Così
fu che, tutta trepidante e piena di buoni propositi, tra cui
principalmente
quello di fumare il calumet della pace, l’indomani Sheila di
buon’ora e
acchitata di tutto punto si recò in ospedale.
Per
la verità ci aveva messo più del suo solito per
prepararsi e, considerato che
il suo solito già normalmente consisteva in un tempo
considerevole, diciamo
pure che ci aveva impiegato quasi tutta la mattina. Poco male, tanto
prima
delle 11 ogni accesso era proibito.
Ad
ogni buon conto, visto che aveva letto da qualche parte che il senso
più primitivo
e più facile alla ricezione degli stimoli esterni
è l’olfatto, per meglio
predisporre il suo uomo ad una tregua e a non fare il difficile, si era
cosparsa a due mani di profumo francese. Inutile aggiungere che ogni
boccetta ne
conteneva un quantitativo minimo, perciò ne aveva usate
parecchie e che a conti
fatti olezzava come il boudoir di una cortigiana.
Cosa
questa che veniva viepiù confermata
dall’abbigliamento scelto per l’occasione,
poiché,
al momento di aprire l’armadio s’era chiesta: quale
stagione consentiva di
essere audaci come l’estate? Indi aveva messo la gonna
più mini che aveva,
quella ai limiti estremi della decenza, e una tunica che pareva
abbastanza
casta, sebbene le avesse uno spacco vertiginoso che le scopriva tutta
la
schiena.
Insomma,
per farla breve, aveva buttato alle ortiche parte del suo atteggiamento
pudico
e si era a bella posta predisposta a stordire e disorientare Matthew.
Di
conseguenza la delusione fu ancora più cocente quando al suo
arrivo trionfale ad
attenderla non trovò altri che la stanza vuota e un ordine
tale in giro, a
partire dal letto fatto, su, su fino ai vari manga, libri e vestiti,
che
normalmente l’ingolfavano, sistematicamente impilati, che
subito si sentì
pervasa da un moto di genuina apprensione.
Dove
s’era ficcato Matthew? E soprattutto, chi aveva messo mano in
quel caos fino a
rendere il suo antro tutto lindo ed asettico? Due domande queste che
non
promettevano nulla di buono. Ciononostante, pur irrigidendosi e
iniziando ad
inquietarsi, tentò di essere ragionevole, dicendosi che le
opzioni tra cui
scegliere erano due. O restava lì ad aspettare macerandosi
nei suoi
interrogativi irrisolti, oppure si dava da fare per svelare quegli
arcani.
Quindi,
da donna d’azione quale era, non perse tempo a gingillarsi
oltre e, ritornando
su i suoi passi, si diresse spedita in sala infermieri. Ciò
non per chiedere
delucidazioni a chicchessia, quanto per introdursi lesta e non vista
nel
guardaroba ed appropriarsi della prima uniforme a portata di mano. E le
disse
male perché l’atavica fantasia che poteva
incarnare nel travestimento da
infermiera succinta non poté compiersi, in quanto
trovò solo divise da uomo.
Pure, mentre s’infilava gli ampi pantaloni e la casacca,
d’un verde che non esaltavano
affatto la sua carnagione, si consolò dicendosi che tutto
sommato era una
fortuna aver trovato solo quelli. In effetti celavano ad hoc le sue
forme e, tra
mascherina e cuffia
per i capelli,
nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Pertanto le probabilità
di agire
indisturbata sarebbero aumentate.
L’unico
problema semmai erano i sabot che lasciavano intravedere il posteriore
dei suoi
piedi freschi di pedicure. Sebbene, si domandò sbrigativa,
chi mai in un
ospedale avrebbe badato alla tornitura perfetta dei suoi talloni?
Probabilmente
nessuno, si rispose e perciò ostentando sicurezza,
uscì dalla stanza, agguantò
un carrello porta-medicine e lentamente si avviò lungo i
corridoi, gettando
occhiate penetranti tutt’intorno e oltre le porte aperte.
Cercò
in radiologia, ortopedia e finanche al pronto soccorso, ma del suo
fidanzato
non c’era traccia. Quindi, indifferente alle occhiate curiose
di chi osservava
quello strano individuo all’apparenza maschio, ma con gli
occhi truccati e
dall’andatura ancheggiante, peregrinare per i reparti
accompagnato dal cigolio
delle ruote e dai tonfi degli zoccoli sanitari, restava leggermente
interdetto.
Anche perché, nonostante Sheila ne avesse tirati i lacci
fino alle massime
estremità, spesso doveva tirarsi su i calzoni della divisa
che chiaramente le
stavano larghi. Tolto
ciò, era evidente
l’impasse in cui era finita e meditabonda si fermò
a considerare la situazione.
Se
non erano state le ossa rotte o un improvviso malore ad allontanare
Matthew dal
suo giaciglio, cos’altro poteva essere successo? Fece
rapidamente mente locale
e colta da un lampo d’intuizione, capì dove doveva
cercare.
“Ma
certo.” Pensò tornando sui suo passi, dirigendosi
verso gli ascensori e infine
al piano terra, dove, nelle ampie stanze che davano sul giardino e
dalle cui
finestre entrava luce e calore, c’era il reparto di
psicopatologia e il
gabinetto della dottoressa che settimane prima l’aveva
torchiata con le sue
domande.
Non
aveva le chiavi per accedere e difficilmente l’avrebbero
fatta entrare se
avesse bussato, ciononostante introdursi non le fu difficile, in quanto
la
serratura della porta non presentava particolari difficoltà
e per farla saltare
le bastò una semplice forcina. Il problema casomai,
pensò fissando la targhetta
sulla porta che cercava, era capire se effettivamente Matthew era
all’interno e
con quale scusa avrebbe potuto entrare. Chiaramente nello studio dove
avvenivano i colloqui la sua presenza sarebbe stata del tutto
incongrua, né
poteva spacciarsi per un luminare in visita conciata a quel modo. Cosa
inventarsi?
Ancora
una volta si fermò per valutare attentamente le
possibilità. E, mentre si
spremeva le meningi, facendo vagare lo sguardo tutt’intorno,
improvvisamente s’accorse
che ad una distanza irrisoria dall’uscio che stava rimirando
c’era una sospetta
porta dal telaio reso quasi invisibile dall’intonaco. Per
cui, guidata dal suo
istinto ladresco, che raramente falliva, senza pensarci una volta di
troppo, forzò
anche quella ed entrò. Con sua sorpresa si
ritrovò in una specie di cubicolo
stretto e lungo, dove, posizionato faccia a muro, era disposto un
tavolo con
alcune sedie. Inoltre di primo acchito la parete sembrava cieca, ma a
guardarla
meglio ci si accorgeva che così non era, dal momento che si
trattava di uno
specchio oltre il quale si poteva vedere e soprattutto sentire tutto
ciò che
avveniva nell’altra stanza.
“Risalirà
agli anni
In
ogni caso, al di là di ogni considerazione postuma, era un
fatto che c’era
tanta di quella polvere depositata sugli arredi, che era evidente quel
vano
fosse inutilizzato da tempo e che l’ultima delle classi di
praticanti portata ad
osservare le reazioni di un paziente in seduta fosse passata da un bel
pezzo. Comunque
sia quell’anfratto le andava proprio a puntino, non fosse per
il fatto che l’istitutrice
prussiana, che talvolta si affacciava ai margini della sua coscienza,
non era
affatto d’accordo con i suoi intenti. Già, il
dilemma che le si poneva in quel
momento era assai spinoso e a disagio si bloccò, chiedendosi
se fosse corretto origliare
le confidenze di un individuo al proprio terapeuta. Specialmente se
questa
persona era il suo fidanzato.
“Mi
accerto solo che sia lui e poi me ne vado.” Si ripromise con
fermezza, ma poi, in
barba a tutti i suoi virtuosi propositi, quando effettivamente si fu
sincerata
che era proprio Matthew quello che stava facendo il suo ingresso e che
si stava
accomodando sul lettino, non le riuscì proprio di
allontanarsi.
“Metti
che parli di me”, sostenne tentando di venire a patti con
l’etica, “ e anche in
considerazione del nostro ultimo litigio, sarebbe importante sapere
cosa dice.”
Argomento questo che ebbe il potere di tacitare quasi del tutto ogni
scrupolo
di coscienza, benché sotto,
sotto,
mentre lo stava a guardare che si stendeva, rigido e palesemente
impacciato, si
sentisse una vera manipolatrice.
Al
di là del vetro invece tutto sembrava pervaso da una calma
apparente, rotta
solo dai respiri di entrambi e dallo sfogliare del libretto di appunti
che la donna
stava consultando. Il che portò Sheila a chiedersi
imbarazzata se di solito fosse
quella la prassi. Anche perché, pensò un
po’ scocciata e sempre più
recalcitrante verso i suoi montanti sensi di colpa, visto che stava
palesemente
trasgredendo la privacy del suo compagno e che la qual cosa infastidiva
alquanto
il suo amor proprio, volevano decidersi a venire al punto quei due?
Un
pensiero questo che parve passare da una stanza all’altra
fino a scuotere la dottoressa,
la quale improvvisamente aprì le danze, ponendogli un
interrogativo. Parlava a
voce talmente bassa che Sheila si protese verso lo specchio per meglio
carpire
le voci, ma anche gli atteggiamenti e le espressioni.
“A
cosa sta pensando?” Aveva chiesto il medico a Matthew per
sollecitare il suo
recalcitrante paziente a parlare, giacché questi se ne stava
disteso immobile
ad occhi chiusi, apparentemente intenzionato a non aprire bocca.
“Detesto
questa domanda.” Replicò infine visibilmente
contrariato. Come ogni volta, due
giorni a settimana, soleva fare dacché era uscito dal coma.
E davvero la odiava
accidenti. Cazzo, pensò innervosito, ma perché
volevano costringerlo per forza
a parlare? E poi, si chiese impermalendosi via, via sempre di
più, che
accidenti c’era da dire? Chi gliela dava a quella gallina la
certezza che stesse
pensando a chissà quale profondo interrogativo? Porca
puttana, rifletté
sarcastico, magari proprio in quel momento a tutto stava pensando,
fuorché ad
una cosa seria. E allora che sarebbe successo se le avesse detto che
gli stavano
passando per la testa un sacco di stronzate? Come minimo, ne concluse,
mi
metterebbe a pane e valium, ecco cosa.
Una
prospettiva questa che comprensibilmente poco gli sorrideva e
perciò ne dedusse
che gli conveniva starsene zitto, ché in tal caso non solo
si salvava dal
capestro, ma evitava pure delle figure di merda.
Porco
mondo! Continuò ad imprecare tra sé e
sé. Accidenti a lei e al suo insopportabile
lettino di velluto, che ogniqualvolta ci si sedeva, ci scivolava
finché non si
trovava quasi col culo per terra. Ma accidenti soprattutto,
pensò fissando
ostile la parete innanzi a lui, a
quei quadri
di merda che aveva appesi! Di sicuro ce li aveva messi apposta,
perché non si
capiva mai, da qualunque angolazione li si guardasse, che cazzo
rappresentavano!
