Ben tornati,
a chi mi conosce. Benvenuti, a chi
capita in una mia storia per la prima volta.
L’idea per questo racconto è arrivata per
caso, e devo ringraziare fin da ora Lele Cullen per avermi aiutata a non
cestinare tutto.
Buona lettura.
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Ti ricordi di me?
Capitolo 1
1993
Camila se ne sta
acquattata dietro un cassonetto, contando i bambini che escono uno alla volta
dagli spogliatoi. Ha quattordici anni, gli occhi azzurri come quelli di sua
madre e i capelli castani di suo padre. E’ alta quanto il cassonetto a cui è
appoggiata, e pesa meno di cinquanta kg.
Camila odia il
venerdì. Lo odia più degli altri giorni. Lo odia fin da quando apre gli occhi
al mattino.
Il venerdì è
l’ultimo giorno della settimana in cui le è possibile lavarsi.
Ai suoi genitori
sembra importare poco. A dire il vero, Camila è l’unica a lavarsi quotidianamente.
Lo fa perché vuole sentirsi pulita, perché le piace il profumo del
docciaschiuma che usa velocemente sul suo corpo. Lo fa perché, durante il
tragitto dalla campagna al campo di calcio, può starsene per conto proprio:
lontana dai genitori e dai loro amici.
Quando l’ultimo
bambino è uscito dagli spogliatoi, la ragazza sa che è arrivato il suo momento.
Può entrare. Striscia lungo il muro del campo di calcio per evitare che
qualcuno si accorga di lei. Un gesto inutile, visto che finora mai nessuno si è
accorto della sua presenza. Camila è un fantasma, e non solo a causa della sua
figura malnutrita ed esile. La persone la evitano, a
causa dei suoi capelli arruffati e delle grandi labbra che si notano di più sul
suo viso incavato.
La sua andatura è
dinoccolata, debole a causa del poco cibo che entra nel suo corpo. La gente di
solito la guarda, mormora qualcosa e non fa altro. A
volta si scostano quando lei passa. Questo accade spesso d’estate, quando
Camila non riesce a lavarsi tutti i giorni come vorrebbe.
Lo spogliatoio è
uno stanzone lungo e stretto, con una serie di armadietti e una linea di panche
di legno inchiodate alla parete. C’è poi una porta che conduce alle docce,
ovvero il bagno di Camila.
Con sé, la ragazza
ha un vecchio asciugamano che una volta è stato bianco. Adesso è grigio.
Camila si guarda
intorno, alla ricerca di una confezione di docciaschiuma dimenticata da uno dei
bambini. Di solito è fortunata: i piccoli allievi della scuola calcio non
custodiscono bene i propri averi. Nel corso dei mesi, Camila ha raccolto un
piccolo tesoro in questi spogliatoi: magliette, ciabatte, accappatoi. E tanti
flaconi di docciaschiuma. I bambini li lasciano nelle docce e Camila riesce sempre
a ricavare da essi un po’ di sapone per lavarsi.
Oggi però sembra i
bambini siano stati responsabili. Sul pavimento vi sono soltanto un paio di
piccole ciabatte blu. Nessun flacone mezzo vuoto, nessun tubetto di dentifricio
fatto cadere per distrazione. Una volta Camila ha usato quello per lavarsi. Aveva
i piedi molto sporchi, e non sapeva come altro fare.
“Va bene, mi laverò
soltanto con l’acqua,” dice a sé stessa, camminando
fino all’ultimo ugello della doccia. Appoggia l’asciugamano grigio ad una staffa
di metallo ed inizia a spogliarsi.
Camila sa che deve
essere rapida, perché fra meno di cinque minuti il magazziniere della scuola
calcio verrà a chiudere lo spogliatoio.
