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Autore: Aurelia major    17/02/2011    7 recensioni
[ Occhi di GAtto ]La famigerata banda di ladre è ormai un ricordo, da tempo infatti le tre sorelle hanno cambiato vita, lasciandosi alle spalle persone ed eventi. Ma un imprevisto rimette in gioco tutto, soprattutto i sentimenti che la protagonista pensava assopiti...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Così fu che, tutta trepidante e piena di buoni propositi, tra cui principalmente quello di fumare il calumet della pace, l’indomani Sheila di buon’ora e acchitata di tutto punto si recò in ospedale.

Per la verità ci aveva messo più del suo solito per prepararsi e, considerato che il suo solito già normalmente consisteva in un tempo considerevole, diciamo pure che ci aveva impiegato quasi tutta la mattina. Poco male, tanto prima delle 11 ogni accesso era proibito.

Ad ogni buon conto, visto che aveva letto da qualche parte che il senso più primitivo e più facile alla ricezione degli stimoli esterni è l’olfatto, per meglio predisporre il suo uomo ad una tregua e a non fare il difficile, si era cosparsa a due mani di profumo francese. Inutile aggiungere che ogni boccetta ne conteneva un quantitativo minimo, perciò ne aveva usate parecchie e che a conti fatti olezzava come il boudoir di una cortigiana.

Cosa questa che veniva viepiù confermata dall’abbigliamento scelto per l’occasione, poiché, al momento di aprire l’armadio s’era chiesta: quale stagione consentiva di essere audaci come l’estate? Indi aveva messo la gonna più mini che aveva, quella ai limiti estremi della decenza, e una tunica che pareva abbastanza casta, sebbene le avesse uno spacco vertiginoso che le scopriva tutta la schiena.

Insomma, per farla breve, aveva buttato alle ortiche parte del suo atteggiamento pudico e si era a bella posta predisposta a stordire e disorientare Matthew. Di conseguenza la delusione fu ancora più cocente quando al suo arrivo trionfale ad attenderla non trovò altri che la stanza vuota e un ordine tale in giro, a partire dal letto fatto, su, su fino ai vari manga, libri e vestiti, che normalmente l’ingolfavano, sistematicamente impilati, che subito si sentì pervasa da un moto di genuina apprensione.

Dove s’era ficcato Matthew? E soprattutto, chi aveva messo mano in quel caos fino a rendere il suo antro tutto lindo ed asettico? Due domande queste che non promettevano nulla di buono. Ciononostante, pur irrigidendosi e iniziando ad inquietarsi, tentò di essere ragionevole, dicendosi che le opzioni tra cui scegliere erano due. O restava lì ad aspettare macerandosi nei suoi interrogativi irrisolti, oppure si dava da fare per svelare quegli arcani.

Quindi, da donna d’azione quale era, non perse tempo a gingillarsi oltre e, ritornando su i suoi passi, si diresse spedita in sala infermieri. Ciò non per chiedere delucidazioni a chicchessia, quanto per introdursi lesta e non vista nel guardaroba ed appropriarsi della prima uniforme a portata di mano. E le disse male perché l’atavica fantasia che poteva incarnare nel travestimento da infermiera succinta non poté compiersi, in quanto trovò solo divise da uomo. Pure, mentre s’infilava gli ampi pantaloni e la casacca, d’un verde che non esaltavano affatto la sua carnagione, si consolò dicendosi che tutto sommato era una fortuna aver trovato solo quelli. In effetti celavano ad hoc le sue forme e, tra mascherina  e cuffia per i capelli, nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Pertanto le probabilità di agire indisturbata sarebbero aumentate.

L’unico problema semmai erano i sabot che lasciavano intravedere il posteriore dei suoi piedi freschi di pedicure. Sebbene, si domandò sbrigativa, chi mai in un ospedale avrebbe badato alla tornitura perfetta dei suoi talloni? Probabilmente nessuno, si rispose e perciò ostentando sicurezza, uscì dalla stanza, agguantò un carrello porta-medicine e lentamente si avviò lungo i corridoi, gettando occhiate penetranti tutt’intorno e oltre le porte aperte.

Cercò in radiologia, ortopedia e finanche al pronto soccorso, ma del suo fidanzato non c’era traccia. Quindi, indifferente alle occhiate curiose di chi osservava quello strano individuo all’apparenza maschio, ma con gli occhi truccati e dall’andatura ancheggiante, peregrinare per i reparti accompagnato dal cigolio delle ruote e dai tonfi degli zoccoli sanitari, restava leggermente interdetto. Anche perché, nonostante Sheila ne avesse tirati i lacci fino alle massime estremità, spesso doveva tirarsi su i calzoni della divisa che chiaramente le stavano larghi.  Tolto ciò, era evidente l’impasse in cui era finita e meditabonda si fermò a considerare la situazione.

Se non erano state le ossa rotte o un improvviso malore ad allontanare Matthew dal suo giaciglio, cos’altro poteva essere successo? Fece rapidamente mente locale e colta da un lampo d’intuizione, capì dove doveva cercare.

“Ma certo.” Pensò tornando sui suo passi, dirigendosi verso gli ascensori e infine al piano terra, dove, nelle ampie stanze che davano sul giardino e dalle cui finestre entrava luce e calore, c’era il reparto di psicopatologia e il gabinetto della dottoressa che settimane prima l’aveva torchiata con le sue domande.

Non aveva le chiavi per accedere e difficilmente l’avrebbero fatta entrare se avesse bussato, ciononostante introdursi non le fu difficile, in quanto la serratura della porta non presentava particolari difficoltà e per farla saltare le bastò una semplice forcina. Il problema casomai, pensò fissando la targhetta sulla porta che cercava, era capire se effettivamente Matthew era all’interno e con quale scusa avrebbe potuto entrare. Chiaramente nello studio dove avvenivano i colloqui la sua presenza sarebbe stata del tutto incongrua, né poteva spacciarsi per un luminare in visita conciata a quel modo. Cosa inventarsi?

Ancora una volta si fermò per valutare attentamente le possibilità. E, mentre si spremeva le meningi, facendo vagare lo sguardo tutt’intorno, improvvisamente s’accorse che ad una distanza irrisoria dall’uscio che stava rimirando c’era una sospetta porta dal telaio reso quasi invisibile dall’intonaco. Per cui, guidata dal suo istinto ladresco, che raramente falliva, senza pensarci una volta di troppo, forzò anche quella ed entrò. Con sua sorpresa si ritrovò in una specie di cubicolo stretto e lungo, dove, posizionato faccia a muro, era disposto un tavolo con alcune sedie. Inoltre di primo acchito la parete sembrava cieca, ma a guardarla meglio ci si accorgeva che così non era, dal momento che si trattava di uno specchio oltre il quale si poteva vedere e soprattutto sentire tutto ciò che avveniva nell’altra  stanza.

“Risalirà agli anni 70.” Rifletté la ragazza, ripensando ai vari documentari dedicati al quel decennio neanche troppo lontano, quand’ancora i pazienti di psichiatria venivano trattati come cavie da laboratorio e ad assistere agli elettroshock c’era tanta di quella gente che mancava solo passasse il bibitaro come allo stadio.

In ogni caso, al di là di ogni considerazione postuma, era un fatto che c’era tanta di quella polvere depositata sugli arredi, che era evidente quel vano fosse inutilizzato da tempo e che l’ultima delle classi di praticanti portata ad osservare le reazioni di un paziente in seduta fosse passata da un bel pezzo. Comunque sia quell’anfratto le andava proprio a puntino, non fosse per il fatto che l’istitutrice prussiana, che talvolta si affacciava ai margini della sua coscienza, non era affatto d’accordo con i suoi intenti. Già, il dilemma che le si poneva in quel momento era assai spinoso e a disagio si bloccò, chiedendosi se fosse corretto origliare le confidenze di un individuo al proprio terapeuta. Specialmente se questa persona era il suo fidanzato.

“Mi accerto solo che sia lui e poi me ne vado.” Si ripromise con fermezza, ma poi, in barba a tutti i suoi virtuosi propositi, quando effettivamente si fu sincerata che era proprio Matthew quello che stava facendo il suo ingresso e che si stava accomodando sul lettino, non le riuscì proprio di allontanarsi.

“Metti che parli di me”, sostenne tentando di venire a patti con l’etica, “ e anche in considerazione del nostro ultimo litigio, sarebbe importante sapere cosa dice.” Argomento questo che ebbe il potere di tacitare quasi del tutto ogni scrupolo di coscienza, benché  sotto, sotto, mentre lo stava a guardare che si stendeva, rigido e palesemente impacciato, si sentisse una vera manipolatrice.

Al di là del vetro invece tutto sembrava pervaso da una calma apparente, rotta solo dai respiri di entrambi e dallo sfogliare del libretto di appunti che la donna stava consultando. Il che portò Sheila a chiedersi imbarazzata se di solito fosse quella la prassi. Anche perché, pensò un po’ scocciata e sempre più recalcitrante verso i suoi montanti sensi di colpa, visto che stava palesemente trasgredendo la privacy del suo compagno e che la qual cosa infastidiva alquanto il suo amor proprio, volevano decidersi a venire al punto quei due?

Un pensiero questo che parve passare da una stanza all’altra fino a scuotere la dottoressa, la quale improvvisamente aprì le danze, ponendogli un interrogativo. Parlava a voce talmente bassa che Sheila si protese verso lo specchio per meglio carpire le voci, ma anche gli atteggiamenti e le espressioni.  

“A cosa sta pensando?” Aveva chiesto il medico a Matthew per sollecitare il suo recalcitrante paziente a parlare, giacché questi se ne stava disteso immobile ad occhi chiusi, apparentemente intenzionato a non aprire bocca.

“Detesto questa domanda.” Replicò infine visibilmente contrariato. Come ogni volta, due giorni a settimana, soleva fare dacché era uscito dal coma. E davvero la odiava accidenti. Cazzo, pensò innervosito, ma perché volevano costringerlo per forza a parlare? E poi, si chiese impermalendosi via, via sempre di più, che accidenti c’era da dire? Chi gliela dava a quella gallina la certezza che stesse pensando a chissà quale profondo interrogativo? Porca puttana, rifletté sarcastico, magari proprio in quel momento a tutto stava pensando, fuorché ad una cosa seria. E allora che sarebbe successo se le avesse detto che gli stavano passando per la testa un sacco di stronzate? Come minimo, ne concluse, mi metterebbe a pane e valium, ecco cosa.

Una prospettiva questa che comprensibilmente poco gli sorrideva e perciò ne dedusse che gli conveniva starsene zitto, ché in tal caso non solo si salvava dal capestro, ma evitava pure delle figure di merda.

