Anime & Manga > Eyeshield 21
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Autore: Heine     01/08/2010    2 recensioni
Una storia che parte dal passato semi-sconosciuto di Hiruma Yoichi, quarterback dei Deimon Devil Bats, con come protagonista un nuovo personaggio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ready Set Hut 2

Aaaaawwww! *w*
Prima di tutto: un enorme grazie a TopazSunset e a Ermal!
Ho saltellato mezz' ora dalla contentezza prima di leggere le vostre recensioni XD

TopazSunset: Grazie mille, davvero, sono contenta che ti sia piaciuto l'inizio! Per la storia del football americano femminile, sono a conoscenza del fatto che anche le donne possano praticarlo, ma volevo metterla un po' in chiave "gioco tra bambini", e che quindi Hiruma veda il football americano un "gioco" solo per maschi, escludendo quindi le femmine. XD 
Ti ringrazio di nuovo per aver gentilmente recensito la mia ff, e spero davvero che il seguito possa piacerti!

Ermal: Sono contenta che Chizuru ti piaccia! Anche se in realtà il personaggio più difficile da gestire è ovviamente Hiruma, ho una paura tremenda di andare OOC!
Sì, mi sono accorta della svista su Musashi e chiedo venia. Mi sono riletta il manga e mi sono accorta dell' errore, provvederò al più presto a toglierlo, grazie per avermelo ricordato. ^w^ E oh sì, adesso metterò una piccola trama, sono nuova al mondo delle fan fiction e quindi i consigli sono sempre ben accetti! Meno male che me l'hai fatto presente! Grazie ancora per avermi recensita.

Bene, adesso veniamo al secondo capitolo. Spero possa essere di vostro gradimento! Se ci sono errori, o sto andando in OOC, fatemelo presente, così che io possa correggermi! :D

