Aaaaawwww! *w*
Prima di tutto: un enorme grazie a TopazSunset e a Ermal!
Ho saltellato mezz' ora dalla contentezza prima di leggere le vostre recensioni XD
TopazSunset:
Grazie mille, davvero, sono contenta che ti sia piaciuto l'inizio! Per
la storia del football americano femminile, sono a conoscenza del fatto
che anche le donne possano praticarlo, ma volevo metterla un po' in
chiave "gioco tra bambini", e che quindi Hiruma veda il football
americano un "gioco" solo per maschi, escludendo quindi le femmine.
XD
Ti ringrazio di nuovo per aver gentilmente recensito la mia ff, e spero davvero che il seguito possa piacerti!
Ermal: Sono contenta che Chizuru ti piaccia! Anche
se in realtà il personaggio più difficile da gestire
è ovviamente Hiruma, ho una paura tremenda di andare OOC!
Sì, mi sono accorta della svista su Musashi e chiedo venia. Mi
sono riletta il manga e mi sono accorta dell' errore, provvederò
al più presto a toglierlo, grazie per avermelo ricordato. ^w^ E
oh sì, adesso metterò una piccola trama, sono nuova al
mondo delle fan fiction e quindi i consigli sono sempre ben accetti!
Meno male che me l'hai fatto presente! Grazie ancora per avermi
recensita.
Bene, adesso veniamo al secondo capitolo. Spero possa essere di vostro gradimento! Se ci sono errori, o sto andando in OOC, fatemelo presente, così che io possa correggermi! :D
Ero penso nel
cortile di casa, intenta a scaricare delle scatole di chiavi inglesi che erano
arrivate a mio padre in negozio, quando sentii suonare il telefono nella tasca
posteriore dei pantaloni. In tutta fretta misi le scatole a terra e tirai fuori
il cellulare, rispondendo alla chiamata con la voce affannata.
- Pronto?
- Ehi, Chizuru.
Era una voce che
conoscevo bene. Sprezzante, derisoria, piena di sarcasmo.
- Oh oh, chi non
muore si rivede. Ciao, Yoichi.
Non era abituato
a sentirsi chiamare per nome, neanche Musashi o Kurita lo chiamavano così. Lo
innervosiva, e a me faceva piacere. Una sottile vendetta per tutte le puntine
del passato. E anche una sorta di abitudine, visto che anche lui mi chiamava
per nome.
- Kekeke. Ho una
cosa da chiederti.
- Non perderti in
chiacchiere varie, Yoichi, lo sappiamo tutti che tu non chiedi mai. Tanto poi a
quello che vuoi tu ci arrivi sempre. In cosa posso servirla, signor Hiruma?
- L’ironia non ti
ha lasciata, a quanto sento.
- Non perderti in
chiacchiere, Yoichi. Stavo scaricando della roba per mio padre.
- Ho messo su una
squadra, Chizuru.
- Lì alla Deimon?
Ti sarà costato parecchio sforzo ricattarli tutti.
- Kekeke. Sono
venuti quasi tutti di loro spontanea volontà. Uno di loro è Eyeshield 21.
- Non ci credo,
tu sei quel pazzo che ha in squadra Eyeshield?!
- E’ una buona
squadra, Chizuru. Ci siamo allenati parecchio. Il ciccione di merda è sempre lo
stesso, ho reclutato un ricevitore decisamente interessante, Eyeshield 21, e
dei buoni blocker. Puntiamo al Christmas Bowl.
- Pazzo. Che
altro hai fatto di altrettanto folle?
- Death March,
duemila chilometri fino a Las Vegas tutti di corsa.
- … La follia
umana è qualcosa di veramente incredibile.
- Vinceremo il Christmas Bowl, non ti
preoccupare, è già tutto nei miei piani. –sghignazzò.
- Sì, sì.
Assolutamente. Yoichi, porca miseria, devo portare due scatole di chiavi inglesi
in negozio, puoi dirmi che cosa desideri da me?
- Che tu torni a
Tokyo.
No, era
decisamente fuori di sé. Si era fumato qualcosa di sicuro. I suoi neuroni erano
stati alterati. Qualcuno lo salvi.
- EH?! Ma ti sei
rincretinito tutto d’un botto? Per quale onorevole motivo dovrei farlo?
- Ho bisogno di
una sorta di personal trainer per Eyeshield. Tu sei l’unica che corre alla sua
stessa velocità, solo tu puoi seguirlo seriamente…
-“…Senza essere
pagata”.