Porco mondo! Continuò ad imprecare tra sé e sé. Accidenti a lei e al suo insopportabile lettino di velluto, che ogniqualvolta ci si sedeva, ci scivolava finché non si trovava quasi col culo per terra. Ma accidenti soprattutto, pensò fissando ostile la parete innanzi a lui,  a quei quadri di merda che aveva appesi! Di sicuro ce li aveva messi apposta, perché non si capiva mai, da qualunque angolazione li si guardasse, che cazzo rappresentavano! E poi, soggiunse ritornando al cruccio di partenza, ma come diavolo si fa a parlare con qualcuno che non ti guarda manco in faccia? Eh già, facile mettersi alle spalle di una persona e scribacchiare chissà cosa facendo la faccia saputa. Ma chi glielo diceva a lui che magari manco lo stesse ad ascoltare e che sul quel cazzo di taccuino ci scrivesse la lista della spesa?

Perciò, considerato quanto sopra, ma anche per via delle chiusure ermetiche cui l’amnesia lo aveva costretto, ne dedusse che era meglio restarsene muto e amen.   

“Perché la odia signor Isman?” Chiese la donna, che fin lì l’aveva lasciato riflettere in santa pace, ma che adesso ne interrompeva il rosario di contumelie, richiamando nuovamente la sua attenzione. “Forse perché la mette innanzi a domande che vorrebbe eludere?” Aggiunse, tornando a battere sul tasto di sempre e facendolo sbuffare come una vaporiera.

“La odio perché è una tipica domanda di voialtre femmine!” Replicò Matthew con impeto, facendo sobbalzare, allo stesso tempo, Sheila nella stanza di fianco e sorridere sotto i baffi la terapeuta accanto a lui. Chiaramente non poteva saperlo, ché se l’avesse saputo avrebbe risposto in modo differente, per cui continuò con la medesima veemenza: “Ma porca vacca, mi chieda piuttosto che accidenti m’è preso ieri e perché! Ho dato i numeri no? E allora parliamo di quello che almeno so che dire. Invece no, lei mi domanda che sto pensando… Embé, lo vuole proprio sapere?”

Posta innanzi a quel tono di intimidazione la donna non ne perse di placidità e, non senza una punta di sottile ironia nella voce, asserì che non aspettava altro dacché avevano cominciato la terapia.

“Sta bene allora!” Esclamò accettandone il tacito confronto. “Sto pensando che Alice avrebbe potuto evitare di mettermi quella cosa sotto il naso.” Sbottò tirandosi su e voltandosi, non senza una certa difficoltà, verso di lei, pur sapendo che così stava  trasgredendo una delle prime regole che gli aveva enunciate. Quindi, quando le fu ad un palmo di naso, continuò: ”Sto pensando che molto probabilmente l’ha fatto apposta, fregandosene se nel frattempo a me veniva un coccolone!”            

 “In effetti so che ha passato una nottataccia e che hanno dovuto somministrarle un bel po’ di tranquillanti.” Replicò il medico senza scomporsi innanzi a quel livore mal represso e lasciando che assumesse la posizione che più gli aggradava sul lettino. Tanto, e aveva avuto già modo di constatarlo, su quel tizio non aveva nessun tipo di autorità. Per cui che si mettesse pure come più gli piaceva, purché parlasse.

Discorso diverso invece per quel che riguardava Sheila, che dall’altro lato della parete, si stava decisamente allarmando. Maledizione, che aveva fatto quella serpe di Asatani? Cosa aveva mostrato a Matthew di tanto sconvolgente da provocare quella buriana? Non era difficile immaginarlo, certo che no! Ma ora doveva restare calma ed ascoltare attentamente, perché forse così l’avrebbe saputo al di là di ogni sua illazione.

Pure, come si faceva a rimanere calma e composta quando un allarme rosso dentro di te suona a distesa? Ché l’istinto le stava gridando a chiare lettere che s’approssimava una situazione pericolosa per sé e per le sue sorelle. E proprio per questo si costrinse ad uno sforzo di volontà, cassando ogni suo pensiero e concentrando tutta la sua attenzione sul dialogo sibillino che stava continuando dall’altra parte.

“Questo non deve spaventarla”, stava infatti dicendo la dottoressa con tono conciliante al fine di tranquillizzarlo, “si tratta di un semplice episodio, quand’anche significativo e forse addirittura in grado di smuoverla fino a cominciare a ricordare.” Aggiunse cauta, pur consapevole che in quel modo stava giocando con il fuoco. In effetti le era palese ormai che l’uomo tutto voleva, tranne che quello. E infatti la reazione di Matthew a quelle parole le parve quasi scontata.

“Cazzate! Non mi sono ricordato una cippa! E quel coso mi ha solo provocato un sacco di incubi e un’altra notte all’addiaccio a fumare!” Ribatté lasciandosi scivolare sullo schienale, fino a tornarsene nella sua posizione originaria, poiché proprio non gliene teneva più di guardare quel pezzo di ghiaccio. E dire, pensò valutandola per la prima volta, che tutto sommato non era niente male.

“Perché non me ne parla?” Gli stava chiedendo nel frattempo questa, inconsapevole della stima spassionata cui le sue curve stavano venendo valutate. “Non ha idea di quante e quali cose si possa estrapolare dai sogni.” Lo incalzò con voce rassicurante, provando ad attaccarlo su di un lato assai vulnerabile, giacché di solito parlare di sé aveva il potere di smuovere sempre e comunque una parte narcisistica cui è difficile resistere. Ma vuoi per l’antipatia, vuoi perché si stava chiedendo che taglia di reggiseno avesse, vuoi per un insito istinto di autoconservazione e di difesa, Matthew non abboccò.

“Non posso, non me ne ricordo.” Affermò lapidario. Quindi, incurante del divieto, pescò nella tasca del pigiama sigarette e accendino e se ne accese una, sperando che l’evidente fastidio che la donna aveva per il fumo la portasse a buttarlo fuori. Ma quella, purtroppo per lui, non se lo diede per inteso. Con grande soddisfazione da parte di Sheila che stava letteralmente friggendo in attesa che l’arcano in qualche modo, attraverso sia pure un piccolo dettaglio, le si potesse svelare e che continuava ad ascoltare trepidante con una bruttissima sensazione che le serpeggiava su e giù per la schiena.  

“Allora mi dica cos’ha provato.” Insisté il medico resistendo stoica sia al depistaggio che alle zaffate di fumo.

“Mi sono svegliato per pisciare.” Bissò l’elusione Matthew usando a bella posta quell’espressione volgare. “Poi mi facevano male e ferite e… mm vediamo… sì, avevo anche fame.” Concluse continuando a far l’indiano, tanto che parve infine che la donna avesse capito l’antifona e lo congedò. Tuttavia, mentre raccattava le stampelle e si preparava ad andarsene, fissandolo da dietro agli occhiali, sparò inaspettata un’ultima cartuccia.     

“Dopodomani lei uscirà da qui, per quanto crede che potrà continuare a fare lo gnorri signor Isman?”  

A quella domanda Matthew la guardò di sotto in su dall’alto della sua considerevole statura e si limitò a grattarsi il mento ispido. “E chi lo sa doc.” Rispose evasivo, dopodiché, prima di prendere la porta, le fece un sorriso talmente franco e disarmante che a lungo questa si chiese quanto ci fosse e quanto ci facesse quel tizio. Ché lei, nonostante tutti i suoi attestati, ancora non l’aveva capito.

Quanto a Sheila non ebbe il tempo materiale per riflettere su quello scambio di battute, né su tutto quanto lo aveva preceduto, poiché aveva pochissimo tempo per filarsela, nonostante l’andatura claudicante di Matthew. Di conseguenza, rapidamente lasciò quel cantuccio e mollando lì i sabot che ne impacciavano il passo, scalza corse di sopra a recuperare le sue cose. Indi, sempre volando come se avesse il fuoco alle calcagna, tornò indietro fino ad intercettarlo mentre lentamente transitava diretto alla sua stanza. E non aveva neppure il fiatone quando finalmente si accorse di lei, anzi sembrava una appena uscita da una seduta dal visagista.

“Ehilà!” Fece Matthew colto alla sprovvista, sfoderando un’espressione ad un tempo sorpresa e contenta, ma che soprattutto voleva ostinatamente celare i travagli di cui lui non sapeva lei fosse al corrente. Tanto che di primo acchito, ora che lo vedeva da vicino, Sheila si accorse di tanti piccoli dettagli che in precedenza non aveva potuto notare.

Già, appariva provato e non solo per via della barba lunga, quanto per gli occhi pesti e l’incavo delle guance, che il sorriso che le stava rivolgendo a stento dissimulava. Sheila lo guardò e capì che per giorni doveva aver covato una smorfia contrita e che ancora gli deformava il volto, sebbene stesse facendo di tutto perché non se ne accorgesse.

E allora, forse per la prima volta da quando avevano litigato, pensò al suo benessere piuttosto che al proprio e preoccupata si chiese se tutto ciò fosse la conseguenza del dolore fisico o di quegli incubi di cui aveva parlato prima. Ma, quale che fosse il motivo, ora le appariva molto vulnerabile e le fece una tenerezza infinita, tanto che sentì un moto spontaneo venirle dentro e, prima che potesse impedirselo, con affetto gli carezzò il viso. Un gesto che lo turbò e disorientò al punto che fece alcuni passi indietro incerto. 

Invero Matthew voleva dire qualcosa, porca boia, pensò, doveva dire qualcosa! Eppure non riusciva e lo stesso discorso per valeva per Sheila. Chiaramente avevano entrambi una coda di paglia grossa così, anche se per motivi diametralmente opposti e del tutto sconosciuti l’una all’altro. E chissà come sarebbe finita se nel frattempo non fosse passata a prelevarlo la terribile caposala, la quale, senza perdersi troppo in chiacchiere, li trascinò ambedue verso l’ortopedia.

A quanto pareva infatti, considerato che il paziente era lì, lì dall’essere dimesso e che le lastre erano promettenti, il fisiatra  aveva deciso di alleggerirlo dal gesso che gl’imprigionava la gamba. Pertanto, nella concitazione del momento, non poterono dirsi alcunché. Cosa questa che andava benissimo ad entrambi e finì che quando Matthew entrò nell’ambulatorio, preferì andarci da solo, lasciandola in corridoio ad attendere. E fu meglio, giacché diede loro il tempo di ricomporsi e prepararsi adeguatamente a parlarsi, nella pia speranza di non incappare in passi falsi e soprattutto di non accapigliarsi nuovamente.