E poi, soggiunse ritornando al cruccio di partenza, ma come diavolo si
fa a
parlare con qualcuno che non ti guarda manco in faccia? Eh
già, facile mettersi
alle spalle di una persona e scribacchiare chissà cosa
facendo la faccia saputa.
Ma chi glielo diceva a lui che magari manco lo stesse ad ascoltare e
che sul
quel cazzo di taccuino ci scrivesse la lista della spesa?
Perciò,
considerato quanto sopra, ma anche per via delle chiusure ermetiche cui
l’amnesia lo aveva costretto, ne dedusse che era meglio
restarsene muto e
amen.
“Perché
la odia signor Isman?” Chiese la donna, che fin lì
l’aveva lasciato riflettere
in santa pace, ma che adesso ne interrompeva il rosario di contumelie,
richiamando nuovamente la sua attenzione. “Forse
perché la mette innanzi a
domande che vorrebbe eludere?” Aggiunse, tornando a battere
sul tasto di sempre
e facendolo sbuffare come una vaporiera.
“La
odio perché è una tipica domanda di voialtre
femmine!” Replicò Matthew con
impeto, facendo sobbalzare, allo stesso tempo, Sheila nella stanza di
fianco e
sorridere sotto i baffi la terapeuta accanto a lui. Chiaramente non
poteva
saperlo, ché se l’avesse saputo avrebbe risposto
in modo differente, per cui
continuò con la medesima veemenza: “Ma porca
vacca, mi chieda piuttosto che
accidenti m’è preso ieri e perché! Ho
dato i numeri no? E allora parliamo di
quello che almeno so che dire. Invece no, lei mi domanda che sto
pensando… Embé,
lo vuole proprio sapere?”
Posta
innanzi a quel tono di intimidazione la donna non ne perse di
placidità e, non
senza una punta di sottile ironia nella voce, asserì che non
aspettava altro
dacché avevano cominciato la terapia.
“Sta
bene allora!” Esclamò accettandone il tacito
confronto. “Sto pensando che Alice
avrebbe potuto evitare di mettermi quella cosa sotto il
naso.” Sbottò tirandosi
su e voltandosi, non senza una certa difficoltà, verso di
lei, pur sapendo che
così stava trasgredendo
una delle prime regole
che gli aveva enunciate. Quindi, quando le fu ad un palmo di naso,
continuò:
”Sto pensando che molto probabilmente l’ha fatto
apposta, fregandosene se nel
frattempo a me veniva un coccolone!”
“In
effetti so che ha passato una nottataccia
e che hanno dovuto somministrarle un bel po’ di
tranquillanti.” Replicò il
medico senza scomporsi innanzi a quel livore mal represso e lasciando
che
assumesse la posizione che più gli aggradava sul lettino.
Tanto, e aveva avuto
già modo di constatarlo, su quel tizio non aveva nessun tipo
di autorità. Per
cui che si mettesse pure come più gli piaceva,
purché parlasse.
Discorso
diverso invece per quel che riguardava Sheila, che dall’altro
lato della
parete, si stava decisamente allarmando. Maledizione, che aveva fatto
quella
serpe di Asatani? Cosa aveva mostrato a Matthew di tanto sconvolgente
da
provocare quella buriana? Non era difficile immaginarlo, certo che no!
Ma ora
doveva restare calma ed ascoltare attentamente, perché forse
così l’avrebbe
saputo al di là di ogni sua illazione.
Pure,
come si faceva a rimanere calma e composta quando un allarme rosso
dentro di te
suona a distesa? Ché l’istinto le stava gridando a
chiare lettere che
s’approssimava una situazione pericolosa per sé e
per le sue sorelle. E proprio
per questo si costrinse ad uno sforzo di volontà, cassando
ogni suo pensiero e
concentrando tutta la sua attenzione sul dialogo sibillino che stava
continuando dall’altra parte.
“Questo
non deve spaventarla”, stava infatti dicendo la dottoressa
con tono conciliante
al fine di tranquillizzarlo, “si tratta di un semplice
episodio, quand’anche
significativo e forse addirittura in grado di smuoverla fino a
cominciare a
ricordare.” Aggiunse cauta, pur consapevole che in quel modo
stava giocando con
il fuoco. In effetti le era palese ormai che l’uomo tutto
voleva, tranne che
quello. E infatti la reazione di Matthew a quelle parole le parve quasi
scontata.
“Cazzate!
Non mi sono ricordato una cippa! E quel coso mi ha solo provocato un
sacco di
incubi e un’altra notte all’addiaccio a
fumare!” Ribatté lasciandosi scivolare
sullo schienale, fino a tornarsene nella sua posizione originaria,
poiché
proprio non gliene teneva più di guardare quel pezzo di
ghiaccio. E dire, pensò
valutandola per la prima volta, che tutto sommato non era niente male.
“Perché
non me ne parla?” Gli stava chiedendo nel frattempo questa,
inconsapevole della
stima spassionata cui le sue curve stavano venendo valutate.
“Non ha idea di
quante e quali cose si possa estrapolare dai sogni.” Lo
incalzò con voce
rassicurante, provando ad attaccarlo su di un lato assai vulnerabile,
giacché
di solito parlare di sé aveva il potere di smuovere sempre e
comunque una parte
narcisistica cui è difficile resistere. Ma vuoi per
l’antipatia, vuoi perché si
stava chiedendo che taglia di reggiseno avesse, vuoi per un insito
istinto di
autoconservazione e di difesa, Matthew non abboccò.
“Non
posso, non me ne ricordo.” Affermò lapidario.
Quindi, incurante del divieto, pescò
nella tasca del pigiama sigarette e accendino e se ne accese una,
sperando che
l’evidente fastidio che la donna aveva per il fumo la
portasse a buttarlo fuori.
Ma quella, purtroppo per lui, non se lo diede per inteso. Con grande
soddisfazione
da parte di Sheila che stava letteralmente friggendo in attesa che
l’arcano in
qualche modo, attraverso sia pure un piccolo dettaglio, le si potesse
svelare e
che continuava ad ascoltare trepidante con una bruttissima sensazione
che le
serpeggiava su e giù per la schiena.
“Allora
mi dica cos’ha provato.” Insisté il
medico resistendo stoica sia al depistaggio
che alle zaffate di fumo.
“Mi
sono svegliato per pisciare.” Bissò
l’elusione Matthew usando a bella posta
quell’espressione volgare. “Poi mi facevano male e
ferite e… mm vediamo… sì,
avevo anche fame.” Concluse continuando a far
l’indiano, tanto che parve infine
che la donna avesse capito l’antifona e lo
congedò. Tuttavia, mentre raccattava
le stampelle e si preparava ad andarsene, fissandolo da dietro agli
occhiali,
sparò inaspettata un’ultima cartuccia.
“Dopodomani
lei uscirà da qui, per quanto crede che potrà
continuare a fare lo gnorri
signor Isman?”
A
quella domanda Matthew la guardò di sotto in su
dall’alto della sua
considerevole statura e si limitò a grattarsi il mento
ispido. “E chi lo sa
doc.” Rispose evasivo, dopodiché, prima di
prendere la porta, le fece un
sorriso talmente franco e disarmante che a lungo questa si chiese
quanto ci
fosse e quanto ci facesse quel tizio. Ché lei, nonostante
tutti i suoi attestati,
ancora non l’aveva capito.
Quanto
a Sheila non ebbe il tempo materiale per riflettere su quello scambio
di battute,
né su tutto quanto lo aveva preceduto, poiché
aveva pochissimo tempo per
filarsela, nonostante l’andatura claudicante di Matthew. Di
conseguenza,
rapidamente lasciò quel cantuccio e mollando lì i
sabot che ne impacciavano il
passo, scalza corse di sopra a recuperare le sue cose. Indi, sempre
volando
come se avesse il fuoco alle calcagna, tornò indietro fino
ad intercettarlo
mentre lentamente transitava diretto alla sua stanza. E non aveva
neppure il
fiatone quando finalmente si accorse di lei, anzi sembrava una appena
uscita da
una seduta dal visagista.
“Ehilà!”
Fece Matthew colto alla sprovvista, sfoderando un’espressione
ad un tempo
sorpresa e contenta, ma che soprattutto voleva ostinatamente celare i
travagli
di cui lui non sapeva lei fosse al corrente. Tanto che di primo
acchito, ora
che lo vedeva da vicino, Sheila si accorse di tanti piccoli dettagli
che in
precedenza non aveva potuto notare.
Già,
appariva provato e non solo per via della barba lunga, quanto per gli
occhi
pesti e l’incavo delle guance, che il sorriso che le stava
rivolgendo a stento
dissimulava. Sheila lo guardò e capì che per
giorni doveva aver covato una
smorfia contrita e che ancora gli deformava il volto, sebbene stesse
facendo di
tutto perché non se ne accorgesse.
E
allora, forse per la prima volta da quando avevano litigato,
pensò al suo
benessere piuttosto che al proprio e preoccupata si chiese se tutto
ciò fosse
la conseguenza del dolore fisico o di quegli incubi di cui aveva
parlato prima.
Ma, quale che fosse il motivo, ora le appariva molto vulnerabile e le
fece una
tenerezza infinita, tanto che sentì un moto spontaneo
venirle dentro e, prima
che potesse impedirselo, con affetto gli carezzò il viso. Un
gesto che lo turbò
e disorientò al punto che fece alcuni passi indietro incerto.
Invero
Matthew voleva dire qualcosa, porca boia, pensò, doveva dire
qualcosa! Eppure
non riusciva e lo stesso discorso per valeva per Sheila. Chiaramente
avevano
entrambi una coda di paglia grossa così, anche se per motivi
diametralmente
opposti e del tutto sconosciuti l’una all’altro. E
chissà come sarebbe finita
se nel frattempo non fosse passata a prelevarlo la terribile caposala,
la
quale, senza perdersi troppo in chiacchiere, li trascinò
ambedue verso
l’ortopedia.
A
quanto pareva infatti, considerato che il paziente era lì,
lì dall’essere
dimesso e che le lastre erano promettenti, il fisiatra
aveva deciso di alleggerirlo dal gesso che
gl’imprigionava la gamba. Pertanto, nella concitazione del
momento, non
poterono dirsi alcunché. Cosa questa che andava benissimo ad
entrambi e finì
che quando Matthew entrò nell’ambulatorio,
preferì andarci da solo, lasciandola
in corridoio ad attendere. E fu meglio, giacché diede loro
il tempo di
ricomporsi e prepararsi adeguatamente a parlarsi, nella pia speranza di
non
incappare in passi falsi e soprattutto di non accapigliarsi nuovamente.
Dopo
un po’ Sheila, che aveva trascorso quell’attesa
così immersa nei propri
pensieri da non accorgersi del tempo che passava, se lo vide venire
incontro
zoppicante ma finalmente sulle sue gambe. Avanzava un po’
incerto, ma più le si
avvicinava, più sembrava acquistare sicurezza e, almeno
nell’espressione,
sembrava non serbare traccia della precedente spossatezza.
