Capitolo 5
–
È così facile capirlo
Si chiama
entropia; è come quando esce il dentifricio dal tubo e non
può più rientrare
dentro.
(Woody Allen, Whatever works)
Sirius Black si appoggiò con la schiena alla porta chiusa, il bel viso nascosto fra le mani a celare una smorfia di disperazione completa.
Nella
sua testa, i pensieri
vorticavano tanto velocemente da far male.
Era
finito in un enorme,
gigantesco, stratosferico casino. Anzi, ci si era gettato di propria
iniziativa
senza riflettere a sufficienza, come gli era successo tante altre
volte. Ma
questo pasticcio era infinitamente più compromettente,
disastroso e senza via
d’uscita di tutti gli altri in cui si fosse mai cacciato in
vita sua.
Sbatté
violentemente un pugno
contro la porta, nel tentativo di incanalare all’esterno
almeno una piccola
parte della rabbia e della frustrazione che stava provando in quel
momento. Ma
non servì a nulla. Aveva rovinato tutto, e non
c’era nessuna soluzione
possibile.
Continuava
a chiedersi come
diavolo gli fosse saltato in mente di fare una cosa del genere. Lui non
era
così, non era uno di quelli. Non gli piacevano gli uomini.
Certo, le ragazze
non l’avevano mai particolarmente divertito. Era
perfettamente consapevole del
fascino che aveva da sempre esercitato sulla popolazione femminile di
Hogwarts
fin da quando non era altro che un ragazzino imberbe, ma non aveva
approfittato
che di un centesimo delle possibilità che questa sua
popolarità gli offriva.
Aveva provato il sesso come ogni ragazzo della sua età
desiderava fare, ma poi
finiva lì; quelle piagnucolone con miliardi di sbalzi
umorali non facevano per
lui. Troppo complicate. Quello che Sirius amava erano i rapporti
diretti, alla
mano, senza filtri. Quello che amava era stare con i suoi amici, i
Malandrini,
con cui aveva costruito esattamente quel tipo di relazione che era in
grado di
dargli le massime soddisfazioni. Era molto più spassoso
andare a tirare una
Caccabomba nel campo di Quidditch durante gli allenamenti della squadra
di
Serpeverde piuttosto che sprecare il suo tempo a cercare di capire
cos’avesse
detto che non andava per far infuriare a morte una donna.
Perciò, al contrario
di James che non aveva mai desiderato altro che riuscire a farsi notare
da
Lily, non aveva mai sprecato tempo alla ricerca di una relazione
stabile. Ma
questo non significava che gli piacessero gli uomini. Quando aveva
voglia,
schioccava le dita e aveva subito una ragazzina sognante pronta a
soddisfarlo.
Poi finiva lì. C’era una bella differenza tra
questo e dire che gli piacessero
gli uomini.
Strinse
violentemente i pugni
lungo e fianchi e digrignò i denti, come per ringhiare
contro uno scocciatore
invisibile. Non riusciva a capire che diavolo gli aveva preso. Doveva
darsi una
calmata, immediatamente; tutta quella tensione era insopportabile.
Afferrò
una delle sedie che si
trovavano intorno al tavolo della cucina e vi si accomodò
sopra, prendendo a
dondolarsi sulle gambe posteriori. Si inclinava avanti e indietro,
fissando il
vuoto, e intanto rifletteva. Era sempre stato il suo modo per
schiarirsi le
idee, anche se non di rado i suoi amici lo avevano preso per pazzo,
quando lo
vedevano entrare in quella specie di trance. Era capitato spesso
che le
comode ed ambite poltrone della sala comune venissero perentoriamente segregate
ogni
qualvolta lui ne avesse bisogno.
Nel
momento in cui eri il primogenito dei Black, farsi obbedire dagli
appartenenti
al mondo magico non era per nulla difficile; il suo era comunque un
nome
temuto, verso il quale si facevano ancora tante riverenze. Perfino a
lui, che
era stato diseredato ed eliminato, con un’antiestetica
bruciatura, dal lussuoso
arazzo sul quale erano intessuti i nomi dei suoi parenti più
o meno remoti. Ora
aveva un’altra cosa in comune con Andromeda, oltre al fatto
di essere un
ribelle come lei. Aveva sempre adorato la cugina. Probabilmente senza
di lei
ora sarebbe stato mentalmente soggiogato dal pensiero della razza pura
che i
suoi genitori bramavano tanto di inculcargli. Se lo avessero visto poco
fa,
però, probabilmente si sarebbero suicidati per la
disperazione. Non solo il
loro primogenito, che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio
del casato, li
aveva rinnegati facendosi Smistare a Grifondoro, infangando il loro
nome e
facendo comunella con un Babbanofilo Potter,
ma ora aveva persino osato sfidare i naturali costumi sessuali
gettandosi in
atteggiamenti riprovevoli con un Mezzosangue Lupo Mannaro.
Magari gli sarebbe direttamente venuto un
colpo apoplettico e me ne sarei liberato una volta per tutte,
pensò, con un ghigno.
Ma
stava divagando da quello che
avrebbe dovuto essere l’oggetto principale delle sue
elucubrazioni. Si disse
che doveva ricercare una causa ben precisa per quel suo comportamento,
perché
di sicuro non poteva essere che gli piacessero gli uomini. Lui era un
Black,
che diamine. Non una femminuccia.