Dopo un po’ Sheila, che aveva trascorso quell’attesa così immersa nei propri pensieri da non accorgersi del tempo che passava, se lo vide venire incontro zoppicante ma finalmente sulle sue gambe. Avanzava un po’ incerto, ma più le si avvicinava, più sembrava acquistare sicurezza e, almeno nell’espressione, sembrava non serbare traccia della precedente spossatezza.

“Allora“, esordì quando le fu a pochi passi, “ci diamo la stretta di mano dei pugili sul ring  prima di suonarsele o mi permetti di prostrarmi ai tuoi piedi chiedendoti umilmente scusa?”

“Non sarebbe male come idea.” Replicò lei ilare, anche se quel repentino mutamento di registro la confondeva. In ogni caso tentò di stemperare quella sensazione, lo prese sottobraccio e aiutandolo a camminare, lo condusse fin sul balcone della sua camera. Il discorso che dovevano affrontare infatti preferiva farlo lontano da orecchie indiscrete. “Mentre ti aspettavo”, mentì intanto che lui grato si sedeva, “ho parlato col medico che era di turno stanotte. Mi ha detto che sei stato male, cos’è successo?”

“Nulla.” Rispose lapidario e visto che lei lo guardò in un certo modo, ovvero con quell’espressione esigente che da poco aveva cominciato a capire e temere, aggiunse: “Niente di cui debba preoccuparti credimi.”

“Sei sicuro?” Insisté cercando di celare la delusione, ché Matthew nonostante tutti i suoi difetti, in passato non era stato mai diffidente con lei. Anzi l’aveva sempre potuto leggere come un libro aperto, per questo adesso quel suo fare circospetto, non solo le risultava nuovo, ma anche inaspettatamente penoso. Al punto che non poté far a meno di chiedersi com’era stato possibile che finissero così. Stava per aggiungere qualcos’altro, ma questi la bloccò sollevando una mano, quasi a chiedere il permesso di parlare.

“Piuttosto”, disse interrompendola sul nascere, “parliamo un po’ di cose importanti.” Quindi fece un sospiro come chi stia per immergersi nell’acqua gelata e continuò: “E credimi sulla parola se ti dico che una volta tanto non sto facendo lo scemo, davvero. Insomma, per farla corta, volevo chiederti scusa. Per l’altra volta e per tutto il resto.” Buttò fuori precipitosamente e tutto d’un fiato, prima di avere il tempo di ripensarci.

“Bel modo di riassumere il tutto, senza dire niente.” Ribatté Sheila scoppiando a ridere di cuore.  

“Ehi ma io mi sto scusando!” Protestò incurante del fatto evidente che si stessero riferendo a due episodi completamente diversi.

“Non è questa la parola che userei io, sai?” Lo provocò per vedere fin dove si sarebbe spinto.

“Beh bellezza”, celiò ma senza scherzare poi tanto, “neanche tu sei stata proprio un angelo.”

Affermazione questa che avrebbe potuto dare nuovamente fuoco alle polveri, ma siccome non era quello lo scopo per cui era tornata in ospedale, stavolta fu il suo turno di salvarsi in zona cesarini.

“D’accordo”, esclamò ostentando pazienza e ragionevolezza, tecnica questa che non mancava mai di dar frutto, “mettiamoci una pietra sopra e speriamo di non doverci tornare più.”  

“Un’ultima cosa”, aggiunse un po’ titubante, ignaro dei celati altarini, “per caso Kelly ti ha detto qualcosa in proposito della nostra conversazione?”

“Puoi stare tranquillo.” Lo rassicurò non senza una punta di sarcasmo nella voce. “Ha mantenuto un silenzio di tomba sull’argomento. I vostri soliti segretucci sono al sicuro. Non li direbbe a nessuno, meno che mai a me.”

“Uh meno male!” Gli scappò prima di cominciare a sghignazzare con evidente sollievo. Ora veniva il difficile però, come si doveva comportare? Come suggellare questa ripartenza? Prenderle le mani e fissarla dritto negli occhi?  Abbracciarla per palesare tutto il suo trasporto? Darle un bacio hollywoodiano magari? Accidentaccio, dopo quanto successo l’ultima volta forse era meglio evitare qualsiasi contatto epidermico, senza contare che doveva badare bene a quel che diceva e come lo diceva. Cristo santo che fatica! Pensò e quindi, sperando di riuscire ad evocare un tono che fosse accorato, ma non tanto da sembrare uno smidollato, caloroso abbastanza da apparire coinvolto, ma senza scadere nel torbido, prese coraggio e vergognandosi da morire le disse con un filo di voce: “Mi sei mancata sai?”

“Anche tu scemo.“ Fu la risposta che sentì e solo allora levò gli occhi a guardarla, giacché mentre lo diceva si era ben assicurato di non farlo, tanta era la paura di fare un errore madornale. Ma, aveva udito bene oppure gli stavano andando in pappa pure le orecchie? Con la coda dell’occhio la contemplò e quello che vide lo fece sentire tutto ad un tratto un gigante, tanto che per un momento di sembrò di comprendere appieno quanto aveva tentato di dirgli Kelly riguardo alla natura dei suoi sentimenti. Ché quella semplice affermazione da parte di Sheila gli stava spalancando le porte della conoscenza.

Già, tutto ad un tratto pareva non gliene fregasse più nulla di quel che era stato in passato, di quanto era potuto accadere in precedenza e se davvero negli anni che avevano trascorso assieme l’aveva amata tanto o poco. Ora parevano solo dettagli davanti a quel che sentiva, giacché  stava realizzando consapevolmente di esserne di nuovo innamorato. Impaziente e allo stesso tempo euforico stava per dirglielo, quando la medesima fitta lancinante della sera prima prese a martellargli la testa. Ammutolito sbiancò e si prese il capo tra le mani. Non voleva spaventarla, ma la voce impaurita di Sheila che gli chiedeva cosa stesse accadendo non fece che aumentare il suo senso di straniamento. Serrò le palpebre, tentò di domare il respiro che gli si stava strozzando in gola e un dolore acuto gli serrò il petto, mentre in una specie di déjà vu prolungato vide profilarsi davanti a sé, come nella scena di un film, una sagoma ondeggiante che attraversava il buio. Era la schiena di una donna quella? Forse, ma di certo correva agilmente davanti a lui e sapeva di non essere capace di raggiungerla.  

“Dottore! Dottore!” Urlò Sheila in preda al panico, ma prima che potesse fare o dire altro, una mano afferrò con una presa spasmodica le sue. 

“Le gocce!” Fece concitato indicandole con un cenno del capo il comodino, poi cercò di mettere a fuoco la vista concentrandosi su di lei. Neanche si prese la briga di contarle, si attaccò alla boccetta come un avvinazzato all’alcool e ad occhi chiusi aspettò che producessero il loro effetto.

Quando si fu quietato un po’ e il respiro gli tornò normale si rese conto che le aveva fatto prendere uno spavento terribile e quindi cercò di rassicurarla. “Sto bene adesso.” Affermò, ma constatato che non aveva affatto placata l’ansia che le si poteva leggere sul viso,  aggiunse: “Capita quando sono molto agitato e oggi ne ho avute di emozioni no? Arrivi tu, poi mi ritrovo con la zampetta libera…” Disse provando a fare dello spirito, ma visto che neppure questo pareva fare effetto, tentò di spiegarsi meglio. “Non so come dirlo, ma credo di aver visto qualcosa. Come se mi fossi ricordato  di qualcuno. Ma non ne sono sicuro.” Ammise incerto.

“Cosa hai visto?” Chiese Sheila preoccupata e sgomenta da quanto aveva visto. Accidenti, fin lì aveva preso quella cosa quasi come un gioco, ma oggi si era resa conto che un gioco non era. E pure l’origliare in cui si era prodotta quel mattino assunse tutt’altra valenza. Maledizione, pensò per l’ennesima volta,  perché era sempre costretta ad assumere questi atteggiamenti ambivalenti con lui? Pareva quasi che il destino si stesse divertendo con loro come due marionette inerti.

“Una donna.” Disse piano dopo averci riflettuto sopra. “Correva davanti a me e poi è scomparsa . E dire che in quel momento stavo pensando a tutt’altro.” Concluse con lo sbuffo scocciato di chi non sta capendo nulla e si sta davvero rompendo le scatole.

Sheila si morse il labbro incerta, era palese a cosa si potesse riferire quell’immagine e ora non sapeva proprio che fare. Certo, se fosse stata sicura che parlagli di Occhi di Gatto l’avrebbe aiutato ad evitare quella sorta di stato di trance, per quanto momentanea, non avrebbe avuto indugi a farlo. Ma l’antica paura legata alla rivelazione della sua molteplice identità era ancora viva in lei, per non parlare del fatto che era all’oscuro delle subdole manovre di Alice Asatani. Perché adesso ne era certa, la detective non si era fatta scrupolo di mettergli sotto al naso una delle loro card, a caccia com’era della verità. Cos’altro aveva fatto e cosa ancora tramava?

“Che stronza!” Pensò e inaspettatamente fu proprio Matthew a darle la piena conferma.

“Comunque non c’è da preoccuparsi sai?” Stava dicendo appunto, provando a minimizzare l’accaduto. “E’ successo anche ieri e probabilmente sarà stato a causa di quella specie di biglietto da visita che mi ha mostrato Alice. E’ stato da quel momento che ha preso a scoppiarmi la testa.”

“Un biglietto di Occhi di Gatto.” Mormorò lei voltandosi repentinamente a dargli le spalle, poi si fece forza e, tornando di fronte a lui, che la fissava incerto, sparò la domanda che non poteva più eludere a bruciapelo . “Sai chi sono?”

“No.” Rispose lapidario. E per un lungo istante si fissarono come due contendenti ai lati opposti di una barricata. Lo sguardo di Sheila gli scavava nel profondo per capire se le dicesse tutta la verità, mentre quello di lui per una frazione di secondo le parve sfuggente. Ma durò talmente poco, che si chiese se non fosse stata un’impressione provocata dai suoi stessi sensi di colpa. In caso contrario, perché Matthew avrebbe detto ciò che le disse? Infatti sembrava quello di sempre mentre con aria dubbiosa, ma assolutamente benevola aggiungeva: “Anche se e a questo punto muoio dalla voglia di  saperlo. Sembra che siano una parte importante del mio passato.”

“Non te lo immagini neppure quanto.” Ammise la ragazza, mentre all’improvviso una piena di tristezza la travolgeva. E doveva essere stato evidente, giacché Matthew ne richiamò l’attenzione battendole una mano sulla spalla.