“Allora“,
esordì quando le fu a pochi passi, “ci diamo la
stretta di mano dei pugili sul
ring prima di
suonarsele o mi permetti
di prostrarmi ai tuoi piedi chiedendoti umilmente scusa?”
“Non
sarebbe male come idea.” Replicò lei ilare, anche
se quel repentino mutamento
di registro la confondeva. In ogni caso tentò di stemperare
quella sensazione, lo
prese sottobraccio e aiutandolo a camminare, lo condusse fin sul
balcone della
sua camera. Il discorso che dovevano affrontare infatti preferiva farlo
lontano
da orecchie indiscrete. “Mentre ti aspettavo”,
mentì intanto che lui grato si
sedeva, “ho parlato col medico che era di turno stanotte. Mi
ha detto che sei
stato male, cos’è successo?”
“Nulla.”
Rispose lapidario e visto che lei lo guardò in un certo
modo, ovvero con quell’espressione
esigente che da poco aveva cominciato a capire e temere, aggiunse:
“Niente di
cui debba preoccuparti credimi.”
“Sei
sicuro?” Insisté cercando di celare la delusione,
ché Matthew nonostante tutti
i suoi difetti, in passato non era stato mai diffidente con lei. Anzi
l’aveva
sempre potuto leggere come un libro aperto, per questo adesso quel suo
fare
circospetto, non solo le risultava nuovo, ma anche inaspettatamente
penoso. Al
punto che non poté far a meno di chiedersi com’era
stato possibile che
finissero così. Stava per aggiungere
qualcos’altro, ma questi la bloccò
sollevando una mano, quasi a chiedere il permesso di parlare.
“Piuttosto”,
disse interrompendola sul nascere, “parliamo un po’
di cose importanti.” Quindi
fece un sospiro come chi stia per immergersi nell’acqua
gelata e continuò: “E
credimi sulla parola se ti dico che una volta tanto non sto facendo lo
scemo,
davvero. Insomma, per farla corta, volevo chiederti scusa. Per
l’altra volta e
per tutto il resto.” Buttò fuori precipitosamente
e tutto d’un fiato, prima di
avere il tempo di ripensarci.
“Bel
modo di riassumere il tutto, senza dire niente.”
Ribatté Sheila scoppiando a
ridere di cuore.
“Ehi
ma io mi sto scusando!” Protestò incurante del
fatto evidente che si stessero
riferendo a due episodi completamente diversi.
“Non
è questa la parola che userei io, sai?” Lo
provocò per vedere fin dove si
sarebbe spinto.
“Beh
bellezza”, celiò ma senza scherzare poi tanto,
“neanche tu sei stata proprio un
angelo.”
Affermazione
questa che avrebbe potuto dare nuovamente fuoco alle polveri, ma
siccome non
era quello lo scopo per cui era tornata in ospedale, stavolta fu il suo
turno
di salvarsi in zona cesarini.
“D’accordo”,
esclamò ostentando pazienza e ragionevolezza, tecnica questa
che non mancava
mai di dar frutto, “mettiamoci una pietra sopra e speriamo di
non doverci
tornare più.”
“Un’ultima
cosa”, aggiunse un po’ titubante, ignaro dei celati
altarini, “per caso Kelly
ti ha detto qualcosa in proposito della nostra conversazione?”
“Puoi
stare tranquillo.” Lo rassicurò non senza una
punta di sarcasmo nella voce. “Ha
mantenuto un silenzio di tomba sull’argomento. I vostri
soliti segretucci sono
al sicuro. Non li direbbe a nessuno, meno che mai a me.”
“Uh
meno male!” Gli scappò prima di cominciare a
sghignazzare con evidente sollievo.
Ora veniva il difficile però, come si doveva comportare?
Come suggellare questa
ripartenza? Prenderle le mani e fissarla dritto negli occhi? Abbracciarla per palesare
tutto il suo
trasporto? Darle un bacio hollywoodiano magari? Accidentaccio, dopo
quanto
successo l’ultima volta forse era meglio evitare qualsiasi
contatto epidermico,
senza contare che doveva badare bene a quel che diceva e come lo
diceva. Cristo
santo che fatica! Pensò e quindi, sperando di riuscire ad
evocare un tono che
fosse accorato, ma non tanto da sembrare uno smidollato, caloroso
abbastanza da
apparire coinvolto, ma senza scadere nel torbido, prese coraggio e
vergognandosi da morire le disse con un filo di voce: “Mi sei
mancata sai?”
“Anche
tu scemo.“ Fu la risposta che sentì e solo allora
levò gli occhi a guardarla, giacché
mentre lo diceva si era ben assicurato di non farlo, tanta era la paura
di fare
un errore madornale. Ma, aveva udito bene oppure gli stavano andando in
pappa
pure le orecchie? Con la coda dell’occhio la
contemplò e quello che vide lo
fece sentire tutto ad un tratto un gigante, tanto che per un momento di
sembrò
di comprendere appieno quanto aveva tentato di dirgli Kelly riguardo
alla
natura dei suoi sentimenti. Ché quella semplice affermazione
da parte di Sheila
gli stava spalancando le porte della conoscenza.
Già,
tutto ad un tratto pareva non gliene fregasse più nulla di
quel che era stato
in passato, di quanto era potuto accadere in precedenza e se davvero
negli anni
che avevano trascorso assieme l’aveva amata tanto o poco. Ora
parevano solo dettagli
davanti a quel che sentiva, giacché stava
realizzando consapevolmente di esserne di nuovo innamorato. Impaziente
e allo
stesso tempo euforico stava per dirglielo, quando la medesima fitta
lancinante
della sera prima prese a martellargli la testa. Ammutolito
sbiancò e si prese
il capo tra le mani. Non voleva spaventarla, ma la voce impaurita di
Sheila che
gli chiedeva cosa stesse accadendo non fece che aumentare il suo senso
di
straniamento. Serrò le palpebre, tentò di domare
il respiro che gli si stava
strozzando in gola e un dolore acuto gli serrò il petto,
mentre in una specie
di déjà
vu prolungato vide profilarsi
davanti a sé, come nella scena di un film,
una sagoma ondeggiante che attraversava il buio. Era la schiena di una
donna quella?
Forse, ma di certo correva agilmente davanti a lui e sapeva di non
essere
capace di raggiungerla.
“Dottore!
Dottore!” Urlò Sheila in preda al panico, ma prima
che potesse fare o dire
altro, una mano afferrò con una presa spasmodica le sue.
“Le
gocce!” Fece concitato indicandole con un cenno del capo il
comodino, poi cercò
di mettere a fuoco la vista concentrandosi su di lei. Neanche si prese
la briga
di contarle, si attaccò alla boccetta come un avvinazzato
all’alcool e ad occhi
chiusi aspettò che producessero il loro effetto.
Quando
si fu quietato un po’ e il respiro gli tornò
normale si rese conto che le aveva
fatto prendere uno spavento terribile e quindi cercò di
rassicurarla. “Sto bene
adesso.” Affermò, ma constatato che non aveva
affatto placata l’ansia che le si
poteva leggere sul viso, aggiunse:
“Capita quando sono molto agitato e oggi ne ho avute di
emozioni no? Arrivi tu,
poi mi ritrovo con la zampetta libera…” Disse
provando a fare dello spirito, ma
visto che neppure questo pareva fare effetto, tentò di
spiegarsi meglio. “Non
so come dirlo, ma credo di aver visto qualcosa. Come se mi fossi
ricordato di
qualcuno. Ma non ne sono sicuro.” Ammise incerto.
“Cosa
hai visto?” Chiese Sheila preoccupata e sgomenta da quanto
aveva visto.
Accidenti, fin lì aveva preso quella cosa quasi come un
gioco, ma oggi si era
resa conto che un gioco non era. E pure l’origliare in cui si
era prodotta quel
mattino assunse tutt’altra valenza. Maledizione,
pensò per l’ennesima volta, perché
era sempre costretta ad assumere questi
atteggiamenti ambivalenti con lui? Pareva quasi che il destino si
stesse
divertendo con loro come due marionette inerti.
“Una
donna.” Disse piano dopo averci riflettuto sopra.
“Correva davanti a me e poi è
scomparsa . E dire che in quel momento stavo pensando a
tutt’altro.” Concluse
con lo sbuffo scocciato di chi non sta capendo nulla e si sta davvero
rompendo
le scatole.
Sheila
si morse il labbro incerta, era palese a cosa si potesse riferire
quell’immagine e ora non sapeva proprio che fare. Certo, se
fosse stata sicura
che parlagli di Occhi di Gatto l’avrebbe aiutato ad evitare
quella sorta di
stato di trance, per quanto momentanea, non avrebbe avuto indugi a
farlo. Ma
l’antica paura legata alla rivelazione della sua molteplice
identità era ancora
viva in lei, per non parlare del fatto che era all’oscuro
delle subdole manovre
di Alice Asatani. Perché adesso ne era certa, la detective
non si era fatta
scrupolo di mettergli sotto al naso una delle loro card, a caccia
com’era della
verità. Cos’altro aveva fatto e cosa ancora
tramava?
“Che
stronza!” Pensò e inaspettatamente fu proprio
Matthew a darle la piena
conferma.
“Comunque
non c’è da preoccuparsi sai?” Stava
dicendo appunto, provando a minimizzare
l’accaduto. “E’ successo anche ieri e
probabilmente sarà stato a causa di
quella specie di biglietto da visita che mi ha mostrato Alice.
E’ stato da quel
momento che ha preso a scoppiarmi la testa.”
“Un
biglietto di Occhi di Gatto.” Mormorò lei
voltandosi repentinamente a dargli le
spalle, poi si fece forza e, tornando di fronte a lui, che la fissava
incerto,
sparò la domanda che non poteva più eludere a
bruciapelo . “Sai chi sono?”
“No.”
Rispose lapidario. E per un lungo istante si fissarono come due
contendenti ai
lati opposti di una barricata. Lo sguardo di Sheila gli scavava nel
profondo
per capire se le dicesse tutta la verità, mentre quello di
lui per una frazione
di secondo le parve sfuggente. Ma durò talmente poco, che si
chiese se non
fosse stata un’impressione provocata dai suoi stessi sensi di
colpa. In caso
contrario, perché Matthew avrebbe detto ciò che
le disse? Infatti sembrava
quello di sempre mentre con aria dubbiosa, ma assolutamente benevola
aggiungeva: “Anche se e a questo punto muoio dalla voglia di saperlo. Sembra che siano
una parte
importante del mio passato.”
“Non
te lo immagini neppure quanto.” Ammise la ragazza, mentre
all’improvviso una
piena di tristezza la travolgeva. E doveva essere stato evidente,
giacché
Matthew ne richiamò l’attenzione battendole una
mano sulla spalla.
“Sai
che ti dico? Chi se ne frega!” Dichiarò
perentorio. “E’ una vita che non ci si
vede e noi stiamo qua a perdere tempo appresso a questa storia? Se
è davvero importante
mi verrà in mente, sennò ciccia. E’ ora
che la pianti di starmene qui a peso
morto ad aspettare che gli altri facciano tutto il lavoro per me,
giusto?”