- Perspicace.
- Hai una mia
scheda sulla tua maledettissima agendina dei ricatti?
- No.
- Menti.
- Può darsi.
- Okay,
ammettiamo che io torni a Tokyo.- dissi scocciata, sedendomi su una panchina di
pietra- Cosa ne ricavo? Seguo Eyeshield. Okay. Ma tu non hai appena detto,
oltretutto, che questo poveretto si è fatto un mese con te a farsi mitragliare
il sedere? A che servirei io, scusa?
- Avete la stessa
velocità.
- Non la stessa
resistenza.
- Ti alleni tutti
i giorni, come un tempo, correndo due ore e passa per i campi dopo la scuola. E
al liceo fingi di non saper correre a quella velocità per non essere reclutata
nel club di atletica.
- … La tua fonte
di informazioni?
- Quell’idiota di
Rokudo, a tre isolati da casa tua.-ghignò lui.
Bastardo.
- Okay, -ringhiai
io- potrei, dico, potrei insegnare
qualcosa a quel ragazzo. Ma non c’è motivo per cui io possa farlo.
Rimase in
silenzio per un istante. In sottofondo sentivo delle grida di incitazione e una
voce di una ragazza che dava il ritmo per degli esercizi.
- Avete
un’allenatrice. –commentai.
- E’ la manager.
- Una donna come
manager? Dio, Yoichi, ti sei spinto davvero in basso.
- E’
intelligente, può servirmi.
- Oh oh oh, il
signor Hiruma sta mettendo su famiglia.
- FUCK.
- Rispondi alla
mia domanda, Yoichi, mio padre mi sta chiamando. Dimmi seriamente perché devo
tornare in quel caos di città.
- Il tuo vecchio
aspetterà ancora qualche minuto. Perché? E’ molto semplice, Chizuru. E’ la tua
unica possibilità di riprendere a praticare football.
Mi aveva in
pugno, cribbio. Alla fine andava sempre tutto come aveva pianificato lui. Aveva
espresso a voce ciò che era il mio più grande desiderio. Infame fino al fondo.
- Ti odio ogni
tanto, sai, Yoichi? Parecchio. Sei uno stronzo.
Rise, gustandosi
la vittoria.
- Allora, torni?
- Come se avessi
altra scelta. Ne devo parlare con mio padre.
- Ho già parlato
io col tuo vecchio, è d’accordo.
- Non ho la forza
per mandarti a quel paese. Okay, torno a Tokyo.
- C’è un treno
che parte domani verso le otto di mattina, io, Musashi e Kurita ti veniamo a
prendere alla stazione. Il ciccione piange già adesso.
- Dove alloggio,
di grazia? Non ho i soldi per pagarmi un albergo.
- Musashi non
può, e il padre di Kurita non accetta donne in casa sua. Kekeke, chiederò a
Eyeshield.
- Io non lo
conosco. E poi è un ragazzo.
- … Allora stai
da Anezaki, la manager di merda.
- Che tipo è?
- Ingenua,
innocente, fa parte del comitato disciplinare, ha ottimi voti in tutte le
materie, vive con…
- NO. Decisamente
NO.
Pausa.
- E allora dovrai
stare da me, running back di merda.
Oddio. Forse era
meglio da Anezaki.
- Sei anche tu un
ragazzo, Yoichi.
- Maddai, aspetta
che cotrollo se è ancora tutto a posto nei pantaloni.- sbuffò ironico lui.
- Idiota.
- L’alternativa è
Eyeshield o qualcun altro della squadra, Chizuru. O sotto i ponti. Conosco un
bravo barbone che distribuisce sake gratis alle fanciulle dei sobborghi.
- Digli che può
anche tenerselo, il sake. Okay, vengo da te, ci sto. Devo portare un giubbotto
antiproiettile?
- “Le donne non
si toccano neanche con un fiore”, diceva qualche povero ingenuo. Basta che non
rompi troppo.
- Non più di
quanto facevo due anni e mezzo fa.
- Vedi di
trovarti alla stazione, domani.
- Oooh, sì, anche
perché altrimenti mi sguinzagli dietro quel caro cagnetto, Cerbero.
- Kekeke. A domani, running back di merda. Salutami il vecchio.
Feci per
rispondergli, ma aveva già attaccato.
Diavolo d’un
Yoichi.
Mi aveva
incastrato di nuovo.