Ero penso nel cortile di casa, intenta a scaricare delle scatole di chiavi inglesi che erano arrivate a mio padre in negozio, quando sentii suonare il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni. In tutta fretta misi le scatole a terra e tirai fuori il cellulare, rispondendo alla chiamata con la voce affannata.
- Pronto?
- Ehi, Chizuru.
Era una voce che conoscevo bene. Sprezzante, derisoria, piena di sarcasmo.
- Oh oh, chi non muore si rivede. Ciao, Yoichi.
Non era abituato a sentirsi chiamare per nome, neanche Musashi o Kurita lo chiamavano così. Lo innervosiva, e a me faceva piacere. Una sottile vendetta per tutte le puntine del passato. E anche una sorta di abitudine, visto che anche lui mi chiamava per nome.
- Kekeke. Ho una cosa da chiederti.
- Non perderti in chiacchiere varie, Yoichi, lo sappiamo tutti che tu non chiedi mai. Tanto poi a quello che vuoi tu ci arrivi sempre. In cosa posso servirla, signor Hiruma?
- L’ironia non ti ha lasciata, a quanto sento.
- Non perderti in chiacchiere, Yoichi. Stavo scaricando della roba per mio padre.
- Ho messo su una squadra, Chizuru.
- Lì alla Deimon? Ti sarà costato parecchio sforzo ricattarli tutti.
- Kekeke. Sono venuti quasi tutti di loro spontanea volontà. Uno di loro è Eyeshield 21.
- Non ci credo, tu sei quel pazzo che ha in squadra Eyeshield?!
- E’ una buona squadra, Chizuru. Ci siamo allenati parecchio. Il ciccione di merda è sempre lo stesso, ho reclutato un ricevitore decisamente interessante, Eyeshield 21, e dei buoni blocker. Puntiamo al Christmas Bowl.
- Pazzo. Che altro hai fatto di altrettanto folle?
- Death March, duemila chilometri fino a Las Vegas tutti di corsa.
- … La follia umana è qualcosa di veramente incredibile.
-  Vinceremo il Christmas Bowl, non ti preoccupare, è già tutto nei miei piani. –sghignazzò.
- Sì, sì. Assolutamente. Yoichi, porca miseria, devo portare due scatole di chiavi inglesi in negozio, puoi dirmi che cosa desideri da me?
- Che tu torni a Tokyo.
No, era decisamente fuori di sé. Si era fumato qualcosa di sicuro. I suoi neuroni erano stati alterati. Qualcuno lo salvi.
- EH?! Ma ti sei rincretinito tutto d’un botto? Per quale onorevole motivo dovrei farlo?
- Ho bisogno di una sorta di personal trainer per Eyeshield. Tu sei l’unica che corre alla sua stessa velocità, solo tu puoi seguirlo seriamente…
-“…Senza essere pagata”.
- Perspicace.
- Hai una mia scheda sulla tua maledettissima agendina dei ricatti?
- No.
- Menti.
- Può darsi.
- Okay, ammettiamo che io torni a Tokyo.- dissi scocciata, sedendomi su una panchina di pietra- Cosa ne ricavo? Seguo Eyeshield. Okay. Ma tu non hai appena detto, oltretutto, che questo poveretto si è fatto un mese con te a farsi mitragliare il sedere? A che servirei io, scusa?
- Avete la stessa velocità.
- Non la stessa resistenza.
- Ti alleni tutti i giorni, come un tempo, correndo due ore e passa per i campi dopo la scuola. E al liceo fingi di non saper correre a quella velocità per non essere reclutata nel club di atletica.
- … La tua fonte di informazioni?
- Quell’idiota di Rokudo, a tre isolati da casa tua.-ghignò lui.
Bastardo.
- Okay, -ringhiai io- potrei, dico, potrei  insegnare qualcosa a quel ragazzo. Ma non c’è motivo per cui io possa farlo.
Rimase in silenzio per un istante. In sottofondo sentivo delle grida di incitazione e una voce di una ragazza che dava il ritmo per degli esercizi.
- Avete un’allenatrice. –commentai.
- E’ la manager.
- Una donna come manager? Dio, Yoichi, ti sei spinto davvero in basso.
- E’ intelligente, può servirmi.
- Oh oh oh, il signor Hiruma sta mettendo su famiglia.
- FUCK.
- Rispondi alla mia domanda, Yoichi, mio padre mi sta chiamando. Dimmi seriamente perché devo tornare in quel caos di città.
- Il tuo vecchio aspetterà ancora qualche minuto. Perché? E’ molto semplice, Chizuru. E’ la tua unica possibilità di riprendere a praticare football.
Mi aveva in pugno, cribbio. Alla fine andava sempre tutto come aveva pianificato lui. Aveva espresso a voce ciò che era il mio più grande desiderio. Infame fino al fondo.
- Ti odio ogni tanto, sai, Yoichi? Parecchio. Sei uno stronzo.
Rise, gustandosi la vittoria.
- Allora, torni?
- Come se avessi altra scelta. Ne devo parlare con mio padre.
- Ho già parlato io col tuo vecchio, è d’accordo.
- Non ho la forza per mandarti a quel paese. Okay, torno a Tokyo.
- C’è un treno che parte domani verso le otto di mattina, io, Musashi e Kurita ti veniamo a prendere alla stazione. Il ciccione piange già adesso.
- Dove alloggio, di grazia? Non ho i soldi per pagarmi un albergo.
- Musashi non può, e il padre di Kurita non accetta donne in casa sua. Kekeke, chiederò a Eyeshield.
- Io non lo conosco. E poi è un ragazzo.
- … Allora stai da Anezaki, la manager di merda.
- Che tipo è?
- Ingenua, innocente, fa parte del comitato disciplinare, ha ottimi voti in tutte le materie, vive con…
- NO. Decisamente NO.
Pausa.
- E allora dovrai stare da me, running back di merda.
Oddio. Forse era meglio da Anezaki.
- Sei anche tu un ragazzo, Yoichi.
- Maddai, aspetta che cotrollo se è ancora tutto a posto nei pantaloni.- sbuffò ironico lui.
- Idiota.
- L’alternativa è Eyeshield o qualcun altro della squadra, Chizuru. O sotto i ponti. Conosco un bravo barbone che distribuisce sake gratis alle fanciulle dei sobborghi.
- Digli che può anche tenerselo, il sake. Okay, vengo da te, ci sto. Devo portare un giubbotto antiproiettile?
- “Le donne non si toccano neanche con un fiore”, diceva qualche povero ingenuo. Basta che non rompi troppo.
- Non più di quanto facevo due anni e mezzo fa.
- Vedi di trovarti alla stazione, domani.
- Oooh, sì, anche perché altrimenti mi sguinzagli dietro quel caro cagnetto, Cerbero.
- Kekeke. A domani, running back di merda. Salutami il vecchio.
Feci per rispondergli, ma aveva già attaccato.

