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Autore: Sophie Hatter    21/04/2011    3 recensioni
1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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Capitolo 5 – È così facile capirlo

 

 

Si chiama entropia; è come quando esce il dentifricio dal tubo e non può più rientrare dentro.

(Woody Allen, Whatever works)



 Dicembre 1979

Sirius Black si appoggiò con la schiena alla porta chiusa, il bel viso nascosto fra le mani a celare una smorfia di disperazione completa.

Nella sua testa, i pensieri vorticavano tanto velocemente da far male.

Era finito in un enorme, gigantesco, stratosferico casino. Anzi, ci si era gettato di propria iniziativa senza riflettere a sufficienza, come gli era successo tante altre volte. Ma questo pasticcio era infinitamente più compromettente, disastroso e senza via d’uscita di tutti gli altri in cui si fosse mai cacciato in vita sua.

Sbatté violentemente un pugno contro la porta, nel tentativo di incanalare all’esterno almeno una piccola parte della rabbia e della frustrazione che stava provando in quel momento. Ma non servì a nulla. Aveva rovinato tutto, e non c’era nessuna soluzione possibile.

Continuava a chiedersi come diavolo gli fosse saltato in mente di fare una cosa del genere. Lui non era così, non era uno di quelli. Non gli piacevano gli uomini. Certo, le ragazze non l’avevano mai particolarmente divertito. Era perfettamente consapevole del fascino che aveva da sempre esercitato sulla popolazione femminile di Hogwarts fin da quando non era altro che un ragazzino imberbe, ma non aveva approfittato che di un centesimo delle possibilità che questa sua popolarità gli offriva. Aveva provato il sesso come ogni ragazzo della sua età desiderava fare, ma poi finiva lì; quelle piagnucolone con miliardi di sbalzi umorali non facevano per lui. Troppo complicate. Quello che Sirius amava erano i rapporti diretti, alla mano, senza filtri. Quello che amava era stare con i suoi amici, i Malandrini, con cui aveva costruito esattamente quel tipo di relazione che era in grado di dargli le massime soddisfazioni. Era molto più spassoso andare a tirare una Caccabomba nel campo di Quidditch durante gli allenamenti della squadra di Serpeverde piuttosto che sprecare il suo tempo a cercare di capire cos’avesse detto che non andava per far infuriare a morte una donna. Perciò, al contrario di James che non aveva mai desiderato altro che riuscire a farsi notare da Lily, non aveva mai sprecato tempo alla ricerca di una relazione stabile. Ma questo non significava che gli piacessero gli uomini. Quando aveva voglia, schioccava le dita e aveva subito una ragazzina sognante pronta a soddisfarlo. Poi finiva lì. C’era una bella differenza tra questo e dire che gli piacessero gli uomini.

Strinse violentemente i pugni lungo e fianchi e digrignò i denti, come per ringhiare contro uno scocciatore invisibile. Non riusciva a capire che diavolo gli aveva preso. Doveva darsi una calmata, immediatamente; tutta quella tensione era insopportabile.

Afferrò una delle sedie che si trovavano intorno al tavolo della cucina e vi si accomodò sopra, prendendo a dondolarsi sulle gambe posteriori. Si inclinava avanti e indietro, fissando il vuoto, e intanto rifletteva. Era sempre stato il suo modo per schiarirsi le idee, anche se non di rado i suoi amici lo avevano preso per pazzo, quando lo vedevano entrare in quella specie di trance. Era capitato spesso che le comode ed ambite poltrone della sala comune venissero perentoriamente segregate ogni qualvolta lui ne avesse bisogno. Nel momento in cui eri il primogenito dei Black, farsi obbedire dagli appartenenti al mondo magico non era per nulla difficile; il suo era comunque un nome temuto, verso il quale si facevano ancora tante riverenze. Perfino a lui, che era stato diseredato ed eliminato, con un’antiestetica bruciatura, dal lussuoso arazzo sul quale erano intessuti i nomi dei suoi parenti più o meno remoti. Ora aveva un’altra cosa in comune con Andromeda, oltre al fatto di essere un ribelle come lei. Aveva sempre adorato la cugina. Probabilmente senza di lei ora sarebbe stato mentalmente soggiogato dal pensiero della razza pura che i suoi genitori bramavano tanto di inculcargli. Se lo avessero visto poco fa, però, probabilmente si sarebbero suicidati per la disperazione. Non solo il loro primogenito, che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio del casato, li aveva rinnegati facendosi Smistare a Grifondoro, infangando il loro nome e facendo comunella con un Babbanofilo Potter, ma ora aveva persino osato sfidare i naturali costumi sessuali gettandosi in atteggiamenti riprovevoli con un Mezzosangue Lupo Mannaro.