Era
stato Remus. Era tutta colpa
di Remus. L’aveva fatto perché lui non accennava a
capire, nonostante tutti i
tentativi che aveva fatto di comunicare con lui, di cercare un modo per
scusarsi che non comprendesse l’opzione di umiliarsi
nuovamente di fronte a lui
in maniera così plateale come gli era toccato fare quando
quella maledetta cosa
era appena successa. Si era sforzato di trovare mille modi per fargli
intendere
che voleva far tornare le cose fra loro come erano prima di quello
scherzo, ma
Remus non ci era mai arrivato, dannazione. Aveva sempre fatto finta di
niente,
consapevolmente o meno. Non accennava a volerlo perdonare una volta per
tutte.
Infieriva ancora con quel suo occasionale e sottile sarcasmo, che
Sirius non
riusciva più a sopportare. Aveva fatto di tutto per riuscire
a dirglielo in
modo diretto, ma non ci era mai riuscito. Quando capitava
l’occasione, finiva
sempre per sentirsi uno stupido.
Poi
la sera prima, anche se non
si ricordava bene come, doveva aver invitato Remus a fermarsi da lui
per la
notte. Fin da quando aveva acquistato la casa, quell’idiota
non aveva mai
approfittato della sua offerta, palesata mesi prima, di usufruire
all’occorrenza della stanza per gli ospiti di cui Sirius
disponeva. Preferiva
tornare a casa da suo padre, che probabilmente si sentiva solo. Beh, se
era
così, si sentiva solo da una vita, e ci si era molto
probabilmente abituato
alla perfezione. Perché la madre di Remus era morta quando
loro facevano il
quarto anno a Hogwarts, e lui di sicuro non aveva potuto mollare gli
studi per
stare con il padre. Oltretutto, per quanto Sirius sapesse che fosse
cattivo
pensarla così, il padre sembrava aver quasi paura di Remus,
per via della sua
natura. Era apparso molto contento, quasi sollevato, quelle volte che
Sirius,
Peter e James erano venuti a prendere Remus durante le vacanze estive
per
portarlo a trascorrere la notte della trasformazione da
un’altra parte. Non
sapeva che fossero Animagi, ma non aveva mai fatto loro domande.
Evidentemente,
riteneva per lui che fosse molto meglio così. Del resto, era
un figlio di
Babbani, e su quelle cose i figli di Babbani cascavano sempre come pere
cotte;
solo a un incosciente sarebbe saltato in mente di andare a prendersela
con
Fenrir Greyback, che era noto anche alla sua famiglia per la ferocia
con cui si
scagliava alla ricerca di giovani vittime da mordere. Ma per fortuna
c’erano
loro ad aiutare Remus e a stargli vicini.
Comunque,
per farla breve, la
scusa di dover stare vicino a suo padre non reggeva. Era vecchio, va
bene, e i
figli di Babbani non vivono tanto quanto i maghi Purosangue, ma se
qualche
volta Remus fosse rimasto a dormire da lui anziché mettersi
in viaggio sulla
scopa all’alba per tornare fino nel Sussex non avrebbe fatto
del male a
nessuno. La sera scorsa, poi, sarebbe stato da pazzi mettersi in
viaggio con la
neve. Solo quell’incosciente di James poteva rischiare tanto,
ma la nuova casa
sua e di Lily era a pochi passi da dove si erano sposati.
Tuttavia
Remus, con quel suo
odioso distacco e quella sua ironica dialettica, pretendeva di essere
credibile
propinandogli quella panzana.
Ridicolo.
Sirius non ci era mai
cascato. Non aveva insistito, comunque, fino alla sera prima. Gli si
era
presentata davanti la possibilità di controbattere ai suoi
rifiuti con
argomentazioni inoppugnabili, di fronte alle quali nemmeno quel
precisino aveva
potuto opporsi efficacemente. Poi però ricordava solo di non
essere più
riuscito a reggersi bene sulle gambe, di aver avvertito uno strappo a
livello
dell’ombelico e di essere stato catapultato fino al cancello
di casa. A quel
punto, probabilmente, gli era venuto da vomitare.
Perché
ovviamente Remus non
l’aveva avvertito prima di Smaterializzarsi, così
lui non aveva potuto
prepararsi psicologicamente all’idea. Davvero carino da parte
sua.
Ma
stava divagando ancora, doveva
concentrarsi sulle cose importanti.
Per
farla breve, quando si era
svegliato quella mattina, tutta l’euforia alcolica gli aveva
lasciato soltanto
un gran cerchio alla testa. Stranamente, però, si era
ritrovato con le coperte
addosso e non, come al solito, gettate impietosamente a terra
lasciandolo a
patire il freddo. Evidentemente l’ubriacatura gli aveva
concesso un sonno
profondo come un sasso, tanto che non si era agitato e rigirato in
continuazione, come sempre gli succedeva durante la notte. Aveva
assaporato il
calore della coperta di lana per un tempo smisuratamente lungo prima di
decidersi ad alzarsi; nel momento in cui, però, aveva
drizzato le orecchie e
udito dei rumori sospetti provenienti dalla cucina, non ci aveva messo
molto ad
afferrare la bacchetta e a dirigersi di soppiatto verso la stanza in
cui si
trovava il presunto intruso. Per poi scoprire che si trattava
semplicemente di Remus
che aveva preparato la colazione.
Si
tuffò nel ricordo, ormai
totalmente assorbito da quel compito vitale che consisteva nel
ricercare
l’esatto istante in cui tutto aveva avuto inizio.
*
“Non
c’era bisogno che ti dessi
così tanto da fare”, gracchiò Sirius,
con voce roca. Remus corrugò la fronte,
senza staccare gli occhi dalle tazze di caffè che stava
posando con attenzione
sul vassoio.