Chiese strizzandole l’occhio e, visto che Sheila pareva non
sapere cosa
rispondergli, continuò allegro: “Dopodomani mi
buttano fuori e c’è
un’infinità
di cose che devo fare. Ad esempio, vedere se tra queste quattro pezze
c’è
qualcosa di decente da mettermi addosso. Mi ci gioco quel che vuoi che
è tutta
roba fuori moda.”
Innanzi
a quella poco velata presa in giro Sheila ci mise tutta la sua buona
volontà
per cercare di tirarsi su.
“Se
avessi saputo che il gran giorno era domani ci avrei pensato io a
portarti
qualcosa. Temo che non troverai granché nella tua
sacca.” Rispose lanciando
un’occhiata alla borsa che giaceva afflosciata accanto
all’armadio. Gli era
grata per quel tentativo di lasciar cadere l’argomento
precedente, eppure c’era
qualcosa che non le tornava. Ma forse era meglio riparlarne in un
momento e un
luogo più opportuni.
“Di
certo non posso uscire da qui in pigiama e onestamente quando sono
arrivato non
che l’abbigliamento fosse una delle mie
priorità.” Ribatté
faceto, dopodiché le lanciò l’esca
che sperava potesse farle tornare un po’
d’entusiasmo. “Magari potremmo andare
a fare shopping.” Propose con falsa noncuranza. Al che il
miracolo avvenne, giacché
Sheila ghignò malefica al solo pensiero. Ché
Matthew aveva sempre detestato andare
in giro per negozi con lei. La considerava una maratona estenuante,
mentre adesso
non solo gliel’aveva proposto, ma non aveva nessuna scusa per
sottrarsi e in
più le aveva porto su di un piatto d’argento
l’irripetibile occasione di convincerlo
ad abbigliarsi come piaceva a lei.
“Volentieri.”
Condiscese con grazia. “Però non voglio sentire un
fiato!” Lo avvertì cominciando
a ridacchiare.
“Okay,
come tu vuoi.” Rispose soddisfatto dall’esito del
suo tentativo, ma senza
riuscire a spiegarsi cosa accidenti ci fosse da essere tanto contenti a
quella
prospettiva . Femmine! Pensò per la centesima volta da
quando se l’era
ritrovata davanti. “In
ogni caso”,
aggiunse tanto per dire qualcosa, “per prima cosa Alice deve
portarmi le chiavi
di casa. A quanto ne so, attualmente c’è una
squadra di eroi impegnata a darle
una pulita.”
“Ho
capito bene?“ Chiese Sheila sorpresa, ma
soprattutto, gli parve, sdegnata. “Vorresti farmi intendere
che con un braccio
ancora appeso al collo, senza alcun senso dell’orientamento e
privo di
qualsiasi nozione di sopravvivenza tu pensi seriamente di potertela
cavare?”
Domanda
questa che gli fece leggermente girare le palle, non gli piaceva che la
sua presunta
incapacità nel gestirsi gli venisse spiattellata tanto alla
leggera e
stava per risponderle male. Poi si rese conto che di
sicuro avrebbero ricominciato
a litigare e tenne a freno la lingua.
“Mi
pare esagerato parlare di sopravvivenza, non vado mica in
Amazzonia.” Rispose
con appena un filo d’ironia. “Ci riflettevo
l’altro giorno e sono sicuro che
tra lavanderie,
tavole calde, bagni
pubblici e imprese di pulizia, non dovrebbe essere troppo difficile.
Inoltre
non credo di avere molta scelta.” Aggiunse, come a voler
chiudere l’argomento.
“Una
scelta ce l’hai invece”, fece la ragazza quasi con
aria di sfida, “potresti
venire a casa mia.” Propose, pensando una frazione di secondo
dopo che non solo
sarebbe stata una specie di riedizione postuma, quanto, così
come in
precedenza, in tal caso avrebbe potuto tenerlo d’occhio.
Pensiero questo che le
sovvenne suo malgrado e quasi si odiò per averlo formulato.
Pure era
indispensabile, doveva tenerlo sott’occhio e vigilare,
perché non si poteva
sapere quando e cosa gli sarebbe tornato alla memoria e
perciò era
indispensabile che gli fosse sempre vicino. Dettaglio che tutto sommato
le
faceva piacere anche per altri motivi, i quali però era
troppo orgogliosa per
ammettere, quindi preferì accantonarli e pensare piuttosto a
quelle che
riteneva necessità più impellenti. “E’
fuori
discussione che in questo momento pensi anche lontanamente di poter
stare da
solo.” Dichiarò infine con autorità.
“Beh
, l’idea di avere tre bandanti è allettante lo
ammetto.” Replicò Matthew sghignazzando.
“Ma sai,
a quanto mi è stato riferito,
questa è un’esperienza che abbiamo già
fatto e non mi pare che sia andata molto
bene.” Aggiunse perplesso mentre lei lo fissava allibita. Chi
diavolo glielo
aveva detto?
“Tati
mi ha raccontato un paio di episodi che sul momento mi hanno fatto
sbellicare,
però a riguardarli adesso, suppongo che se ritentassimo
sarebbe un disastro.”
Fece guardandola costernato e, visto che pareva non capire a cosa
alludesse,
tentò di spiegarsi meglio. “Io non ho ancora
capito da me cosa cerchi
precisamente. Se un amico o un fidanzato. E non so come
comportarmi.” Confessò
sbuffando per celare la vergogna poi, già che
c’era, andò fino in fondo. “Insomma,
prima lo sapevo a cosa sarei potuto andare incontro e stavo in campana,
ma ora
che altro potrei combinare nella mia ignoranza? Non è che ci
tengo a farmi
menare mattina e sera eh?”
“Ferma
il gioco.” Lo bloccò completamente scorata Sheila,
ché, a parte quella
legittima pretesa da parte sua, doveva anche fare i conti con le
indiscrezioni
di quella peste di sua sorella. E non osava neppure immaginare quanto e
cosa
gli avesse spifferato. “Dimmi che ti ha detto
precisamente.”
“Uhm
vediamo”, cominciò ad enumerare contando sulle
dita, “che io e te abbiamo
dormito nella stessa stanza, ma che ho preteso una tenda divisoria,
anche se
poi c’ho provato lo stesso e le ho prese di
brutto.” Esordì facendola arrossire
come un peperone . “Poi pare che mi sia preso un secchio
d’acqua gelata e una
bacinella in fronte da lei quando ho provato ad entrare in bagno. Mi ha
anche detto
che praticamente
divoravo tutto
quanto ci fosse di commestibile in casa
peggio di un cane affamato e che per mettere fine alla mia
voracità avete preso
a cucinare solo verdura cruda...”
S’interruppe
un momento grattandosi pensosamente il mento, tentando di far mente
locale per riferirle
quella messe abbondante d’informazioni esattamente
nell’ordine preciso in cui
gli era stato riferito, in modo che fosse inconfutabile.
“Ah
sì, pare che il gran finale ci sia stato quando, per
mettermi in imbarazzo allo
scopo di buttarmi fuori, Tati abbia tentato di fare la seducente e che
a quel
punto le avrei buscate ancora, perché non l’avrei
trovata affatto concupibile.”
“Sì,
va bene, è chiaro.” Lo interruppe Sheila sperando
che non continuasse, ma Matthew
imperterrito andò avanti.
“Dopodiché
sembra che Kelly si sia fatta trovare discinta e che io sia scappato
con gli
ormoni a mille e che successivamente, addirittura si sia intrufolata
seminuda in
bagno e mi abbia fatto delle proposte oscene, davanti alle quali sarei
andato
definitivamente in bambola svenendo...“
Concluse esibendo la sua completa incredulità
innanzi a quelle storie
che gli parevano davvero assurde. Poi facendo spallucce
continuò: “Grosso modo
penso di averti fatto un riassunto esauriente. Ora, sono convinto che
tua
sorella abbia senz’altro esagerato e che per prendermi in
giro abbia gonfiato a
dismisura la realtà, però un minimo di
verità ci deve pur essere. E, anche se
ti sono riconoscente per avermelo proposto, credo che tu per prima non
vorrai
sottoporti di nuovo a questo strazio.”
Inutile
sottolineare che Sheila, durante tutta l’esposizione dei
fatti, non aveva fatto
altro che pensare a come fargliela pagare a sua sorella una volta
tornata a
casa. Prima però doveva convincere quel testone e
soprattutto togliersi una
pungente curiosità riguardo ad un altro particolare.
“Ti
sbagli sai?” Fece con innocenza, frammista giusto a quel poco
di malizia che
poteva invogliare un uomo a fare le cose più assurde per
lei. “Dopo ti spiego
anche il perché, ma prima dimmi, Tati ti ha detto anche
perché volevamo
metterti alla porta?”
“No
e quando gliel’ho chiesto ha replicato che potevo
immaginarmelo. Per cui ne ho
dedotto che tra mutande e calzini sporchi, molestie e assalti notturni,
probabilmente non sono il coinquilino ideale.”
Chiarì con aria noncurante, come
a dire che se gli si fosse ripresentata l’occasione molto
probabilmente avrebbe
fatto lo stesso.
“Bene”,
rispose la ragazza con fare pratico, “ora se mi lasci parlare
posso correggere questa
nomea da camionista che ti ha affibbiato quella spudorata. Non sei
un’educanda,
questo è sicuro, ma neppure una piaga come ti ha dato ad
intendere Tati. E tra
l’altro si da’ il caso che sei in
difficoltà e che a me, ma anche alle mie
sorelle, farebbe molto piacere darti una mano. Detto questo, ci tengo
ad
informarti che, voglia o no, verrai. E’ chiaro?”
Concluse minacciosa.
“Se
insisti...” Bofonchiò e poi tra sé e
sé pensò che probabilmente quella
ragazzina si era divertita ad enfatizzare per farsi due risate alle sue
spalle.
Eppure all’idea di quel che sarebbe potuto succedere una
volta capitato tra
quelle quattro mura, si sentiva leggermente sopraffatto.
Già, quante mazzate
sulla testa avrebbe preso stavolta?
Interrogativo
questo che non poteva certo porgere alla sua bella, perciò
passarono a
differenti faccende e a parlare di tutto quanto era accaduto mentre
erano
separati. E sembrò che non facessero altro per tutto il
tempo finché non arrivò
il sospirato giorno in cui poté lasciare quel luogo che
tanto aveva detestato
durante quegli interminabili mesi. E il giorno fatidico si
svegliò
contentissimo e si sentiva pieno d’energie mentre riempiva la
borsa con le
poche cose che possedeva. Lasciò fuori solo un paio di jeans
e una t-shirt, che
indossò con qualche difficoltà. In ogni caso si
sentiva molto meglio con quei
semplici indumenti addosso. Chissà, pensò
ghignando, se avrò mai più voglia
d’indossare
un pigiama! E così, tutto allegro, si recò dal
dottore per fissare gli appuntamenti
successivi per le sue fisioterapie, dopodiché dovette
compilare tutti moduli
che la burocrazia esigeva e da ultimo salutò quanti aveva
conosciuto durante il
lungo periodo di degenza, badando bene a non dimenticarsi di nessuno.