“Sai che ti dico? Chi se ne frega!” Dichiarò perentorio. “E’ una vita che non ci si vede e noi stiamo qua a perdere tempo appresso a questa storia? Se è davvero importante mi verrà in mente, sennò ciccia. E’ ora che la pianti di starmene qui a peso morto ad aspettare che gli altri facciano tutto il lavoro per me, giusto?” Chiese strizzandole l’occhio e, visto che Sheila pareva non sapere cosa rispondergli, continuò allegro: “Dopodomani mi buttano fuori e c’è un’infinità di cose che devo fare. Ad esempio, vedere se tra queste quattro pezze c’è qualcosa di decente da mettermi addosso. Mi ci gioco quel che vuoi che è tutta roba fuori moda.”

Innanzi a quella poco velata presa in giro Sheila ci mise tutta la sua buona volontà per cercare di tirarsi su.

“Se avessi saputo che il gran giorno era domani ci avrei pensato io a portarti qualcosa. Temo che non troverai granché nella tua sacca.” Rispose lanciando un’occhiata alla borsa che giaceva afflosciata accanto all’armadio. Gli era grata per quel tentativo di lasciar cadere l’argomento precedente, eppure c’era qualcosa che non le tornava. Ma forse era meglio riparlarne in un momento e un luogo più opportuni.

“Di certo non posso uscire da qui in pigiama e onestamente quando sono arrivato non che l’abbigliamento fosse una delle mie priorità.”  Ribatté faceto, dopodiché le lanciò l’esca che sperava potesse farle tornare un po’ d’entusiasmo. “Magari potremmo andare a fare shopping.” Propose con falsa noncuranza. Al che il miracolo avvenne, giacché Sheila ghignò malefica al solo pensiero. Ché Matthew aveva sempre detestato andare in giro per negozi con lei. La considerava una maratona estenuante, mentre adesso non solo gliel’aveva proposto, ma non aveva nessuna scusa per sottrarsi e in più le aveva porto su di un piatto d’argento l’irripetibile occasione di convincerlo ad abbigliarsi come piaceva a lei.

“Volentieri.” Condiscese con grazia. “Però non voglio sentire un fiato!” Lo avvertì cominciando a ridacchiare.

“Okay, come tu vuoi.” Rispose soddisfatto dall’esito del suo tentativo, ma senza riuscire a spiegarsi cosa accidenti ci fosse da essere tanto contenti a quella prospettiva . Femmine! Pensò per la centesima volta da quando se l’era ritrovata davanti.  “In ogni caso”, aggiunse tanto per dire qualcosa, “per prima cosa Alice deve portarmi le chiavi di casa. A quanto ne so, attualmente c’è una squadra di eroi impegnata a darle una pulita.”

 “Ho capito bene?“ Chiese Sheila sorpresa, ma soprattutto, gli parve, sdegnata. “Vorresti farmi intendere che con un braccio ancora appeso al collo, senza alcun senso dell’orientamento e privo di qualsiasi nozione di sopravvivenza tu pensi seriamente di potertela cavare?”

Domanda questa che gli fece leggermente girare le palle, non gli piaceva che la sua presunta incapacità nel gestirsi gli venisse spiattellata tanto alla leggera  e  stava per risponderle male. Poi si rese conto che di sicuro avrebbero ricominciato a litigare e tenne a freno la lingua.

“Mi pare esagerato parlare di sopravvivenza, non vado mica in Amazzonia.” Rispose con appena un filo d’ironia. “Ci riflettevo l’altro giorno e sono sicuro che tra  lavanderie, tavole calde, bagni pubblici e imprese di pulizia, non dovrebbe essere troppo difficile. Inoltre non credo di avere molta scelta.” Aggiunse, come a voler chiudere l’argomento.

“Una scelta ce l’hai invece”, fece la ragazza quasi con aria di sfida, “potresti venire a casa mia.” Propose, pensando una frazione di secondo dopo che non solo sarebbe stata una specie di riedizione postuma, quanto, così come in precedenza, in tal caso avrebbe potuto tenerlo d’occhio. Pensiero questo che le sovvenne suo malgrado e quasi si odiò per averlo formulato. Pure era indispensabile, doveva tenerlo sott’occhio e vigilare, perché non si poteva sapere quando e cosa gli sarebbe tornato alla memoria e perciò era indispensabile che gli fosse sempre vicino. Dettaglio che tutto sommato le faceva piacere anche per altri motivi, i quali però era troppo orgogliosa per ammettere, quindi preferì accantonarli e pensare piuttosto a quelle che riteneva necessità più impellenti.  “E’ fuori discussione che in questo momento pensi anche lontanamente di poter stare da solo.” Dichiarò infine con autorità.

“Beh , l’idea di avere tre bandanti è allettante lo ammetto.” Replicò Matthew sghignazzando. “Ma  sai, a quanto mi è stato riferito, questa è un’esperienza che abbiamo già fatto e non mi pare che sia andata molto bene.” Aggiunse perplesso mentre lei lo fissava allibita. Chi diavolo glielo aveva detto?

“Tati mi ha raccontato un paio di episodi che sul momento mi hanno fatto sbellicare, però a riguardarli adesso, suppongo che se ritentassimo sarebbe un disastro.” Fece guardandola costernato e, visto che pareva non capire a cosa alludesse, tentò di spiegarsi meglio. “Io non ho ancora capito da me cosa cerchi precisamente. Se un amico o un fidanzato. E non so come comportarmi.” Confessò sbuffando per celare la vergogna poi, già che c’era, andò fino in fondo. “Insomma, prima lo sapevo a cosa sarei potuto andare incontro e stavo in campana, ma ora che altro potrei combinare nella mia ignoranza? Non è che ci tengo a farmi menare mattina e sera eh?”

“Ferma il gioco.” Lo bloccò completamente scorata Sheila, ché, a parte quella legittima pretesa da parte sua, doveva anche fare i conti con le indiscrezioni di quella peste di sua sorella. E non osava neppure immaginare quanto e cosa gli avesse spifferato. “Dimmi che ti ha detto precisamente.”

“Uhm vediamo”, cominciò ad enumerare contando sulle dita, “che io e te abbiamo dormito nella stessa stanza, ma che ho preteso una tenda divisoria, anche se poi c’ho provato lo stesso e le ho prese di brutto.” Esordì facendola arrossire come un peperone . “Poi pare che mi sia preso un secchio d’acqua gelata e una bacinella in fronte da lei quando ho provato ad entrare in bagno. Mi ha anche detto che  praticamente divoravo  tutto quanto ci fosse di commestibile in casa peggio di un cane affamato e che per mettere fine alla mia voracità avete preso a cucinare solo verdura cruda...”

S’interruppe un momento grattandosi pensosamente il mento, tentando di far mente locale per riferirle quella messe abbondante d’informazioni esattamente nell’ordine preciso in cui gli era stato riferito, in modo che fosse inconfutabile.

“Ah sì, pare che il gran finale ci sia stato quando, per mettermi in imbarazzo allo scopo di buttarmi fuori, Tati abbia tentato di fare la seducente e che a quel punto le avrei buscate ancora, perché non l’avrei trovata affatto concupibile.”  

“Sì, va bene, è chiaro.” Lo interruppe Sheila sperando che non continuasse, ma Matthew imperterrito andò avanti.

“Dopodiché sembra che Kelly si sia fatta trovare discinta e che io sia scappato con gli ormoni a mille e che successivamente, addirittura si sia intrufolata seminuda in bagno e mi abbia fatto delle proposte oscene, davanti alle quali sarei andato definitivamente in bambola svenendo...“  Concluse esibendo la sua completa incredulità innanzi a quelle storie che gli parevano davvero assurde. Poi facendo spallucce continuò: “Grosso modo penso di averti fatto un riassunto esauriente. Ora, sono convinto che tua sorella abbia senz’altro esagerato e che per prendermi in giro abbia gonfiato a dismisura la realtà, però un minimo di verità ci deve pur essere. E, anche se ti sono riconoscente per avermelo proposto, credo che tu per prima non vorrai sottoporti di nuovo a questo strazio.”

Inutile sottolineare che Sheila, durante tutta l’esposizione dei fatti, non aveva fatto altro che pensare a come fargliela pagare a sua sorella una volta tornata a casa. Prima però doveva convincere quel testone e soprattutto togliersi una pungente curiosità riguardo ad un altro particolare.

“Ti sbagli sai?” Fece con innocenza, frammista giusto a quel poco di malizia che poteva invogliare un uomo a fare le cose più assurde per lei. “Dopo ti spiego anche il perché, ma prima dimmi, Tati ti ha detto anche perché volevamo metterti alla porta?”

“No e quando gliel’ho chiesto ha replicato che potevo immaginarmelo. Per cui ne ho dedotto che tra mutande e calzini sporchi, molestie e assalti notturni, probabilmente non sono il coinquilino ideale.” Chiarì con aria noncurante, come a dire che se gli si fosse ripresentata l’occasione molto probabilmente avrebbe fatto lo stesso.  

“Bene”, rispose la ragazza con fare pratico, “ora se mi lasci parlare posso correggere questa nomea da camionista che ti ha affibbiato quella spudorata. Non sei un’educanda, questo è sicuro, ma neppure una piaga come ti ha dato ad intendere Tati. E tra l’altro si da’ il caso che sei in difficoltà e che a me, ma anche alle mie sorelle, farebbe molto piacere darti una mano. Detto questo, ci tengo ad informarti che, voglia o no, verrai. E’ chiaro?” Concluse minacciosa.

“Se insisti...” Bofonchiò e poi tra sé e sé pensò che probabilmente quella ragazzina si era divertita ad enfatizzare per farsi due risate alle sue spalle. Eppure all’idea di quel che sarebbe potuto succedere una volta capitato tra quelle quattro mura, si sentiva leggermente sopraffatto. Già, quante mazzate sulla testa avrebbe preso stavolta?