“Avevo
fame”, ribatté,
semplicemente. Lui scoppiò a ridere, divertito, gettando la
testa all’indietro.
“Per
una volta hai fatto una cosa
sensata, allora”, gli disse, afferrando una fetta di pane
tostato e divorandola
in due bocconi.
“Che
vuoi dire?” gli domandò il
licantropo.
“Beh”,
cominciò Sirius, con la
bocca ancora piena, “se non sbaglio, ti ho detto di fare come
se fossi a casa
tua”.
“Oh,
sì, può darsi che tu abbia
bofonchiato qualcosa del genere ieri sera, prima di cadere a peso morto
sul
materasso senza nemmeno infilarti sotto le coperte”.
“Ma… ma allora come… mi ci hai
messo tu…?”
“Già,
non avevo nessuna voglia di
sorbirmi le tue lamentele appena alzato perché ti avevo
lasciato a dormire con
le chiappe al gelo”.
Sirius
lo osservò con
perplessità, stringendo la bocca. Perché gli
piaceva tanto rigirare i punti di
vista, al punto da far sembrare faccende prive di importanza dei veri e
propri
gesti di gentilezza? Era stato carino, da parte sua, metterlo sotto le
coperte.
Avrebbe potuto lasciare che si arrangiasse. Figurarsi cosa gliene
importava, al
signor Remus John Lupin, di sorbirsi per l’ennesima volta
delle recriminazioni
da parte sua. Sirius aveva sempre adorato
avere qualcosa da ridire con lui. S’inventava qualsiasi
facezia pur di
riuscirci. Perché Remus non si arrabbiava quasi mai e,
quando lui riusciva in
quell’intento, ne traeva un’autentica ed impagabile
soddisfazione. Molta più di
quanta ne provava quando rispondeva correttamente ad una domanda della
McGranitt pur essendo stato colto in un momento di totale disattenzione.
Eppure,
nonostante questa sua
sadica tendenza, Remus era comunque suo amico. Più o meno.
Mangiarono
in silenzio totale per
qualche minuto. Gli aveva perfino fatto i pancakes. Ci versò
sopra un quintale
di marmellata, pensando che forse, dopotutto, Moony non lo odiava poi
così
tanto. Forse gli era passata, finalmente. Forse era stata solo una sua
impressione che ce l’avesse ancora con lui.
“Beh,
come hai potuto vedere qui
non è poi tanto male”, gli disse, cercando di
instaurare un dialogo pacifico.
Remus, in tutta risposta, inarcò un sopracciglio.
“Già,
soprattutto dopo che mi hai
praticamente costretto a fermarmi”, commentò.
Sirius ritirò mentalmente le
dichiarazioni formulate finora: che ci fosse ancora
dell’astio era evidente.
“Dato
lo scarso entusiasmo con
cui hai accolto questa costrizione,
perché ti sei impegnato tanto? Avresti potuto
tranquillamente lasciarmi sulla
porta di casa e andartene, tanto non me lo sarei ricordato”.
Lo
osservò impallidire
leggermente – già, Remus non arrossiva come tutti
i comuni mortali, al
contrario: tendeva ad assumere un colorito ancor più
cadaverico se messo in
imbarazzo – ed esultò mentalmente, convinto di
aver avuto la prova che aveva
colto nel segno. Anche se non capiva come diavolo potesse odiarlo e al
tempo
stesso preoccuparsi di lui.
“Non
ti scaldare tanto, lo faccio
solo perché non voglio avere sulla coscienza la tua sindrome
dell’abbandono ora
che James si è sposato ed è andato a vivere con
Lily”.
Ma
che accidenti stava dicendo?!
Era
vero, lui e James erano
sempre stati estremamente uniti, avevano perfino vissuto insieme per
due
estati. Ma Sirius aveva ormai metabolizzato la presenza di Lily ed
imparato ad
accettarla. Tanto, sapeva che poteva Smaterializzarsi in ogni momento a
casa
loro, se ne avesse avuto voglia. Non abitavano così lontano.
E avevano ancora
gli specchi, il che equivaleva alla possibilità di
comunicare in ogni momento.
Quale astruso processo mentale aveva fatto partorire quel pensiero alla
mente
contorta di Remus?
“Piantala
con le tue teorie
psicanalitiche campate in aria”, tagliò corto,
deciso a non dargli corda. Non
era particolarmente in vena di discutere. Il modo in cui lo trattava
era
assolutamente incoerente e privo di ogni logica; se davvero non aveva
intenzione di perdonarlo per quello scherzo, perché non
l’aveva lasciato
perdere fin da subito? Bastava dirgli con chiarezza, fin dal momento in
cui
aveva saputo di aver quasi ucciso Piton: Sirius
Black, sei un idiota senza cervello e io non voglio avere
più nulla a che fare
con te. Dove stava il divertimento nell’aver scelto
di prolungare la sua
agonia? Evidentemente, Remus era sadico tanto quanto lui.
“Va
bene, vedo che ti sei alzato
con il piede sbagliato”.
Sirius
lo osservò alzarsi ed
uscire dalla cucina in perfetto silenzio, mantenendo il volto contratto
nella
sua miglior espressione imbronciata. Aveva davvero della faccia tosta
ad
accusarlo in quel modo di cose inverosimili. Era terribilmente
frustrante.
Tutto l’impegno che stava incanalando nei confronti di Remus
non solo veniva da
lui ignorato, ma perfino travisato. Per una volta che James non
c’entrava
nulla, ecco che lui doveva intervenire a tirarlo in ballo. Per Merlino,
cosa
diavolo era? Un complesso d’inferiorità?