Preparai una
valigia in tutta fretta, mettendoci le cose senza piegarle, e fui quindi poi
costretta a sedermici sopra per chiuderla. Presi i miei vecchi libri di scuola,
dato che avrei dovuto un minimo ripassare in treno per gli esami di ammissione,
qualcosa da mettermi addosso, mi dimenticai di prendere qualche romanzetto da leggermi
in viaggio e presi invece qualcosa di inutile come un manuale sul football
americano. Inutile poiché, visto che sarei stata a casa di Yoichi, portarmi un
manuale da due soldi quando lui probabilmente possedeva tutta l’enciclopedia
del Football Americano, era una cretinata. Ma ero masochista e soprattutto di
fretta, quindi lo ficcai in valigia tanto per occupare un po’ di spazio.
Mio padre mi
diede qualche soldo per potermi pagare ciò di cui avevo bisogno, più una sorta
di raccomandazione verso quel pazzo di Yoichi. Risi. Chi conosceva meglio di me
quel terrorista in erba? Sapevo benissimo come difendermene.
Salutai
l’Hokkaido con un po’ di tristezza, e il giorno dopo presi il treno delle otto
che passava per un paese vicino al nostro, leggermente più urbanizzato. Passai
il viaggio a ripassare per l’esame, a guardare fuori dal finestrino i campi
sterminati e le risaie, addormentandomi esattamente a mezz’ora dall’arrivo.
Pessima idea: mi svegliai di soprassalto un attimo prima che il treno passasse per
la stazione ferroviaria di Tokyo, presi la mia valigia imprecando sonoramente
cercando di risvegliarmi un po’, e scesi inciampando nei piedi di una signora.
Mi scusai, dopodichè mi guardai intorno per vedere dov’erano i miei vecchi tre
amici delle medie.
Non li vidi
subito a causa della marea di persone che mi passava davanti, ma mi resi conto
dopo poco che erano a meno di tre metri di distanza da me. Appoggiai la valigia
a terra e gli sorrisi.
Musashi, al
centro, era con indosso i vestiti da muratore e una sigaretta tra le labbra.
Non era cambiato per niente, se non per l’inizio di una barba più evidente.
Sembrava davvero un trentenne.
Kurita, al suo
fianco, era sempre lo stesso: enorme, pacioso, dall’aspetto buono, le guance
paffute e un grande sorriso che gli andava da un’orecchia all’altra.
E per ultimo,
Yoichi. Lui, invece, era cambiato parecchio. Non me lo ricordavo così alto, e
le sue spalle si erano fatte più larghe. Tuttavia, era smilzo come al solito, e
i jeans attillati che portava lo sottolineavano parecchio. I capelli erano sempre sparati
allo stesso modo, ero seriamente convinta che per farli così la mattina
mettesse due dita nella presa elettrica; il viso era sempre lo stesso, il naso
sottile, le labbra tirate in un ghigno diabolico, le caratteristiche orecchie a
punta, gli occhi dal taglio obliquo, azzurri, e le sopracciglia arcuate.
Indossava jeans neri, una maglia altrettanto nera, e sopra una camicia a
maniche corte bianca, a cui teneva il colletto alzato.
Mi guardava e
sghignazzava diabolico, senza un minimo di ritegno.
- Kekeke, alla
fine sei venuta sul serio, running back di merda.
- Non pensavo di
avere altra scelta, idiota. –borbottai io sbadigliando.
-
FUKUDAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Mi voltai e vidi
Kurita spiccare un balzo a braccia aperte, con l’evidente intento di
saltarmi addosso e di stritolarmi come suo solito. Mi scostai leggermente di
lato per evitare l’urto.
- Kurita… lo sai
che puoi chiamarmi Chizuru… ma ti prego, non assaltarmi, le mie ossa ne
risentirebbero.
- Scusa, scusa,
scusa Fukud… cioè, Chizuru!- singhiozzò lui- Ma sono troppo contento di
rivederti! Quanto tempo! Ci mancavi tantissimo!
- Kurita, la stai
stritolando comunque. –commentò serio Musashi.
- Scusaaaaaa!
- Ma niente…
Ryokan… -tossii io tentando di liberarmi dall’abbraccio.- Ehi, Gen! Come stai?
- Bene, grazie.
Mio padre si sta riprendendo un po’.
- Sono contenta!
Un giorno o l’altro verrò a fargli visita, se ti va bene.
- Vieni pure. A
lui fa solo piacere. –sorrise Musashi.
Mi voltai verso
Yoichi, ghignando.