Magari gli sarebbe direttamente venuto un colpo apoplettico e me ne sarei liberato una volta per tutte, pensò, con un ghigno.

Ma stava divagando da quello che avrebbe dovuto essere l’oggetto principale delle sue elucubrazioni. Si disse che doveva ricercare una causa ben precisa per quel suo comportamento, perché di sicuro non poteva essere che gli piacessero gli uomini. Lui era un Black, che diamine. Non una femminuccia.

Era stato Remus. Era tutta colpa di Remus. L’aveva fatto perché lui non accennava a capire, nonostante tutti i tentativi che aveva fatto di comunicare con lui, di cercare un modo per scusarsi che non comprendesse l’opzione di umiliarsi nuovamente di fronte a lui in maniera così plateale come gli era toccato fare quando quella maledetta cosa era appena successa. Si era sforzato di trovare mille modi per fargli intendere che voleva far tornare le cose fra loro come erano prima di quello scherzo, ma Remus non ci era mai arrivato, dannazione. Aveva sempre fatto finta di niente, consapevolmente o meno. Non accennava a volerlo perdonare una volta per tutte. Infieriva ancora con quel suo occasionale e sottile sarcasmo, che Sirius non riusciva più a sopportare. Aveva fatto di tutto per riuscire a dirglielo in modo diretto, ma non ci era mai riuscito. Quando capitava l’occasione, finiva sempre per sentirsi uno stupido.

Poi la sera prima, anche se non si ricordava bene come, doveva aver invitato Remus a fermarsi da lui per la notte. Fin da quando aveva acquistato la casa, quell’idiota non aveva mai approfittato della sua offerta, palesata mesi prima, di usufruire all’occorrenza della stanza per gli ospiti di cui Sirius disponeva. Preferiva tornare a casa da suo padre, che probabilmente si sentiva solo. Beh, se era così, si sentiva solo da una vita, e ci si era molto probabilmente abituato alla perfezione. Perché la madre di Remus era morta quando loro facevano il quarto anno a Hogwarts, e lui di sicuro non aveva potuto mollare gli studi per stare con il padre. Oltretutto, per quanto Sirius sapesse che fosse cattivo pensarla così, il padre sembrava aver quasi paura di Remus, per via della sua natura. Era apparso molto contento, quasi sollevato, quelle volte che Sirius, Peter e James erano venuti a prendere Remus durante le vacanze estive per portarlo a trascorrere la notte della trasformazione da un’altra parte. Non sapeva che fossero Animagi, ma non aveva mai fatto loro domande. Evidentemente, riteneva per lui che fosse molto meglio così. Del resto, era un figlio di Babbani, e su quelle cose i figli di Babbani cascavano sempre come pere cotte; solo a un incosciente sarebbe saltato in mente di andare a prendersela con Fenrir Greyback, che era noto anche alla sua famiglia per la ferocia con cui si scagliava alla ricerca di giovani vittime da mordere. Ma per fortuna c’erano loro ad aiutare Remus e a stargli vicini.

