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Autore: Scarlatta93    24/03/2011    2 recensioni
Salve :3 Premetto che mi sono ispirata a un libro che adoro, ovvero "Il principe della nebbia", di Carlos Ruiz Zafon. Adoro quell'uomo! *ò* è la prima fan fiction che ho scritto (di seria, diciamo .-.) e ho già pronti numerosi capitoli che ricorreggerò man mano che deciderò di pubblicare, dato che è piuttosto vecchiotta. Roxas è un ragazzo di diciassette anni, il quale, a causa della guerra, è stato costretto a trsferirsi assieme al fratello Riku e ai genitori in una villa situata nell'inoltrata campagna. Nel giro di poco tempo, scopre che quella non è una normale cittadina, infatti vi pende una misteriosa maledizione, che lo costringerà a completare da sé il quadro della situazione. Ad aiutarlo c'è Axel, un ragazzo per il quale nutrirà molto più di un'amicizia. Spero vi possa piacere la trama, è un pò scarna ma accontentatevi! ò.ò Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Marluxia, Naminè, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3. Ricordi.

I ricordi ci uccidono. Senza di essi, saremmo immortali
(Gesualdo Bufalino)

 
Strinse forte il guanciale, inveendo contro di esso ad ogni pensiero rivolto a Riku. In verità era arrabbiato con sé stesso per non essere riuscito a imporsi alle sue incestuose voglie e ciò rincarava la dose dell’umiliazione subita.
Scavò nei recessi di un passato non così lontano e la mente vagò a quando erano bambini, nel periodo in cui l’innocenza nei loro occhi era così vasta che ci si annegava dentro e l’ingenuità ignorava quel che sarebbero diventati crescendo.
Riku, figlio di Larxene, la matrigna di Roxas, era un ragazzo sveglio, intelligente, dotato di fascino e carisma.
La numerosa fila di ragazze era attirata principalmente dai suoi occhi penetranti, azzurri come la superficie del mare in estate e dai suoi capelli, di un particolarissimo azzurro simile al celeste. Tra le ciocche risplendevano curiosi riflessi argentei che brillavano come pagliuzze di platino ai raggi del sole, il che gli conferiva un aspetto angelico e aggraziato.
Tutti quelli che per un motivo o l’altro avevano avuto a che fare con lui, lo definivano un angelo.
 “Sì... un altro angelo scacciato dal Paradiso” Aveva pensato Roxas quando aveva scoperto il diavolo che si celava in lui, nascosto sotto uno scudo di sentimenti impenetrabili e da un aspetto solo apparentemente innocuo.
Nessuno, infatti, sapeva meglio di lui ciò che Riku in realtà amava veramente. Il sadismo si accendeva sul suo viso, mentre si accingeva alla lettura dei suoi libri, di certo non adatti ad un ragazzino come lui. Passava tutto il tempo in un angolo della sua stanza e Roxas, sbirciandolo ogni tanto, poteva vederlo chino su libri che ancora non conosceva, Miltron e Lovercraft, Poe e Petrus Borel, Nodier, Blake, De Sade, Swinburne, testi di magia nera e demonologia. Restava lì per ore a leggere, con la fronte corrugata e le dita bianche premute contro le tempie, in una posa di assoluta concentrazione. Le illustrazioni che accompagnavano quei testi erano a dir poco mostruose. Fra le tante, ne ricordava una in particolare: una reggia orientale dove due tigri sbranavano fanciulle e fanciulli sotto l’occhio divertito di un sultano.
Quando si accingeva alla lettura dei suoi libri, Roxas correva fuori in giardino, alla ricerca del suo amato rifugio, costituito da un piccolo spazio verde nascosto fedelmente da una frangia di edera.
Col passare degli anni, Riku manifestava sempre più apertamente il suo amore per il sadismo verso il fratello, che quasi ogni giorno subiva da parte sua svariate forme di soprusi. Gli faceva tenere in bocca dei cervi volanti morti, lo costringeva a bere da un calice di vetro ricolmo del sangue di numerosi animaletti sgozzati, lo obbligava ad appiccare fuoco alla coda degli scoiattoli che, impazziti dal dolore, scalpitavano per un lunghi tratti di strada prima di concludere il loro orribile tragitto stramazzando al suolo. Più di una volta, questo tipo di tortura aveva causato incendi su diversi appezzamenti di terra.
Un giorno si spinse più in là del solito. Circa quattro anni fa, Riku lo prese da parte e, costrettolo a sdraiarsi sul letto, salì sopra di lui e gli sollevò la maglietta, avvicinando la sua bocca a quella del fratellino, mentre quest’ultimo lo fissava atterrito, implorandogli di lasciarlo andare.
Riku gli tappò la bocca con un bacio che non nascondeva le sue intenzioni, facendo penetrare senza pudore la lingua nella sua bocca, ricercando la sua, che però non intendeva accogliere in alcun modo l’intrusa.
Roxas morse quel muscolo invadente e serrò le labbra, sigillandone l’accesso.  
Emettendo un gemito di dolore, il ragazzo lo osservò con malizia, mentre sul suo viso si dipingeva un sadico sorriso che ormai il più piccolo conosceva bene.