“E
dai, non andartene via
subito”, brontolò, vedendolo afferrare il mantello
logoro dall’attaccapanni.
Remus inarcò un sopracciglio, con aria scettica.
“La
sbornia ti è passata, questa
notte saprai metterti il pigiama senza bisogno che ci sia io a
supportarti
fisicamente”, ribatté, e a Sirius toccò
chiedersi che diavolo stesse dicendo.
“Oh.
Non te lo ricordi?”
sghignazzò infatti Remus. Lo osservò ridere di
gusto, non sapendo se unirsi a
lui o se doversi vergognare.
“Andiamo,
com’è possibile che non
riuscissi nemmeno a spogliarmi per mettermi a letto?” gli
chiese, incapace di
resistere alla curiosità. Remus rise ancora di
più.
“Beh,
stavi cercando di farlo, ma
sei rimasto più o meno incastrato nei vestiti e non sapevi
più come uscirne…”
“Ah
ah, molto divertente”,
bofonchiò Sirius, guardandolo storto. Remus rideva davvero
di rado, pensò.
Forse avrebbe dovuto andare fiero di essere la causa di tanta
straordinaria
ilarità.
“In
ogni caso”, riprese, dopo
essersi ricomposto, “non voglio darti altro disturbo,
perciò…”
“Oh,
e piantala!”
Sirius
si alzò in piedi e andò
dritto verso di lui, con un impeto che non sapeva da dove gli sorgesse.
“Non
mi dai alcun disturbo. Smettila
di dire sciocchezze”, gli ordinò, togliendogli il
mantello dalle mani con un
gesto secco.
Per
qualche secondo si
squadrarono in completo silenzio, le fronti corrugate e le labbra
serrate, gli
occhi grigi e ardenti di Sirius fissi in quelli chiari di Remus.
“Qual
è il problema, Sirius?” gli
chiese Remus, in tutta calma, come se davvero
non capisse cosa c’era che non andava, quando
l’unica causa del problema,
in tutto questo, era soltanto lui.
Lui che non voleva perdonarlo, che si ostinava a trattarlo in quel
modo. Sirius
sospirò, esasperato, allargò le braccia e scosse
la testa. Non voleva crederci,
per lui era troppo da sopportare.
Perché
doveva farla così difficile, cosa voleva di più
da lui?
Forse
era soltanto per via di
quello stupido complesso nei confronti di James, forse doveva solo
dimostrargli
che teneva anche a lui, che non gli importava solo di James o di se
stesso. Forse…
“Che
diamine, è così facile
capirlo”, disse, parlando tra sé, come se Remus
non ci fosse.
“Che
cosa?” domandò
lui.
Beh,
ma era chiaro… dato che gli
aveva giocato quello scherzo, Moony aveva cominciato a pensare che non
tenesse
abbastanza alla loro amicizia. Ma non era vero, anzi, era tutto
l’opposto! Per Merlino…
“Sirius,
ne ho un po’ abbastanza di
questi tuoi criptici modi di fare, perciò, se non hai
intenzione di dirmi di
che si tratta, lasciami andare a casa”, si sentì dire, con una vena di impazienza che lo fece irritare di colpo.
Il
secondo dopo, Sirius assecondò
un impulso che non capì assolutamente da dove gli nacque.
Si
avvicinò pericolosamente a
Remus e gli prese il viso tra le mani, per poi premere le labbra
violentemente
contro le sue. Il cuore gli balzò nel petto. Ecco, era
questo che avrebbe
dovuto fare già da tempo. Perché non capiva, perché? Approfondì
il bacio, insinuando la lingua nella sua bocca
attonita. Lo sentiva immobile, inerte, incapace di reagire. Voleva solo
dimostrarglielo, dimostrargli che lui ci teneva. Che per lui era
importante.
Che lo voleva nella sua vita. Che lo voleva…
Stava
succedendo qualcosa di
strano.
Remus
aveva dischiuso le labbra,
più di quanto non gli consentisse prima la sua espressione
sbigottita. E lui lo
stava ancora baciando.
Perché? Perché
sentiva così voglia di farlo? Era bravo a baciare, lo
sapeva. Tante ragazze
gliel’avevano detto. Glielo stava dimostrando, che era bravo.
E ora Remus
rispondeva, muoveva la lingua contro la sua, anche se il resto del suo
corpo
era come pietrificato… forse quello era un segnale… forse stava iniziando a
capire cosa voleva dirgli. Forse voleva dirgli che per lui era lo
stesso – lo
stesso cosa? E perché ora si sentiva incredibilmente
eccitato? Cosa diavolo gli
stava succedendo?
Non
voleva smettere. Godric solo
sapeva che non voleva smettere.
Se
quello era l’unico modo…
Ma
non era per quello. Era così…
disperato.
Lo
voleva così tanto.
Lo
spinse contro la porta e gli
aprì la camicia, con violenza.
Remus
fece per tirarsi indietro, ma
non poteva andare da nessuna parte.
Gli
infilò una mano tra i
capelli, tirò e strinse e accarezzò.
L’erezione
era quasi dolorosa,
probabilmente non aveva più sangue alla testa dato che non
capiva più un
accidenti. Doveva sfogarsi, doveva…
Ma
quando Remus allungò una mano
a sfiorargli il fianco si spaventò.
Balzò
indietro, di colpo. Lo vide
ritrarre subito la mano, lo sguardo fisso a terra.
In
quel preciso istante, Sirius
Black provò la più grande sensazione di vergogna
di tutta la sua vita.
Le
gambe presero a tremargli
visibilmente, in preda ad un’agitazione convulsa.