In fin
dei conti, pensò, chi più chi meno, gli erano
stati di compagnia e aiuto. Perciò
passò a fargli un salutino e uno sfottò,
lasciandosi per ultima la caposala,
che era stata la sua vittima preferita. Infine gli consegnarono quanto
gli
avevano tolto di dosso al momento del ricovero. Questa gli giungeva
nuova, in
effetti non si era mai chiesto se avesse documenti o altri oggetti
personali e meditabondo
soppesò la busta, tuttavia non ebbe il tempo di dargli
un’occhiata giacché
Sheila già lo stava aspettando.
“Ciao.“
La salutò felice mentre lei faceva il gesto di togliergli la
tracolla dalla
mano.
“Non
è il caso che faccia degli sforzi.” Rispose lei
alla sua occhiata interrogativa
.
“Ma
andiamo, per quello che pesa.” Protestò
sottraendosi. “Sai, mi piacerebbe che
non mi trattassi come un maledetto invalido. Vorrei lasciarmela quanto
prima
alle spalle questa fase.” Affermò vivace, voltando
ostentatamente le spalle
all’edificio.
“Okay
portatela da solo, volevo solo essere gentile!”
Replicò un po’ piccata suo
malgrado, poi, guardandolo meglio, la sua attenzione fu attirata da
altro e
subito inquisì. “Dì un po’
signorino, quella roba dove la tenevi nascosta?”
“Ieri,
dopo che sei andata via, ho telefonato ad Alice chiedendole se mi
poteva
comprare qualcosa.” Chiarì seguendola verso il
parcheggio.
“Ma
non eravamo rimasti che ci andavamo insieme a fare compere?”
Ribatté risentita.
Accidenti a quella papera, ché oltre i suoi sporchi
giochetti, continuava ad
intromettersi tra loro a sproposito.
“Certo,
ma qualcosa dovevo pur mettere e lei già doveva venire a
portarmi le chiavi di
casa. Inoltre saresti dovuta tornare indietro, giusto?” Le
spiegò affabile, poi
vide la macchina, un maggiolino rosso fiammante decappottabile, e
scoppiò a
ridere sonoramente.
“Beh?”
Sheila si voltò a fissarlo, incuriosita da
quell’inaspettato scoppio d’ilarità.
“E’
che la trovo alquanto adeguata.” Si spiegò
continuando a ridacchiare.“Voglio
dire, ho i capelli così lunghi che posso benissimo passare
per un hippy, ci
mancava solo il maggiolone yèyè
per
completare il quadro.”
“Effettivamente.”
Constatò sorridendo suo malgrado. “Però
se fossi in te non li taglierei, ti
stanno bene, al contrario di quella barbaccia. Non sognare ti fartela
ricrescere!” L’ammonì intimidatoria.
Infatti c’era voluto il bello e il buono
per convincerlo a tagliarsela e, malgrado le sue veementi proteste,
aveva
comunque lasciato fuori dalla tonsura le basette, che sfoggiava tutto
fiero. Erano
così lunghe e piene da far invidia ad Elvis.
“Va
bene mammina, che proponi adesso? Ho la vaga impressione che tu abbia
fin d’ora
un programma definito.”
“Certamente.”
Replicò entrando in macchina e tirando giù la
capote. Matthew scosse il capo
sogghignando e si accomodò schermandosi gli occhi con una
mano. C’era un sole
accecante.
Ah,
pensò soddisfatto, davvero una
giornata
fantastica per la sua scarcerazione!
“Allora
vediamo”, fece Sheila richiamandone l’attenzione
mentre s’immetteva nel
traffico, “ho fatto un elenco di quello che
approssimativamente ti dovrebbe
servire. Pantaloni, maglie, qualcosa di più pesante, scarpe,
pantofole ...”
“Una
stecca di sigarette.” L’interruppe accendendosene
una. “Questa è l’ultima.”
Chiarì tirando una voluttuosa boccata.
“Sto
parlando di generi di prima necessità, non di
vizi.” Lo sgridò e già che
c’era
colse la palla al balzo. “Visto che siamo in argomento
t’avverto, fuma pure, ma
non in casa. Non mi va che il mio tinello puzzi come un
posacenere.”
“Va
bene, va bene.” Assentì mugugnando.
“Accidenti Sheila, sei peggio della
caposala!” Fece con tono lamentoso, pur tuttavia continuando
a godersela. Era
libero, il sole splendeva alto nel cielo e stava filando a tutto gas
con una
bella bonona accanto, che cosa poteva chiedere di più?
“Dicevamo?
Ah sì, uno spazzolino da denti, accappatoio, bagnoschiuma e
shampoo neutri, ché
sei allergico ...” Continuò ad elencare ignara del
fatto che gli occhi
dell’altro le stavano facendo su e giù dalle gambe
alla scollatura.
“Questo
non lo sapevo.” Disse tanto per dire Matthew strizzando gli
occhi. Orca boia,
pensò tentando di darsi un contegno, se già in
macchina cominciava così sarebbe
stata dura! In ogni caso, meglio non distrarsi. Per cui ci tenne a
sottolineare
una cosa. “Mm senti Sheila, fermo restante che apprezzo molto
quello che fai,
ma alcune cose se non ti dispiace vorrei comprarle da solo.”
Annunciò senza
chiarire cosa intendesse .
“Sarebbe?”
Chiese un tantino sospettosa, già stava pensando ad una
serie di riviste sconce.
Già in passato infatti aveva scoperto che ne possedeva una
fornita collezione, accuratamente
nascosta nell’armadio a muro.
“E
dai, cerca di capire, le mutande mi vergogno di comprarle davanti a
te!” Sbottò
abbastanza impacciato facendo imbarazzare anche lei, tanto che non vide
la
macchina ferma allo stop davanti a loro e poco ci mancò che
la tamponassero.
“D’accordo.”
Replicò senza rispondere al gesto di stizza del conducente
davanti. “Vorrà dire
che ci fermeremo in un centro commerciale, dove potrai fare i tuoi
acquisti anche
da solo.”
E
detto fatto si diressero nella zona dei negozi dove Sheila gli fece
provare
l’ebbrezza della corsa allo shopping selvaggio. Per quanto lo
riguardava, non
che lui avesse delle esigenze particolari o dei gusti troppo
sofisticati, anzi gli
sarebbe andata bene qualsiasi cosa, ma pareva la sua fidanzata non
fosse dello
stesso parere. Quindi, visto che una cosa valeva l’altra a
suo giudizio, per
farla contenta lasciò che scegliesse per lui quello che
più le garbava. Anche
se ne nacque una mezza lite riguardo alle magliette senza maniche.
“E’
da tamarri.” Sentenziò infatti inflessibile alla
vista di quest’ultime che lui
aveva scelte.
“E
non esagerare, sono carine. E poi mi piacciono, oltre al fatto che con
questo
braccio sono più facili da mettere.”
Tentò di ragionare, ma visto che quella
continuava a guardarle con astio, accese le micce
all’artiglieria. “Vogliamo
parlare di quella maglia di nylon aderente che mi fa sembrare un
fru-fru che mi
hai costretto comprare?” Domandò provocatorio
mentre il commesso stava tra loro
come l’arbitro di una partita di tennis.
“Quella
è alla moda, stesso non si può dire di queste. Se
poi vuoi sembrare uno
scaricatore di porto, fatti tuoi.” Buttò
lì come se non gliene fregasse nulla.
Ma naturalmente era ben lontana dal mollare l’osso.
“Ma
signorina, questa è la collezione primavera –
estate di quest’anno!” Protestò il
commesso offeso.
“Visto?
Le prendo!” Affermò Matthew perentorio
approfittandone. Che poi non gli
fregasse nulla della moda corrente era un particolare secondario.
“Prima
hai fatto un’ora di storie perché volevi le
t-shirt a maniche lunghe,
affermando che ti vergognavi delle cicatrici e ora che fai, ti rimangi
tutto?”
L’accusò quand’ormai
l’attenzione di tutti i clienti era concentrata sul loro
battibecco.
“Uffa!”
Sbottò spazientito davanti a tanta insistenza.
Dopodiché cercò di pensare ad un
modo per ammorbidirla o, per meglio dire, distrarla.
“Facciamo così, tu ci passi
sopra e io comprerò quel costume che tanto t’ha
mandato in solluchero, okay?“
“Bel
tentativo cocco, almeno puoi dire di averci provato!”
Replicò ghignando. “Ma
non basta, sai? Devi anche promettere che verrai in spiaggia. Troppo
facile
prenderlo e poi rifiutarti con scuse patetiche come quella di prima.
Perché se
ti vergognassi sul serio eviteresti di metterti quelle,
ma visto che insisti tanto, a mare ci vieni. Che dici?”
“D’accordo.”
Assentì stremato dalle invettive logoranti della ragazza.
Accidenti che testa
dura, pensò un po’ spaventato, però gli
sovvenne pure che da quando passava
tutte le sue giornate con lui, probabilmente
di mare ne aveva visto ben poco.
Era giusto che a causa sua fino a quel momento avesse dovuto
rinunciarci? Era
estate, faceva caldo e certamente l’ospedale non era il luogo
più piacevole
dove passare il proprio tempo. Per cui, a fronte di questa
considerazione,
amabilmente inghiottì il rospo. Tanto che quando passarono
dal reparto
calzature, prodotti per il corpo e biancheria, la lasciò
fare senza dire altro
e si ritrovò con una serie d’indumenti ed orpelli
che da solo non si sarebbe
mai sognato di comprare.
Dopo
un paio d’ore di quest’andazzo serrato propose una
pausa, perché la battitura a
tappeto cui avevano dato la stura lo aveva caricato talmente di pacchi
e pacchetti
da sembrare un facchino. Quindi la portò al bar, la fece
sedere, si assicurò
che avesse ciò che più desiderava e lasciandole
il malloppo, si diresse a passo
deciso verso il pannello che recitava Intimo
Maschile.
Una
volta sola Sheila sorseggiò lentamente il suo
caffè assaporandone l’aroma con
palato da intenditrice. Pure la sua degustazione s’interruppe
quando notò una
busta che sporgeva dai sacchetti e che nulla pareva avesse a che fare
con le
loro spese. Si protese incuriosita a prenderla. Ricordava di averla
vista in
mano a Matthew fin dal mattino e meditabonda la esaminò,
facendo tintinnare
quello che c’era all’interno. La tentazione era
forte e si rendeva conto che
quello che stava per fare era un’ennesima violazione alla
privacy, ma proprio
non poteva trattenersi, anche perché il contenuto di quel
pacchetto poteva
dirle molto sullo stato di Matthew prima dell’amnesia.
Poteva? Doveva?
“Accidenti!”
