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Autore: harinezumi    08/12/2010    7 recensioni
La stanzetta era semibuia, soltanto un debole raggio di luce autunnale riusciva a passare attraverso le persiane abbassate. Era davvero disordinata, c’erano vestiti ovunque sul pavimento, e l’armadio era aperto, come se il suo proprietario fosse sempre di fretta, e non avesse il tempo nemmeno di chiudere l’anta. L’unica cosa in ordine religioso erano le file di manga sugli scaffali di un’ampia libreria. Su un comodino, quello accanto alla figura dormiente tra le coperte di un letto a due piazze, stava una foto incorniciata.
Raffigurava due ragazzi al lunapark: uno, che doveva aver scattato tenendo la macchina fotografica, dai capelli biondi leggermente lunghi e magrolino, con enormi ed allegri occhi azzurri e un sorriso stampato sul volto; l’altro, con un’espressione cupa negli occhi cremisi e una smorfia sul volto, più alto e con i capelli neri e corti, eccetto per dei ciuffetti ribelli sulla fronte.
{il seguito di "Do you want to know a secret" :D non tiratemelo dietro ^^'}
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cap 1

I’ve Just Seen a Face

[Track 12 – Help!]


 
I’ve just seen a face
I can’t forget the place where we just met

La stanzetta era semibuia, soltanto un debole raggio di luce autunnale riusciva a passare attraverso le persiane abbassate. Era davvero disordinata, c’erano vestiti ovunque sul pavimento, e l’armadio era aperto, come se il suo proprietario fosse sempre di fretta, e non avesse il tempo nemmeno di chiudere l’anta. L’unica cosa in ordine religioso erano le file di manga sugli scaffali di un’ampia libreria. Su un comodino, quello accanto alla figura dormiente tra le coperte di un letto a due piazze, stava una foto incorniciata.

Raffigurava due ragazzi al lunapark: uno, che doveva aver scattato tenendo la macchina fotografica, dai capelli biondi leggermente lunghi e magrolino, con enormi ed allegri occhi azzurri e un sorriso stampato sul volto; l’altro, con un’espressione cupa negli occhi cremisi e una smorfia sul volto, più alto e con i capelli neri e corti, eccetto per dei ciuffetti ribelli sulla fronte.

Accanto alla foto, una sveglia di Hello Kitty di un colore fucsia piuttosto inquietante, che prese a suonare quando scoccarono le sette.

Kurogane alzò la testa dal cuscino lentamente, mentre la sua mano andava a spegnere il malefico ordigno squillante –uno degli amati regali del suo ragazzo-, che li moro fissò con aria svogliata. Un altro giorno di tediose supplenze, che lo stavano facendo seriamente pentire del lavoro part-time che aveva scelto; tuttavia, adorava insegnare educazione fisica, anche solo come assistente, e qualche ragazzino che a scuola gli dava soddisfazioni c’era. In più gli serviva come tirocinio, dato che la sua laurea era prossima.

Si voltò stancamente verso l’altra parte del letto, notando che ovviamente Fay si era già defilato al lavoro. Lavorava troppo. Da quando Sorata e Arashi si erano trasferiti ad Osaka, avevano lasciato a lui la gestione del loro negozio di fumetti; ma il biondo si era anche ostinato a non assumere più nessuno per aiutarlo, come se ci godesse a trovarsi sobbarcato di lavoro ogni giorno. In più, studiava per corrispondenza: non una materia normale, bensì chimica inorganica.

Kurogane si alzò dal letto, prendendo a prepararsi con vari sbuffi, specialmente perché si vide costretto dal proprio senso dell’ordine a raccattare i numerosi indumenti sul pavimento della loro camera. Fay si era davvero scatenato quella notte, la sua maglietta era finita chissà come in corridoio.

«Stupido idiota» mormorò Kurogane, quando raccogliendola notò il bigliettino che era scivolato fuori dalla stoffa. C’era scritto: Nuovo record! Siamo a 5.2 secondi passati a spogliarti. Scrivilo sul tuo registro, Kuro-prof!

Non era finita lì, comunque. In cucina, trovò un’altra serie di bigliettini, nonché il caffè già pronto e ancora caldo sul tavolo e dei biscotti –fortunatamente al cioccolato fondente- su un piattino, disposti a formare una faccia sorridente.

Il primo stava sul frigo, ed era un post-it: Kuro-chan, è finita la panna. Sai cosa significa. Kurogane lo strappò via dal frigo e lo accartocciò con un ringhio, lanciandolo dall’altra parte della stanza, più o meno in direzione del cestino.

Il secondo stava accanto al suo caffè: Kuro-love, ho dato un bacio ad ogni lato del bordo della tazza. Così sono tantissimi baci indiretti per te <3. Già così, la tazza sapeva di dentifricio alla menta lontano un miglio, accidenti a lui.