Mancava
poco che non respirasse
più.
Fu
Remus ad espirare
rumorosamente al suo posto. Come se avesse trattenuto il fiato per
tutto il
tempo. Sirius alzò gli occhi su di lui, lentamente, e rimase
a fissarlo
stringendo le mani sulle gambe, nel vano tentativo di far cessare quel
tremolio
assurdo.
Remus
lo guardava come se stesse
osservando una specie di alieno, con gli occhi sgranati e colmi di
stupore, e
Sirius si sentì pervadere da un moto di rabbia. Non aveva
fatto tutto da solo,
non era giusto fissarlo con quegli occhi, come a volergli dare tutta la
colpa. Lui… lui non sapeva più cosa fare. Quello era
l’unico balzano modo in cui gli era
saltato in testa di poter provare ad aggiustare le cose. Ma era stata
una
sensazione devastante. Remus aveva smesso di essere il suo amico di
sempre, in
quel momento. Non era quello che aveva provato, no, non amicizia. Era
stato
qualcosa di completamente diverso. Non era preparato ad una sensazione
del
genere, non era preparato al modo in cui il suo corpo aveva reagito.
Come diavolo
gli era saltato in mente?
“Forse
è meglio che me ne vada”.
Sentì
un colpo al cuore. Non si
aspettava di sentirsi dire questo. Fuggire di fronte alle
difficoltà… una reazione
da vero Grifondoro. Complimenti, Remus John Lupin.
Sollevò
su di lui uno sguardo
colmo d’ira e di risentimento, come se volesse incenerirlo
sul posto.
“Sì,
forse è meglio”, scandì, con
voce tagliente. Solo qualche secondo dopo si accorse di avere ancora
stretto in
mano il mantello di Remus. Glielo porse con un gesto secco, trovando
ancora più
irritante il modo in cui se ne stava lì in silenzio, ad
aspettare che lui se ne
rendesse conto. Per Merlino, non era stata solo volontà sua.
Avrebbe potuto
scansarlo, respingerlo, fermarlo. Ma no, non l’aveva fatto.
Remus aveva risposto. Se
n’era accorto, eccome se se
n’era accorto. E ora lo lasciava lì
così, senza una sola parola di spiegazione?
“Ciao,
Sirius”, lo salutò,
inforcando la porta. Si sentì esplodere dalla rabbia e
richiuse l’uscio con un
colpo violento, assicurandosi che si avvertisse la forza bruta che
aveva
volutamente messo in quel gesto. Poi appoggiò la schiena
allo stipite,
coprendosi il volto con le mani. Mezzora dopo era ancora lì,
nella stessa
posizione.
*
Remus
vagò a lungo per le strade
di Londra, quella mattina, senza una meta precisa. Sentiva soltanto
l’impellente bisogno di sfogare, in una qualche maniera, la
tensione e la
frustrazione che gli attanagliavano le viscere.
All’inizio,
desiderò ardentemente
poter dimenticare ogni singolo istante di quanto era successo a casa di
Sirius.
Sarebbe stato meglio per tutti, cancellare l’imbarazzo, la
vergogna e
l’umiliazione con un colpo di spugna. Sia lui che Sirius
avrebbero tirato un
sospiro di sollievo, ne era certo. E non ci sarebbe stato alcun bisogno
di
fingere che tutto andasse bene davanti a Peter o James, per fare in
modo che
non capissero quello che era successo.
Soprattutto,
lui e Sirius
avrebbero potuto continuare ad essere amici.
Perché,
dopo quello che era
successo, non era affatto sicuro che ci fossero le condizioni per
proseguire in
tal senso.
Ma
dimenticare non era possibile.
Che cosa potevano fare? Smettere di vedersi? Inutile anche solo
tentare. Gli
impegni con l’Ordine li avrebbero comunque portati ad
incrociarsi spesso. Senza
contare che gli altri avrebbero cominciato a fare domande e questa, ne
era
certo, era la cosa che meno di tutte lui e Sirius desideravano.
Era
una faccenda che riguardava
esclusivamente loro due.
E
poi, che facce avrebbero fatto
James e Peter se mai l’avessero raccontato loro?
Probabilmente Peter sarebbe
svenuto e a James sarebbero usciti gli occhi fuori dalle orbite.
Potevano
essere le persone dalle più larghe vedute di questo mondo,
ma si trattava di
due loro intimi amici che, a dispetto di ogni loro aspettativa, si
erano messi
a pomiciare come adolescenti in calore. Nessuno dei due avrebbe potuto
prendere
la notizia con serenità e nonchalance, questo era fuori
discussione.
Per
cui, l’unico con cui doveva
vedersela era Sirius.
Era
la prima volta da quando
erano diventati amici che c’era qualcosa esclusivamente tra
loro, in cui James
non fosse coinvolto. Era facile supporre che, questa volta, Sirius non
sarebbe
corso dal suo migliore amico a raccontargli tutto. Era una strana
sensazione,
un formicolio che gli risaliva rapido lungo la nuca e lo faceva
rabbrividire di
colpo, anche se era ben chiuso nel suo mantello a proteggersi dal
freddo di
dicembre. Quasi con orrore, Remus realizzò che gli faceva piacere che fosse così, che
per una volta il primogenito Black
avesse concentrato tutte le sue attenzioni esclusivamente su di lui,
puntandogli addosso quegli occhi fiammeggianti e avventandosi su di lui
in
quella maniera.