- Non l’avrai del
tutto vinta, fidati, troverò un modo per incastrarti.
- Senza offesa,
ma non penso.
Uno scambio di
battute si era improvvisamente trasformato in una gara a chi sghignazzava di
più.
- Hei hei hei voi
due, calma. –ci intimò Musashi, sbuffando. - Io devo tornare al lavoro, ci si
vede, Chizuru, anche se non sono più alla Deimon. Faccio dei lavoretti per
questo imbecille- indicò Yoichi-, è più che probabile che ci incrociamo.
- Sei venuto fin
qui in stazione solo per salutarmi, Gen? Oddio, mi dispiace averti scomodato.
- Ci sarei venuto
lo stesso. Volevo salutarti. –disse lui alzando le spalle.- Ci si vede!
Si voltò e,
buttando la sigaretta in un cestino, si perse nella folla. Rimanemmo io, Yoichi
e Kurita.
- Oggi non abbiamo
allenamenti, abbiamo intensificato ieri per poi riposarci un po’ oggi.- mi
raccontò Ryokan allegro.- Hai già mangiato in treno, o hai bisogno di…
- No no, grazie
Ryokan, mi ero preparata qualcosa da mangiare. Sono stanca morta, vorrei solo
andare a casa, il viaggio mi ha rintronata parecchio.
- Ti ho fatto un
duplicato delle chiavi.- disse Yoichi, lanciandomele. Le presi al volo e le
misi al sicuro in valigia.
- Me le fai
pagare, per caso?
- No, offre la
casa.
- Allora se per
te non è un disturbo possiamo avviarci a casa tua?- domandai, sbadigliando
nuovamente.
- EH? Hiruma,
Chizuru sta da te?- chiese sbalordito Kurita, fissandolo.
- Si è rifiutata
di stare da Anezaki, e dice che non gli piace stare con gli sconosciuti, quindi
ho escluso anche i due fratelli Taki.
- Ma neanche
Suzuna…?
- Ciccione di
merda, credi che potrebbe resistere nella stessa casa di uno come quel cretino
di Taki? Porterebbe più guai che altro.
- Chi è Taki?-mi
intromisi io, mettendomi la valigia a tracolla.
- Il tight end, è
promettente ma è un idiota totale.- rispose Yoichi.- La sorella è la capo
cheer-leader.
- I Deimon Devil
Bats hanno delle cheer-leader?- esclamai spalancando gli occhi. Ma cos’era, una
squadra di football americano o un gruppo di allegri studenti in gita?
- Servono a
tirare su il morale di quei pervertiti dei sostituti.-replicò lui controllando
l’ora.
Mi bloccai a metà
di una battuta decisamente cattiva, ricordandomi che era presente anche Kurita.
- Ciccione di
merda, fai la strada con noi?- chiese il biondo, il sopracciglio leggermente
inarcato.
- No, vado a fare
visita a Kumosubi se non vi dispiace…-disse timido il ragazzo, intimorito dallo
sguardo serio di Hiruma.
- Okay. Vedi di
non ingrassare troppo.
Partì spedito
verso l’uscita, le mani nelle tasche, senza spiccicare parola. Salutai
velocemente Kurita con una mano e lo rincorsi, tentando di non perdere per
strada la valigia.
- Hei, potevi
almeno aspettarmi!
- TSK.
- E’ tanto
lontana casa tua?
- Dieci minuti
dalla Deimon. Un quarto d’ora e saremo arrivati.- rispose con voce monotona,
senza guardarmi.
- Come carattere
non sei cambiato, ma ti trovo leggermente diverso.- dissi, tanto per iniziare
una conversazione.
- Duemila
chilometri ti fanno cambiare.
- …Senti, ma
Doburoku dove l’hai scovato?
- Ah,
l’alcolizzato di merda? Era steso su una panchina di una spiaggia texana,
completamente sbronzo.
- Che cazzo di
faceva in America?!
- Aveva un debito
di venti milioni di yen qui in Giappone, e se l’è data a gambe.
- Quindi adesso
deve ripagare tutti i debiti?
- Gli ho fatto un
prestito io, vincendo i venti milioni di yen al casinò di Las Vegas.- disse,
come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Tu hai vinto
venti milioni di yen in un posto come Las Vegas?- esclamai io spalancando gli occhi incredula.
- Evidentemente.
- Pazzo, folle.
Mi ricordo ancora quando andavi a giocare a poker con quelli della base
militare…
- Kekeke, mi hai
ricordato che ho un conto in sospeso con qualcuno.
