Capitolo
3. Ricordi.
I ricordi ci
uccidono. Senza di essi, saremmo immortali
(Gesualdo Bufalino)
Strinse
forte il guanciale, inveendo contro di esso ad ogni pensiero rivolto a
Riku. In
verità era arrabbiato con sé stesso per non
essere riuscito a imporsi alle sue incestuose
voglie e ciò rincarava la dose dell’umiliazione
subita.
Scavò nei
recessi di un passato non così lontano e la mente
vagò a quando erano bambini, nel
periodo in cui l’innocenza nei loro occhi era così
vasta che ci si annegava
dentro e l’ingenuità ignorava quel che sarebbero
diventati crescendo.
Riku,
figlio di Larxene, la matrigna di Roxas, era un ragazzo sveglio,
intelligente, dotato
di fascino e carisma.
La
numerosa fila di ragazze era attirata principalmente dai suoi occhi
penetranti,
azzurri come la superficie del mare in estate e dai suoi capelli, di un
particolarissimo azzurro simile al celeste. Tra le ciocche
risplendevano curiosi
riflessi argentei che brillavano come pagliuzze di platino ai raggi del
sole,
il che gli conferiva un aspetto angelico e aggraziato.
Tutti
quelli che per un motivo o l’altro avevano avuto a che fare
con lui, lo
definivano un angelo.
“Sì...
un altro angelo scacciato dal Paradiso”
Aveva pensato Roxas quando aveva scoperto il diavolo che si celava in
lui,
nascosto sotto uno scudo di sentimenti impenetrabili e da un aspetto
solo
apparentemente innocuo.
Nessuno,
infatti, sapeva meglio di lui ciò che Riku in
realtà amava veramente. Il
sadismo si accendeva sul suo viso, mentre si accingeva alla lettura dei
suoi
libri, di certo non adatti ad un ragazzino come lui. Passava tutto il
tempo in
un angolo della sua stanza e Roxas, sbirciandolo ogni tanto, poteva
vederlo
chino su libri che ancora non conosceva, Miltron e Lovercraft, Poe e
Petrus
Borel, Nodier, Blake, De Sade, Swinburne, testi di magia nera e
demonologia.
Restava lì per ore a leggere, con la fronte corrugata e le
dita bianche premute
contro le tempie, in una posa di assoluta concentrazione. Le
illustrazioni che
accompagnavano quei testi erano a dir poco mostruose. Fra le tante, ne
ricordava una in particolare: una reggia orientale dove due tigri
sbranavano
fanciulle e fanciulli sotto l’occhio divertito di un sultano.
Quando si
accingeva alla lettura dei suoi libri, Roxas correva fuori in giardino,
alla
ricerca del suo amato rifugio, costituito da un piccolo spazio verde
nascosto fedelmente
da una frangia di edera.
Col
passare degli anni, Riku manifestava sempre più apertamente
il suo amore per il
sadismo verso il fratello, che quasi ogni giorno subiva da parte sua
svariate
forme di soprusi. Gli faceva tenere in bocca dei cervi volanti morti,
lo
costringeva a bere da un calice di vetro ricolmo del sangue di numerosi
animaletti sgozzati, lo obbligava ad appiccare fuoco alla coda degli
scoiattoli
che, impazziti dal dolore, scalpitavano per un lunghi tratti di strada
prima di
concludere il loro orribile tragitto stramazzando al suolo.
Più di una volta,
questo tipo di tortura aveva causato incendi su diversi appezzamenti di
terra.
Un giorno
si spinse più in là del solito. Circa quattro
anni fa, Riku lo prese da parte
e, costrettolo a sdraiarsi sul letto, salì sopra di lui e
gli sollevò la
maglietta, avvicinando la sua bocca a quella del fratellino, mentre
quest’ultimo
lo fissava atterrito, implorandogli di lasciarlo andare.
Riku gli
tappò la bocca con un bacio che non nascondeva le sue
intenzioni, facendo
penetrare senza pudore la lingua nella sua bocca, ricercando la sua,
che però
non intendeva accogliere in alcun modo l’intrusa.
Roxas morse
quel muscolo invadente e serrò le labbra, sigillandone
l’accesso.