Toglie le scarpe,
più grandi di almeno due numeri. Le appoggia sulla finestra chiusa, per evitare
che si bagnino. Toglie i calzini, neri a causa della terra che entra dalle
scarpe, e si ripromette che proverà a sciacquarli dopo aver fatto la doccia. Si
libera dei pantaloni troppo grandi per lei e li sistema accanto alle scarpe
assieme alla cintura che suo padre le ha dato.
Una volta rimasta
nuda, chiude gli occhi con forza, strizzandoli, e apre il rubinetto.
A quest’ora l’acqua
è sempre fredda. Gelida. I bambini hanno consumato quella calda dopo gli
allenamenti, rimanendo sotto la doccia più del necessario. Camila spesso li
sente ridere e giocare mentre aspetta che vadano via.
Si lava usando
entrambe le mani, cercando di far sparire il nero dai piedi e dalle mani.
Immagina che l’acqua sia calda e che sui suoi capelli vi sia dello shampoo
profumato, oppure del balsamo. Ora come ora si accontenterebbe anche di un
tubetto di dentifricio.
Quando le mani e i
piedi sono puliti, Camila decide di terminare la doccia. Chiude l’acqua ed
afferra l’asciugamano, che è piccolo ma perfetto per il suo minuscolo corpo.
Trema, mentre cerca
di asciugarsi.
Forse è per questo
che i suoi genitori evitano di lavarsi tutti i giorni.
Camila pensa a
questo e al fatto che non riuscirà mai a pulire i calzini senza un po’ di
sapone, quando sente una voce provenire dallo spogliatoio.
“Le ho lasciate qui, arrivo subito!”
La voce è quella di
un bambino, e la terrorizza.
Camila sa che non
può essere scoperta. Sa che non può farsi vedere da nessuno.
Non venire qui, non
venire qui. Non entrare nelle docce, resta negli spogliatoi.
La ragazza prega in
silenzio che il bambino trovi in fretta quello che ha lasciato e che vada via
senza accorgersi della sua presenza. Si avvicina all’angolo, continuando a
tremare, sperando che questo momento passi in fretta.
Il bambino è paffuto
e sorridente. Il suo nome è Davide, ed ha sette anni. Il calcio non è il suo
sport preferito, ma lo pratica perché così può frequentare i suoi compagni di
classe anche di pomeriggio, durante gli allenamenti. Davide ha gli occhi
marroni e i capelli biondi.
E ha dimenticato le
sue ciabattine blu.
Quando entra nelle
docce, la prima cosa che vede è Camila. La ragazza è stretta nell’angolo,
spaventata almeno quanto lui. Grida, Davide, spaventato dalla presenza che non
si aspettava di trovare.
“No,
no, no. Non gridare, non
gridare! Non gridare, ti prego.”
Il cuore di Davide
batte forte. Ha paura che la ragazza possa fargli del male, ma non riesce a
spostarsi, ad andare via. E’ fermo lì a causa della paura e dello shock.
“Io-io-io-io devo prendere le mie ciabatte.”
“Prendile, e non
dire a nessuno che mi hai vista qui. Ti prego, non dirlo a
nessuno.”
Davide, gli occhi
allargati per lo stupore, annuisce velocemente e si piega per raccogliere le
ciabatte blu. Le stringe al petto, sentendosi in parte più sicuro.
“Che cosa fai qui?”
chiede avvicinandosi alla porta, pronto a scappare se la ragazza dovesse
cercare di fargli del male. “Frequenti la scuola calcio?”
“No,” risponde Camila. “Vai via, adesso. Hai preso le ciabatte,
vai via. E non dire al magazziniere che mi hai visto, è chiaro?”
“E’ tua quella?” Il
bambino indica la cintura, scivolata a terra.
“Devi andare via,
ti prego!” Camila non sa più come dirglielo. Deve rivestirsi, deve ritornare a
casa.
“Ok,” risponde Davide, annuendo.
“E non dire al
magazziniere che mi hai vista qui!”
Lui annuisce
lentamente, continuando a sgranare gli occhi. “Ciao,”
dice prima di sparire nello spogliatoio.