Il terzo, con un gemito di sopportazione, Kurogane lo trovò sopra alla sua sacca posata accanto alla porta della cucina, che prima non aveva notato: Kuro-sun, non scordare il tuo braccialetto. In allegato, il sottile bracciale rosa che Fay gli aveva regalato quattro anni prima, a San Valentino, quando si erano messi insieme.

Kurogane odiava quel braccialetto. Perciò lo nascose bene sotto i polsi della felpa da ginnastica, prima di uscire.

***

«Ma tu non lavori mai?» domandò Kurogane, o più che altro lo abbaiò, in faccia a Seishiro, il quale ogni tanto lo incrociava per strada mentre entrambi andavano al lavoro o all’università. Pareva che per uno sfortunato caso del destino abitassero poco distanti tra loro, e dovessero fare un tratto di strada insieme quasi ogni mattina.

Seishiro era un ragazzo davvero carino, portava degli occhiali sottili, ed era un tipo dall’aria sempre allegra e sorridente. Peccato che quando apriva bocca si rivelasse essere il serpente più malvagio di tutto l’universo, e che Kurogane non riuscisse a sopportarlo. Fay, invece, non perdeva mai l’occasione di invitarlo costantemente a casa loro.

Lavorava come tirocinante in una clinica veterinaria poco distante, anche lui a pochi mesi dalla sua laurea.

«Certo che si, sono un accanito lavoratore» cinguettò placidamente Seishiro. «Piuttosto dovresti pensare al tuo di lavoro, Suwa, e considerare quanto tu stia aiutando il mondo diventando insegnante di ginnastica».

«Appunto, significa che come utile esercizio posso staccarti la testa con molta facilità, quindi sta zitto», ringhiò Kurogane, per nulla disposto a farsi prendere in giro in merito al proprio lavoro.

«Bravo, così faresti piangere Subaru!» ghignò Seishiro. Non che sembrasse particolarmente triste a quella possibilità, anzi piuttosto si stava divertendo parecchio come al suo solito. «E dopo Subaru si metterebbe a piangere la tua fidanzatina. Sono certo che non vuoi che lei pianga».

«Senti tu, brutto…» sbraitò Kurogane, fermandosi e prendendo a fremere da capo a piedi, con un pugno già stretto e pronto a distruggere il sorrisetto di Seishiro in pochi istanti.

In quel momento, sentirono una vocetta cristallina giungere da dietro di loro chiamandoli, e si voltarono verso il ragazzino che gli stava correndo incontro, con un sorriso stampato sul volto. Subaru indossava la divisa della liceo dove anche Kurogane insegnava, il suo vecchio liceo; era un ragazzo un po’ bassino, ma molto grazioso, con due ingenui occhi verdi che avrebbero fatto sciogliere anche un cuore di pietra.

Questo valeva solo in parte anche per Seishiro, che però non trattenne una risatina quando videro Subaru crollare a terra a pochi metri da loro, pestandosi una stringa delle scarpe. Si avvicinò a lui per aiutarlo ad alzarsi, accogliendo con un sorrisetto tutte le sue scuse.

Subaru, color peperoncino, tornò in piedi e andò ad affiancarsi a Kurogane, mentre Seishiro gli teneva un braccio sulle spalle. «B-buongiorno, Kurogane-san…» balbettò il ragazzino.

«Non ti preoccupare, Subaru-kun, ci penserò io a tenerti in piedi d’ora in poi» gli sussurrò Seishiro all’orecchio, con un chiaro tono da presa in giro, provocando un imbarazzo più acuto nel ragazzino. Dopotutto, stava salutando il suo quasi insegnante di educazione fisica, e si era appena sfracellato sull’asfalto davanti a lui.

Kurogane guardò Seishiro molto male, ma si limitò a rispondere a Subaru con quella che secondo i suoi canoni poteva essere definita gentilezza. «Sumeragi, ti consiglio di stare alla larga da quest’individuo, probabilmente è la principale causa del tuo scarso equilibrio».

«Cosa vorresti insinuare, Suwa?» domandò candidamente Seishiro, scivolando alle spalle di Subaru per abbracciarlo da dietro. Abbassò il capo a livello di quello del ragazzino, strusciando una guancia contro la sua con affetto. «Che ho maledetto il mio Subaru per fargli del male?»

Il soggetto preso in questione non riusciva nemmeno più a respirare per la vergogna, ma Kurogane era abituato a quelle scene tra loro piuttosto frequenti, che anzi di solito vertevano verso effusioni peggiori, così decise di ignorare del tutto Seishiro, dando loro le spalle e riprendendo a camminare con uno sbuffo.