Diavolo d’un Yoichi.

Mi aveva incastrato di nuovo.

 

Preparai una valigia in tutta fretta, mettendoci le cose senza piegarle, e fui quindi poi costretta a sedermici sopra per chiuderla. Presi i miei vecchi libri di scuola, dato che avrei dovuto un minimo ripassare in treno per gli esami di ammissione, qualcosa da mettermi addosso, mi dimenticai di prendere qualche romanzetto da leggermi in viaggio e presi invece qualcosa di inutile come un manuale sul football americano. Inutile poiché, visto che sarei stata a casa di Yoichi, portarmi un manuale da due soldi quando lui probabilmente possedeva tutta l’enciclopedia del Football Americano, era una cretinata. Ma ero masochista e soprattutto di fretta, quindi lo ficcai in valigia tanto per occupare un po’ di spazio.
Mio padre mi diede qualche soldo per potermi pagare ciò di cui avevo bisogno, più una sorta di raccomandazione verso quel pazzo di Yoichi. Risi. Chi conosceva meglio di me quel terrorista in erba? Sapevo benissimo come difendermene.
Salutai l’Hokkaido con un po’ di tristezza, e il giorno dopo presi il treno delle otto che passava per un paese vicino al nostro, leggermente più urbanizzato. Passai il viaggio a ripassare per l’esame, a guardare fuori dal finestrino i campi sterminati e le risaie, addormentandomi esattamente a mezz’ora dall’arrivo. Pessima idea: mi svegliai di soprassalto un attimo prima che il treno passasse per la stazione ferroviaria di Tokyo, presi la mia valigia imprecando sonoramente cercando di risvegliarmi un po’, e scesi inciampando nei piedi di una signora. Mi scusai, dopodichè mi guardai intorno per vedere dov’erano i miei vecchi tre amici delle medie.