Camila si riveste
in fretta, con il cuore in gola.
Il magazziniere mi scoverà. Non saprò cosa
dirgli. Chiamerà la polizia, troveranno i miei genitori.
Indossa le stesse
mutandine, gli stessi calzini sporchi, gli stessi pantaloni troppo grandi. Li
lega con la cintura ed infila il maglioncino troppo corto di colore marrone. I
capelli restano bagnati, come sempre.
Corre fuori dallo
spogliatoio dopo essersi accertata dell’assenza del magazziniere. Quando lo
vede in mezzo al campo, impegnato a recuperare palloni e birilli, scappa verso
il cassonetto e prende fiato.
“Per un pelo…”
sospira, stringendo l’asciugamano fra le mani.
Camila torna a casa un’ora dopo, a piedi. Casa è un campo abbandonato in cui lei e
la sua famiglia vivono a bordo della vecchia auto di suo padre. Non sono soli.
Nel campo vivono altre due famiglie, entrambe a bordo di una vecchia auto.
Sua madre, Sofia,
la vede arrivare e la chiama a gran voce. “Camila!
Dove sei stata? Hai comprato il tonno?”
Oh, no.
A causa del
trambusto nelle docce e della paura di essere scoperta, Camila ha dimenticato
di fare l’unica cosa che sua madre le aveva chiesto, ovvero comprare il tonno
per la cena. Il campo di calcio si trova proprio accanto ad un supermercato:
Camila avrebbe dovuto fare l’acquisto dopo l’ultima doccia della settimana, ma
se ne è dimenticata.
Camila sa quale
sarà la sua punizione. L’ha provata spesso, fin da quando era una bambina.
Nella stessa notte
in cui Davide, il bambino paffuto e sorridente, dorme beato nel suo lettino,
con le ciabatte blu chiuse nella scarpiera, Camila resta sveglia fuori
dall’auto, tremando a causa del freddo e maledicendosi per non aver ricordato
di comprare la cena.
I suoi genitori
dormono all’interno della vecchia Golf color amaranto, mentre lei sconta la sua
punizione.
***
E’ lunedì.
Camila è nascosta
dietro il cassonetto, pronta a scattare.
Il campo resta
chiuso durante il fine settimana, e ciò vuol dire che per due giorni non è
riuscita a lavarsi.
Quando anche
l’ultimo bambino ha lasciato gli spogliatoi con addosso il
borsone sportivo, la ragazza entra e va dritta alle docce. Pur sapendo che
l’acqua fredda è tutto ciò che l’attende, non vede l’ora di sentirla scorrere
sul suo corpo. Per qualche minuto desidera sentirsi normale, pulita, libera.
Come immaginava, l’acqua è gelida. La fortuna però ha voluto che
sul pavimento ci fosse un flacone di docciaschiuma.
Camila lo usa sorridendo,
felice come non mai di potersi profumare con del buon sapone. Spreme la
confezione su una mano fino a svuotarla e cerca di insaponarsi ovunque: sul
collo, fra le dita dei piedi, sui capelli. La schiuma è inesistente, ma a lei
sembra di trovarsi in una di quelle grandi vasche in cui le persone ricche
fanno il bagno e si rilassano. Una di quelle vasche in cui la schiuma è simile
alla panna montata.
Il suo stomaco
brontola, al pensiero della panna montata. L’ha assaggiata una sola volta,
quattro anni fa, e se ne è innamorata.
Quando va al
supermercato per conto di sua madre, che non lascia mai la loro casa per paura che possano portargliela
via, Camila si diverte a tenere fra le mani tutte le cose che non potrà mai
comprare. Pacchi di biscotti al cioccolato, vasetti di Nutella, bombolette di
panna montata. Annusa le confezioni, cercando di inebriarsi del profumo dolce,
ed immagina quanto sarebbe bella la sua vita se potesse fare colazione con del
latte e una brioche. A volte osserva le figure sulle confezioni, e sogna ad
occhi aperti. Se avessi un tavolo su cui
appoggiare una tazza. Se avessi una tazza bianca e candida. Se potessi spalmare
la marmellata di castagne su una fetta di pane.