Comunque, per farla breve, la scusa di dover stare vicino a suo padre non reggeva. Era vecchio, va bene, e i figli di Babbani non vivono tanto quanto i maghi Purosangue, ma se qualche volta Remus fosse rimasto a dormire da lui anziché mettersi in viaggio sulla scopa all’alba per tornare fino nel Sussex non avrebbe fatto del male a nessuno. La sera scorsa, poi, sarebbe stato da pazzi mettersi in viaggio con la neve. Solo quell’incosciente di James poteva rischiare tanto, ma la nuova casa sua e di Lily era a pochi passi da dove si erano sposati.

Tuttavia Remus, con quel suo odioso distacco e quella sua ironica dialettica, pretendeva di essere credibile propinandogli quella panzana.

Ridicolo. Sirius non ci era mai cascato. Non aveva insistito, comunque, fino alla sera prima. Gli si era presentata davanti la possibilità di controbattere ai suoi rifiuti con argomentazioni inoppugnabili, di fronte alle quali nemmeno quel precisino aveva potuto opporsi efficacemente. Poi però ricordava solo di non essere più riuscito a reggersi bene sulle gambe, di aver avvertito uno strappo a livello dell’ombelico e di essere stato catapultato fino al cancello di casa. A quel punto, probabilmente, gli era venuto da vomitare.

Perché ovviamente Remus non l’aveva avvertito prima di Smaterializzarsi, così lui non aveva potuto prepararsi psicologicamente all’idea. Davvero carino da parte sua.

Ma stava divagando ancora, doveva concentrarsi sulle cose importanti.

Per farla breve, quando si era svegliato quella mattina, tutta l’euforia alcolica gli aveva lasciato soltanto un gran cerchio alla testa. Stranamente, però, si era ritrovato con le coperte addosso e non, come al solito, gettate impietosamente a terra lasciandolo a patire il freddo. Evidentemente l’ubriacatura gli aveva concesso un sonno profondo come un sasso, tanto che non si era agitato e rigirato in continuazione, come sempre gli succedeva durante la notte. Aveva assaporato il calore della coperta di lana per un tempo smisuratamente lungo prima di decidersi ad alzarsi; nel momento in cui, però, aveva drizzato le orecchie e udito dei rumori sospetti provenienti dalla cucina, non ci aveva messo molto ad afferrare la bacchetta e a dirigersi di soppiatto verso la stanza in cui si trovava il presunto intruso. Per poi scoprire che si trattava semplicemente di Remus che aveva preparato la colazione.

Si tuffò nel ricordo, ormai totalmente assorbito da quel compito vitale che consisteva nel ricercare l’esatto istante in cui tutto aveva avuto inizio.

 

*

“Non c’era bisogno che ti dessi così tanto da fare”, gracchiò Sirius, con voce roca. Remus corrugò la fronte, senza staccare gli occhi dalle tazze di caffè che stava posando con attenzione sul vassoio.

“Avevo fame”, ribatté, semplicemente. Lui scoppiò a ridere, divertito, gettando la testa all’indietro.

“Per una volta hai fatto una cosa sensata, allora”, gli disse, afferrando una fetta di pane tostato e divorandola in due bocconi.

“Che vuoi dire?” gli domandò il licantropo.

“Beh”, cominciò Sirius, con la bocca ancora piena, “se non sbaglio, ti ho detto di fare come se fossi a casa tua”.

“Oh, sì, può darsi che tu abbia bofonchiato qualcosa del genere ieri sera, prima di cadere a peso morto sul materasso senza nemmeno infilarti sotto le coperte”.

“Ma… ma allora come… mi ci hai messo tu…?”

“Già, non avevo nessuna voglia di sorbirmi le tue lamentele appena alzato perché ti avevo lasciato a dormire con le chiappe al gelo”.

Sirius lo osservò con perplessità, stringendo la bocca. Perché gli piaceva tanto rigirare i punti di vista, al punto da far sembrare faccende prive di importanza dei veri e propri gesti di gentilezza? Era stato carino, da parte sua, metterlo sotto le coperte. Avrebbe potuto lasciare che si arrangiasse. Figurarsi cosa gliene importava, al signor Remus John Lupin, di sorbirsi per l’ennesima volta delle recriminazioni da parte sua. Sirius aveva sempre adorato avere qualcosa da ridire con lui. S’inventava qualsiasi facezia pur di riuscirci. Perché Remus non si arrabbiava quasi mai e, quando lui riusciva in quell’intento, ne traeva un’autentica ed impagabile soddisfazione. Molta più di quanta ne provava quando rispondeva correttamente ad una domanda della McGranitt pur essendo stato colto in un momento di totale disattenzione.

