ci sarebbero stati i Mondiali al termine di quali lei gli avrebbe dato la sua risposta.

Il grido dell’allenatore la distolse dalle sue considerazioni e, dopo aver gettato un’occhiata ad un compiaciuto Freddy Marshall, riportò la sua attenzione alla partita di allenamento.

Holly ricevette il passaggio da Tom agganciandolo al volo e caricò il tiro. Il pallone andò ad insaccarsi nell’angolino in alto a destra della porta, alle spalle di Alan Crocket che non aveva neppure provato a pararlo. Il portiere recuperò il pallone e con un calcio lo rinviò a  Mark Landers perché lo posizionasse al centro del campo.

La Golden Combi si scambiò un’occhiata soddisfatta e Mark non poté trattenere una battuta sarcastica

- Guardali lì i due gemelli siamesi! Sono schifosamente affiatati come se avessero continuato a giocare insieme in tutti questi anni! -

- Invidioso, Landers? – Bruce Harper superò l’attaccante ridendo e Mark calciò il pallone prendendo in pieno Bruce sul fondoschiena.

- Non fino a quando posso prendere a calci te Harper!- esclamò la Tigre provocando la risata incontenibile dei presenti.

- Non sei cambiato per niente, Landers, sempre a prendertela con quel poveraccio. Possibile che tu non abbia imparato niente alla Juventus?-

Una voce profonda alle loro spalle li fece voltare tutti quanti verso l’alto uomo bruno in piedi accanto alla panchina di Freddy.

- Benji! – L’urlo di Patty attirò l’attenzione di tutti i giocatori in campo. In un attimo gli furono tutti intorno, abbracciandolo e stringendogli la mano.

- Come stai? – Philip Callaghan lo aveva raggiunto per primo.

- Quando sei arrivato? – chiese Tom battendogli pacca amichevole sulle spalla

- Benissimo. Sono arrivato una settimana fa, giorno più giorno meno. -

- Perché non ti sei fatto vivo? – il tono di Lenders era volutamente provocatorio, in ricordo dei loro memorabili scontri.

-  Avevo alcune cose da sistemare. – rispose concisamente sistemandosi la visiera del cappello.

- Adesso che la squadra è al completo possiamo davvero iniziare ad allenarci seriamente! – Holly era al settimo cielo.

- Infatti. - Benji sogghignò – A quanto pare non hai perso il tuo entusiasmo. -

- Eh, no. – Landers dette una spintarella a Holly facendogli perdere l’equilibrio – Il nostro Hutton ha l’energia di un ragazzino! -

Il sorriso ironico di Benji si allargò - Tu invece mi sembri un po’ infiacchito, Mark! – esclamò prendendolo in giro. 

- Cosa? – la Tigre alzò la testa punta sul vivo – Stai scherzando, Price! Aspetta che i rifili uno dei miei tiri da fuori area! -

Gli altri risero. Erano anni che Mark Lenders e Benji Price si affrontavano e la loro competizione continuava anche fuori dai campi di calcio con battute sarcastiche e osservazioni pungenti.

Da ragazzi erano venuti più volte alle mani, sfogando nell’unico modo possibile il loro temperamento irascibile, ma dietro alle continue reciproche provocazioni c’era fra di loro un profondo rispetto e, anche se entrambi lo avrebbero decisamente negato, una solida amicizia.

Erano due solitari, due caratteri duri e violenti, due dominatori, troppo simili per non entrare continuamente in competizione.

- Sono qui per questo, Mark. – lo sguardo di Benji non tradiva incertezze.

- Appunto! – Freddy Marshall battè le mani con forza attirando l’attenzione di tutti – Dal momento che adesso anche Benji è qui con noi ci alleneremo insieme. Vogliamo vincere contro la Thailandia, vero? E allora tornate ad allenarvi! – esclamò.

Ubbidienti alle sue esortazioni si diressero tutti verso il campo correndo e Benji prese posto tra i pali della porta, infilandosi i guanti. Si sistemò la visiera del berretto e piegò leggermente le ginocchia allargando le braccia.

Era lì, pronto a guardare in faccia l’attaccante, pronto a vedere nei suoi occhi la determinazione e il fuoco della sfida. L’adrenalina gli scorreva nelle vene come il primo giorno in cui aveva iniziato a giocare. Vide Mark Lenders avvicinarsi pericolosamente all’area si rigore e guardò la furia dell’attaccante pronto a dominarla. Uno scintillio gli corse negli occhi, preparandosi a parare.

Più tardi, al termine dell’allenamento, i giocatori indugiarono pigramente negli spogliatoi rinnovando l’amicizia ed il cameratismo di sempre.

- Benji, sei davvero in gran forma! – disse Holly, fregandosi vigorosamente il capo con un asciugamano. Il capitano era pienamente soddisfatto. Con l’arrivo Price la squadra sembrava molto più motivata. Quel portiere era davvero carismatico, riusciva a spronare tutti con la sua sola presenza.  