Interrogativo questo che non poteva certo porgere alla sua bella, perciò passarono a differenti faccende e a parlare di tutto quanto era accaduto mentre erano separati. E sembrò che non facessero altro per tutto il tempo finché non arrivò il sospirato giorno in cui poté lasciare quel luogo che tanto aveva detestato durante quegli interminabili mesi. E il giorno fatidico si svegliò contentissimo e si sentiva pieno d’energie mentre riempiva la borsa con le poche cose che possedeva. Lasciò fuori solo un paio di jeans e una t-shirt, che indossò con qualche difficoltà. In ogni caso si sentiva molto meglio con quei semplici indumenti addosso. Chissà, pensò ghignando, se avrò mai più voglia d’indossare un pigiama! E così, tutto allegro, si recò dal dottore per fissare gli appuntamenti successivi per le sue fisioterapie, dopodiché dovette compilare tutti moduli che la burocrazia esigeva e da ultimo salutò quanti aveva conosciuto durante il lungo periodo di degenza, badando bene a non dimenticarsi di nessuno. In fin dei conti, pensò, chi più chi meno, gli erano stati di compagnia e aiuto. Perciò passò a fargli un salutino e uno sfottò, lasciandosi per ultima la caposala, che era stata la sua vittima preferita. Infine gli consegnarono quanto gli avevano tolto di dosso al momento del ricovero. Questa gli giungeva nuova, in effetti non si era mai chiesto se avesse documenti o altri oggetti personali e meditabondo soppesò la busta, tuttavia non ebbe il tempo di dargli un’occhiata giacché Sheila già lo stava aspettando.

“Ciao.“ La salutò felice mentre lei faceva il gesto di togliergli la tracolla dalla mano.

“Non è il caso che faccia degli sforzi.” Rispose lei alla sua occhiata interrogativa .

“Ma andiamo, per quello che pesa.” Protestò sottraendosi. “Sai, mi piacerebbe che non mi trattassi come un maledetto invalido. Vorrei lasciarmela quanto prima alle spalle questa fase.” Affermò vivace, voltando ostentatamente le spalle all’edificio.

“Okay portatela da solo, volevo solo essere gentile!” Replicò un po’ piccata suo malgrado, poi, guardandolo meglio, la sua attenzione fu attirata da altro e subito inquisì. “Dì un po’ signorino, quella roba dove la tenevi nascosta?”

“Ieri, dopo che sei andata via, ho telefonato ad Alice chiedendole se mi poteva comprare qualcosa.” Chiarì seguendola verso il parcheggio.

“Ma non eravamo rimasti che ci andavamo insieme a fare compere?” Ribatté risentita. Accidenti a quella papera, ché oltre i suoi sporchi giochetti, continuava ad intromettersi tra loro a sproposito.

“Certo, ma qualcosa dovevo pur mettere e lei già doveva venire a portarmi le chiavi di casa. Inoltre saresti dovuta tornare indietro, giusto?” Le spiegò affabile, poi vide la macchina, un maggiolino rosso fiammante decappottabile, e scoppiò a ridere sonoramente.

“Beh?” Sheila si voltò a fissarlo, incuriosita da quell’inaspettato scoppio d’ilarità.

“E’ che la trovo alquanto adeguata.” Si spiegò continuando a ridacchiare.“Voglio dire, ho i capelli così lunghi che posso benissimo passare per un hippy, ci mancava solo il maggiolone yèyè per completare il quadro.”

“Effettivamente.” Constatò sorridendo suo malgrado. “Però se fossi in te non li taglierei, ti stanno bene, al contrario di quella barbaccia. Non sognare ti fartela ricrescere!” L’ammonì intimidatoria. Infatti c’era voluto il bello e il buono per convincerlo a tagliarsela e, malgrado le sue veementi proteste, aveva comunque lasciato fuori dalla tonsura le basette, che sfoggiava tutto fiero. Erano così lunghe e piene da far invidia ad Elvis.

“Va bene mammina, che proponi adesso? Ho la vaga impressione che tu abbia fin d’ora un programma definito.”

“Certamente.” Replicò entrando in macchina e tirando giù la capote. Matthew scosse il capo sogghignando e si accomodò schermandosi gli occhi con una mano. C’era un sole accecante.

Ah, pensò soddisfatto, davvero una  giornata fantastica per la sua scarcerazione! 

“Allora vediamo”, fece Sheila richiamandone l’attenzione mentre s’immetteva nel traffico, “ho fatto un elenco di quello che approssimativamente ti dovrebbe servire. Pantaloni, maglie, qualcosa di più pesante, scarpe, pantofole ...”

“Una stecca di sigarette.” L’interruppe accendendosene una. “Questa è l’ultima.” Chiarì tirando una voluttuosa boccata.

“Sto parlando di generi di prima necessità, non di vizi.” Lo sgridò e già che c’era colse la palla al balzo. “Visto che siamo in argomento t’avverto, fuma pure, ma non in casa. Non mi va che il mio tinello puzzi come un posacenere.”

“Va bene, va bene.” Assentì mugugnando. “Accidenti Sheila, sei peggio della caposala!” Fece con tono lamentoso, pur tuttavia continuando a godersela. Era libero, il sole splendeva alto nel cielo e stava filando a tutto gas con una bella bonona accanto, che cosa poteva chiedere di più?

“Dicevamo? Ah sì, uno spazzolino da denti, accappatoio, bagnoschiuma e shampoo neutri, ché sei allergico ...” Continuò ad elencare ignara del fatto che gli occhi dell’altro le stavano facendo su e giù dalle gambe alla scollatura.

“Questo non lo sapevo.” Disse tanto per dire Matthew strizzando gli occhi. Orca boia, pensò tentando di darsi un contegno, se già in macchina cominciava così sarebbe stata dura! In ogni caso, meglio non distrarsi. Per cui ci tenne a sottolineare una cosa. “Mm senti Sheila, fermo restante che apprezzo molto quello che fai, ma alcune cose se non ti dispiace vorrei comprarle da solo.” Annunciò senza chiarire cosa intendesse .

“Sarebbe?” Chiese un tantino sospettosa, già stava pensando ad una serie di riviste sconce. Già in passato infatti aveva scoperto che ne possedeva una fornita collezione,  accuratamente nascosta nell’armadio a muro.

“E dai, cerca di capire, le mutande mi vergogno di comprarle davanti a te!” Sbottò abbastanza impacciato facendo imbarazzare anche lei, tanto che non vide la macchina ferma allo stop davanti a loro e poco ci mancò che la tamponassero.   

“D’accordo.” Replicò senza rispondere al gesto di stizza del conducente davanti. “Vorrà dire che ci fermeremo in un centro commerciale, dove potrai fare i tuoi acquisti anche da solo.”

E detto fatto si diressero nella zona dei negozi dove Sheila gli fece provare l’ebbrezza della corsa allo shopping selvaggio. Per quanto lo riguardava, non che lui avesse delle esigenze particolari o dei gusti troppo sofisticati, anzi gli sarebbe andata bene qualsiasi cosa, ma pareva la sua fidanzata non fosse dello stesso parere. Quindi, visto che una cosa valeva l’altra a suo giudizio, per farla contenta lasciò che scegliesse per lui quello che più le garbava. Anche se ne nacque una mezza lite riguardo alle magliette senza maniche.

“E’ da tamarri.” Sentenziò infatti inflessibile alla vista di quest’ultime che lui aveva scelte.

“E non esagerare, sono carine. E poi mi piacciono, oltre al fatto che con questo braccio sono più facili da mettere.” Tentò di ragionare, ma visto che quella continuava a guardarle con astio, accese le micce all’artiglieria. “Vogliamo parlare di quella maglia di nylon aderente che mi fa sembrare un fru-fru che mi hai costretto comprare?” Domandò provocatorio mentre il commesso stava tra loro come l’arbitro di una partita di tennis.

“Quella è alla moda, stesso non si può dire di queste. Se poi vuoi sembrare uno scaricatore di porto, fatti tuoi.” Buttò lì come se non gliene fregasse nulla. Ma naturalmente era ben lontana dal mollare l’osso.

“Ma signorina, questa è la collezione primavera – estate di quest’anno!” Protestò il commesso  offeso.

“Visto? Le prendo!” Affermò Matthew perentorio approfittandone. Che poi non gli fregasse nulla della moda corrente era un particolare secondario.

“Prima hai fatto un’ora di storie perché volevi le t-shirt a maniche lunghe, affermando che ti vergognavi delle cicatrici e ora che fai, ti rimangi tutto?” L’accusò quand’ormai l’attenzione di tutti i clienti era concentrata sul loro battibecco.

“Uffa!” Sbottò spazientito davanti a tanta insistenza. Dopodiché cercò di pensare ad un modo per ammorbidirla o, per meglio dire, distrarla. “Facciamo così, tu ci passi sopra e io comprerò quel costume che tanto t’ha mandato in solluchero, okay?“

“Bel tentativo cocco, almeno puoi dire di averci provato!” Replicò ghignando. “Ma non basta, sai? Devi anche promettere che verrai in spiaggia. Troppo facile prenderlo e poi rifiutarti con scuse patetiche come quella di prima. Perché se ti vergognassi sul serio eviteresti di metterti quelle, ma visto che insisti tanto, a mare ci vieni. Che dici?”

“D’accordo.” Assentì stremato dalle invettive logoranti della ragazza. Accidenti che testa dura, pensò un po’ spaventato, però gli sovvenne pure che da quando passava tutte le sue giornate con lui,  probabilmente di mare ne aveva visto ben poco. Era giusto che a causa sua fino a quel momento avesse dovuto rinunciarci? Era estate, faceva caldo e certamente l’ospedale non era il luogo più piacevole dove passare il proprio tempo. Per cui, a fronte di questa considerazione, amabilmente inghiottì il rospo. Tanto che quando passarono dal reparto calzature, prodotti per il corpo e biancheria, la lasciò fare senza dire altro e si ritrovò con una serie d’indumenti ed orpelli che da solo non si sarebbe mai sognato di comprare.

Dopo un paio d’ore di quest’andazzo serrato propose una pausa, perché la battitura a tappeto cui avevano dato la stura lo aveva caricato talmente di pacchi e pacchetti da sembrare un facchino. Quindi la portò al bar, la fece sedere, si assicurò che avesse ciò che più desiderava e lasciandole il malloppo, si diresse a passo deciso verso il pannello che recitava Intimo Maschile.

Una volta sola Sheila sorseggiò lentamente il suo caffè assaporandone l’aroma con palato da intenditrice. Pure la sua degustazione s’interruppe quando notò una busta che sporgeva dai sacchetti e che nulla pareva avesse a che fare con le loro spese. Si protese incuriosita a prenderla. Ricordava di averla vista in mano a Matthew fin dal mattino e meditabonda la esaminò, facendo tintinnare quello che c’era all’interno. La tentazione era forte e si rendeva conto che quello che stava per fare era un’ennesima violazione alla privacy, ma proprio non poteva trattenersi, anche perché il contenuto di quel pacchetto poteva dirle molto sullo stato di Matthew prima dell’amnesia. Poteva? Doveva?