Emettendo
un gemito di dolore, il ragazzo lo osservò con malizia,
mentre sul suo viso si
dipingeva un sadico sorriso che ormai il più piccolo
conosceva bene.
-Tu mi
piaci, fratellino mio. Sei l’unico con cui sto condividendo i
miei interessi e
le mie passioni, credo che sia anche ora di condividere
qualcos’altro...-
dichiarò senza smettere di sorridere.
-Che
intendi dire?- Chiese ingenuamente Roxas, ignaro delle sue intenzioni e
già con
gli occhi lucidi e traboccanti di paura e sorpresa.
Quella
domanda scatenò le risate di Riku, che però non
gli rispose e si limitò a fare
ancora più pressione sul corpo dell’altro, che
emise un gemito soffocato.
Quest’ultimo
prese a urlare e a dimenarsi, ma il fratello era molto più
forte di lui e il
peso del suo corpo non gli permetteva di muoversi.
Ritentando
di nuovo l’accesso alla sua bocca, iniziò poi a
sfilargli i pantaloni, deciso a
raggiungere il suo scopo.
Appena
interruppe il bacio per cercare aria, Roxas riprese a urlare con quanto
fiato
aveva in gola.
-Sta buono!-
Disse con tono minaccioso. –Sta buono e lasciati toccare!-
-Non
posso! Sei mio fratello, mio fratello!-
-Fratellastro.-
Sorrise maligno Riku, sfilandogli le mutande e toccando con
irrefrenabile gola
quel corpo nudo e tremante, ch ancora non aveva conosciuto la
pubertà.
Il
bambino, giunto al limite della disperazione, smise di singhiozzare e
accasciò
la testa sul cuscino, inondandolo di lacrime. Aveva abbandonato ogni
tentativo
di ribellione.
-Così va
molto meglio!- Ghigno il fratello. Gettò con impazienza per
terra la sua
camicia, scoprendosi il petto e strusciandolo contro quello di Roxas.
In quel
momento, la porta si spalancò e la madre di Riku
entrò furibonda nella stanza,
apparendo agli occhi del ragazzino come il ritratto della salvezza.
La voce
della giovanissima e bellissima donna era fremente di rabbia mentre
afferrava
il figlio per la spalla e lo scaraventava sul pavimento, coprendolo di
insulti
e sberle. Col respiro affannoso, Roxas si alzò e
osservò l’inferno che si stava
scatenando davanti a lui: per la prima volta assistette finalmente alla
meritata punizione del fratellastro.
Nei
momenti che si susseguirono, non distolse nemmeno per un secondo lo
sguardo
dalle iridi della donna, verdi come le fronde degli alberi, nelle quali
balenavano
la luce della pazzia e la stessa vena sadica che riconosceva in quelli
di suoi
figlio.
Provò
paura per quella donna che nonostante stesse castigando Riku, la
avvertiva più
che mai vicino a lui e si convinse che si stava fingendo dalla sua
parte solo
per apparire giusta a quegli occhi che avevano visto troppo in un solo
giorno.
-Oh,
tesoro mio...devi perdonare Riku, sta passando un momento difficile da
quando
suo padre è morto! Cerca di dimenticare quello che
è successo oggi!- Disse poi
la donna, rivolgendo il viso dipinto di un vivace rosso a Roxas, che
era
rimasto immobile senza battere ciglio.
Annuì
lentamente, ricacciando indietro nuove lacrime che cercavano di farsi
strada
scorrendo sulle paffute e arrossate gote.
-S-sì...Larxene...-
-No,
piccolo- Replicò gentilmente lei, sollevandogli il mento con
l’indice e il
pollice e sorridendogli quando i loro occhi s’incontrarono.
–Chiamami mamma! È
quello che sono per te ora, no?-
-Sì.-
Rispose senza troppa convinzione.
-Ecco,
quindi sono sicura che non dirai nulla a papà di
ciò che è accaduto. Dico
bene?- Nella sua voce filtravano note di minaccia e ciò non
lasciò molta scelta
al povero ragazzino, che annuì freneticamente.