Non li vidi subito a causa della marea di persone che mi passava davanti, ma mi resi conto dopo poco che erano a meno di tre metri di distanza da me. Appoggiai la valigia a terra e gli sorrisi.
Musashi, al centro, era con indosso i vestiti da muratore e una sigaretta tra le labbra. Non era cambiato per niente, se non per l’inizio di una barba più evidente. Sembrava davvero un trentenne.
Kurita, al suo fianco, era sempre lo stesso: enorme, pacioso, dall’aspetto buono, le guance paffute e un grande sorriso che gli andava da un’orecchia all’altra.
E per ultimo, Yoichi. Lui, invece, era cambiato parecchio. Non me lo ricordavo così alto, e le sue spalle si erano fatte più larghe. Tuttavia, era smilzo come al solito, e i jeans attillati che portava lo sottolineavano parecchio. I capelli erano sempre sparati allo stesso modo, ero seriamente convinta che per farli così la mattina mettesse due dita nella presa elettrica; il viso era sempre lo stesso, il naso sottile, le labbra tirate in un ghigno diabolico, le caratteristiche orecchie a punta, gli occhi dal taglio obliquo, azzurri, e le sopracciglia arcuate. Indossava jeans neri, una maglia altrettanto nera, e sopra una camicia a maniche corte bianca, a cui teneva il colletto alzato.
Mi guardava e sghignazzava diabolico, senza un minimo di ritegno.
- Kekeke, alla fine sei venuta sul serio, running back di merda.
- Non pensavo di avere altra scelta, idiota. –borbottai io sbadigliando.
- FUKUDAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Mi voltai e vidi Kurita spiccare un balzo a braccia aperte, con l’evidente intento di saltarmi addosso e di stritolarmi come suo solito. Mi scostai leggermente di lato per evitare l’urto.
- Kurita… lo sai che puoi chiamarmi Chizuru… ma ti prego, non assaltarmi, le mie ossa ne risentirebbero.
- Scusa, scusa, scusa Fukud… cioè, Chizuru!- singhiozzò lui- Ma sono troppo contento di rivederti! Quanto tempo! Ci mancavi tantissimo!
- Kurita, la stai stritolando comunque. –commentò serio Musashi.
- Scusaaaaaa!
- Ma niente… Ryokan… -tossii io tentando di liberarmi dall’abbraccio.- Ehi, Gen! Come stai?
- Bene, grazie. Mio padre si sta riprendendo un po’.
- Sono contenta! Un giorno o l’altro verrò a fargli visita, se ti va bene.
- Vieni pure. A lui fa solo piacere. –sorrise Musashi.
Mi voltai verso Yoichi, ghignando.
- Non l’avrai del tutto vinta, fidati, troverò un modo per incastrarti.
- Senza offesa, ma non penso.
Uno scambio di battute si era improvvisamente trasformato in una gara a chi sghignazzava di più.
- Hei hei hei voi due, calma. –ci intimò Musashi, sbuffando. - Io devo tornare al lavoro, ci si vede, Chizuru, anche se non sono più alla Deimon. Faccio dei lavoretti per questo imbecille- indicò Yoichi-, è più che probabile che ci incrociamo.
- Sei venuto fin qui in stazione solo per salutarmi, Gen? Oddio, mi dispiace averti scomodato.
- Ci sarei venuto lo stesso. Volevo salutarti. –disse lui alzando le spalle.- Ci si vede!
Si voltò e, buttando la sigaretta in un cestino, si perse nella folla. Rimanemmo io, Yoichi e Kurita.
- Oggi non abbiamo allenamenti, abbiamo intensificato ieri per poi riposarci un po’ oggi.- mi raccontò Ryokan allegro.- Hai già mangiato in treno, o hai bisogno di…
- No no, grazie Ryokan, mi ero preparata qualcosa da mangiare. Sono stanca morta, vorrei solo andare a casa, il viaggio mi ha rintronata parecchio.
- Ti ho fatto un duplicato delle chiavi.- disse Yoichi, lanciandomele. Le presi al volo e le misi al sicuro in valigia.
- Me le fai pagare, per caso?
- No, offre la casa.
- Allora se per te non è un disturbo possiamo avviarci a casa tua?- domandai, sbadigliando nuovamente.
- EH? Hiruma, Chizuru sta da te?- chiese sbalordito Kurita, fissandolo.
- Si è rifiutata di stare da Anezaki, e dice che non gli piace stare con gli sconosciuti, quindi ho escluso anche i due fratelli Taki.
- Ma neanche Suzuna…?
- Ciccione di merda, credi che potrebbe resistere nella stessa casa di uno come quel cretino di Taki? Porterebbe più guai che altro.
- Chi è Taki?-mi intromisi io, mettendomi la valigia a tracolla.
- Il tight end, è promettente ma è un idiota totale.- rispose Yoichi.- La sorella è la capo cheer-leader.
- I Deimon Devil Bats hanno delle cheer-leader?- esclamai spalancando gli occhi. Ma cos’era, una squadra di football americano o un gruppo di allegri studenti in gita?
- Servono a tirare su il morale di quei pervertiti dei sostituti.-replicò lui controllando l’ora.
Mi bloccai a metà di una battuta decisamente cattiva, ricordandomi che era presente anche Kurita.
- Ciccione di merda, fai la strada con noi?- chiese il biondo, il sopracciglio leggermente inarcato.
- No, vado a fare visita a Kumosubi se non vi dispiace…-disse timido il ragazzo, intimorito dallo sguardo serio di Hiruma.
- Okay. Vedi di non ingrassare troppo.
Partì spedito verso l’uscita, le mani nelle tasche, senza spiccicare parola. Salutai velocemente Kurita con una mano e lo rincorsi, tentando di non perdere per strada la valigia.
- Hei, potevi almeno aspettarmi!
- TSK.
- E’ tanto lontana casa tua?
- Dieci minuti dalla Deimon. Un quarto d’ora e saremo arrivati.- rispose con voce monotona, senza guardarmi.
- Come carattere non sei cambiato, ma ti trovo leggermente diverso.- dissi, tanto per iniziare una conversazione.
- Duemila chilometri ti fanno cambiare.
- …Senti, ma Doburoku dove l’hai scovato?
- Ah, l’alcolizzato di merda? Era steso su una panchina di una spiaggia texana, completamente sbronzo.
- Che cazzo di faceva in America?!
- Aveva un debito di venti milioni di yen qui in Giappone, e se l’è data a gambe.
- Quindi adesso deve ripagare tutti i debiti?
- Gli ho fatto un prestito io, vincendo i venti milioni di yen al casinò di Las Vegas.- disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Tu hai vinto venti milioni di yen in un posto come Las Vegas?-  esclamai io  spalancando gli occhi incredula.
- Evidentemente.
- Pazzo, folle. Mi ricordo ancora quando andavi a giocare a poker con quelli della base militare…
- Kekeke, mi hai ricordato che ho un conto in sospeso con qualcuno.
- Forse era meglio se stavo zitta.- sospirai.
Non parlammo finchè non arrivammo ai piedi di un edificio non molto alto, abbastanza moderno, all’incrocio con due corsi non molto grandi, ma abbastanza popolati. Yoichi prese le chiavi dalla tasca, ed entrammo nel condominio. Facemmo un piano a piedi -lui sempre con le mani nelle tasche-, poi svoltammo sulla destra e vidi una porta scura con la targhetta “Hiruma” vicino al campanello.
Diede quattro giri di chiave nella toppa, e aprì la porta scura, entrando in un corridoio stretto e immerso nell’ombra. Accese la luce, io chiusi la porta dietro di me, mi girai e non lo vidi più. Era sparito.
Pazienza, la gentilezza sapevo già che non era una sua caratteristica. Dovevo fare il giro di casa da sola.
Il corridoio era effetivamente molto stretto, e il soffitto basso. Sulla destra, una porta di apriva su un bagno piccolo, senza vasca, ma solo con una doccia a cabina. Andando avanti, il corridoio si apriva su una grossa stanza divisa in due da una libreria di legno scuro colma di libri, fogli, cartelline e cavi di ogni sorta. Alla sua sinistra, Yoichi ci aveva ricavato la sua stanza da letto, composta da niente più che un letto da una piazza e mezza, basso, affiancato da una finestra grande e luminosa, per metà coperta da delle pesanti tende di un blu scuro tendente al nero; dall’altra parte del letto c’era la libreria che divideva la stanza, mentre sull’unica parete libera compariva un armadio a muro con due cassetti al fondo.