Spesso i commessi
del supermercato la guardano senza dire niente. Sanno che la sua famiglia è
povera, e sanno che quello di Camila è solo un sogno ad occhi aperti. Si fidano
di lei, sanno che non ruberebbe mai nulla, per cui le permettono di gironzolare
nelle corsie, anche se tutto ciò che le occorre è una scatoletta di tonno, o
una di lenticchie, o una birra scadente per suo padre.
Camila sogna ad
occhi aperti anche adesso, e non si rende conto della voce di Davide che
proviene dagli spogliatoi.
Il bambino, che
stavolta ha dimenticato i pantaloncini della divisa, sente scorrere l’acqua
della doccia. “C’è ancora qualcuno?” chiede guardando verso la porta.
“Giuliano, sei tu?”
Camila riconosce
immediatamente la sua voce. Chiude l’acqua e trova riparo nell’asciugamano
grigia, pregando in silenzio che il bambino vada via.
“Giuliano?” Con i
pantaloncini fra le mani, Davide va alle docce e grida di nuovo quando si
accorge di Camila.
“Vai via,” gli dice lei. “E non dire a nessuno che mi hai vista.”
Davide è
spaventato, ma solo perché non si aspettava di ritrovare la ragazza. Non ha paura
come l’altra volta. Non teme che lei possa fargli del male.
“Come ti chiami?”
le chiede.
“Vai via,” risponde lei. “E non dire a nessuno che mi hai vista.”
Davide non riesce a
capire perché lei non voglia far sapere che è qui.
“Come ti chiami? Io
sono Davide.”
“Davide, vai via.”
Camila ha freddo.
Vuole rivestirsi ed tornare a casa. E magari trovare un altro posto in cui
potersi lavare senza interruzioni.
“Perché ti lavi
qui?” chiede Davide. “Se non ti alleni e non fai parte della scuola calcio non
puoi usare gli spogliatoi…”
Il bambino è
incuriosito. Vuole capire.
“Non
ce l’hai una casa?
Perché vieni a lavarti qui? L’acqua è fredda.”
La guarda dalla
testa ai piedi, con gli occhi grandi. “I tuoi piedi sono neri.
Che cosa hai fatto?”
Camila non sa come
rispondere. Non vuole gridare, perché sa che attirerebbe l’attenzione del
magazziniere.
“Io sono povera,” dice senza pensarci. “Non ce l’ho una casa. Adesso vai
via.”
“Sei povera?”
chiede Davide. “E la tua mamma? Non ce l’hai una
mamma? E dove vivi?”
“Vai via,” lo implora Camila. “Ti prego.”
Davide infila una
mano nella tasca dei jeans puliti, e da essa tira fuori una barretta al
cioccolato. L’ha appena comprata, allo stesso supermercato in cui Camila sogna
di poter fare colazione con latte e biscotti.
“La
vuoi? E’ una barretta. E’ buona.”
Camila ha
assaggiato quel dolcetto una sola volta, quando una delle cassiere gliel’ha
regalata. Era Natale.
“Tieni,
mangiala. E’ buona.”
Davide percorre la distanza che li separa senza paura.
Quella ad avere
paura è Camila, che si chiude nell’angolo e guarda Davide come se fosse un
mostro in procinto di aggredirla. E’ più basso di lei, ma ciò nonostante
rappresenta un pericolo ai suoi occhi.
Davide appoggia la
barretta sulla finestra, accanto alle scarpe. Le osserva per un attimo, il
tempo di accorgersi che sono rotte in corrispondenza dei talloni.
“Queste sono le tue
scarpe?”