Pensò e velocemente l’aprì, vuotandone
il contenuto sul piano del tavolino,
prima che potesse pentirsene. Con attenzione valutò
l’insieme e per prima cosa scartabellò
un ordine di servizio che giaceva ripiegato in cima al mucchio. Doveva
essere l’ultimo
ad essergli stato consegnato dal comando generale e cercò di
memorizzarlo
rapidamente, ripromettendosi di tornarci sopra appena possibile. Infine
tra le
monetine e altre cianfrusaglie da tasca rilevò una collana
col pendente, oggetto
questo che mai si sarebbe aspettata di trovare, giacché
altro non era che uno
degli ultimi regali che gli aveva fatto in occasione del suo
compleanno. Sicura
di non sbagliarsi controllò la data che vi aveva fatto
incidere e tenendola in
pugno ripensò a quei giorni.
Dopo
poche settimane da quel giorno la sua copertura era miseramente saltata
e si
erano separati definitivamente. Lei in partenza per gli Stati Uniti e
lui
chissà dove, perciò era facile supporre che
quell’oggetto non dovesse evocargli
momenti piacevoli. Eppure pareva che Matthew l’avesse addosso
al momento del
ricovero. Cosa voleva significare? Lo portava sempre con sé
perché non riusciva
a separarsene?
Sospirò
inquieta, tentando di non cullarsi in fantasie illusorie, sarebbe stato
troppo
bello infatti se fosse stato così. Tuttavia voleva crederci,
perché se così era,
allora c’era ancora una possibilità e
poteva
sperare che non tutto fosse perduto. Ciononostante badò a
continuare a ripetersi
che non era il caso di darci troppo peso, giacché poteva
essere una semplice
coincidenza o addirittura che Matthew, pazzo di rabbia verso lei,
usasse quella
collana per farci dei riti voodoo.
Lasciamo
perdere per il momento, s’ingiunse e la mise da parte per
passare ad esaminare
il portadocumenti, dal quale fuoriusciva un bordo di carta lucida. Una
foto? Trepidante
lo prese con due dita e la tirò fuori.
Non
posso crederci, pensò allibita. Era una sua istantanea
quella e si ricordava
persino il giorno e il luogo di quand’era stata scattata. E
se in quel momento
avesse dato peso ad uno qualsiasi dei motivi che le passavano per la
testa atti
a spiegare la presenza di quella fotografia tra gli oggetti che Matthew
teneva
sempre in tasca, come minimo avrebbe fatto una piroetta e si sarebbe
messa a
ballare. Invece cercò di restare con i piedi per terra,
avendo cura di
mantenersi tranquilla, onde non cullare troppe illusioni tutte insieme.
Ciononostante,
quando quest’ultimo fu di ritorno con una busta piena
all’inverosimile di boxer
e le si sedette di fronte, non poté reprimere il sorriso
radioso che
gl’indirizzò.
“Che
c’è, ne ho presi troppi ?”
Domandò inconsapevole, supponendo che fosse quello
il motivo per cui rideva. Sheila scosse la testa e senza rispondergli
gli prese
affettuosamente la mano tenendola tra le sue. Meravigliato non seppe
che fare e
si limitò a lasciarla inerte tra le sue, come se fosse un
pesce morto.
Che
le piglia adesso? Si chiese circospetto. I repentini cambi
d’umore di lei erano
talmente imprevedibili, da prenderlo continuamente di contropiede.
Doveva fare
qualcosa? Certamente starsene fermo e immobile come un
baccalà non era il
massimo, per cui tentò di darsi un tono comunicandole quanto
aveva pensato
mentre era immerso nella scelta delle mutande .
“Senti
un po’, ti spiacerebbe portarmi al mio
appartamento?” Chiese con fare casuale.
“Certo,
ma a fare che?” Replicò senza mollargli la mano e
aggravando viepiù la sua
perplessità.
“Innanzitutto
perché non so dov’è e credo che dovrei
saperlo. E in secondo luogo perché
voglio controllare se c’è qualcosa che possa
essermi utile.” Buttò lì
distrattamente e poi aggiunse: “Però poi filiamo
subito a casa e non ti fai
vedere almeno per un paio d’ore.”
A
questa uscita la ragazza rimase sconcertata, gli mollò
immediatamente la mano e
iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Ma prima che potesse
replicare sferzandolo con
la sua indignazione, Matthew le fece l’occhietto e
chiarì: “Ho intenzione
d’invitarti a cena stasera, quindi suppongo dovresti
prepararti. E non so
perché, ma m’immagino che come minimo ti ci
vorrà mezza giornata.”
Aggiunse prima di beccarsi una scherzosa botta
sulla testa.
E
ancora stava ridendo quando arrivarono nella strada dove Sheila
abitava, anche
se, alla vista
dell’opulento grattacielo
e della magione che le sorelle chiamavano riduttivamente appartamento,
la
giocondità cominciò a venirgli un tantino meno.
Vero è che non ostentavano il
loro status sociale o i fondi illimitati di cui probabilmente
disponevano, però,
si disse guardandosi attorno a bocca aperta, quel posto immenso
trasudava soldi
a palate. Inoltre, per quanto ne sapeva lui, fino a poco tempo prima
erano
state proprietarie d’un bar. Ora, si disse, considerato pure
che gli affari
potevano essergli andati bene, anzi meravigliosamente bene, ma quanti
accidenti
di soldi ci si poteva fare con un semplice caffè?
Domanda
la sua ch’era destinata a restare senza risposta, anche
perché, quando stava
lì, lì per chiederglielo, Sheila lo
portò in un’altra ala di quell’immensa
casa
e lo introdusse a quelle che sarebbero state le sue stanze.
“Eccoci,
questa sarà la tua camera.” Gli
annunciò appunto mostrandogli un ampio locale,
che più che una stanza pareva un loft, arredato con gusto e
con le finestre che
si affacciavano su di un panorama da paura. Matthew sgranò
gli occhi ancora una
volta e rimase come un fesso per lo stupore. Porca puttana,
pensò, già dabbasso
quando si erano fermati davanti all’edificio era rimasto
secco, quando poi era
entrato nell’appartamento di nuovo si era meravigliato e
infine, davanti a
tutto questo spazio destinato a lui solo, stava avendo il colpo di
grazia.
Anche perché Kelly e Tati non solo avevano fatto festa al
suo arrivo, ma
avevano anche provveduto a piazzare proprio sopra alla parete adiacente
al
letto un’enorme ghirlanda su cui capeggiava la scherzosa
scritta Benvenuto
Cognatino.
Senza
parole esitò restando in scia alle tre, era troppo, sentiva
assolutamente fuori
luogo. Cazzo, pensò sentendosi uno spiantato, prima era
entrato giusto cinque
minuti nella sua abitazione ed era, nel complesso, pressappoco la
metà della
stanza in cui l’avrebbero ospitato!
“Che
ne dici?” Gli chiese Sheila notando il suo evidente
smarrimento.
“Che
se mi lamentassi, dovresti buttarmi fuori di qui.”
Esclamò preda dell’imbarazzo.
“E c’è di più”, aggiunse nel tentativo
di fare dello spirito per superare l’impasse,
“qualora avessi voglia di giocare
a baseball, lo posso fare tranquillamente qua dentro.”
“Sentimi
bene spiritosone”, s’intromise Tati portandolo
accanto alle vetrate, “le
finestre di fronte sono quelle della mia stanza e se ti becco a fare il
guardone ti spezzo le braccine!”
A
quella minaccia la guardò con spassionato disinteresse.
“A prescindere che uno
già ce l’ho rotto”, rispose valutandola
di sotto in su, memore dell’episodio
dell’aerobica durante la prima e disastrosa convivenza fatta,
“ti posso assicurare
che non ci penso proprio.”
“Ottimo,
anche perché la stanza di Sheila è quella
appresso, quindi adesso sai dove guardare!”
Gli suggerì ridacchiando e beccandosi
un’occhiataccia dalla sorella, mentre per tutta risposta
Matthew trasaliva.
“Piantatela
voi due.” Impermalita Sheila, ignorando ostentatamente la
sorella, continuò: “Io
vado a prepararmi Matthew. Quella è la porta del tuo bagno,
usalo pure a tuo
piacimento, così eviteremo confusione negli
altri.” Chiarì prendendo la porta, non
prima però di aver addolcito i toni per lanciargli un ultimo
monito: “Nel
frattempo mettiti comodo, sistema pure la tua roba se vuoi e fatti
trovare
pronto per le otto, che hai da onorare una promessa.”
“Okay.”
Fu tutto quello che riuscì a dire prima che il terzetto si
fu allontanato.
Una
volta solo gironzolò un po’ intorno e si
fermò a guardare la veduta, anche se
quando si accorse che stava errando nella direzione delle camere della
ragazza,
risolutamente fece dietrofront e cominciò ad impilare i suoi
vestiti nell’armadio.
Non ci volle molto, ma siccome faceva caldo, si ritrovò
talmente sudato che,
ringraziando il cielo per il fatto di avere una toilette tutta per lui,
immediatamente
andò a buttarsi nella vasca. Così,
mentre si pasceva tra le bolle, rifletté sul fatto che
quella era la prima vera
abluzione che si era goduto da quando si era risvegliato dal coma.
Quindi,
facendo estrema attenzione a non bagnare il braccio ancora ricoperto di gesso, si
rilassò e si godette
quella sensazione dimenticata. Dopo quel prolungato lavacro
indugiò davanti
allo specchio ad osservarsi e spassionatamente prese a giudicarsi.
Tutto
sommato, stimò, nell’insieme non era poi tanto
male. Forse un po’ magrolino, ma
evidentemente era stato un tipo che si teneva in forma,
giacché era abbastanza
muscoloso e aveva l’addome piatto. Forse non era un adone, si
disse, ma neanche
tanto da buttare via. Poi però guardò le numerose
cicatrici che lo decoravano
dal ventre in giù e la gamba che fino al giorno prima era
stata ingessata e sospirò
sconsolato. Appariva molto più piccola di quella sana e gli
sfregi sulle
braccia, se paragonati agli altri, erano graffi a confronto. Certo era
stato
fortunato, ma quei segnacci violacei
erano
uno spettacolo inguardabile.
Pieno
di risentimento si coprì con l’accappatoio e
sbuffando di malumore tornò verso
l’armadio per tirarne fuori qualcosa da mettersi. E solo in
quel momento si
accorse che probabilmente il commesso giù al negozio doveva
essersi confuso con
le scatole poiché gli aveva
appioppato
un bel paio di boxer rosa shocking.
Cerchiamo
di cogliere il lato umoristico della situazione, pensò e tra
tanti mise proprio
quelli. Già che c’era poi optò anche
per la maglietta senza maniche che Sheila
aveva tanto vituperato. Non che lo facesse apposta per indispettirla,
ma gli era
molto più facile da infilare, oltre al fatto che con quel
caldo meno si copriva
e meglio era. Per concludere prese un paio di scarpe da ginnastica e le
andò a
mettere nell’apposito vano davanti alla porta
d’entrata. Dopodiché, intuendo
che per la toletta della sua ragazza avrebbe richiesto ancora tempo,
andò nel
tinello e si mise a chiacchierare con Kelly, che pareva quasi lo stesse
aspettando.
“Allora,
stasera c’è il primo appuntamento
ufficiale?” Lo stuzzicò appena si sedette.