- Bravo,
il mio figlioletto!- Aggiunse lei, avvolgendo le lunghe braccia sul
corpo di
Roxas, che non ricambiò il gesto, avvertendo il freddo e il
distacco con cui
Larxene aveva cercato di dimostrargli il suo falso amore.
Gli anni
passarono, e Riku non lo toccò più, rimanendo
fedele alle raccomandazioni della
madre.
-Se per
caso va a spifferare quello che hai tentato di fargli, stai certa che
Cloud mi
butta fuori di casa, e tu con me! Voglio ben vedere poi come vivremmo
senza un
soldo!- Aveva detto una volta a Riku, convinta che nessuno la stesse
ascoltando.
Anche Roxas
mantenne la promessa. Non parlò, né
accennò più a quella storia, si guardò
perfino dal farla riaffiorare dalla sua mente, tanta era la paura delle
conseguenze negative che sicuramente avrebbe subito.
Per i
giorni che si susseguirono, Riku cominciò a comportarsi come
un vero fratello,
tanto che Roxas cominciò quasi a dimenticare
l’avvenuto.
Fino a quella notte.
L’incantesimo
che aveva tenuto a freno le sue voglie perverse si stava spezzando, e
prima o
poi avrebbe studiato un piano per portarselo a letto senza che nessuno
scoprisse nulla.
Le
immagini di quei ricordi lontani ma scolpiti ormai nella coscienza,
riemersero
nella mente offuscata di Roxas che, sfinito dagli avvenimenti di quelli
sera,
cadde ben presto nelle braccia del dio del sonno, senza nemmeno notare
la
figura che lo osservava a pochi metri dal suo letto.
***
Il dolce
tepore del sole colpì il viso disteso e rilassato di Roxas,
il quale accolse
con gemito di piacere quel dolce risveglio. Pochi secondi dopo,
però, cacciò la
faccia sotto le coperte ed emise un brontolio infastidito quando la
sveglia
iniziò la sua solita routine mattutina, diffondendo in tutta
la stanza un suono
simile allo starnazzo di una gallina.
“E teoricamente
dovrebbe essere il verso di un gallo...Non la sopporto!”
Incapace di alzarsi,
ritirò la testa sotto il cuscino, nel tentativo di attutire
inutilmente il rumore.
Poco dopo,
Larxene fece irruzione nella camera, convinta che fosse entrato un
animale in
agonia.
“Ha
cambiato di nuovo sveglia!” Osservò tappandosi le
orecchie e dirigendosi verso
il comò per spegnerla.
“Grazie,
Larxene!” Disse mentalmente Roxas, lieto di poter riprendere
il sonno rubato.
Ma le
coperte furono sollevate e i cuscini tolti, cosicché Roxas
vi dovette
rinunciare e pigramente si alzò.
-Pronto
ad accogliere questa nuova giornata? - Chiese allegramente Larxene.
-Direi di
si!- Rispose il ragazzo, senza nascondere la sua poca convinzione.
La giovane
donna sorrise e chiuse la finestra, rimasta ancora aperta dalla notte
prima.
I suoi
capelli lunghi fino al collo e del colore del sole, emanavano riflessi
che
risplendevano in diverse sfumature di giallo vivo e luminoso. Roxas
osservò i
due notevoli ciuffi sbarazzini che le ricadevano dietro la testa.
“Sembrano
le antenne di un’ape curiosa”. Disse ridendo fra
sé e scendendo le scale,
dirigendosi verso la cucina.
Anche
Larxene aveva cambiato atteggiamento e ora sembrava a tutti gli effetti
una
madre affettuosa e affaccendata, anche se probabilmente quel
cambiamento (o
forse quella maschera) le dovevano aver richiesto non pochi sforzi.
Roxas notò
subito la casa vuota, a parte la sua matrigna.
Suo padre
probabilmente era in paese per firmare i contratti che prevedevano la
vendita
del locale dove avrebbe collocato il suo negozio di orologeria, mentre
Riku...beh, Riku era imprevedibile, poteva essere dovunque.
Alla sua
immagine, Roxas ebbe un brivido.
Si
affrettò a finire la sua colazione e decise di uscire ad
esplorare la zona,
sperando così di incrociare il meno possibile il
fratellastro, per quel giorno.