- Grazie Holly, anche tu mi sembra che ti sei ripreso perfettamente dopo quel piccolo infortunio. - rispose l’altro infilandosi la giacca della tuta

- Già. – il capitano fletté il braccio e la spalla con attenzione – Sembra che sia tornato tutto a posto – confermò.

- A dire il vero siamo tutti in ottima forma – replicò Tom uscendo dalle docce con solo un asciugamano stretto in vita.

- Abbiamo ottime probabilità di vincere questo quadrangolare – disse Mark dando voce alle speranze di tutti.

- Già. E’ un’ottima opportunità per prepararci in vista dei Mondiali dell’anno prossimo – intervenne Philip

- Si. Dobbiamo fare del nostro meglio anche perché il capitano ci tiene particolarmente a fare una bella figura. – Il corpo di Tom era scosso da un risolino a malapena trattenuto –  E non solo per il motivo che credete voi! – aggiunse mentre il viso del campione diventava paonazzo. 

In un attimo l’attenzione di tutta la squadra venne calamitata su Holly che, imbarazzato, rovistava nel suo armadietto.

- Dai Holly! – Bruce era il più agguerrito – Cosa sa Tom che noi non sappiamo? -

- Niente, niente. – il giocatore cercava di sfuggire inutilmente alla curiosità dei suoi compagni.

- Vuoi vedere – il tono di Lenders era a metà strada tra lo stupito e il divertito – Che quel pappamolle di Hutton ha trovato finalmente il coraggio di dichiararsi? – sparò con improvvisa intuizione.

Lo sguardo di fuoco di Holly e la risata incontenibile di Tom confermò agli altri che Mark aveva centrato nel segno.

Se possibile Holly diventò ancora più rosso – Ti avevo detto di tenertelo per te!- sibilò irato rivolto all’atra metà della Golden Combi.

- Dai Holly non prendertela! – Tom non riusciva a smettere di ridere – Una notizia così bella non potevo tenermela per me. -  

- Holly! – Bruce aveva le lacrime agli occhi per l’ilarità – Vuoi dire che finalmente hai trovato il coraggio di sposare quella scatenata di Patty? -

Philip gli battè una manata sulle spalle – E bravo il nostro capitano! -

- Taci Philip! – la pazienza di Holly si andava esaurendosi – Non mi sembra che tu sia in una posizione migliore della mia! – gli ritorse contro.

Il calciatore fece le spallucce con aria tranquilla – La mia storia con Jenny è cosa nota ed io non ne faccio certo mistero. Lo sanno tutti che abbiamo intenzione di sposarci prima dell’inizio del prossimo campionato. – replicò calmo.

- Siete dei rammolliti. – Mark scosse la testa con una smorfia di disapprovazione – Tutti persi dietro a qualche sottana. -

- Tu no, Lenders. Non c’è pericolo che qualcuna ti prenda, scontroso come sei! – esclamò Bruce, prontamente zittito da un asciugamano bagnato, scagliato sulla sua faccia da una Tigre impermalita.

Tutti risero.

Benji sollevò il borsone sulla spalla e si avviò alla porta.

- Benji…- il tono serio di Holly lo fermò quando già aveva posato una mano sulla maniglia – Aspetta un attimo ti devo chiedere una cosa… -

Il portiere si fermò e trattenne inconsciamente il fiato, già sapendo quello che l’altro stava per dire.

- Ecco… - il capitano, solitamente sicuro e deciso nelle questioni che riguardavano la sua squadra, sembrò esitare - Tutti noi siamo molto felici che tu sia arrivato. Ti aspettavamo con ansia anche se non speravamo che venissi. Freddy si è rifiutato di parlarcene, ma noi abbiamo letto i giornali… credevamo…- iniziò incerto

- Cosa vuoi sapere, Holly? – il tono di voce di Benji era secco e innaturale – Vuoi sapere se faccio uso di sostanze proibite? -

- No! –

Benji si girò sorpreso. Era stato Lenders a parlare con la sua grinta abituale  – Vogliamo sapere perché non hai tirato fuori le palle e non ti sei difeso da quelle accuse infamanti. – affermò con la sua solita schiettezza.

Un lampo d’ira di accese negli occhi del portiere – Quando vorrò una lezione su come tenere i rapporti con la stampa, Mark, stai pur tranquillo che verrò ad interpellarti – ribatté aspro.

- Non hai risposto alla mia domanda. – l’attaccante incrociò le braccia sul petto possente – Qui non si tratta di un malinteso con i giornalisti. Non credere di potertela cavare con i tuoi soliti giochetti. -

- Lascia perdere Lenders… - la voce di Benji era secca come una frusta ma Mark non era certo intenzionato a soprassedere

- Spiegaci perché te ne stai zitto e buono quando in altri momenti avresti fatto fuoco e fiamme per molto meno. Stai lasciando che la stampa ti faccia a pezzi senza opporre la minima resistenza. – continuò il cannoniere.