“Così
pare. Spero solo di non combinare qualche grosso casino anche
stavolta.”
Rispose pensoso provocando un sorriso affettuoso nella sua
interlocutrice.
“Se
cominci buttandoti giù in questo modo, è
probabile.” Lo rassicurò prontamente.
“Ricordati
del discorso che ci siamo fatti l’altra volta in ospedale e
vedrai che andrà
tutto bene.”
“Vedrò
di fare il bravo...” Promise, ma proprio in quel momento
entrò Sheila e non
riuscì ad aggiungere altro. Effettivamente stava una
meraviglia, era la prima
volta che la vedeva versione gran sera e gli stavano letteralmente
schizzando gli
occhi fuori dalle orbite. Con aria rassegnata si voltò verso
Kelly per
lanciarle un’occhiata eloquente, come a dire che sarebbe
stato quanto mai
difficile starsene calmo vicino a quel tocco di figliola, e
quest’ultima, innanzi
a quello sguardo che valeva più di mille parole, non
riuscì a reprimere la
ridarella. Quanto a Sheila per l’ennesima volta si stava
chiedendo quali
altarini nascondessero quei due.
“Allora
si va?” Lo esortò notando l’odiata
t-shirt, ma evitando di menzionarla,
onde scansare
l’ennesima discussione.
Con un cenno del capo Matthew la precedette sulla porta, intanto che le
due
sorelle si scambiavano uno sguardo carico di sottintesi. Ed erano
già sul
pianerottolo quando Sheila tornò sui suoi passi per chiedere
a Kelly sottovoce:
“E’ il mio turno per le occhiate
significative?”
“Volevo
solo essere sicura che sarai indulgente.” Fu la replica e
Sheila non rispose, un
po’ seccata dal sempiterno istinto di protezione che sua
sorella aveva verso
Matthew. Sta diventando
esagerato, oltre
che ridicolo, pensò testarda.
“E’
successo qualcosa?” Chiese questi quando davanti alla
macchina gli sembrò
d’accorgersi che la ragazza praticamente ancora non aveva
aperto bocca.
“No,
figurati. Allora, c’è qualche posto dove ti
piacerebbe andare?” Deviò
prontamente, poiché non era affatto il caso di rovinarsi
l’umore.
“Mah,
a me va bene qualsiasi cosa, a prescindere che non saprei neppure
scegliere. E
poi questa è la tua serata, quindi ti lascio volentieri il
potere.” Affermò incerto
sul da farsi, ripromettendosi di leggersi quanto prima un manuale di
galateo.
“Perfetto,
ma attento a te, potrei abituarmici!” Lo prese in giro mentre
metteva in moto.
Il
posto che scelse era un po’ fuori mano così,
mentre attraversavano la città, il
tragitto fu costellato dalle esclamazioni di stupore di Matthew, il
quale proprio
non riusciva a capacitarsi di quanto stava vedendo. Tutto gli sembrava
straordinario e osservava la gente, gli edifici, le insegne e il
traffico con un
interesse genuino e incredulo. Praticamente Sheila non
riuscì a spiccicare una sola
parola, limitandosi a girarsi sorridente dalla sua parte quando questi
reclamava la sua attenzione davanti all’ennesimo particolare
che lo colpiva. Infine
arrivarono a destinazione e il posto si rivelò essere un
ristorante all’aperto,
di menù rigorosamente occidentale, dal quale si godeva un
discreto panorama del
lago artificiale e del parco che lo circondava. E sebbene fosse un
locale abbastanza
alla moda, riuscirono comunque ad avere un tavolo accanto alla
balaustra.
Al
momento di accomodarsi Matthew inanellò la prima figuraccia
della serata. In
pratica si sedette lasciandola in piedi accanto alla sedia mentre
aspettava che
gliela scostasse. Anzi la squadrò pure interrogativo vedendo
che si attardava.
“Allora?”
Fece con un sorriso che a Sheila parve da beota.
“Niente.”
Ribatté senza fare una piega, sedendosi e abbuonandogli
quella gaffe come un
peccato veniale. In fondo, si disse tentando di essere ragionevole, in
ospedale
non è che gli avessero insegnato le buone maniere, quindi
non poteva fargliene
una colpa, né pretendere che la trattasse come una regina.
Lodevole
proposito, peccato che sotto, sotto era esattamente così che
voleva facesse. In
ogni caso, come poteva pensare di covare del risentimento nei suoi
confronti,
quando si rese conto che col menù in mano brancolava nel
buio assoluto? Aveva
lo stesso sguardo disorientato e implorante di Bambi, tanto che si vide
costretta a soccorrerlo.
“Faccio
io.“ Gli comunicò per toglierlo dalle ambasce
quando il cameriere si avvicinò
per la comanda e Matthew tirò un sospiro di sollievo, anche
se cominciava a
sentirsi un completo idiota.
Forse,
pensò perplesso, prima di azzardarsi ad invitarla fuori
avrebbe dovuto
informasi un po’ di più
su certe
situazioni. Però ormai erano lì e non gli restava
che far buon viso a cattivo
gioco con quanta più grazia possibile. Riteneva
però di aver bisogno di un aiuto
tangibile, per cui, memore di tutta la tv guardata durante il ricovero,
si
ordinò una pinta di birra.
“Questa
poi, non credi ti farà male?” Chiese Sheila
contrariata, ché quella roba poteva
seriamente compromettere l’andamento della serata
così come lei aveva sperato
che andasse.
“Dici?”
Domandò tanto per chiedere, ma senza nessuna intenzione di
mollare il
boccalone. “Ma a dar retta a quanto mi dicono, pare che fossi
un grande
estimatore di questo prodotto e sono curioso di assaggiarlo. Inoltre ho
letto
che una quantità minima di alcool in corpo rilassi e ti
confesso che ne sento
proprio il bisogno.” Ammise senza riuscire a celare un certo
disagio. In
effetti si sentiva fuori luogo, imbarazzato, ma soprattutto infastidito
da
tutti quelli che in quel momento stavano occhieggiando la sua
accompagnatrice. Inoltre
si stava chiedendo anche perché l’avesse portato
in un ristornate occidentale.
Porca vacca, imprecò
tra sé e sé, se lo doveva
immaginare che si sarebbe trovato in difficoltà con le
posate, no?
“Adori
gli spaghetti ”, gli comunicò con tempismo,
neanche gli avesse letto nel
pensiero, “e poi ho pensato che con una mano sola sarebbe
stato molto più
semplice usare la forchetta che non le bacchette.”
A
quest’uscita Matthew si rattrappì sulla sedia
sentendosi un vero disgraziato
per quello che aveva appena pensato. Accidenti, ne avrebbe mai fatta
una giusta?
E menomale che non aveva dato voce a quella rimostranza,
pensò illividendosi, sennò
come minimo quella dolce fanciulla gli avrebbe tirato un piatto da
portata sul
muso e anche a giusta ragione. Riflessione
questa che lo innervosì ancora di più,
perciò, ritenendo che all’aperto non
avrebbe potuto darle fastidio, si accese una sigaretta tentando di
darsi una
calmata. Certo più la guardava e più si
convinceva che in assoluto stava
mandando in bambola il suo già labile sistema cognitivo. Per
cui tentò d’ignorare
la scollatura che esibiva e che aumentava in modo esponenziale la
calura estiva,
almeno a giudicare dai bollori che gli stava causando, e riprese a
parlare
badando bene a piantarle gli occhi in faccia e non altrove.
“Sei
stata molto
gentile, non ci avrei mai
pensato.” Buttò lì sperando che fosse
quanto voleva sentire. “Però
riflettendoci sono stato un bell’egoista fino a questo
momento.” Affermò tutto
ad un tratto sorprendendola. “Non ho fatto altro che romperti
le scatole con le
mie domande su tutto e non ti ho mai chiesto nulla su di te che non mi
riguardasse
strettamente.”
“Ehi
non c’è mica bisogno che ti scusi.”
Rispose impacciata da quella singolare
arrendevolezza. D’accordo era andata così, ma per
la verità non c’aveva neppure
fatto caso finché non gliel’aveva fatto notare.
“Invece
sì.” Affermò convinto.
“Allora, che ne dici di cominciare
dall’inizio?” L’invitò
appoggiandosi allo schienale con manifesta aria d’aspettativa.
“Mi
prendi alla sprovvista.” Fece Sheila per guadagnare tempo,
giacché non sapeva effettivamente
da dove cominciare. Cosa e quanto doveva omettere?
“Che
ne dici di una biografia completa di data di nascita, gruppo sanguigno,
preferenze, gusti e
soprattutto cose non
gradite?” Propose cordiale, intanto che pensava che in tal
modo avrebbe potuto
farsi una cultura atta a scansare futuri comportamenti molesti e di
risparmiarsi le sue furibonde reazioni.
“D’accordo.”
Assentì con la stessa cautela di chi s’appresta a
camminare sulle uova, quantunque
in fondo ne fosse compiaciuta. Del resto quell’interesse
palese era gradevole
ed essere l’oggetto di tutta la sua attenzione era una
condizione che raramente
aveva potuto assaporare. “Dunque”,
esordì concedendogli il suo sorriso più
affascinante, “il mio compleanno è il nove
settembre, ma che ti dica l’anno te
lo puoi scordare. Non si chiede mica l’età ad una
signora!” Motteggiò
cominciando a prenderci gusto.
“E
ci mancherebbe.” L’interruppe prima di levare il
bicchiere a mo’ di brindisi e
prendere un’altra abbondante sorsata.
“Però, visto che andavamo a scuola
insieme, si suppone che siamo coetanei. A meno che non mi sia fatto
bocciare.” Ne
concluse facendo il brillante. Mm, pensò nel
frattempo, chissà se il suo segno
zodiacale è della vergine! Ridacchiò e
rifletté che forse era meglio non
chiederglielo.
“Questo
non te lo dirò mai”, stava dicendogli intanto la
sua bella, “altrimenti faresti
due più due. Ti tocca restare col dubbio mio caro. Vediamo,
adoro il mare, me
la cavo con molti sport, tra cui l’equitazione, lo sci e il
windsurf. Mi piace
la musica, adoro la moda e di conseguenza mi diverte molto girare per
negozi.”
“Ma
non mi dire...” La sfotté con sussiego facendola
scoppiare a ridere. “E che mi
dici dell’opposto? Cos’è che non ti
piace?” Domandò pensando che in quel campo
poteva vantare svariate eccellenze .
“La
presunzione soprattutto, nel senso che proprio non sopporto quando
qualcuno si
sente eccessivamente sicuro di sé.”
Affermò dopo averci riflettuto un attimo.
“E
su questo
sto a posto!”
Esclamò mostrandole
con le dita
“Forse
su questo particolare no di certo. Ma sembri abbastanza convinto di
poter
reggere tutto quest’alcool in una volta sola e questo non
è che mi faccia fare
salti di gioia.” Dichiarò quando con un cenno
chiamò il cameriere e si fece
portare un’altra pinta.
“Ne
terrò conto per il futuro.” Rispose sentendosi
improvvisamente molto più disinvolto,
quindi levò nuovamente il calice in suo onore.