Alla destra della libreria, invece, il caos più totale. Il pavimento era ricoperto letteralmente da riviste di “American Football”, aggeggi elettronici, manuali sulle strategie militari tedesche, sull’elettronica, fascicoli probabilmente illegali per “Il perfetto hacker”, una maglietta che faceva parte della divisa dei Devil Bats, riconoscibile dal colore rosso fuoco e dal numero 1 che indicava il quarterback, carte di gomme da masticare senza zucchero e di snack alle alghe, più un inquietante collare per cani con tanto di spuntoni, probabilmente di Cerbero. In mezzo a tutto questo caos regnava un enorme e pacchianissimo divano di pelle nera, di quelli che tengono un caldo bestia anche a Gennaio, pieno di cuscini e riviste; di fronte, un enorme schermo al plasma poggiato all’interno di un’altra liberia.

La cucina si apriva su questo spazio, separando il tappeto di riviste dai fornelli tramite un piccolo muretto, al cui fianco era stato messo uno strettissimo tavolo abbinato a due sedie moderne, di un rosso tendente all’arancione che personalmente trovavo orrendo. Il frigorifero era color acciaio, con a fianco il gas e la dispensa appena al di sopra del lavabo. Yoichi era lì, intento a cercare degli snack alle alghe.
- Hem… io dove dovrei dormire?- domandai, timorosa, cercando di arrivare a lui senza pestare tutte le riviste sparse sul palchetto.
- Sul divano.- rispose secco lui, continuando a cercare gli snack.
- Quel…?
-…Scomodissimo divano in pelle nera regalato dal mio carissimo padre? Sì. Fuck. Ho finito gli snack.
Sempre in punta di piedi per non pestare tutte le riviste, mi avvicinai al divano. Spostai la borsa che conteneva la divisa da football -pesantissima,oltretutto-, un paio di polsini neri, due lattine di birra Asahi vuote, fogli sparsi con schemi, il telecomando della televisione, e finalmente potei poggiare la mia roba. Mi buttai esausta sul divano, sbuffando e mettendo i piedi su un basso tavolino che avevo davanti.
Chiusi gli occhi, e mi addormentai di botto lì, in una posizione decisamente scomoda, abbracciata ad un cuscino, la faccia ficcata a fondo nel bracciolo del divano. Non dovevo essere davvero un bello spettacolo.