- Forse era
meglio se stavo zitta.- sospirai.
Non parlammo
finchè non arrivammo ai piedi di un edificio non molto alto, abbastanza
moderno, all’incrocio con due corsi non molto grandi, ma abbastanza popolati.
Yoichi prese le chiavi dalla tasca, ed entrammo nel condominio. Facemmo un
piano a piedi -lui sempre con le mani nelle tasche-, poi svoltammo sulla destra
e vidi una porta scura con la targhetta “Hiruma” vicino al campanello.
Diede quattro
giri di chiave nella toppa, e aprì la porta scura, entrando in un corridoio
stretto e immerso nell’ombra. Accese la luce, io chiusi la porta dietro di me,
mi girai e non lo vidi più. Era sparito.
Pazienza, la
gentilezza sapevo già che non era una sua caratteristica. Dovevo fare il giro
di casa da sola.
Il corridoio era
effetivamente molto stretto, e il soffitto basso. Sulla destra, una porta di
apriva su un bagno piccolo, senza vasca, ma solo con una doccia a cabina.
Andando avanti, il corridoio si apriva su una grossa stanza divisa in due da
una libreria di legno scuro colma di libri, fogli, cartelline e cavi di ogni
sorta. Alla sua sinistra, Yoichi ci aveva ricavato la sua stanza da letto,
composta da niente più che un letto da una piazza e mezza, basso, affiancato da
una finestra grande e luminosa, per metà coperta da delle pesanti tende di un
blu scuro tendente al nero; dall’altra parte del letto c’era la libreria che
divideva la stanza, mentre sull’unica parete libera compariva un armadio a muro
con due cassetti al fondo.
Alla destra della
libreria, invece, il caos più totale. Il pavimento era ricoperto letteralmente
da riviste di “American Football”, aggeggi elettronici, manuali sulle strategie
militari tedesche, sull’elettronica, fascicoli probabilmente illegali per “Il
perfetto hacker”, una maglietta che faceva parte della divisa dei Devil Bats,
riconoscibile dal colore rosso fuoco e dal numero 1 che indicava il
quarterback, carte di gomme da masticare senza zucchero e di snack alle alghe,
più un inquietante collare per cani con tanto di spuntoni, probabilmente di
Cerbero. In mezzo a tutto questo caos regnava un enorme e pacchianissimo divano
di pelle nera, di quelli che tengono un caldo bestia anche a Gennaio, pieno di
cuscini e riviste; di fronte, un enorme schermo al plasma poggiato all’interno
di un’altra liberia.
La cucina si
apriva su questo spazio, separando il tappeto di riviste dai fornelli tramite
un piccolo muretto, al cui fianco era stato messo uno strettissimo tavolo
abbinato a due sedie moderne, di un rosso tendente all’arancione che
personalmente trovavo orrendo. Il frigorifero era color acciaio, con a fianco
il gas e la dispensa appena al di sopra del lavabo. Yoichi era lì, intento a
cercare degli snack alle alghe.
- Hem… io dove
dovrei dormire?- domandai, timorosa, cercando di arrivare a lui senza pestare
tutte le riviste sparse sul palchetto.
- Sul divano.-
rispose secco lui, continuando a cercare gli snack.
- Quel…?
-…Scomodissimo
divano in pelle nera regalato dal mio carissimo padre? Sì. Fuck. Ho finito gli
snack.
Sempre in punta
di piedi per non pestare tutte le riviste, mi avvicinai al divano. Spostai la
borsa che conteneva la divisa da football -pesantissima,oltretutto-, un paio di
polsini neri, due lattine di birra Asahi vuote, fogli sparsi con schemi, il
telecomando della televisione, e finalmente potei poggiare la mia roba. Mi
buttai esausta sul divano, sbuffando e mettendo i piedi su un basso tavolino che
avevo davanti.
Chiusi gli occhi,
e mi addormentai di botto lì, in una posizione decisamente scomoda, abbracciata
ad un cuscino, la faccia ficcata a fondo nel bracciolo del divano. Non dovevo
essere davvero un bello spettacolo.
Mi svegliai
quando un raggio di luce mi colpì gli occhi, costringendomi ad aprirli.
Mugugnai qualcosa di non ben definito, e mi tirai sù, passandomi una mano sulle
palpebre. Sbadigliai, mi guardai intorno e realizzai che non ero a casa mia.