Benji lo ignorò e fece per aprire la porta dello spogliatoio ma Mark fu più veloce di lui e la richiuse con un tonfo secco, facendola sussultare sui cardini – Non vorrai dire che lascerai credere a tutto il mondo che le boiate che hanno scritto su di te sono vere! – esclamò la Tigre al colmo dell’esasperazione.

- Sono vere, Mark! –

Gli occhi di Benji fiammeggiavano e le parole gli uscirono di bocca come tante staffilate – Almeno nella parte in cui dicono che Liesel è morta e che io non ho fatto nulla per impedirlo! Se avessi fatto qualcosa adesso non troverei a fare da tutore ad una neonata di appena tre mesi! -   

Aprì la porta con tale veemenza che il pannello sbatte contro il muro con un rumore che nel silenzio assoluto dello spogliatoio rimbombò come una fucilata.

I giocatori fissarono allibiti il vano della porta ormai vuoto mentre cercavano di assimilare quella notizia stupefacente. Lenders fu il primo a riaversi dallo stupore lasciandosi cadere su una panca – Oh cielo! Perché non lo ha detto prima? –

 

Benji guidò fino a casa furibondo.

L’ automobile rispondeva ad ogni sua minima sollecitazione ed egli spingeva il potente mezzo fino al limite, scaricando la rabbia che aveva accumulato.

Non era arrabbiato con Mark per ciò che aveva detto ma piuttosto perché sapeva che lui aveva ragione. Eppure non poteva fare diversamente. C’erano in gioco troppe cose… l’affidamento di Martine e l’assoluta necessità di dover trovare al più presto una moglie per ottenerlo, lo stavano facendo impazzire.

Eppure non sapeva come comportarsi con la bambina. I suoi sentimenti per lei erano ancora troppo contrastanti e confusi. Non era abituato a dividere la propria vita con qualcuno. Era sempre stato solo e il fatto che all’improvviso ci fosse un esserino che avesse bisogno di lui in maniera così totale lo impauriva e lo sconcertava.

Frenò sul vialetto di entrata della villa e scese dall’auto mentre il maggiordomo gli apriva la porta e gli andava incontro prendendogli dalle mani il borsone sportivo.

Benji lo salutò con un cenno del capo – Martine e la signorina Miller? -

- Sono di sopra nella nursery, signore. -

Incredibilmente il viso perennemente serio di Jameson si aprì in un sorriso – Se posso permettermi, signore, quella bambina ha portato la gioia in questa casa -

Benji non replicò e iniziò a salire rapidamente le scale. Si fermò stupito sull’ultimo gradino.

Una risata melodiosa, come un tintinnio di tante campanelle proveniva dalla porta aperta della nursery.

Clare era china sul fasciatolo e stava cambiando il pannolino a Martine facendole un leggero solletico sul pancino. La piccolina muoveva manine e piedini e gratificava Clare di tutta una serie di risatine che andavano a mescolarsi al divertimento della giovane donna.

Fu come se Benji avesse ricevuto un pugno in testa. Il volto ridente di Clare era come un faro luminoso che lo attirava verso la luce e il calore.

Improvvisamente sentì il rabbia abbandonarlo. Quella donna aveva il potere di calmare il suo animo inquieto con la sua sola presenza e si scoprì a desiderare di andarle più vicino per godere appieno di quella gioia incredibile che emanava, come un affamato che desiderasse di avvicinarsi ad un suntuoso banchetto.

Lei si volse e lo vide, fermo sulla soglia della nursery. Smise di ridere ma un dolce sorriso continuò ad illuminarle il volto - Buonasera Mr. Price, è venuto per vedere Martine? – gli chiese continuando a cambiare la bambina con gesti rapidi e sicuri.

Lui si ritrovò ad annuire e si avvicinò lentamente al fasciatoio, accostandosi alle spalle di lei.

– Oggi è stata buonissima. – lo informò lei mentre Martine gorgogliava contenta.

Clare alzò lo sguardo e vide gli occhi dell’uomo puntati su di sé. Poteva avvertire distintamente il sentore di pulito che emanava e il profumo amarognolo della sua colonia e inspiegabilmente il suo cuore accelerò i battiti.

Benji fece scorrere la punta dell’indice sua una delle morbide manine della bambina, meravigliandosi quando le piccole dita si strinsero con forza attorno al suo in una stretta tenace. 

- Adesso dovrei darle da mangiare …- mormorò Clare incapace di distogliere lo sguardo da quello penetrante ed enigmatico di lui – Se vuole può tenere un po’ in braccio la bambina mentre io preparo il biberon. -

- No. – la risposta negativa di lui non si fece attendere – Ho alcune cose importanti da fare. Non posso trattenermi. Metta pure Martine nella culla. –

Poi non riuscendo a sostenere lo sguardo di rimprovero di Clare si avviò verso la porta.

  
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