 

Mi svegliai quando un raggio di luce mi colpì gli occhi, costringendomi ad aprirli. Mugugnai qualcosa di non ben definito, e mi tirai sù, passandomi una mano sulle palpebre. Sbadigliai, mi guardai intorno e realizzai che non ero a casa mia.
“Idiota, sei a casa di Yoichi”, pensai, e saltai giù dal divano, rischiando di scivolare sulle riviste patinate di football americano. Guardai fuori dalla finestra e mi resi conto che era il tramonto, dato che tutte le case erano tinte di un delicato arancione tendente al rosa. Non feci tempo a sorridere, che sentii una forte dolore sulla nuca. Qualcuno mi aveva tirato qualcosa. Mi voltai massaggiandomi il punto colpito, e ruggii a Yoichi, il quale, come al solito, sghignazzava.
- Ahio, imbecille! Mi hai fatto male!- imprecai con una smorfia sul viso.
- Russavi che era un piacere.- rise diabolicamente lui.
- Idiota!- replicai io, arrossendo leggermente- Io non russo! Che vuoi?
- Io esco a correre lungo il canale. Vieni?
- Ma non avevi detto che oggi non facevate allenamenti?
- Non rispondermi con altre domande, running back di merda. Ti ho chiesto se vieni o no.
- Vengo, vengo, ma non capisco perché prima Kurita aveva detto così .-gli risposi, aprendo la mia valigia e tirando fuori un paio di pantaloncini corti- quelli che usava una volta al liceo mio cugino per fare basket- e una maglietta larga nera di cui ignoravo la provenienza.
- Il ciccione di merda farà quello che vuole, ma io vado a correre. Sono il quarterback, non l’ultima ruota del carro. E il torneo sta quasi per iniziare.
- Ok, ok, se pazienti tre secondi mi cambio e arrivo.
Corsi in bagno, mi infilai a forza le due cose che avevo arraffato dalla valigia, buttai il mio precedente cambio sul divano e uscii da casa, inseguendo Yoichi che ovviamente non mi aveva aspettata.
Camminava con le mani nelle tasche della tuta, ghignando.
- Le hai tu le chiavi, vero?- gli domandai, saltellandogli dietro per finire di allacciarmi le scarpe da ginnastica.
- Ovvio.
- E’ lontano il canale?
-No, -borbottò lui- non molto.
Mi resi conto, guardando l’orologio della piazza, di aver dormito per due ore e mezza di fila senza sosta. Dovevo essere davvero stanca. Però ero felice: finalmente riavevo indietro tutto quello che mi ero lasciata alle spalle. Yoichi, Kurita, Musashi, le strade affollate di Tokyo, il football americano.
Per la prima volta dopo davvero tanto tempo, sorrisi. Hiruma mi guardò stranita mentre ridacchiavo tra me e me e mi stiravo le braccia, facendo scrocchiare la schiena e inspirando l’aria di città.