Finché non fu arrivato davanti al cancello della scuola, non riuscì a liberarsi di loro, anche se Subaru chiaramente non desiderava affatto quella vicinanza (il professor Suwa gli faceva a dir poco terrore, nonostante si conoscessero al di fuori della scuola). Poi, poté finalmente andare a rifugiarsi nella sala insegnanti.

Leggendo il cartellone degli orari dei docenti, notò che all’ultima ora di quella mattina aveva lezione teorica nella sua vecchia aula, dove aveva praticamente passato tutto il liceo. E anche conosciuto Fay.

Il motivo della sua decisione di non allenare quella classe in cortile per quel giorno era che erano talmente delle frane in qualsiasi tipo di sport che non gli sembrava il caso di umiliarli ulteriormente con dei voti tremendi; avrebbe insegnato loro un po’ di anatomia per poter risollevare le loro medie con un più apprezzato test scritto.

Ma la sua mente vagò parecchio per la stanza, mentre spiegava con aria svogliata ma sempre professionale, soffermandosi su tutti i ricordi che aveva chiusi tra quelle quattro mura. Dove una volta stava seduto Fay, ora c’era un ragazzino ugualmente biondo ma con un’aria genuinamente sciocca –a dire la verità, anche Fay aveva sempre un’espressione analogamente idiota però. Era uno degli alunni più imbranati che avesse mai conosciuto, Kohaku Tensi*.

Per un attimo si sorprese a pensare alla prima volta che aveva posato gli occhi sul suo biondo. Appena aveva visto il suo viso, aveva provato una sensazione di inquietudine profonda, ma all’inizio aveva provato in tutti i modi a non farci caso.

In fondo hai sempre un po’ paura, quando incontri la persona che ti cambierà la vita per sempre.

Fantastico, ora oltre alla carrellata di pietosi ricordi si faceva strada nella sua mente anche la voce di sua sorella Tomoyo. Da quando era tornata in Giappone dalla Cina, si era andata ad iscrivere proprio nella stessa scuola dove insegnava il fratello; fortunatamente però, lui non era mai stato costretto ad insegnare alla sua classe.

Mentre l’ora di spiegazione volgeva ormai al termine, Kurogane posò distrattamente gli occhi di nuovo su Kohaku, nell’ultima fila, che prendeva appunti –inserendo un numero nauseante di riccioli alle lettere e cuoricini-, e sulla finestra vicino alla quale era accostato il banco del ragazzo.
Il cuore gli si ghiacciò nel petto, quando vide Fay, inosservato dal resto della classe, salutarlo con la mano e un sorriso entusiasta dall’altra parte del vetro. Si bloccò a metà della frase che stava pronunciando, cercando di staccare gli occhi da quell’immagine e di riprendere il filo del discorso.

Venti teste perplesse si alzarono dai loro quaderni, andando a guardarlo, dato che non riusciva a spiccicare più parola.

«Credo che per oggi possa bastare» riuscì ad articolare infine Kurogane, che era riuscito per chissà quale ragione a non guardare più verso la finestra, o nulla l’avrebbe trattenuto dallo scavalcare il balcone per strozzare Fay. Comunque, nessuno mise in dubbio la sua sanità mentale, in quanto mancavano pochi minuti alla fine dell’ora.

Kurogane posò il gesso che aveva usato per scrivere i termini più difficili alla lavagna e prese in fretta le proprie cose, guardando il proprio orologio da polso, incurante del fatto che così aveva messo ben in vista il braccialetto rosa e che ci fosse un gigantesco orologio rotondo appeso al muro dietro di lui. «Bene, arrivederci» salutò i ragazzi frettolosamente, sparendo fuori dall’aula un attimo dopo.

Tralasciò di far caso allo sconcerto che aveva lasciato dietro di sé, perché pochi secondi dopo che era uscito in corridoio la campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni. Kurogane uscì in fretta dalla porta più vicina, ritrovandosi in cortile.

Fay era davvero lì, stava seduto sull’erba abbracciandosi le ginocchia sopra una collinetta del parchetto della scuola poco più avanti, e dal sorriso che gli fece stava aspettando proprio lui.

Tuttavia, la furia con cui Kurogane lo raggiunse e gli si parò davanti gli fece intuire che la sua visita inaspettata non era troppo gradita. «Che diavolo ci sei venuto a fare qui? Io ci lavoro, non puoi metterti a bighellonare sotto le mie finestre!» sbottò Kurogane, gettando la propria sacca a terra ai piedi del biondo e tirandogli un pugno in testa senza troppi complimenti. Non usò un ventesimo della sua forza, ma quello era il suo modo di far capire a Fay che avrebbe anche potuto.