“Vai avanti, sento che siamo
in un terreno fertile, nelle avversioni
ti vedo più spigliata!” Aggiunse provocandola, ma
inconsapevole di star
giocando con una tigre in gabbia.
“Direi
Matthew, inoltre nessuno dovrebbe saperlo meglio di te.”
Ribatté infatti punta
sul vivo. “Ma sai qual’è il
comportamento che
più mi fa arrabbiare?” Gli chiese
guardandolo con un cipiglio truce. “E’
la propensione di certuni a fare gl’idioti, ma pure i
casanova da strapazzo. E in
entrambi tu sei sempre stato un maestro!” Affermò
provocandolo di rimando
mentre lui, non si sa se per dileggiarla o perché davvero
non aveva afferrato
la sua frecciata, si voltava da una parte e poi dall’altra,
chiedendole infine
se ce l’avesse con lui.
Ah
non hai capito? Pensò la ragazza impermalita. E allora
vediamo se capisci
adesso!
“Di
conseguenza”, continuò con un sorrisetto che
contemporaneamente grondava miele
e mostrava le zanne, “detesto quel povero scemo che pensa di
potermi prendere
in giro. Anche perché ti avverto, è difficile
riuscirci.”
“Mi
rendo conto.” Matthew annuì compunto come se
avesse capito, quand’invece
l’unica cosa chiara era che quello era terreno pericoloso.
Per sua fortuna
arrivò il cameriere con i piatti a toglierlo da quel
ginepraio.
Fissò
interrogativo la ragazza, ma visto che pareva non dargli retta, si
arrangiò da
solo, arrotolando spaghetti così come gli veniva e
risucchiandoli
rumorosamente. Quindi, con la bocca completamente sporca di sugo,
incauto tornò
sull’argomento precedente.
“Però
ad essere sincero, al di là di qualche particolare
frammentario e di una velata
minaccia, non mi hai detto molto.” Obiettò critico
e poi, guardandosi intorno,
si chiese come mai i rumori gli arrivassero così attutiti.
“Questo
è tutto ciò che ti occorre sapere.”
Replicò criptica. Del resto mica poteva
dirgli che di particolari su di sé ne aveva a bizzeffe e di
rilevanza assai
maggiore rispetto a quanto gli aveva detto fino a quel momento?
“Uh,
allora non mi resta che farti delle domande.” Concluse
fermamente deciso a sapere
quanto si era prefisso, nonostante la ciucca colossale che gli stava
salendo e
l’impressione che lei non ne fosse tanto più
contenta. Inoltre ebbe la pessima
idea di fare un esempio poco opportuno. “Allora, vediamo,
metti che abbiamo un appuntamento,
proprio come stasera. E diciamo che arrivo in ritardo o che mi vesta in
modo
poco consono, come la prendi?”
“Dipende
dai motivi che ti farebbero incappare in questi spropositi.”
Rispose prendendo
tempo, in quando il dubbio di stare esagerando un pochino
l’aveva colta, per
cui pensò che un po’ di diplomazia avrebbe
giovato.
“Ehi,
guarda che se te lo chiedo è perché vorrei
capire, quindi cerca di essere
onesta.” La rintuzzò scolandosi il fondo del
boccale e chiamandone ad ampi
gesti un altro.
“E
va bene”, proruppe Sheila ormai stufa della sua strafottenza,
“un ritardo già mi
farebbe incavolare di brutto, ma un cafone mal abbigliato sarebbe
assolutamente
inammissibile!” Confermò con arroganza e il mento
levato in su.
“Ah
e in caso contrario come funziona?” Con aria di sfida si
protese in avanti a
fissarla. Era lui o era l’alcool a parlare? Non si sa, ma
quel suo
atteggiamento altezzoso cominciava sul serio a dargli sui nervi.
“A
parte che, per quanto mi riguarda, sarebbe alquanto difficile cogliermi
in atteggiamenti
inopportuni, sappi che comunque ad una donna è concesso un
minimo ritardo. Oppure
sei così zotico da ignorare che ad una signora è
concesso tutto?” Lo provocò di
proposito. Com’è che tutto ad un tratto gli
sembrava così ostile? E soprattutto
perché lei stava reagendo come un toro davanti al drappo
rosso? Non avrebbe
saputo spiegarselo. Quanto a Matthew non rispose subito, provvide prima
a dare
fondo al bicchiere e poi annuì come se avesse avuto la
conferma che aspettava.
“Sarà”
le dondolò l’indice davanti al naso e
continuò, “non che non ti creda
attenzione, però ho i miei dubbi.”
Affermò tentando di concentrarsi su quando
andava dicendo, ché tutto ad un tratto si sentiva
leggermente sconnesso.
Scrollò il capo e continuò. “ Insomma pare
che tu ne esca sempre come Miss Puntini Perfetti e che, se anche fai
una
cazzata, hai una scusa plausibile. E io? Come la mettiamo? Sto qua che
me la
faccio addosso ogni due minuti per timore di contrariarti e adesso mi
dici pure
che già in partenza sto pieno di sbagli!”
“Matthew”,
rispose la ragazza con una calma che era lontanissima dal provare,
“hai tutti i
sintomi di una sbronza con i fiocchi e stai straparlando.” Lo
ammonì infastidita,
soprattutto perché quelle parole avevano erano andate tutte
minuziosamente a
segno. Davvero pensava quello di lei? E inviperita decise di mettere
fine a
quella serata disastrosa. “Penso proprio che sia giunto il
momento di tacere.
Anzi sai che ti dico? Voglio tornare a casa.”
“Se
insisti.” Si limitò a dire alzandosi, ma,
rendendosi immediatamente conto che le
gambe gli facevano giacomo, giacomo, rapidamente si aggrappò
alla sedia con la
mano sana. Mamma che botta! Pensò mentre il mondo gli
appariva alla rovescia e
il discorso che andava avanti già da un bel po’
solo nella sua testa si rendeva
palese alla sua accompagnatrice.
“Sheila
se mi devi picchiare, fallo domani.” Propose lamentoso, ma
indubbiamente
approdato ormai alla fase allegra dell’ubriacatura, tanto che
quando lei si
voltò a fissarlo disgustata continuò: “
Da femmina rompipalle hai tutti i motivi
per non essere soddisfatta di me e se intendi suonarmele hai tutta la
mia
comprensione... però, facciamo un altro giorno? Sii buona,
ora non mi reggo
neppure in piedi!”
“Andiamo
imbecille!” Gli sibilò trascinandolo via, prima
che potesse metterla ancora di
più in imbarazzo.
“Andiamo!”
Assentì incespicando nei passi e franandole quasi addosso.
“Arrivederci a
tutti!” Urlò allegro sbracciandosi in saluti,
mentre gli astanti lo guardavano
allibiti. Il suggello finale poi lo mise chiamando bella
gioia la cassiera e tentando di baciarla.
A
questo punto Sheila, al colmo della vergogna, ma principalmente della
rabbia,
si vide costretta a prenderlo per i capelli e a trascinarlo velocemente
verso
la macchina, mentre lui strepitava che gli stava facendo male. Una
volta in strada
poi lo show di Matthew non si esaurì affatto. Prima la
omaggiò con una serie di
canti da osteria uno più sconcio dell’altro,
accompagnati da battimani,
schiocchi di dita e ululati mannari, per poi concludere con quello che
credeva
essere un comportamento cerimonioso. In fondo non era un cicisbeo
quello che
lei voleva?
“Ah
Sheila”, esclamò teatrale portandosi la mano alla
fronte, incurante del
cipiglio di lei che si faceva sempre più cupo,
“quando ti ho vista stasera ho
pensato che ci fosse il sole dietro di te.”
“Ma
davvero?” Chiese quest’ultima meditando di
scaricarlo al primo stop e di
lasciarcelo per non tornare a riprenderlo mai più.
“E
certo! Metti tutto quel ben di dio a vista e pretendi che uno non si
asciughi?
Sei meglio di una sauna tesoro!” E qui scoppiò in
una risata fragorosa, ma
immediatamente dopo si zittì e serissimo si girò
sul sedile per guardarla. “Ma
non ti chiederò di darmi un bacio, normale o con tanta
lingua, no! Nada de nada!”
Enfatico si portò la mano
al petto e con grande dignità confessò:
“Giurin, giuretta, ho
promesso a Kelly che facevo il bravo.”
“Come
vorrei che quell’altra ficcanaso t’avesse fatto
promettere anche di chiudere il
becco!” Ringhiò con ferocia meditando di
sopprimerli entrambi. Grazie al cielo
erano quasi sotto casa, non restava altro che imboccare la rampa che
portava ai
garage sotterranei e quello strazio sarebbe finito. O almeno
così credeva.
“Ma
figurati se abbiamo parlato di cose così inutili.”
Le stava dicendo per
l’appunto Matthew facendo un gesto di noncuranza .
“No, no, mi ha detto
semplicemente che me ne sarei accorto da solo di essere innamorato di
te... e
accidenti se aveva ragione!” Ululò intanto che la
sua voce si moltiplicava in
tanti beffardi echi grazie all’acustica del sotterraneo.
“Sono proprio fuso per
te Sheila! Cotto e stracotto come una porchetta!”
Vociò completando il
capolavoro.
“Chiudi
quella bocca maledetto imbecille!” Urlò
anch’essa, ormai trasformata
definitivamente in un’erinni vendicatrice. Quanto era
successo era esattamente il
contrario di ciò che desiderava. Ad occhi aperti aveva
spesso sognato il
momento topico in cui le avrebbe detto che l’amava e cosa
aveva avuto invece?
Una dichiarazione da avvinazzato? E se fino a quel momento era riuscita
a
mantenere i nervi saldi, tentando di giustificarlo in tutti i modi, ora
esplose
in tutta la virulenza della sua furia.
“Zì
padrona!” Buttò ulteriore benzina sul fuoco lui,
facendole il saluto militare e
qui, finalmente, Sheila non riuscì a trattenersi oltre e
prese a tempestarlo
con una copiosa gragnola di mazzate. I colpi arrivavano da ogni dove e,
anche
se non erano forti, comunque facevano male. Ma non fu questo a
smuoverlo a
chiedere pietà, giacché ad un certo punto,
bloccandole i polsi e facendola
morire di paura, sbarrò
gli occhi a
guardarla come un folle. Poi, deglutendo affannosamente e sbiancando,
con un
filo di voce annunciò: “Amore, credo di
dover vomitare!”
N.d.A.
Sì
lo so, un anno per aggiornare è tanto, assolutamente troppo.
Perciò chiedo
venia a tutti quelli che l’aspettavano, se ancora ci sono
naturalmente. Non
accampo scuse, semplicemente ammetto che nei mesi trascorsi non ho
avuto testa,
né voglia, di mettermi a scrivere e francamente in questi
frangenti preferisco
soprassedere, attendendo tempi migliori. Spero solo di riuscire a farmi
perdonare con questo copioso capitolo e con la promessa solenne che il
prossimo
arriverà in tempi decisamente più brevi. J