“Idiota, sei a
casa di Yoichi”, pensai, e saltai giù dal divano, rischiando di scivolare sulle
riviste patinate di football americano. Guardai fuori dalla finestra e mi resi
conto che era il tramonto, dato che tutte le case erano tinte di un delicato
arancione tendente al rosa. Non feci tempo a sorridere, che sentii una forte
dolore sulla nuca. Qualcuno mi aveva tirato qualcosa. Mi voltai massaggiandomi
il punto colpito, e ruggii a Yoichi, il quale, come al solito, sghignazzava.
- Ahio,
imbecille! Mi hai fatto male!- imprecai con una smorfia sul viso.
- Russavi che era
un piacere.- rise diabolicamente lui.
- Idiota!-
replicai io, arrossendo leggermente- Io non russo! Che vuoi?
- Io esco a
correre lungo il canale. Vieni?
- Ma non avevi
detto che oggi non facevate allenamenti?
- Non rispondermi
con altre domande, running back di merda. Ti ho chiesto se vieni o no.
- Vengo, vengo,
ma non capisco perché prima Kurita aveva detto così .-gli risposi, aprendo la
mia valigia e tirando fuori un paio di pantaloncini corti- quelli che usava una
volta al liceo mio cugino per fare basket- e una maglietta larga nera di cui
ignoravo la provenienza.
- Il ciccione di
merda farà quello che vuole, ma io vado a correre. Sono il quarterback, non
l’ultima ruota del carro. E il torneo sta quasi per iniziare.
- Ok, ok, se
pazienti tre secondi mi cambio e arrivo.
Corsi in bagno,
mi infilai a forza le due cose che avevo arraffato dalla valigia, buttai il mio
precedente cambio sul divano e uscii da casa, inseguendo Yoichi che ovviamente
non mi aveva aspettata.
Camminava con le
mani nelle tasche della tuta, ghignando.
- Le hai tu le
chiavi, vero?- gli domandai, saltellandogli dietro per finire di allacciarmi le
scarpe da ginnastica.
- Ovvio.
- E’ lontano il
canale?
-No, -borbottò
lui- non molto.
Mi resi conto, guardando
l’orologio della piazza, di aver dormito per due ore e mezza di fila senza
sosta. Dovevo essere davvero stanca. Però ero felice: finalmente riavevo
indietro tutto quello che mi ero lasciata alle spalle. Yoichi, Kurita, Musashi,
le strade affollate di Tokyo, il football americano.
Per la prima
volta dopo davvero tanto tempo, sorrisi. Hiruma mi guardò stranita mentre
ridacchiavo tra me e me e mi stiravo le braccia, facendo scrocchiare la schiena
e inspirando l’aria di città.
Arrivammo al
canale dopo appena un quarto d’ora di cammino. Gli ultimi raggi di sole si
riflettevano sulla superficie scura dell’acqua, danzando sulle piccole onde che
si infrangevano a riva.
- Bene, running back di merda. Ci vediamo qui tra un’ora e mezza. -sentenziò
Yoichi, la fronte corrugata mentre guardava verso il sole.
- Eh? Cosa…?
Che stava
dicendo? Non capivo.
- Beh idiota, tu
corri molto più veloce di me, allenati.
Sbuffai.
- Idiota sarai
tu. Corro con te. Non avrebbe senso correre separati.
- Fai come vuoi. -
disse lui, e incominciò a correre lungo la strada che costeggiava il canale.
Lo raggiunsi
sospirando. Era sempre lo stesso. Solitario, autonomo e indipendente fino alla
morte. E orgoglioso come pochi.
- Devi sentirti
abbastanza sotto pressione, in questo periodo.- dissi.
- Ovvio che lo
sono. La mia è una grande responsabilità. Ma è anche ovvio che non perderò,
kekeke.
Correvamo fianco
a fianco, i respiri in sintonia.
- Se perdi, ho un
motivo in più per menarti.
Rise.
- Pensi che
Musashi tornerà in squadra?
- Certo che
tornerà, è nei miei piani. –mi rispose, mentre un ghigno diabolico gli si
dipingeva sul volto- L’unica pecca dei Devil Bats è la mancanza di un kicker, e
gli altri lo sanno. Però il nostro attacco è uno dei migliori di tutto il
Kanto, quindi per ora non c’è molto da
preoccuparsi.
- Perché ne sei
così sicuro?
- Il vecchiaccio
di merda non può rinunciare al football. Tornerà, proprio come hai fatto tu.