Il
cuore gli martellava ancora
furiosamente nel petto. È
perché sto
camminando troppo veloce, si disse. Provò a
rallentare il passo. Non aveva
idea di dove fosse, nella maniera più assoluta. Non
conosceva bene Londra e il
suo senso dell’orientamento era sempre stato particolarmente
scarso.
Sospirò
e decise che doveva
riflettere con ordine.
Prima
domanda. Avrebbe potuto
prevederlo?
No.
Assolutamente no.
Indipendentemente dal fatto che Sirius Black fosse una persona
imprevedibile,
quella volta aveva decisamente superato se stesso. Infatti, quando
aveva chiuso
improvvisamente le distanze fra loro, lui era rimasto pietrificato per
diversi
secondi prima di reagire. E anche nei momenti immediatamente
precedenti, non
aveva ricevuto segnali di alcun genere. La notte prima era andato a
dormire di
malavoglia, la testa affollata da mille pensieri, dopo aver infilato il
pigiama
all’ubriachissimo proprietario di casa. Ma che
c’era di ambiguo in quello? Si
erano sempre comportati così, fra loro. Bisticci e
frecciatine ad ogni
occasione, ma poi lui era sempre il primo a difenderlo o ad aiutarlo
quando ce
n’era bisogno; anzi, lo faceva con una ferocia che alle volte
lo lasciava
sorpreso. Lo stesso aveva sempre fatto lui, seppur in modi meno
plateali. Era
esattamente su quello che stava riflettendo prima di andare a dormire.
Però
no, non avrebbe potuto
prevederlo.
Avrebbe
potuto evitarlo?
Forse,
ma era con le spalle alla
porta. Sirius non gli aveva lasciato molte possibilità di
fuga. E lo sconcerto
era stato più forte di ogni capacità motoria.
Però avrebbe potuto allontanarlo
da sé in ogni momento, sebbene Sirius fosse fisicamente
più forte. No, di certo
non poteva accusarlo di violenza.
Ora,
però, veniva la domanda più
importante. Perché l’aveva assecondato?
Si
portò una mano alla bocca in
un gesto delicato ed inconscio, che quasi lo spaventò.
Aveva
sentito con chiarezza ogni
cosa, eppure ora ricordava solo dettagli sfuocati e confusi. Le labbra
di
Sirius erano morbide come sembravano. Avrebbe
voluto morderle. Gli aveva strappato la camicia e sfiorato un
capezzolo –
ne era certo, l’aveva fatto apposta. E tutto quello che lui
aveva provato era
stato piacere. Storse la bocca in
una
smorfia di disgusto. Era semplicemente assurdo, mai e poi mai fino a
quel
momento aveva pensato a Sirius in quel
modo. La frequente tensione dovuta allo scontrarsi dei loro
caratteri
profondamente diversi, contrapposta all’affetto che comunque
si era creato fra
loro, era una cosa totalmente diversa. Non c’entrava nulla.
Sirius era suo
amico, perché era proprio così necessario
rovinare tutto sentendosi attratto da
lui? Possibile che non fosse capace di contaminare qualcosa di prezioso
con la
sua essenza di mostro?
Razionalmente
si rendeva conto
che la licantropia non c’entrava nulla, ma pensarlo era
più forte di lui.
Era
un deviato, un essere
pericoloso. Doveva stare alla larga da tutti, soprattutto da Sirius.
Si
rese conto che una simile
prospettiva lo gettava nello sconforto più nero e totale. Si
trattava dei suoi
amici, dei suoi unici, veri amici. Le sole persone che
l’avevano mai accettato
per quello che era, i soli che non avevano avuto paura di lui, ma anzi,
avevano
cercato un modo per fargli compagnia nella sua animalesca solitudine
del
plenilunio. Reagendo in quel modo, formulando quei pensieri, Remus li
aveva
traditi. Non capiva da dove saltasse fuori quel genere di reazione nei
confronti di Sirius, ma lui aveva sicuramente una scusa pronta per
quello che
aveva fatto. Probabilmente era stato un capriccio del momento, una
curiosità da
soddisfare o, perché no, un nuovo, divertentissimo scherzo.
Uno scherzo che
però, contrariamente ad ogni aspettativa e logica, a lui era
piaciuto.
Non
doveva mai più lasciare che
quella situazione si ripetesse. Altrimenti, tutto si sarebbe rovinato
irrimediabilmente. Avrebbe iniziato ad odiare Sirius perché
si prendeva gioco
di lui. E poi, un giorno o l’altro, James e Peter
l’avrebbero scoperto. E allora
sì che l’avrebbero guardato con orrore, scansato
ed emarginato, come qualsiasi
altra persona avrebbe già fatto al loro posto quando avevano
scoperto che era
un Lupo Mannaro.
Alzò
lo sguardo ad osservare il
cielo. Il vento era forte e le nuvole si spostavano veloci, senza che
una si
fermasse per aspettare l’altra, sospinte da una forza troppo
grande che di
sicuro non riuscivano a comprendere, né tantomeno a
contrastare.
Strinse
gli occhi e deglutì a
vuoto, accorgendosi solo in quel momento di avere un groppo alla gola.
Non voleva rimanere solo.
*
30 Agosto 1993
Quella
mattina, Remus aprì la
porta di casa a mente del tutto lucida. Nessun vuoto di memoria quel
giorno,
nessuno stato confusionale gli aveva fatto sovrapporre i piani
temporali.
Sapeva chi aveva bussato alla porta e che cosa voleva. Sapeva che Lily
e James
erano morti e che Sirius li aveva traditi.
Anche se una parte di lui non riusciva ancora
a crederci del tutto.
“Buongiorno,
Remus”.
“Buongiorno,
professore”.