“Accidenti!” Pensò e velocemente l’aprì, vuotandone il contenuto sul piano del tavolino, prima che potesse pentirsene. Con attenzione valutò l’insieme e per prima cosa scartabellò un ordine di servizio che giaceva ripiegato in cima al mucchio. Doveva essere l’ultimo ad essergli stato consegnato dal comando generale e cercò di memorizzarlo rapidamente, ripromettendosi di tornarci sopra appena possibile. Infine tra le monetine e altre cianfrusaglie da tasca rilevò una collana col pendente, oggetto questo che mai si sarebbe aspettata di trovare, giacché altro non era che uno degli ultimi regali che gli aveva fatto in occasione del suo compleanno. Sicura di non sbagliarsi controllò la data che vi aveva fatto incidere e tenendola in pugno ripensò a quei giorni.  

Dopo poche settimane da quel giorno la sua copertura era miseramente saltata e si erano separati definitivamente. Lei in partenza per gli Stati Uniti e lui chissà dove, perciò era facile supporre che quell’oggetto non dovesse evocargli momenti piacevoli. Eppure pareva che Matthew l’avesse addosso al momento del ricovero. Cosa voleva significare? Lo portava sempre con sé perché non riusciva a separarsene?

Sospirò inquieta, tentando di non cullarsi in fantasie illusorie, sarebbe stato troppo bello infatti se fosse stato così. Tuttavia voleva crederci, perché se così era,  allora c’era ancora una possibilità e poteva sperare che non tutto fosse perduto. Ciononostante badò a continuare a ripetersi che non era il caso di darci troppo peso, giacché poteva essere una semplice coincidenza o addirittura che Matthew, pazzo di rabbia verso lei, usasse quella collana per farci dei riti voodoo.

Lasciamo perdere per il momento, s’ingiunse e la mise da parte per passare ad esaminare il portadocumenti, dal quale fuoriusciva un bordo di carta lucida. Una foto? Trepidante lo prese con due dita e la tirò fuori.

Non posso crederci, pensò allibita. Era una sua istantanea quella e si ricordava persino il giorno e il luogo di quand’era stata scattata. E se in quel momento avesse dato peso ad uno qualsiasi dei motivi che le passavano per la testa atti a spiegare la presenza di quella fotografia tra gli oggetti che Matthew teneva sempre in tasca, come minimo avrebbe fatto una piroetta e si sarebbe messa a ballare. Invece cercò di restare con i piedi per terra, avendo cura di mantenersi tranquilla, onde non cullare troppe illusioni tutte insieme. Ciononostante, quando quest’ultimo fu di ritorno con una busta piena all’inverosimile di boxer e le si sedette di fronte, non poté reprimere il sorriso radioso che gl’indirizzò.

“Che c’è, ne ho presi troppi ?” Domandò inconsapevole, supponendo che fosse quello il motivo per cui rideva. Sheila scosse la testa e senza rispondergli gli prese affettuosamente la mano tenendola tra le sue. Meravigliato non seppe che fare e si limitò a lasciarla inerte tra le sue, come se fosse un pesce morto.

Che le piglia adesso? Si chiese circospetto. I repentini cambi d’umore di lei erano talmente imprevedibili, da prenderlo continuamente di contropiede. Doveva fare qualcosa? Certamente starsene fermo e immobile come un baccalà non era il massimo, per cui tentò di darsi un tono comunicandole quanto aveva pensato mentre era immerso nella scelta delle mutande .

“Senti un po’, ti spiacerebbe portarmi al mio appartamento?” Chiese con fare casuale.

“Certo, ma a fare che?” Replicò senza mollargli la mano e aggravando viepiù la sua perplessità.

“Innanzitutto perché non so dov’è e credo che dovrei saperlo. E in secondo luogo perché voglio controllare se c’è qualcosa che possa essermi utile.” Buttò lì distrattamente e poi aggiunse: “Però poi filiamo subito a casa e non ti fai vedere almeno per un paio d’ore.”

A questa uscita la ragazza rimase sconcertata, gli mollò immediatamente la mano e iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Ma prima che potesse replicare sferzandolo con la sua indignazione, Matthew le fece l’occhietto e chiarì: “Ho intenzione d’invitarti a cena stasera, quindi suppongo dovresti prepararti. E non so perché, ma m’immagino che come minimo ti ci vorrà mezza giornata.”  Aggiunse prima di beccarsi una scherzosa botta sulla testa. 

E ancora stava ridendo quando arrivarono nella strada dove Sheila abitava, anche se,  alla vista dell’opulento grattacielo e della magione che le sorelle chiamavano riduttivamente appartamento, la giocondità cominciò a venirgli un tantino meno. Vero è che non ostentavano il loro status sociale o i fondi illimitati di cui probabilmente disponevano, però, si disse guardandosi attorno a bocca aperta, quel posto immenso trasudava soldi a palate. Inoltre, per quanto ne sapeva lui, fino a poco tempo prima erano state proprietarie d’un bar. Ora, si disse, considerato pure che gli affari potevano essergli andati bene, anzi meravigliosamente bene, ma quanti accidenti di soldi ci si poteva fare con un semplice caffè?

Domanda la sua ch’era destinata a restare senza risposta, anche perché, quando stava lì, lì per chiederglielo, Sheila lo portò in un’altra ala di quell’immensa casa e lo introdusse a quelle che sarebbero state le sue stanze.

“Eccoci, questa sarà la tua camera.” Gli annunciò appunto mostrandogli un ampio locale, che più che una stanza pareva un loft, arredato con gusto e con le finestre che si affacciavano su di un panorama da paura. Matthew sgranò gli occhi ancora una volta e rimase come un fesso per lo stupore. Porca puttana, pensò, già dabbasso quando si erano fermati davanti all’edificio era rimasto secco, quando poi era entrato nell’appartamento di nuovo si era meravigliato e infine, davanti a tutto questo spazio destinato a lui solo, stava avendo il colpo di grazia. Anche perché Kelly e Tati non solo avevano fatto festa al suo arrivo, ma avevano anche provveduto a piazzare proprio sopra alla parete adiacente al letto un’enorme ghirlanda su cui capeggiava la scherzosa scritta  Benvenuto Cognatino. 

Senza parole esitò restando in scia alle tre, era troppo, sentiva assolutamente fuori luogo. Cazzo, pensò sentendosi uno spiantato, prima era entrato giusto cinque minuti nella sua abitazione ed era, nel complesso, pressappoco la metà della stanza in cui l’avrebbero ospitato!

“Che ne dici?” Gli chiese Sheila notando il suo evidente smarrimento.

“Che se mi lamentassi, dovresti buttarmi fuori di qui.” Esclamò preda dell’imbarazzo. “E c’è di più”,  aggiunse nel tentativo di fare dello spirito per superare l’impasse, “qualora avessi voglia di giocare a baseball, lo posso fare tranquillamente qua dentro.”

“Sentimi bene spiritosone”, s’intromise Tati portandolo accanto alle vetrate, “le finestre di fronte sono quelle della mia stanza e se ti becco a fare il guardone ti spezzo le braccine!”  

A quella minaccia la guardò con spassionato disinteresse. “A prescindere che uno già ce l’ho rotto”, rispose valutandola di sotto in su, memore dell’episodio dell’aerobica durante la prima e disastrosa convivenza fatta, “ti posso assicurare che non ci penso proprio.” 

“Ottimo, anche perché la stanza di Sheila è quella appresso, quindi adesso sai dove guardare!”  Gli suggerì ridacchiando e beccandosi un’occhiataccia dalla sorella, mentre per tutta risposta Matthew trasaliva.  

“Piantatela voi due.” Impermalita Sheila, ignorando ostentatamente la sorella, continuò: “Io vado a prepararmi Matthew. Quella è la porta del tuo bagno, usalo pure a tuo piacimento, così eviteremo confusione negli altri.” Chiarì prendendo la porta, non prima però di aver addolcito i toni per lanciargli un ultimo monito: “Nel frattempo mettiti comodo, sistema pure la tua roba se vuoi e fatti trovare pronto per le otto, che hai da onorare una promessa.”

“Okay.” Fu tutto quello che riuscì a dire prima che il terzetto si fu allontanato.

Una volta solo gironzolò un po’ intorno e si fermò a guardare la veduta, anche se quando si accorse che stava errando nella direzione delle camere della ragazza, risolutamente fece dietrofront e cominciò ad impilare i suoi vestiti nell’armadio. Non ci volle molto, ma siccome faceva caldo, si ritrovò talmente sudato che, ringraziando il cielo per il fatto di avere una toilette tutta per lui,  immediatamente andò a buttarsi nella vasca. Così, mentre si pasceva tra le bolle, rifletté sul fatto che quella era la prima vera abluzione che si era goduto da quando si era risvegliato dal coma. Quindi, facendo estrema attenzione a non bagnare il braccio ancora  ricoperto di gesso, si rilassò e si godette quella sensazione dimenticata. Dopo quel prolungato lavacro indugiò davanti allo specchio ad osservarsi e spassionatamente prese a giudicarsi. Tutto sommato, stimò, nell’insieme non era poi tanto male. Forse un po’ magrolino, ma evidentemente era stato un tipo che si teneva in forma, giacché era abbastanza muscoloso e aveva l’addome piatto. Forse non era un adone, si disse, ma neanche tanto da buttare via. Poi però guardò le numerose cicatrici che lo decoravano dal ventre in giù e la gamba che fino al giorno prima era stata ingessata e sospirò sconsolato. Appariva molto più piccola di quella sana e gli sfregi sulle braccia, se paragonati agli altri, erano graffi a confronto. Certo era stato fortunato, ma quei segnacci  violacei erano uno spettacolo inguardabile.  

Pieno di risentimento si coprì con l’accappatoio e sbuffando di malumore tornò verso l’armadio per tirarne fuori qualcosa da mettersi. E solo in quel momento si accorse che probabilmente il commesso giù al negozio doveva essersi confuso con le scatole poiché gli aveva  appioppato un bel paio di boxer rosa shocking.

Cerchiamo di cogliere il lato umoristico della situazione, pensò e tra tanti mise proprio quelli. Già che c’era poi optò anche per la maglietta senza maniche che Sheila aveva tanto vituperato. Non che lo facesse apposta per indispettirla, ma gli era molto più facile da infilare, oltre al fatto che con quel caldo meno si copriva e meglio era. Per concludere prese un paio di scarpe da ginnastica e le andò a mettere nell’apposito vano davanti alla porta d’entrata. Dopodiché, intuendo che per la toletta della sua ragazza avrebbe richiesto ancora tempo, andò nel tinello e si mise a chiacchierare con Kelly, che pareva quasi lo stesse aspettando.

“Allora, stasera c’è il primo appuntamento ufficiale?” Lo stuzzicò appena si sedette.