-Tu mi piaci, fratellino mio. Sei l’unico con cui sto condividendo i miei interessi e le mie passioni, credo che sia anche ora di condividere qualcos’altro...- dichiarò senza smettere di sorridere.
-Che intendi dire?- Chiese ingenuamente Roxas, ignaro delle sue intenzioni e già con gli occhi lucidi e traboccanti di paura e sorpresa.
Quella domanda scatenò le risate di Riku, che però non gli rispose e si limitò a fare ancora più pressione sul corpo dell’altro, che emise un gemito soffocato. 
Quest’ultimo prese a urlare e a dimenarsi, ma il fratello era molto più forte di lui e il peso del suo corpo non gli permetteva di muoversi.
Ritentando di nuovo l’accesso alla sua bocca, iniziò poi a sfilargli i pantaloni, deciso a raggiungere il suo scopo.
Appena interruppe il bacio per cercare aria, Roxas riprese a urlare con quanto fiato aveva in gola.
-Sta buono!- Disse con tono minaccioso. –Sta buono e lasciati toccare!-
-Non posso! Sei mio fratello, mio fratello!-
-Fratellastro.- Sorrise maligno Riku, sfilandogli le mutande e toccando con irrefrenabile gola quel corpo nudo e tremante, ch ancora non aveva conosciuto la pubertà.
Il bambino, giunto al limite della disperazione, smise di singhiozzare e accasciò la testa sul cuscino, inondandolo di lacrime. Aveva abbandonato ogni tentativo di ribellione.
-Così va molto meglio!- Ghigno il fratello. Gettò con impazienza per terra la sua camicia, scoprendosi il petto e strusciandolo contro quello di Roxas.
In quel momento, la porta si spalancò e la madre di Riku entrò furibonda nella stanza, apparendo agli occhi del ragazzino come il ritratto della salvezza.
La voce della giovanissima e bellissima donna era fremente di rabbia mentre afferrava il figlio per la spalla e lo scaraventava sul pavimento, coprendolo di insulti e sberle. Col respiro affannoso, Roxas si alzò e osservò l’inferno che si stava scatenando davanti a lui: per la prima volta assistette finalmente alla meritata punizione del fratellastro.
Nei momenti che si susseguirono, non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dalle iridi della donna, verdi come le fronde degli alberi, nelle quali balenavano la luce della pazzia e la stessa vena sadica che riconosceva in quelli di suoi figlio.
Provò paura per quella donna che nonostante stesse castigando Riku, la avvertiva più che mai vicino a lui e si convinse che si stava fingendo dalla sua parte solo per apparire giusta a quegli occhi che avevano visto troppo in un solo giorno.
-Oh, tesoro mio...devi perdonare Riku, sta passando un momento difficile da quando suo padre è morto! Cerca di dimenticare quello che è successo oggi!- Disse poi la donna, rivolgendo il viso dipinto di un vivace rosso a Roxas, che era rimasto immobile senza battere ciglio.
Annuì lentamente, ricacciando indietro nuove lacrime che cercavano di farsi strada scorrendo sulle paffute e arrossate gote.
-S-sì...Larxene...-
-No, piccolo- Replicò gentilmente lei, sollevandogli il mento con l’indice e il pollice e sorridendogli quando i loro occhi s’incontrarono. –Chiamami mamma! È quello che sono per te ora, no?-
-Sì.- Rispose senza troppa convinzione.
-Ecco, quindi sono sicura che non dirai nulla a papà di ciò che è accaduto. Dico bene?- Nella sua voce filtravano note di minaccia e ciò non lasciò molta scelta al povero ragazzino, che annuì freneticamente.
- Bravo, il mio figlioletto!- Aggiunse lei, avvolgendo le lunghe braccia sul corpo di Roxas, che non ricambiò il gesto, avvertendo il freddo e il distacco con cui Larxene aveva cercato di dimostrargli il suo falso amore.
Gli anni passarono, e Riku non lo toccò più, rimanendo fedele alle raccomandazioni della madre.
-Se per caso va a spifferare quello che hai tentato di fargli, stai certa che Cloud mi butta fuori di casa, e tu con me! Voglio ben vedere poi come vivremmo senza un soldo!- Aveva detto una volta a Riku, convinta che nessuno la stesse ascoltando.
Anche Roxas mantenne la promessa. Non parlò, né accennò più a quella storia, si guardò perfino dal farla riaffiorare dalla sua mente, tanta era la paura delle conseguenze negative che sicuramente avrebbe subito.
Per i giorni che si susseguirono, Riku cominciò a comportarsi come un vero fratello, tanto che Roxas cominciò quasi a dimenticare l’avvenuto.
Fino a quella notte.
L’incantesimo che aveva tenuto a freno le sue voglie perverse si stava spezzando, e prima o poi avrebbe studiato un piano per portarselo a letto senza che nessuno scoprisse nulla.
Le immagini di quei ricordi lontani ma scolpiti ormai nella coscienza, riemersero nella mente offuscata di Roxas che, sfinito dagli avvenimenti di quelli sera, cadde ben presto nelle braccia del dio del sonno, senza nemmeno notare la figura che lo osservava a pochi metri dal suo letto.