Prese
distrattamente il leggero giubbino di pelle marrone e dopo pochi
secondi
camminava lungo il viottolo di pietra, dirigendosi nella direzione
opposta al
paese.
“Che io
sappia, la nostra dovrebbe essere l’ultima casa. Dove
può portare, quindi,
questo sentiero?”. Si domandò curioso, affrettando
il passo.
Man mano
che procedeva, il vento cominciò a diminuire, affievolendosi
poi del tutto,
come l’ultimo brillio di una candela che si spegnava
soffocata dall’assenza di
ossigeno.
I rami
degli alberi interruppero improvvisamente la loro danza col vento,
tornando
immobili e curvi presso il ragazzo, che sentiva come se tutto si fosse
fermato
per osservare il suo arrivo, unico passatempo in quella natura morta e
desolata.
“Questo
posto...sembra quasi vivo. Morto e vivo allo stesso tempo.”
Pensò, senza
accorgersi che stava iniziando a correre.
Anche se
il sole era alto e la primavera era sul punto di mostrare il suo
splendore,
Roxas sapeva che non avrebbe mai ridato veramente la vita a quel luogo;
avrebbe
solo nascosto temporaneamente la bruttezza e la sinistra essenza che
emanava.
“Forse sto
impazzendo veramente. Ma questa sensazione è così
opprimente e così concreta,
che non può essere una semplice paura!”
Smise di
correre, quando si accorse che il sentiero era finito e lo aveva
condotto sino
a un cancello, che dava all’entrata di un enorme giardino,
delimitato da un
recinto circondato da un muro di pietra biancastro.
*La
vegetazione aveva invaso quel luogo e lo aveva trasformato in una
piccola
jungla, dalla quale emergeva qualcosa che a Roxas parvero delle figure:
delle
figure umane.
Era un
giardino abbandonato. Un giardino di statue. Quello strano spettacolo
delle
statue braccate dalla vegetazione, gli fece pensare che fosse un
piccolo
cimitero di paese.
Un portale
di lance di metallo sigillate da catene arrugginite, impediva
l’entrata.
Lontano, oltre al giardino, si ergeva il profilo di un folto bosco che
sembrava
prolungarsi per molte miglia.
Roxas,
ipnotizzato, appoggiò il viso fra le lance della porta ed
esaminò l’interno. La
sterpaglia, con gli anni, aveva invaso tutto il terreno e conferiva al
luogo
l’aspetto di una serra abbandonata.
“Probabilmente
nessuno mette piede qui dentro da un bel po’ di
tempo.” Osservò.
Non
riusciva a distinguere la forma e il volto di nessuna statua e la
curiosità lo
incitava a scoprirlo.
Si guardò
intorno, alla ricerca di un sasso che potesse permettergli di rompere
il
lucchetto che tratteneva le catene.
Trovò una
pietra grossa quanto la sua mano e piuttosto pesante e
cominciò a dare colpi
ripetuti al lucchetto, finché non sentì
l’anello cedere e rompersi. Le catene
penzolarono libere dalle sbarre come trecce di una capigliatura
metallica, per
poi cadere pesantemente a terra, lasciando finalmente libero
l’ingresso al
giardino.*
Nonostante
l’aspetto macabro e lugubre del posto, la
curiosità vinse, reprimendo ogni
forma di timore. Fece per spingere le sbarre ma una voce lo
bloccò. Una voce
femminile, vicinissima e dietro di lui.
Fine.
_Beh...meglio tardi che mai,
no? *tirano cartaccie* lo so, lo so, sono vite che non posto qui su EFP
e francamente non so come sia resuscitata dall'oltretomba
°A° In questo capitolo c'è moltissimo di
Zafon. La descrizione del giardino di statue è praticamente copiata dal libro. Non dovrei, però mi piaceva moltissimo e ho voluto metterla. Specifico quindi che la parte del giardino NON è di mia invenzione. Questa non è
altro che una fan fiction costruita sulla sua storia, con una serie di
elementi nuovi che (almeno quelli XD) ho aggiunto io. Spero vi sia
piaciuto, ho unito due capitoli :3 Alla prossima!