Bingo. Era
semplice. E lui era sempre il solito diabolico stratega.
- Sei impressionante.
Cosa farai dopo il Christmas Bowl?
- E chi lo sa.
Per ora la meta è quella, poi si vedrà. Tu, ad esempio, cosa farai?
- Oh, finirò a
fare il punto croce e a sognare i nomi dei miei bambini come tutte le ragazze
di quell’età. -borbottai ironicamente- Ma è molto più probabile che erediterò la
ferramenta di papà.
- Non intendi
andare all’università?
- E diventare una
di quelle occhialute segretarie con tre lauree in lingua che non sono riuscite
a combinare niente nella propria vita? No. Preferisco di gran lunga passare il
resto della mia vita nell’Hokkaido a trasportare scatole di chiavi inglesi e
trapani. In mezzo alla campagna, a respirare aria pulita.
- Kekeke. Non
penso che riuscirai a rinunciare al football per tanto tempo.
- Non ho detto di
non poter aprire una scuola di football in quel buco di paese.
- Gestito da una
donna? Saresti credibile come Kurita proprietario di una cristalleria.
- Tu stai a
vedere. Ce la farò. –sbuffai.
- Sei riuscita a
sopportare le mie puntine sulla sedia per settimane, per quello che mi riguarda
puoi arrivare dove vuoi.- disse, masticando una delle sue solite gomme senza
zucchero.
Lo guardai con
gli occhi spalancati. Mi aveva detto qualcosa di vagamente gentile,
incredibile.
- Grazie,
apprezzo.
- Non lo dicevo per
te, Chizuru, è un semplice dato di fatto.
- Mh, farò finta
di crederti. Dimmi qualcosa sulla squadra, dai.
- La vedrai
domani agli allenamenti mattutini, non rompere.
- Già me li
immagino: tremanti di paura a causa del diabolico Hiruma.- ghignai.
- Questo perché
non hanno ancora incontrato il rasta di merda.- ridacchiò lui.
- Agon? Quello è
solo tutto muscoli, violenza e basta.
- Appunto per
questo è pericoloso.
- Vorresti dire
che tu non lo sei? AH! Questa me la segno.
- Penso che
tornerò a casa a prendere il mitra.
- Dai idiota,
scherzavo. Lo so che Agon è pericoloso. Ma non quanto te. Tu sei muscoli e
cervello. Due al prezzo di uno.
Non rispose.
Continuammo a
correre per una buona ora, poi decidemmo di tornare indietro, dato che eravamo
entrambi sudati fradici e con un gran buco nello stomaco. “Decidemmo”. Ahahah
che bella battuta. Semplicemente, ad un certo punto Yoichi guardò l’orologio e
invertì il senso di marcia, di punto in bianco.
Arrivati a casa,
lui si buttò sotto la doccia, e io aprii il frigo per vedere cosa c’era per
cena. A parte le lattine di birra, snack vari, e qualche verdura che non aveva
un particolare aspetto commestibile, di abbordabile c’erano solo due ramen
surgelati da far scaldare nel microonde. Sospirai. Li misi a scaldare,
togliendo gli strati di cartacce e di cartelline dal tavolo della cucina e
apparecchiandolo.
Poi mi ributtai
sul divano, accesi la TV-impostata su un canale americano che trasmetteva solo
partite della NFL e mi persi nella visione di placcaggi brutali e azioni
complicate che a malapena riuscivo a seguire.
Ad un certo punto
sentii la porta del bagno aprirsi, e senza pensarci mi voltai. Yoichi veniva
verso la sala con indosso dei pantaloni lunghi e una t-shirt nera, un
asciugamano bianco abbandonato su una spalla. Tutto ciò non aveva niente di
sconvolgente, ma i suoi capelli sì.
Ero abituata a
vedere la solita pettinatura punk, mentre ora la sua zazzera di capelli biondi
era tornata come quando era un bambino, ovvero senza tutto quel gel; erano lisci,
un po’ spettinati, ma piatti. Insomma, senza quella sorta di… pettinatura da
teppista convinto. Gli icorniciavano il viso esattamente come quando era un
undicenne. Gli donavano un’aria completamente diversa, e sottolineavano i suoi
occhi d’un azzurro brillante.
- Che hai,
running back di merda?- mi chiese stranito, passandosi l’asciugamano nei
capelli.
- Niente,
niente.- risposi alzandomi.- Vado un momento io a farmi una doccia, nel
microonde ci sono due ramen, inizia pure senza aspettarmi.