 
***

 
Il dolce tepore del sole colpì il viso disteso e rilassato di Roxas, il quale accolse con gemito di piacere quel dolce risveglio. Pochi secondi dopo, però, cacciò la faccia sotto le coperte ed emise un brontolio infastidito quando la sveglia iniziò la sua solita routine mattutina, diffondendo in tutta la stanza un suono simile allo starnazzo di una gallina.
“E teoricamente dovrebbe essere il verso di un gallo...Non la sopporto!” Incapace di alzarsi, ritirò la testa sotto il cuscino, nel tentativo di attutire inutilmente il rumore.
Poco dopo, Larxene fece irruzione nella camera, convinta che fosse entrato un animale in agonia.
“Ha cambiato di nuovo sveglia!” Osservò tappandosi le orecchie e dirigendosi verso il comò per spegnerla.
“Grazie, Larxene!” Disse mentalmente Roxas, lieto di poter riprendere il sonno rubato.
Ma le coperte furono sollevate e i cuscini tolti, cosicché Roxas vi dovette rinunciare e pigramente si alzò.
-Pronto ad accogliere questa nuova giornata? - Chiese allegramente Larxene.
-Direi di si!- Rispose il ragazzo, senza nascondere la sua poca convinzione.
La giovane donna sorrise e chiuse la finestra, rimasta ancora aperta dalla notte prima.
I suoi capelli lunghi fino al collo e del colore del sole, emanavano riflessi che risplendevano in diverse sfumature di giallo vivo e luminoso. Roxas osservò i due notevoli ciuffi sbarazzini che le ricadevano dietro la testa.
“Sembrano le antenne di un’ape curiosa”. Disse ridendo fra sé e scendendo le scale, dirigendosi verso la cucina.
Anche Larxene aveva cambiato atteggiamento e ora sembrava a tutti gli effetti una madre affettuosa e affaccendata, anche se probabilmente quel cambiamento (o forse quella maschera) le dovevano aver richiesto non pochi sforzi.
Roxas notò subito la casa vuota, a parte la sua matrigna.
Suo padre probabilmente era in paese per firmare i contratti che prevedevano la vendita del locale dove avrebbe collocato il suo negozio di orologeria, mentre Riku...beh, Riku era imprevedibile, poteva essere dovunque.
Alla sua immagine, Roxas ebbe un brivido.
Si affrettò a finire la sua colazione e decise di uscire ad esplorare la zona, sperando così di incrociare il meno possibile il fratellastro, per quel giorno.
Prese distrattamente il leggero giubbino di pelle marrone e dopo pochi secondi camminava lungo il viottolo di pietra, dirigendosi nella direzione opposta al paese.
“Che io sappia, la nostra dovrebbe essere l’ultima casa. Dove può portare, quindi, questo sentiero?”. Si domandò curioso, affrettando il passo.
Man mano che procedeva, il vento cominciò a diminuire, affievolendosi poi del tutto, come l’ultimo brillio di una candela che si spegnava soffocata dall’assenza di ossigeno.
I rami degli alberi interruppero improvvisamente la loro danza col vento, tornando immobili e curvi presso il ragazzo, che sentiva come se tutto si fosse fermato per osservare il suo arrivo, unico passatempo in quella natura morta e desolata.Se fino a quel momento non aveva provato nulla, ora sentiva il cuore salirgli in gola e il respiro farsi affannoso.