“Così pare. Spero solo di non combinare qualche grosso casino anche stavolta.” Rispose pensoso provocando un sorriso affettuoso nella sua interlocutrice.

“Se cominci buttandoti giù in questo modo, è probabile.” Lo rassicurò prontamente. “Ricordati del discorso che ci siamo fatti l’altra volta in ospedale e vedrai che andrà tutto bene.”

“Vedrò di fare il bravo...” Promise, ma proprio in quel momento entrò Sheila e non riuscì ad aggiungere altro. Effettivamente stava una meraviglia, era la prima volta che la vedeva versione gran sera e gli stavano letteralmente schizzando gli occhi fuori dalle orbite. Con aria rassegnata si voltò verso Kelly per lanciarle un’occhiata eloquente, come a dire che sarebbe stato quanto mai difficile starsene calmo vicino a quel tocco di figliola, e quest’ultima, innanzi a quello sguardo che valeva più di mille parole, non riuscì a reprimere la ridarella. Quanto a Sheila per l’ennesima volta si stava chiedendo quali altarini nascondessero quei due.  

“Allora si va?” Lo esortò notando l’odiata t-shirt, ma evitando di menzionarla, onde  scansare l’ennesima discussione. Con un cenno del capo Matthew la precedette sulla porta, intanto che le due sorelle si scambiavano uno sguardo carico di sottintesi. Ed erano già sul pianerottolo quando Sheila tornò sui suoi passi per chiedere a Kelly sottovoce: “E’ il mio turno per le occhiate significative?”

“Volevo solo essere sicura che sarai indulgente.” Fu la replica e Sheila non rispose, un po’ seccata dal sempiterno istinto di protezione che sua sorella aveva verso Matthew. Sta  diventando esagerato, oltre che ridicolo, pensò testarda.

“E’ successo qualcosa?” Chiese questi quando davanti alla macchina gli sembrò d’accorgersi che la ragazza praticamente ancora non aveva aperto bocca.

“No, figurati. Allora, c’è qualche posto dove ti piacerebbe andare?” Deviò prontamente, poiché non era affatto il caso di rovinarsi l’umore.

“Mah, a me va bene qualsiasi cosa, a prescindere che non saprei neppure scegliere. E poi questa è la tua serata, quindi ti lascio volentieri il potere.” Affermò incerto sul da farsi, ripromettendosi di leggersi quanto prima un manuale di galateo.  

“Perfetto, ma attento a te, potrei abituarmici!” Lo prese in giro mentre metteva in moto.

Il posto che scelse era un po’ fuori mano così, mentre attraversavano la città, il tragitto fu costellato dalle esclamazioni di stupore di Matthew, il quale proprio non riusciva a capacitarsi di quanto stava vedendo. Tutto gli sembrava straordinario e osservava la gente, gli edifici, le insegne e il traffico con un interesse genuino e incredulo. Praticamente Sheila non riuscì a spiccicare una sola parola, limitandosi a girarsi sorridente dalla sua parte quando questi reclamava la sua attenzione davanti all’ennesimo particolare che lo colpiva. Infine arrivarono a destinazione e il posto si rivelò essere un ristorante all’aperto, di menù rigorosamente occidentale, dal quale si godeva un discreto panorama del lago artificiale e del parco che lo circondava. E sebbene fosse un locale abbastanza alla moda, riuscirono comunque ad avere un tavolo accanto alla balaustra.

Al momento di accomodarsi Matthew inanellò la prima figuraccia della serata. In pratica si sedette lasciandola in piedi accanto alla sedia mentre aspettava che gliela scostasse. Anzi la squadrò pure interrogativo vedendo che si attardava.

“Allora?” Fece con un sorriso che a Sheila parve da beota.

“Niente.” Ribatté senza fare una piega, sedendosi e abbuonandogli quella gaffe come un peccato veniale. In fondo, si disse tentando di essere ragionevole, in ospedale non è che gli avessero insegnato le buone maniere, quindi non poteva fargliene una colpa, né pretendere che la trattasse come una regina.

Lodevole proposito, peccato che sotto, sotto era esattamente così che voleva facesse. In ogni caso, come poteva pensare di covare del risentimento nei suoi confronti, quando si rese conto che col menù in mano brancolava nel buio assoluto? Aveva lo stesso sguardo disorientato e implorante di Bambi, tanto che si vide costretta a soccorrerlo.  

“Faccio io.“ Gli comunicò per toglierlo dalle ambasce quando il cameriere si avvicinò per la comanda e Matthew tirò un sospiro di sollievo, anche se cominciava a sentirsi un completo idiota.

Forse, pensò perplesso, prima di azzardarsi ad invitarla fuori avrebbe dovuto informasi un po’ di più  su certe situazioni. Però ormai erano lì e non gli restava che far buon viso a cattivo gioco con quanta più grazia possibile. Riteneva però di aver bisogno di un aiuto tangibile, per cui, memore di tutta la tv guardata durante il ricovero, si ordinò una pinta di birra.

“Questa poi, non credi ti farà male?” Chiese Sheila contrariata, ché quella roba poteva seriamente compromettere l’andamento della serata così come lei aveva sperato che andasse.

“Dici?” Domandò tanto per chiedere, ma senza nessuna intenzione di mollare il boccalone. “Ma a dar retta a quanto mi dicono, pare che fossi un grande estimatore di questo prodotto e sono curioso di assaggiarlo. Inoltre ho letto che una quantità minima di alcool in corpo rilassi e ti confesso che ne sento proprio il bisogno.” Ammise senza riuscire a celare un certo disagio. In effetti si sentiva fuori luogo, imbarazzato, ma soprattutto infastidito da tutti quelli che in quel momento stavano occhieggiando la sua accompagnatrice. Inoltre si stava chiedendo anche perché l’avesse portato in un ristornate occidentale. Porca vacca,  imprecò tra sé e sé, se lo doveva immaginare che si sarebbe trovato in difficoltà con le posate, no?

“Adori gli spaghetti ”, gli comunicò con tempismo, neanche gli avesse letto nel pensiero, “e poi ho pensato che con una mano sola sarebbe stato molto più semplice usare la forchetta che non le bacchette.”

A quest’uscita Matthew si rattrappì sulla sedia sentendosi un vero disgraziato per quello che aveva appena pensato. Accidenti, ne avrebbe mai fatta una giusta? E menomale che non aveva dato voce a quella rimostranza, pensò illividendosi, sennò come minimo quella dolce fanciulla gli avrebbe tirato un piatto da portata sul muso e anche a giusta ragione.  Riflessione questa che lo innervosì ancora di più, perciò, ritenendo che all’aperto non avrebbe potuto darle fastidio, si accese una sigaretta tentando di darsi una calmata. Certo più la guardava e più si convinceva che in assoluto stava mandando in bambola il suo già labile sistema cognitivo. Per cui tentò d’ignorare la scollatura che esibiva e che aumentava in modo esponenziale la calura estiva, almeno a giudicare dai bollori che gli stava causando, e riprese a parlare badando bene a piantarle gli occhi in faccia e non altrove.

“Sei stata  molto gentile, non ci avrei mai pensato.” Buttò lì sperando che fosse quanto voleva sentire. “Però riflettendoci sono stato un bell’egoista fino a questo momento.” Affermò tutto ad un tratto sorprendendola. “Non ho fatto altro che romperti le scatole con le mie domande su tutto e non ti ho mai chiesto nulla su di te che non mi riguardasse strettamente.”

“Ehi non c’è mica bisogno che ti scusi.” Rispose impacciata da quella singolare arrendevolezza. D’accordo era andata così, ma per la verità non c’aveva neppure fatto caso finché non gliel’aveva fatto notare.

“Invece sì.” Affermò convinto. “Allora, che ne dici di cominciare dall’inizio?” L’invitò appoggiandosi allo schienale con manifesta aria d’aspettativa.

“Mi prendi alla sprovvista.” Fece Sheila per guadagnare tempo, giacché non sapeva effettivamente da dove cominciare. Cosa e quanto doveva omettere?  

“Che ne dici di una biografia completa di data di nascita, gruppo sanguigno, preferenze,  gusti e soprattutto cose non gradite?” Propose cordiale, intanto che pensava che in tal modo avrebbe potuto farsi una cultura atta a scansare futuri comportamenti molesti e di risparmiarsi le sue furibonde reazioni.  

“D’accordo.” Assentì con la stessa cautela di chi s’appresta a camminare sulle uova, quantunque in fondo ne fosse compiaciuta. Del resto quell’interesse palese era gradevole ed essere l’oggetto di tutta la sua attenzione era una condizione che raramente aveva potuto assaporare. “Dunque”, esordì concedendogli il suo sorriso più affascinante, “il mio compleanno è il nove settembre, ma che ti dica l’anno te lo puoi scordare. Non si chiede mica l’età ad una signora!” Motteggiò cominciando a prenderci gusto.

“E ci mancherebbe.” L’interruppe prima di levare il bicchiere a mo’ di brindisi e prendere un’altra abbondante sorsata. “Però, visto che andavamo a scuola insieme, si suppone che siamo coetanei. A meno che non mi sia fatto bocciare.” Ne concluse facendo il brillante.   Mm, pensò nel frattempo, chissà se il suo segno zodiacale è della vergine! Ridacchiò e rifletté che forse era meglio non chiederglielo.  

“Questo non te lo dirò mai”, stava dicendogli intanto la sua bella, “altrimenti faresti due più due. Ti tocca restare col dubbio mio caro. Vediamo, adoro il mare, me la cavo con molti sport, tra cui l’equitazione, lo sci e il windsurf. Mi piace la musica, adoro la moda e di conseguenza mi diverte molto girare per negozi.”

“Ma non mi dire...” La sfotté con sussiego facendola scoppiare a ridere. “E che mi dici dell’opposto? Cos’è che non ti piace?” Domandò pensando che in quel campo poteva vantare svariate eccellenze .

“La presunzione soprattutto, nel senso che proprio non sopporto quando qualcuno si sente eccessivamente sicuro di sé.” Affermò dopo averci riflettuto un attimo.

 “E su questo  sto a posto!”  Esclamò mostrandole con le dita la V di vittoria . Era una sua impressione o cominciava ad essere un po’ brillo? Probabilmente no, però pareva essersene accorta anche lei, giacché la sua risposta risuonò un tantino seccata.

“Forse su questo particolare no di certo. Ma sembri abbastanza convinto di poter reggere tutto quest’alcool in una volta sola e questo non è che mi faccia fare salti di gioia.” Dichiarò quando con un cenno chiamò il cameriere e si fece portare un’altra pinta.  