- Mh no ti
aspetto.- disse sedendosi sul divano, gli occhi fissi sullo schermo della
televisione.
Sospirai e andai
in bagno. Mi svestii e aprii la doccia, ficcandomi sotto l’acqua con piacere,
togliendomi di dosso la stanchezza e il sudore della giornata.
Quando tornai in
sala, Yoichi era ancora lì a guardare la partita, in un mondo tutto suo. La
mano si muoveva da sola, disegnando sul retro di una pubblicità un nuovo schema
offensivo. Non l’avrei scollato da lì neanche con un cannone.
Presi i due ramen
e mi sedetti sul divano vicino a lui, porgendogli uno dei due piatti.
- Domani passo a
comprare qualcosa al supermercato, almeno così mangiamo qualcosa di vagamente
invitante.-commentai guardando il mio ramen surgelato.
- Fuck. Non ero
preparato alla tua visita.
- Usa una scusa
migliore. Non ti credo neanche morta.
Lui sghignazzò,
iniziando a mangiare.
- Se hai bisogno
di soldi usa i miei, lo so che il tuo vecchio fa fatica a mandare avanti il
negozio.-mi disse, lo sguardo sempre fisso sullo schermo.
- Idiota! Non
voglio approfittarmi così di te.-risposi irritata.
- Non essere
orgogliosa, stupida running back. Io col tuo vecchio ho parecchi debiti. E’ il
mio modo per ripagarli.
Non ero al
corrente di suoi debiti materiali con mio padre. Doveva sempre essere una
questione di ricambio delle cure che gli avevano dedicato i miei quando eravamo
bambini.
Bastardo fino in
fondo, ma leale.
Finimmo quei
disgustosi ramen in poco tempo, io lavai i piatti e poi mi misi a fianco a lui
a guardare la partita.
-Eyeshield è
veloce come quel running back?-domandai indicando uno dei giocatori.
- Di più. -ghignò
lui spezzando con i denti una barra di liquirizia.- Ma manca di resistenza e di
esperienza sul campo. Per questo ci sei tu.
- Confortante. E’
mezzanotte e mezza, Yoichi, potresti lasciarmi libero il divano?
In tutta
risposta, allungò le gambe sul tavolino, un sorriso soddisfatto sul volto.
- Yoichi.
Sbuffò.
- Okay running
back di merda, okay, me ne vado di là.
- Grazie.
Buonanotte, Yoichi.
Mi fissò. Poi si
girò, aprì una borsa e, sbuffando, ci cercò qualcosa, buttando fuori quello che
gli era d’intralcio. Con un movimento appena visibile, mi lanciò un pacco di
plastica; lo presi al volo e lo guardai: era una divisa scolastica avvolta
nella plastica, formata da una gonna scura, collant neri, camicia bianca e una
giacca di un verde acqua molto evidente che a me pareva tremendo. Ma ciò che di
più mi spaventava era la gonna: non indossavo qualcosa del genere forse dalle
medie, ma anche allora marinavo mettendomi i pantaloni. Era una cosa che
proprio non sopportavo indossare, c’era troppa aria intorno alle gambe. Ed ero
abituata a sedermi in modo ben poco femminile, ovvero a gambe larghe,
oltretutto.
- Devo indossarla
per forza?- gemetti in tono lamentoso.
- Ihihih, ovvio
che sì. - sghignazzò lui.
- Non so se sia
peggio la gonna o tu.
- Hai l’imbarazzo
della scelta. –commentò sarcastico, lanciandomi una coperta, un cuscino e
le lenzuola in rapida sequenza. Le
afferrai tutte al volo, imprecando.
- Quarterback del
cavolo, non devi sempre mettere alla prova le tue capacità.
- Staresti bene
anche in ricezione, kekeke. ‘Notte!- mi augurò in tono canzonatorio, scomparendo
dietro alla libreria. Sospirai e sistemai il divano in modo che potesse
diventare un posto comodo per dormirci, dopodiché mi cambiai e mi ficcai sotto
le coperte, spegnendo la luce della sala.
Sentivo solo il
ticchettio delle dita di Hiruma sulla tastiera del computer e vedevo la luce
della lampada del suo comodino che filtrava tra un libro e l’altro. Ogni tanto
borbottava da solo, e nel dormiveglia lo sentii andare in cucina e aprire il
frigo. Poi mi addormentai, scivolando in un sonno profondo senza sogni, tipico
di chi è molto stanco.