“Questo posto...sembra quasi vivo. Morto e vivo allo stesso tempo.” Pensò, senza accorgersi che stava iniziando a correre.
Anche se il sole era alto e la primavera era sul punto di mostrare il suo splendore, Roxas sapeva che non avrebbe mai ridato veramente la vita a quel luogo; avrebbe solo nascosto temporaneamente la bruttezza e la sinistra essenza che emanava.
“Forse sto impazzendo veramente. Ma questa sensazione è così opprimente e così concreta, che non può essere una semplice paura!”
Smise di correre, quando si accorse che il sentiero era finito e lo aveva condotto sino a un cancello, che dava all’entrata di un enorme giardino, delimitato da un recinto circondato da un muro di pietra biancastro.
*La vegetazione aveva invaso quel luogo e lo aveva trasformato in una piccola jungla, dalla quale emergeva qualcosa che a Roxas parvero delle figure: delle figure umane.
Era un giardino abbandonato. Un giardino di statue. Quello strano spettacolo delle statue braccate dalla vegetazione, gli fece pensare che fosse un piccolo cimitero di paese.
Un portale di lance di metallo sigillate da catene arrugginite, impediva l’entrata. Lontano, oltre al giardino, si ergeva il profilo di un folto bosco che sembrava prolungarsi per molte miglia.
Roxas, ipnotizzato, appoggiò il viso fra le lance della porta ed esaminò l’interno. La sterpaglia, con gli anni, aveva invaso tutto il terreno e conferiva al luogo l’aspetto di una serra abbandonata.
“Probabilmente nessuno mette piede qui dentro da un bel po’ di tempo.” Osservò.
Non riusciva a distinguere la forma e il volto di nessuna statua e la curiosità lo incitava a scoprirlo.
Si guardò intorno, alla ricerca di un sasso che potesse permettergli di rompere il lucchetto che tratteneva le catene.
Trovò una pietra grossa quanto la sua mano e piuttosto pesante e cominciò a dare colpi ripetuti al lucchetto, finché non sentì l’anello cedere e rompersi. Le catene penzolarono libere dalle sbarre come trecce di una capigliatura metallica, per poi cadere pesantemente a terra, lasciando finalmente libero l’ingresso al giardino.*
Nonostante l’aspetto macabro e lugubre del posto, la curiosità vinse, reprimendo ogni forma di timore. Fece per spingere le sbarre ma una voce lo bloccò. Una voce femminile, vicinissima e dietro di lui.

Fine.

_Beh...meglio tardi che mai, no? *tirano cartaccie* lo so, lo so, sono vite che non posto qui su EFP e francamente non so come sia resuscitata dall'oltretomba °A° In questo capitolo c'è moltissimo di Zafon. La descrizione del giardino di statue è praticamente copiata dal libro. Non dovrei, però mi piaceva moltissimo e ho voluto metterla. Specifico quindi che la parte del giardino NON è di mia invenzione. Questa non è altro che una fan fiction costruita sulla sua storia, con una serie di elementi nuovi che (almeno quelli XD) ho aggiunto io. Spero vi sia piaciuto, ho unito due capitoli :3 Alla prossima!

  
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