Silente
gli sorrise cordialmente,
facendo il suo ingresso in casa di Remus. Questa volta era solo;
sospirò di
sollievo. Piton era sempre stato oltremodo sospettoso e di fronte alle
sue
imminenti dichiarazioni avrebbe probabilmente cominciato a sollevare
quesiti
inopportuni.
“Come
va stamane? Meglio?” gli
domandò il Preside.
“Oh,
sì, molto meglio. Credo che
la memoria sia tornata definitivamente a posto”, rispose
Remus, sfoggiando un
sorriso rassicurante con tutta la naturalezza possibile.
“Bene,
molto bene. Allora non
avrai più bisogno di questa”, disse Silente,
accennando alla fiala di pozione
verde smeraldo che sbucava dalla sua tasca destra. Remus
annuì, sforzandosi di
sembrare convincente.
“Non
è il caso di preoccuparsi,
signore. Credo proprio che sia stato l’effetto di una luna
piena particolarmente
devastante. Non ho ricordato nulla di strano o pericoloso. Mi dispiace
di
averla disturbata per niente”.
“Oh,
non ti devi preoccupare per
questo. Vedrai, con la Pozione Antilupo avrai molto sollievo. Ho
chiesto al
professor Piton di farti il favore di preparartela ogni mese”.
“La
ringrazio, signore. Sono
sicuro che la prossima sarà la notte da lupo migliore di
tutta la mia vita”.
Sapeva
benissimo che quella era
una gigantesca, colossale bugia. Le sue nottate migliori le aveva
già vissute,
anni fa, quando scorrazzava libero in compagnia di tre Animagi illegali
nei
dintorni di Hogsmeade, per poi tornare a sdraiarsi nel buio della
Stamberga
Strillante e risvegliarsi con un sorriso sul volto. Quei momenti non
sarebbero
mai tornati, né, men che meno, sarebbero mai stati
eguagliati da qualsiasi
altra esperienza in cui James, Peter e Sirius non sarebbero stati
presenti al
suo fianco.
Ma
non poteva tradirsi di fronte
a Silente.
“Allora,
verrai a Hogwarts,
Remus?”
“Se
proprio lei non ha nessun
altro a disposizione, signore…”
“Te
l’ho proposto perché ritengo
che saresti un eccellente insegnante”.
Remus
sorrise con aria
nostalgica.
“Già,
un passato nell’Ordine
della Fenice garantisce un buon curriculum a tutti”.
“Non
è solo questo”, rispose
Silente, con dolcezza. Il licantropo chinò lo sguardo a
terra.
“Lei
mi lusinga, signore”,
mormorò. La sua carriera di disoccupato era stata
così interminabile che, ora,
sentirsi proporre un posto di lavoro senza aver dovuto andare a
cercarlo era
quasi incredibile.
“Inoltre,
ho ragione di pensare
che ti farà piacere insegnare a Harry”, aggiunse
Silente, come per sollevarlo
dall’imbarazzo.
“Oh,
sì, moltissimo. È bello
sapere che c’è ancora una speranza
promettente”.
Il
Preside lo guardò attentamente
negli occhi, come se volesse cogliere un fremito delle sue emozioni.
Remus si
sforzò di rimanere tranquillo.
“Si
affezionerà a te”.
S’incupì
a quelle parole. Non si
aspettava una simile affermazione.
“Forse
è meglio che resti
all’oscuro dei miei rapporti con James. Sapere troppo
potrebbe ferirlo”.
“Non
è solo per quello, Remus. Harry
ha un gran cuore e gli piacerai, anche se non saprà che eri
amico di James”.
Il
licantropo sorrise, quasi
impercettibilmente.
“Le
crederò, signore”.
“Bene.
Viaggerai in treno?”
“Sì.
Ho sempre amato quel
viaggio”.
“Allora
ci rivedremo dopodomani a
Hogwarts”.
Silente
esibì un sorriso di
congedo e uscì a passi impercettibili dalla casa di Remus.
Lui richiuse la
porta alle sue spalle, poi sospirò e vi si
appoggiò contro di schiena.
Non
poteva dirlo al Preside,
perché aveva la forte sensazione che la cosa non lo
riguardasse. Ma la pozione
di Piton non gli era servita a ricordare cos’era successo
durante la notte di
luna piena del 2 agosto scorso. Non soffriva più di amnesie
mattutine e di
stati confusionali, ma quell’intervallo di vuoto completo era
rimasto: non
sapeva cosa avesse fatto la mattina dopo, come e dove si fosse
svegliato, come
fosse tornato a casa. C’era qualcosa, qualcosa…
come un chiodo che gli
graffiava un angolo della mente, ma che lui non riusciva ad afferrare.
Il suo
ricordo era ancora perso nell’oblio e lui doveva recuperarlo
da solo. Silente
aveva fatto per lui tutto ciò che poteva.
Nei
giorni scorsi, dopo che la
pozione di Piton aveva sortito il suo effetto e lui aveva recuperato
del tutto
la lucidità, si era messo a sfogliare i suoi vecchi libri di
scuola, alla
ricerca di una risposta. Se si fosse trattato di un semplice
Incantesimo di
Memoria, grazie alla pozione avrebbe ricordato. Era molto efficace e
un
pozionista abile come Piton non avrebbe di sicuro potuto sbagliare nel
prepararla. Invece, Remus non aveva ricordato un bel nulla.