Arrivammo al canale dopo appena un quarto d’ora di cammino. Gli ultimi raggi di sole si riflettevano sulla superficie scura dell’acqua, danzando sulle piccole onde che si infrangevano a riva.
- Bene, running back di merda. Ci vediamo qui tra un’ora e mezza. -sentenziò Yoichi, la fronte corrugata mentre guardava verso il sole.
- Eh? Cosa…?
Che stava dicendo? Non capivo.
- Beh idiota, tu corri molto più veloce di me, allenati.
Sbuffai.
- Idiota sarai tu. Corro con te. Non avrebbe senso correre separati.
- Fai come vuoi. - disse lui, e incominciò a correre lungo la strada che costeggiava il canale.
Lo raggiunsi sospirando. Era sempre lo stesso. Solitario, autonomo e indipendente fino alla morte. E orgoglioso come pochi.
- Devi sentirti abbastanza sotto pressione, in questo periodo.- dissi.
- Ovvio che lo sono. La mia è una grande responsabilità. Ma è anche ovvio che non perderò, kekeke.
Correvamo fianco a fianco, i respiri in sintonia.
- Se perdi, ho un motivo in più per menarti.
Rise.
- Pensi che Musashi tornerà in squadra?
- Certo che tornerà, è nei miei piani. –mi rispose, mentre un ghigno diabolico gli si dipingeva sul volto- L’unica pecca dei Devil Bats è la mancanza di un kicker, e gli altri lo sanno. Però il nostro attacco è uno dei migliori di tutto il Kanto, quindi per ora non c’è  molto da preoccuparsi.
- Perché ne sei così sicuro?
- Il vecchiaccio di merda non può rinunciare al football. Tornerà, proprio come hai fatto tu.
Bingo. Era semplice. E lui era sempre il solito diabolico stratega.
- Sei impressionante. Cosa farai dopo il Christmas Bowl?
- E chi lo sa. Per ora la meta è quella, poi si vedrà. Tu, ad esempio, cosa farai?
- Oh, finirò a fare il punto croce e a sognare i nomi dei miei bambini come tutte le ragazze di quell’età. -borbottai ironicamente- Ma è molto più probabile che erediterò la ferramenta di papà.
- Non intendi andare all’università?
- E diventare una di quelle occhialute segretarie con tre lauree in lingua che non sono riuscite a combinare niente nella propria vita? No. Preferisco di gran lunga passare il resto della mia vita nell’Hokkaido a trasportare scatole di chiavi inglesi e trapani. In mezzo alla campagna, a respirare aria pulita.
- Kekeke. Non penso che riuscirai a rinunciare al football per tanto tempo.
- Non ho detto di non poter aprire una scuola di football in quel buco di paese.
- Gestito da una donna? Saresti credibile come Kurita proprietario di una cristalleria.
- Tu stai a vedere. Ce la farò. –sbuffai.
- Sei riuscita a sopportare le mie puntine sulla sedia per settimane, per quello che mi riguarda puoi arrivare dove vuoi.- disse, masticando una delle sue solite gomme senza zucchero.
Lo guardai con gli occhi spalancati. Mi aveva detto qualcosa di vagamente gentile, incredibile.
- Grazie, apprezzo.
- Non lo dicevo per te, Chizuru, è un semplice dato di fatto.
- Mh, farò finta di crederti. Dimmi qualcosa sulla squadra, dai.
- La vedrai domani agli allenamenti mattutini, non rompere.
- Già me li immagino: tremanti di paura a causa del diabolico Hiruma.- ghignai.
- Questo perché non hanno ancora incontrato il rasta di merda.- ridacchiò lui.
- Agon? Quello è solo tutto muscoli, violenza e basta.
- Appunto per questo è pericoloso.
- Vorresti dire che tu non lo sei? AH! Questa me la segno.
- Penso che tornerò a casa a prendere il mitra.
- Dai idiota, scherzavo. Lo so che Agon è pericoloso. Ma non quanto te. Tu sei muscoli e cervello. Due al prezzo di uno.
Non rispose.
Continuammo a correre per una buona ora, poi decidemmo di tornare indietro, dato che eravamo entrambi sudati fradici e con un gran buco nello stomaco. “Decidemmo”. Ahahah che bella battuta. Semplicemente, ad un certo punto Yoichi guardò l’orologio e invertì il senso di marcia, di punto in bianco.
Arrivati a casa, lui si buttò sotto la doccia, e io aprii il frigo per vedere cosa c’era per cena. A parte le lattine di birra, snack vari, e qualche verdura che non aveva un particolare aspetto commestibile, di abbordabile c’erano solo due ramen surgelati da far scaldare nel microonde. Sospirai. Li misi a scaldare, togliendo gli strati di cartacce e di cartelline dal tavolo della cucina e apparecchiandolo.
Poi mi ributtai sul divano, accesi la TV-impostata su un canale americano che trasmetteva solo partite della NFL e mi persi nella visione di placcaggi brutali e azioni complicate che a malapena riuscivo a seguire.
Ad un certo punto sentii la porta del bagno aprirsi, e senza pensarci mi voltai. Yoichi veniva verso la sala con indosso dei pantaloni lunghi e una t-shirt nera, un asciugamano bianco abbandonato su una spalla. Tutto ciò non aveva niente di sconvolgente, ma i suoi capelli sì.