Camila gli fa segno
di sì con la testa. “Devo rivestirmi,” gli dice. “Devi
andare via. Per favore.”
Davide continua a
fissare le scarpe. “Come ti chiami?”
“Camila,” risponde lei esasperata. “Adesso vai.”
“Camilla?”
“No, Camila. Con
una L.”
“Camila,” ripete lui, sorridendo per quello che pensa sia un
errore. “Verrai anche domani? Io verrò anche domani. Se vuoi… se vuoi posso
portarti un’altra barretta. Sono buone, sono le mie preferite.”
“Ok,” dice lei per liberarsene. “Adesso vattene.”
“Ok,” risponde lui, dispiaciuto per i modi un po’ bruschi di
lei. “Ciao, Camila.”
Il giorno dopo,
martedì, Davide aspetta che suo padre vada a prenderlo e si accorge di Camila,
nascosta dietro il cassonetto. Corre verso di lei e le lascia tre barrette al
cioccolato. La ragazza le mangia mentre torna a casa, felice per essere
riuscita a mettere qualcosa sotto i denti.
Mercoledì, Camila
trova una confezione di docciaschiuma sulla finestra, nel posto in cui appoggia
sempre i vestiti prima di fare la doccia. Dietro il docciaschiuma c’è una
barretta al cioccolato. La mangia mentre fa la spesa nel supermercato, felice
per avere – una volta tanto – la pancia piena.
Camila sa che è stato
Davide a lasciarle il sapone e la cioccolata.
Vorrebbe dirgli
grazie, ma anche di smetterla. Ha paura, Camila, che
il bambino possa metterla in un guaio. Che il magazziniere possa rendersi conto
di ciò che succede nelle docce quando gli allenamenti sono finiti. Che i suoi
genitori possano per questo punirla di nuovo, facendole trascorrere la notte
all’aperto, seduta sul terreno scuro del campo in cui vivono, mentre loro
dormono nella vecchia Golf.
Giovedì, Camila
vede Davide, ma lui non riesce a vedere lei. Il bambino ha una busta di
plastica fra le mani e Camila vorrebbe tanto sapere cosa nasconde, ma non può.
Non può approfittare del bambino e non può rischiare di essere scoperta dagli
altri.
Entra nelle docce
con l’asciugamano e il flacone di docciaschiuma fra le mani, felice all’idea di
potersi lavare come si deve.
Il giorno dopo, venerdì,
Davide aspetta Camila nelle docce. E’ lei ad urlare, stavolta, quando lo vede.
“Ti ho portato
queste,” dice lui porgendole la busta di plastica che
aveva in mano giovedì. “Sono di mia sorella. Le ho prese in soffitta, sono
vecchie, ma non sono rotte come le tue.”
Un paio di scarpe. Davide
le ha portato un paio di scarpe.
“Sono da femmina,” le spiega lui. “Sono di mia sorella. Ti vanno? Provale.”
“No,” risponde lei. “Non posso accettarle.”
“Perché? Priscilla
non le usa, e le tue sono rotte. Prendile. Vuoi una
barretta?” Dalla tasca dei jeans tira fuori tre barrette e gliele mette in mano.
“Sono buone, non è vero?”
“No,” dice Camila con un nodo alla gola. “Non posso accettare
tutto questo… no.”
I suoi genitori
accetterebbero tutto, e probabilmente chiederebbero qualcosa in più. Ma Camila
prova vergogna, e si sente in colpa. Un bambino di sette anni non dovrebbe
occuparsi di lei in questo modo.
“Se non le prendi
lo dirò al magazziniere,” dice Davide sollevando la
testa. “E chiamerò anche mio padre. Prendile, Camila.
Sono soltanto delle scarpe. Sono rosa. Sono da femmina. Ti piacciono? Provale.”
Camila le prova.
Sono grandi, ma non troppo grandi. Sono calde.
“Ti piacciono?”
chiede lui sorridendo.