Aveva
divorato febbrilmente
pagine su pagine, ritrovando vecchi appunti frettolosi scarabocchiati a
lato di
qualche paragrafo, ogni tanto messaggi con una grafia diversa
– quella di
James, o Sirius, che si divertivano a farlo imbestialire
pasticciandogli i
libri durante le ore di lezione. Si era morso le labbra e mangiato le
unghie
centinaia di volte, e ogni minuto il suo sguardo tornava a quel
mantello appeso
all’attaccapanni all’ingresso. Ora non aveva
problemi a ricordare che fosse di
Sirius. Avrebbe dovuto bruciarlo, gettarlo via, farlo sparire, ma il
pensiero e
il nome di Sirius gli risuonavano continuamente nella testa, come se
volessero
dirgli che era in quella direzione che doveva scavare. Dopo qualche
giorno,
aveva ritrovato il capitolo sugli Incantesimi di Memoria. Quello
classico era
spiegato molto bene, fin nei minimi dettagli, ma non era ciò
che gli serviva.
Alla fine del capitolo, c’era solo un breve paragrafo che
accennava ad un altro
tipo di incantesimo: uno che serviva non a modificare la memoria, ma a
cancellare. Il testo recitava così: questo
incantesimo permette di cancellare dalla mente della persona oggetto
dell’incantesimo il ricordo di uno o più episodi,
purché collegati da uno
stesso filo conduttore. Ma non specificava nulla di
più. Per ulteriori
approfondimenti, consultare un
testo di magia più avanzata. Probabilmente era di
difficile esecuzione,
poco conosciuto o praticato. Dato che la memoria non veniva modificata
ma
cancellata, era probabile che fosse per quel motivo che Remus non aveva
alcuna
reminescenza di quel determinato intervallo di tempo. Ma
perché quella
sensazione martellante che c’entrasse Sirius, soprattutto ora
che era evaso da
Azkaban? Si disse che forse era stato incosciente ad aver mentito a
Silente.
Forse Sirius, in qualche maniera a lui ignota, l’aveva
stregato in modo da
poterlo usare per avere accesso a Hogwarts. Più o meno in
tutto il mondo magico
si vociferava che mirasse ad uccidere Harry. La testimonianza di
Caramell, riguardo
agli ultimi, folli giorni di Sirius ad Azkaban prima
dell’evasione, era sulla
bocca di tutti. Poteva essere molto pericoloso, per lui, tornare a
Hogwarts, se
davvero rischiava di favorirlo inconsciamente in qualche maniera. Ma di
sicuro,
se esisteva una risposta alle sue domande, stava in qualche libro del
reparto proibito
della Biblioteca. Non ne esistevano di più fornite. Doveva tornare a Hogwarts, ad ogni costo.
Avrebbe preso il treno,
così, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe protetto Harry
durante il viaggio.
E a scuola lo avrebbe tenuto sempre d’occhio, di modo da non
lasciare a Sirius
la possibilità di avvicinarglisi, se questo era
ciò a cui mirava.
Sirius,
il suo padrino. Quello
che lo faceva volare per aria quando non aveva che pochi mesi, facendo
spaventare a morte Lily e ridere di gusto il bambino. Era incredibile.
Assolutamente incredibile.
Ma
ora doveva farsi coraggio e
tornare laggiù, dove risiedevano tutti i suoi ricordi
più dolorosi.
Inoltre
sentiva di dovere più di
un favore a Silente, dopo che, contro ogni previsione, anni prima gli
aveva
permesso di frequentare Hogwarts e ora, al di là di
qualsiasi aspettativa, era
tornato per offrirgli un impiego – probabilmente il
più dignitoso ed
interessante di tutta la sua vita, aggiunse fra sé.
Perciò, era sua intenzione
impegnarsi a fondo per ricompensarlo. Non voleva comportarsi di nuovo
da
ingrato, come aveva fatto nel momento in cui aveva permesso a James,
Sirius e
Peter di diventare Animagi illegalmente, soltanto per il desiderio
egoistico di
allontanare da sé la solitudine.
Sarebbe
stato un buon insegnante,
e avrebbe protetto Harry.
E
nel frattempo avrebbe cercato
delle risposte.
Never thought you'd
make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.
(Placebo, My
Sweet Prince)
Nota di fine capitolo: oh, beh.
È stato scritto quasi tutto mentre
ero sotto esame e con la colonna sonora dell’Ultimo
dei Mohicani di sottofondo, quindi, se è
delirante e tragico,
cercate di capirmi. Ho deciso di tornare anche per un attimo al
presente
nell’ultima parte, e probabilmente lo farò ancora,
perché il prologo di questa
storia non era campato in aria. C’è comunque un
collegamento con la tresca tra
Remus e Sirius che sta avendo luogo in quello che è il
“passato”. Insomma, alla
fine si capirà tutto (ho già lasciato troppi
indizi XD). Ho comunque aggiunto
una data anche al prologo dopo aver potuto fare le giuste ricerche;
sì, sono
maniacale, ma mi sono basata sulle reali date delle fasi lunari scovate
sui
calendari.
Inoltre,
penso proprio che da qui
in avanti molti capitoli assumeranno un punto di vista multiplo,
proprio come
questo, così da non perdere per strada i vari fili di
Arianna – che sono
veramente tanti, e se uscirò mentalmente sana dalla stesura
di questa fanfic
credo che mi stringerò la mano da sola XD. Spero di non
destare troppa
confusione nella lettura, altrimenti, se si inizia a non capire
più nulla, vi
prego, fatemelo notare.
Ad
ogni modo, grazie un sacchissimo a tutti. Ho
ricevuto delle recensioni stupende, talmente tanto che davvero non so
se me
le merito. Grazie, non smetterò mai di dirlo.