Ero abituata a vedere la solita pettinatura punk, mentre ora la sua zazzera di capelli biondi era tornata come quando era un bambino, ovvero senza tutto quel gel; erano lisci, un po’ spettinati, ma piatti. Insomma, senza quella sorta di… pettinatura da teppista convinto. Gli icorniciavano il viso esattamente come quando era un undicenne. Gli donavano un’aria completamente diversa, e sottolineavano i suoi occhi d’un azzurro brillante.
- Che hai, running back di merda?- mi chiese stranito, passandosi l’asciugamano nei capelli.
- Niente, niente.- risposi alzandomi.- Vado un momento io a farmi una doccia, nel microonde ci sono due ramen, inizia pure senza aspettarmi.
- Mh no ti aspetto.- disse sedendosi sul divano, gli occhi fissi sullo schermo della televisione.
Sospirai e andai in bagno. Mi svestii e aprii la doccia, ficcandomi sotto l’acqua con piacere, togliendomi di dosso la stanchezza e il sudore della giornata.
Quando tornai in sala, Yoichi era ancora lì a guardare la partita, in un mondo tutto suo. La mano si muoveva da sola, disegnando sul retro di una pubblicità un nuovo schema offensivo. Non l’avrei scollato da lì neanche con un cannone.
Presi i due ramen e mi sedetti sul divano vicino a lui, porgendogli uno dei due piatti.
- Domani passo a comprare qualcosa al supermercato, almeno così mangiamo qualcosa di vagamente invitante.-commentai guardando il mio ramen surgelato.
- Fuck. Non ero preparato alla tua visita.
- Usa una scusa migliore. Non ti credo neanche morta.
Lui sghignazzò, iniziando a mangiare.
- Se hai bisogno di soldi usa i miei, lo so che il tuo vecchio fa fatica a mandare avanti il negozio.-mi disse, lo sguardo sempre fisso sullo schermo.
- Idiota! Non voglio approfittarmi così di te.-risposi irritata.
- Non essere orgogliosa, stupida running back. Io col tuo vecchio ho parecchi debiti. E’ il mio modo per ripagarli.
Non ero al corrente di suoi debiti materiali con mio padre. Doveva sempre essere una questione di ricambio delle cure che gli avevano dedicato i miei quando eravamo bambini.
Bastardo fino in fondo, ma leale.
Finimmo quei disgustosi ramen in poco tempo, io lavai i piatti e poi mi misi a fianco a lui a guardare la partita.
-Eyeshield è veloce come quel running back?-domandai indicando uno dei giocatori.
- Di più. -ghignò lui spezzando con i denti una barra di liquirizia.- Ma manca di resistenza e di esperienza sul campo. Per questo ci sei tu.
- Confortante. E’ mezzanotte e mezza, Yoichi, potresti lasciarmi libero il divano?
In tutta risposta, allungò le gambe sul tavolino, un sorriso soddisfatto sul volto.
- Yoichi.
Sbuffò.
- Okay running back di merda, okay, me ne vado di là.
- Grazie. Buonanotte, Yoichi.
Mi fissò. Poi si girò, aprì una borsa e, sbuffando, ci cercò qualcosa, buttando fuori quello che gli era d’intralcio. Con un movimento appena visibile, mi lanciò un pacco di plastica; lo presi al volo e lo guardai: era una divisa scolastica avvolta nella plastica, formata da una gonna scura, collant neri, camicia bianca e una giacca di un verde acqua molto evidente che a me pareva tremendo. Ma ciò che di più mi spaventava era la gonna: non indossavo qualcosa del genere forse dalle medie, ma anche allora marinavo mettendomi i pantaloni. Era una cosa che proprio non sopportavo indossare, c’era troppa aria intorno alle gambe. Ed ero abituata a sedermi in modo ben poco femminile, ovvero a gambe larghe, oltretutto.
- Devo indossarla per forza?- gemetti in tono lamentoso.
- Ihihih, ovvio che sì. - sghignazzò lui.
- Non so se sia peggio la gonna o tu.
- Hai l’imbarazzo della scelta. –commentò sarcastico, lanciandomi una coperta, un cuscino e le  lenzuola in rapida sequenza. Le afferrai tutte al volo, imprecando.
- Quarterback del cavolo, non devi sempre mettere alla prova le tue capacità.
- Staresti bene anche in ricezione, kekeke. ‘Notte!- mi augurò in tono canzonatorio, scomparendo dietro alla libreria. Sospirai e sistemai il divano in modo che potesse diventare un posto comodo per dormirci, dopodiché mi cambiai e mi ficcai sotto le coperte, spegnendo la luce della sala.

Sentivo solo il ticchettio delle dita di Hiruma sulla tastiera del computer e vedevo la luce della lampada del suo comodino che filtrava tra un libro e l’altro. Ogni tanto borbottava da solo, e nel dormiveglia lo sentii andare in cucina e aprire il frigo. Poi mi addormentai, scivolando in un sonno profondo senza sogni, tipico di chi è molto stanco.

 

 

 

  
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