Eppure, nonostante questa sua sadica tendenza, Remus era comunque suo amico. Più o meno.

Mangiarono in silenzio totale per qualche minuto. Gli aveva perfino fatto i pancakes. Ci versò sopra un quintale di marmellata, pensando che forse, dopotutto, Moony non lo odiava poi così tanto. Forse gli era passata, finalmente. Forse era stata solo una sua impressione che ce l’avesse ancora con lui.

“Beh, come hai potuto vedere qui non è poi tanto male”, gli disse, cercando di instaurare un dialogo pacifico. Remus, in tutta risposta, inarcò un sopracciglio.

“Già, soprattutto dopo che mi hai praticamente costretto a fermarmi”, commentò. Sirius ritirò mentalmente le dichiarazioni formulate finora: che ci fosse ancora dell’astio era evidente.

“Dato lo scarso entusiasmo con cui hai accolto questa costrizione, perché ti sei impegnato tanto? Avresti potuto tranquillamente lasciarmi sulla porta di casa e andartene, tanto non me lo sarei ricordato”.

Lo osservò impallidire leggermente – già, Remus non arrossiva come tutti i comuni mortali, al contrario: tendeva ad assumere un colorito ancor più cadaverico se messo in imbarazzo – ed esultò mentalmente, convinto di aver avuto la prova che aveva colto nel segno. Anche se non capiva come diavolo potesse odiarlo e al tempo stesso preoccuparsi di lui.

“Non ti scaldare tanto, lo faccio solo perché non voglio avere sulla coscienza la tua sindrome dell’abbandono ora che James si è sposato ed è andato a vivere con Lily”.

Ma che accidenti stava dicendo?!

Era vero, lui e James erano sempre stati estremamente uniti, avevano perfino vissuto insieme per due estati. Ma Sirius aveva ormai metabolizzato la presenza di Lily ed imparato ad accettarla. Tanto, sapeva che poteva Smaterializzarsi in ogni momento a casa loro, se ne avesse avuto voglia. Non abitavano così lontano. E avevano ancora gli specchi, il che equivaleva alla possibilità di comunicare in ogni momento. Quale astruso processo mentale aveva fatto partorire quel pensiero alla mente contorta di Remus?

“Piantala con le tue teorie psicanalitiche campate in aria”, tagliò corto, deciso a non dargli corda. Non era particolarmente in vena di discutere. Il modo in cui lo trattava era assolutamente incoerente e privo di ogni logica; se davvero non aveva intenzione di perdonarlo per quello scherzo, perché non l’aveva lasciato perdere fin da subito? Bastava dirgli con chiarezza, fin dal momento in cui aveva saputo di aver quasi ucciso Piton: Sirius Black, sei un idiota senza cervello e io non voglio avere più nulla a che fare con te. Dove stava il divertimento nell’aver scelto di prolungare la sua agonia? Evidentemente, Remus era sadico tanto quanto lui.

“Va bene, vedo che ti sei alzato con il piede sbagliato”.

Sirius lo osservò alzarsi ed uscire dalla cucina in perfetto silenzio, mantenendo il volto contratto nella sua miglior espressione imbronciata. Aveva davvero della faccia tosta ad accusarlo in quel modo di cose inverosimili. Era terribilmente frustrante. Tutto l’impegno che stava incanalando nei confronti di Remus non solo veniva da lui ignorato, ma perfino travisato. Per una volta che James non c’entrava nulla, ecco che lui doveva intervenire a tirarlo in ballo. Per Merlino, cosa diavolo era? Un complesso d’inferiorità?