“Sì,” risponde lei commuovendosi. “Grazie.”
“Prego,” dice Davide. “Adesso prendi anche le barrette. Mangiale.”
Lo stomaco brontola
di nuovo quando morde la prima. Davide se ne accorge.
“Aspettami qui, ok? Torno subito, Camila. Non
ti muovere.” Fa per allontanarsi, ma lei lo trattiene per un braccio.
“Stai andando a
chiamare qualcuno?” chiede terrorizzata.
“No,” dice lui. “Aspettami, torno
subito.”
Camila potrebbe
fuggire, portando con sé le barrette e le scarpe, ma non lo fa. Davide è stato
talmente gentile e generoso che lei non riesce a muoversi dalle docce.
Quando il bambino
rientra, ha un involucro giallo fra le mani.
Camila capisce
subito di cosa si tratta. Il suo olfatto elabora il profumo velocemente.
“Tieni,” le dice Davide. “Ti piace il prosciutto cotto?”
Scarta il panino e
glielo porge. “Vuoi anche una Coca Cola? Posso andare a prendertene una se vuoi.”
“No,” dice lei a bassa voce. “No. Grazie,”
aggiunge guardando i suoi occhi marroni. “Grazie, Davide.”
“Prego,” risponde lui.
La osserva mentre
mangia fino all’ultima briciola, soddisfatto e contento.
“Domani il campo è chiuso, dove andrai a lavarti?” le chiede ad un tratto.
Lei scuote il capo.
“Non mi laverò fino a lunedì,” risponde.
“Vuoi venire a casa
mia? Potresti conoscere Priscilla. Potresti usare il nostro bagno.”
“No,” risponde subito lei. “Non posso.”
“Perché? Possono
venire anche i tuoi genitori, se vogliono.”
“No,” ribatte Camila. “Meglio di no.
Adesso devo andare,” dice raccogliendo le vecchie
scarpe.
“Aspetta,” dice lui. “Come farai… come farai a mangiare fino a
lunedì? Ci sarà qualcun altro che… come farai?”
Camila scrolla le
spalle. “In un modo o nell’altro riuscirò a mangiare. Non preoccuparti,” dice arruffandogli i capelli biondi. “Grazie per le
scarpe e per il cibo. E per il sapone.”
“Verrai lunedì?
Vuoi che ti porti qualcosa di speciale? In soffitta ho trovato anche un
giubbotto, lo vuoi? Posso nasconderlo nel borsone. Il prosciutto cotto ti è
piaciuto? Posso portare un panino da casa, come quello che mia madre prepara
per me.”
“No,” dice lei con veemenza. “Non voglio niente,
Davide. Non devi metterti nei guai per me.”
“Ma tu… tu sei
povera,” risponde lui sottovoce, vergognandosi quasi.
“Lo so, ma questo
non è un tuo problema. Hai già fatto molto per me. Non devi preoccuparti,
chiaro?”
Davide non è
convinto delle sue parole, ma abbassa gli occhi ed annuisce. “Verrai comunque
lunedì?”
“Sì,” risponde la ragazza. “Ciao, Davide.”
“Ciao, Camila. Ci vediamo lunedì.”
Davide la guarda
andare via, con ai piedi le scarpe di sua sorella e
nello stomaco il panino che lui le ha comprato con i soldi della paghetta.
E’ contento di
averle dato una mano, anche se ci sono molte cose che ancora non sa.
Non sa, Davide, che
Camila passerà la notte all’aperto, in punizione, perché non dirà ai genitori
da dove arrivano le nuove calzature.
Non sa, Davide, che da lì a quarantotto ore la ragazza partirà
con i suoi genitori per
Non sa, Davide, che
dovranno passare diciassette anni prima di rivedere Camila.
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E’ la seconda volta che scrivo qualcosa in
terza persona. Fatemi sapere se è il caso che continui o che lasci perdere XD
Grazie fin da ora.