“Ne terrò conto per il futuro.” Rispose sentendosi improvvisamente molto più disinvolto, quindi levò nuovamente il calice in suo onore. “Vai avanti, sento che  siamo in un terreno fertile, nelle avversioni ti vedo più spigliata!” Aggiunse provocandola, ma inconsapevole di star giocando con una tigre in gabbia.

“Direi Matthew, inoltre nessuno dovrebbe saperlo meglio di te.” Ribatté infatti punta sul vivo. “Ma sai qual’è il comportamento che  più mi fa arrabbiare?” Gli chiese guardandolo con un cipiglio truce. “E’ la propensione di certuni a fare gl’idioti, ma pure i casanova da strapazzo. E in entrambi tu sei sempre stato un maestro!” Affermò provocandolo di rimando mentre lui, non si sa se per dileggiarla o perché davvero non aveva afferrato la sua frecciata, si voltava da una parte e poi dall’altra, chiedendole infine se ce l’avesse con lui.

Ah non hai capito? Pensò la ragazza impermalita. E allora vediamo se capisci adesso!

“Di conseguenza”, continuò con un sorrisetto che contemporaneamente grondava miele e mostrava le zanne, “detesto quel povero scemo che pensa di potermi prendere in giro. Anche perché ti avverto, è difficile riuscirci.”

“Mi rendo conto.” Matthew annuì compunto come se avesse capito, quand’invece l’unica cosa chiara era che quello era terreno pericoloso. Per sua fortuna arrivò il cameriere con i piatti a toglierlo da quel ginepraio.

Fissò interrogativo la ragazza, ma visto che pareva non dargli retta, si arrangiò da solo, arrotolando spaghetti così come gli veniva e risucchiandoli rumorosamente. Quindi, con la bocca completamente sporca di sugo, incauto tornò sull’argomento precedente.

“Però ad essere sincero, al di là di qualche particolare frammentario e di una velata minaccia, non mi hai detto molto.” Obiettò critico e poi, guardandosi intorno, si chiese come mai i rumori gli arrivassero così attutiti.  

“Questo è tutto ciò che ti occorre sapere.” Replicò criptica. Del resto mica poteva dirgli che di particolari su di sé ne aveva a bizzeffe e di rilevanza assai maggiore rispetto a quanto gli aveva detto fino a quel momento?

“Uh, allora non mi resta che farti delle domande.” Concluse fermamente deciso a sapere quanto si era prefisso, nonostante la ciucca colossale che gli stava salendo e l’impressione che lei non ne fosse tanto più contenta. Inoltre ebbe la pessima idea di fare un esempio poco opportuno. “Allora, vediamo, metti che abbiamo un appuntamento, proprio come stasera. E diciamo che arrivo in ritardo o che mi vesta in modo poco consono, come la prendi?”

“Dipende dai motivi che ti farebbero incappare in questi spropositi.” Rispose prendendo tempo, in quando il dubbio di stare esagerando un pochino l’aveva colta, per cui pensò che un po’ di diplomazia avrebbe giovato.

“Ehi, guarda che se te lo chiedo è perché vorrei capire, quindi cerca di essere onesta.” La rintuzzò scolandosi il fondo del boccale e chiamandone ad ampi gesti un altro.

“E va bene”, proruppe Sheila ormai stufa della sua strafottenza, “un ritardo già mi farebbe incavolare di brutto, ma un cafone mal abbigliato sarebbe assolutamente inammissibile!” Confermò con arroganza e il mento levato in su.

“Ah e in caso contrario come funziona?” Con aria di sfida si protese in avanti a fissarla. Era lui o era l’alcool a parlare? Non si sa, ma quel suo atteggiamento altezzoso cominciava sul serio a dargli sui nervi.

“A parte che, per quanto mi riguarda, sarebbe alquanto difficile cogliermi in atteggiamenti inopportuni, sappi che comunque ad una donna è concesso un minimo ritardo. Oppure sei così zotico da ignorare che ad una signora è concesso tutto?” Lo provocò di proposito. Com’è che tutto ad un tratto gli sembrava così ostile? E soprattutto perché lei stava reagendo come un toro davanti al drappo rosso? Non avrebbe saputo spiegarselo. Quanto a Matthew non rispose subito, provvide prima a dare fondo al bicchiere e poi annuì come se avesse avuto la conferma che aspettava.

“Sarà” le dondolò l’indice davanti al naso e continuò, “non che non ti creda attenzione, però ho i miei dubbi.” Affermò tentando di concentrarsi su quando andava dicendo, ché tutto ad un tratto si sentiva leggermente sconnesso. Scrollò il capo e continuò. “ Insomma  pare che tu ne esca sempre come Miss Puntini Perfetti e che, se anche fai una cazzata, hai una scusa plausibile. E io? Come la mettiamo? Sto qua che me la faccio addosso ogni due minuti per timore di contrariarti e adesso mi dici pure che già in partenza sto pieno di sbagli!”

“Matthew”, rispose la ragazza con una calma che era lontanissima dal provare, “hai tutti i sintomi di una sbronza con i fiocchi e stai straparlando.” Lo ammonì infastidita, soprattutto perché quelle parole avevano erano andate tutte minuziosamente a segno. Davvero pensava quello di lei? E inviperita decise di mettere fine a quella serata disastrosa. “Penso proprio che sia giunto il momento di tacere. Anzi sai che ti dico? Voglio tornare a casa.”

“Se insisti.” Si limitò a dire alzandosi, ma, rendendosi immediatamente conto che le gambe gli facevano giacomo, giacomo, rapidamente si aggrappò alla sedia con la mano sana. Mamma che botta! Pensò mentre il mondo gli appariva alla rovescia e il discorso che andava avanti già da un bel po’ solo nella sua testa si rendeva palese alla sua accompagnatrice.

“Sheila se mi devi picchiare, fallo domani.” Propose lamentoso, ma indubbiamente approdato ormai alla fase allegra dell’ubriacatura, tanto che quando lei si voltò a fissarlo disgustata continuò: “ Da femmina rompipalle hai tutti i motivi per non essere soddisfatta di me e se intendi suonarmele hai tutta la mia comprensione... però, facciamo un altro giorno? Sii buona, ora non mi reggo neppure in piedi!”

“Andiamo imbecille!” Gli sibilò trascinandolo via, prima che potesse metterla ancora di più in imbarazzo.

“Andiamo!” Assentì incespicando nei passi e franandole quasi addosso. “Arrivederci a tutti!” Urlò allegro sbracciandosi in saluti, mentre gli astanti lo guardavano allibiti. Il suggello finale poi lo mise chiamando bella gioia la cassiera e tentando di baciarla.

A questo punto Sheila, al colmo della vergogna, ma principalmente della rabbia, si vide costretta a prenderlo per i capelli e a trascinarlo velocemente verso la macchina, mentre lui strepitava che gli stava facendo male. Una volta in strada poi lo show di Matthew non si esaurì affatto. Prima la omaggiò con una serie di canti da osteria uno più sconcio dell’altro, accompagnati da battimani, schiocchi di dita e ululati mannari, per poi concludere con quello che credeva essere un comportamento cerimonioso. In fondo non era un cicisbeo quello che lei voleva?

“Ah Sheila”, esclamò teatrale portandosi la mano alla fronte, incurante del cipiglio di lei che si faceva sempre più cupo, “quando ti ho vista stasera ho pensato che ci fosse il sole dietro di te.”  

“Ma davvero?” Chiese quest’ultima meditando di scaricarlo al primo stop e di lasciarcelo per non tornare a riprenderlo mai più.

“E certo! Metti tutto quel ben di dio a vista e pretendi che uno non si asciughi? Sei meglio di una sauna tesoro!” E qui scoppiò in una risata fragorosa, ma immediatamente dopo si zittì e serissimo si girò sul sedile per guardarla. “Ma non ti chiederò di darmi un bacio, normale o con tanta lingua, no! Nada de nada!” Enfatico si portò la mano al petto e con grande dignità confessò: “Giurin, giuretta,  ho promesso a Kelly che facevo il bravo.”

“Come vorrei che quell’altra ficcanaso t’avesse fatto promettere anche di chiudere il becco!” Ringhiò con ferocia meditando di sopprimerli entrambi. Grazie al cielo erano quasi sotto casa, non restava altro che imboccare la rampa che portava ai garage sotterranei e quello strazio sarebbe finito. O almeno così credeva. 

“Ma figurati se abbiamo parlato di cose così inutili.” Le stava dicendo per l’appunto Matthew facendo un gesto di noncuranza . “No, no, mi ha detto semplicemente che me ne sarei accorto da solo di essere innamorato di te... e accidenti se aveva ragione!” Ululò intanto che la sua voce si moltiplicava in tanti beffardi echi grazie all’acustica del sotterraneo. “Sono proprio fuso per te Sheila! Cotto e stracotto come una porchetta!” Vociò completando il capolavoro.

“Chiudi quella bocca maledetto imbecille!” Urlò anch’essa, ormai trasformata definitivamente in un’erinni vendicatrice. Quanto era successo era esattamente il contrario di ciò che desiderava. Ad occhi aperti aveva spesso sognato il momento topico in cui le avrebbe detto che l’amava e cosa aveva avuto invece? Una dichiarazione da avvinazzato? E se fino a quel momento era riuscita a mantenere i nervi saldi, tentando di giustificarlo in tutti i modi, ora esplose in tutta la virulenza della sua furia.  

“Zì padrona!” Buttò ulteriore benzina sul fuoco lui, facendole il saluto militare e qui, finalmente, Sheila non riuscì a trattenersi oltre e prese a tempestarlo con una copiosa gragnola di mazzate. I colpi arrivavano da ogni dove e, anche se non erano forti, comunque facevano male. Ma non fu questo a smuoverlo a chiedere pietà, giacché ad un certo punto, bloccandole i polsi e facendola morire di paura,  sbarrò gli occhi a guardarla come un folle. Poi, deglutendo affannosamente e sbiancando, con un filo di voce annunciò: “Amore, credo  di dover vomitare!”

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A.

 

Sì lo so, un anno per aggiornare è tanto, assolutamente troppo. Perciò chiedo venia a tutti quelli che l’aspettavano, se ancora ci sono naturalmente. Non accampo scuse, semplicemente ammetto che nei mesi trascorsi non ho avuto testa, né voglia, di mettermi a scrivere e francamente in questi frangenti preferisco soprassedere, attendendo tempi migliori. Spero solo di riuscire a farmi perdonare con questo copioso capitolo e con la promessa solenne che il prossimo arriverà in tempi decisamente più brevi. J

 

 

 

   
 
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