«Kuro-buuun! Non farmi male, sono venuto a trovarti!» pigolò Fay con aria lamentosa, portandosi teatralmente le mani alla testa come se fosse stato ferito a morte.

Kurogane si sedette con uno sbuffo di fianco a lui, incrociando le gambe su cui, svelto come un gatto, Fay non perse tempo ad adagiarsi. «Che fai?! Sono a scuola, razza di imbecille!» sbottò, cercando inutilmente di staccarsi le braccia del biondo dal collo.

«Ma non ci vede nessuno. Kuro-pon, mi sei mancato un sacco» miagolò Fay, strusciando una guancia contro la sua, teneramente.

«Mi hai visto stamattina, stupido idiota incosciente. Non voglio che tutta la scuola mi veda mentre tu mi stai attaccato in certi atteggiamenti! Che diavolo di esempio è da dare a dei ragazzini?» sbuffò Kurogane, incapace di cacciarlo via del tutto. La sua vicinanza gli dava una pace assoluta, e in verità nulla lo avrebbe potuto turbare quando Fay era con lui. Ma questo era meglio che il biondo non lo sapesse, o avrebbe giocato a cacciarlo in situazioni imbarazzanti a vita.

«Stamattina tu dormivi! Kuro-chan, noi eravamo ragazzini quando ci siamo incontrati» ribatté Fay con un risolino. «E certi atteggiamenti li abbiamo tenuti in parecchi sgabuzzini proprio in questa scuola. Anche quella volta a casa di tua madre al compleanno di Tomoyo-chan, quando mi hai accompagnato tanto premurosamente in bagno» aggiunse, innocentemente, mentre prendeva a mordicchiargli un orecchio.

«Levati s-u-b-i-t-o» ringhiò Kurogane, tremando di rabbia e sentendo che una vena aveva cominciato a pulsargli pericolosamente sulla fronte.

Fay scoppiò a ridere, nel suo orecchio per la precisione, il che lo fece imbestialire ancora di più, ma il biondo scivolò docilmente giù dal suo grembo, andando a sedersi accanto a lui. «In realtà non sono affatto qui per te» spiegò con un sospiro, prendendo dalla borsa a tracolla sull’erba dei fogli. «Sto cercando qualcuno che mi dia una mano al negozio per qualche pomeriggio e volevo attaccare questi avvisi in un paio di bacheche a scuola».

Era davvero stanco, tanto da possedere metà della sua solita allegria. Ma sosteneva che seguire i suoi studi di chimica all’università per corrispondenza gli piaceva tanto, e non aveva intenzione di lasciare nemmeno il suo amato negozio di fumetti. Eppure le sue occhiaie erano un po’ troppo evidenti per i gusti del moro.

«Lo faccio io. Basta che non ti metti più a gironzolare sotto le mie finestre distraendo le classi» rispose allora Kurogane, allungando una mano.
Fay gli consegnò i fogli, con un sorriso. «Oh, ma  prima l’unico di distratto mi parevi tu, Kuro-amore…» lo prese in giro, senza riuscire a resistere nel dargli un veloce bacio sulla guancia. «Stavi guardando proprio il punto dove una volta c’era il mio banco».

«Te lo sarai sognato» sbottò Kurogane, infastidito e romantico come sempre. Fingeva di essere molto interessato a leggere il testo degli avvisi stampati di Fay.

«Per niente, non dimenticheresti mai il luogo dove mi hai conosciuto» ribatté il biondo, prendendogli un polso senza preavviso, e scostando leggermente la manica della tuta, rivelando il braccialetto rosa che aveva regalato a Kurogane. Le sue guancie si colorarono leggermente, mentre lanciava un’occhiata al volto falsamente indifferente dell’altro. «Oh, Kuro-rin, non sai quanto vorrei intrattenermi in certi atteggiamenti con te, in questo preciso istante».

«Finiscila di dire idiozie!»
 

* Kohaku è il protagonista di “Wish”, e un cognome non ce l’ha.. “tensi” vorrebbe dire angelo quindi anche se fa schifo l’ho chiamato così, dato che è un angelo xD




 

____________________

Kuro-loveee lo mette lo stesso il braccialettooo ♫ *la testa dell’autrice viene staccata di netto da un’asciata di Kurogane*

benvenuti, signori (mah) e signore al seguito di “Do you want to know a secret” :D lo stile di questa storia sarà abbastanza diverso dalla precedente.. che dire, preparatevi perché questo sarà pressoché l’unico capitolo in cui non succederà qualcosa di estremamente deprimente xD l’angst regnerà sovrano.

ora che vi ho fatto venire un sacco di voglia di leggere, vi auguro una felice giornata *____*

harinezumi

  
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