“E dai, non andartene via subito”, brontolò, vedendolo afferrare il mantello logoro dall’attaccapanni. Remus inarcò un sopracciglio, con aria scettica.

“La sbornia ti è passata, questa notte saprai metterti il pigiama senza bisogno che ci sia io a supportarti fisicamente”, ribatté, e a Sirius toccò chiedersi che diavolo stesse dicendo.

“Oh. Non te lo ricordi?” sghignazzò infatti Remus. Lo osservò ridere di gusto, non sapendo se unirsi a lui o se doversi vergognare.

“Andiamo, com’è possibile che non riuscissi nemmeno a spogliarmi per mettermi a letto?” gli chiese, incapace di resistere alla curiosità. Remus rise ancora di più.

“Beh, stavi cercando di farlo, ma sei rimasto più o meno incastrato nei vestiti e non sapevi più come uscirne…”

“Ah ah, molto divertente”, bofonchiò Sirius, guardandolo storto. Remus rideva davvero di rado, pensò. Forse avrebbe dovuto andare fiero di essere la causa di tanta straordinaria ilarità.

“In ogni caso”, riprese, dopo essersi ricomposto, “non voglio darti altro disturbo, perciò…”

“Oh, e piantala!”

Sirius si alzò in piedi e andò dritto verso di lui, con un impeto che non sapeva da dove gli sorgesse.

“Non mi dai alcun disturbo. Smettila di dire sciocchezze”, gli ordinò, togliendogli il mantello dalle mani con un gesto secco.

Per qualche secondo si squadrarono in completo silenzio, le fronti corrugate e le labbra serrate, gli occhi grigi e ardenti di Sirius fissi in quelli chiari di Remus.

“Qual è il problema, Sirius?” gli chiese Remus, in tutta calma, come se davvero non capisse cosa c’era che non andava, quando l’unica causa del problema, in tutto questo, era soltanto lui. Lui che non voleva perdonarlo, che si ostinava a trattarlo in quel modo. Sirius sospirò, esasperato, allargò le braccia e scosse la testa. Non voleva crederci, per lui era troppo da sopportare.  Perché doveva farla così difficile, cosa voleva di più da lui?

Forse era soltanto per via di quello stupido complesso nei confronti di James, forse doveva solo dimostrargli che teneva anche a lui, che non gli importava solo di James o di se stesso. Forse

“Che diamine, è così facile capirlo”, disse, parlando tra sé, come se Remus non ci fosse.

“Che cosa?”  domandò lui.

Beh, ma era chiaro… dato che gli aveva giocato quello scherzo, Moony aveva cominciato a pensare che non tenesse abbastanza alla loro amicizia. Ma non era vero, anzi, era tutto l’opposto! Per Merlino…

“Sirius, ne ho un po’ abbastanza di questi tuoi criptici modi di fare, perciò, se non hai intenzione di dirmi di che si tratta, lasciami andare a casa”, si sentì dire, con una vena di impazienza che lo fece irritare di colpo.

Il secondo dopo, Sirius assecondò un impulso che non capì assolutamente da dove gli nacque.

Si avvicinò pericolosamente a Remus e gli prese il viso tra le mani, per poi premere le labbra violentemente contro le sue. Il cuore gli balzò nel petto. Ecco, era questo che avrebbe dovuto fare già da tempo. Perché non capiva, perché? Approfondì il bacio, insinuando la lingua nella sua bocca attonita. Lo sentiva immobile, inerte, incapace di reagire. Voleva solo dimostrarglielo, dimostrargli che lui ci teneva. Che per lui era importante. Che lo voleva nella sua vita. Che lo voleva…

Stava succedendo qualcosa di strano.

Remus aveva dischiuso le labbra, più di quanto non gli consentisse prima la sua espressione sbigottita. E lui lo stava ancora baciando. Perché? Perché sentiva così voglia di farlo? Era bravo a baciare, lo sapeva. Tante ragazze gliel’avevano detto. Glielo stava dimostrando, che era bravo. E ora Remus rispondeva, muoveva la lingua contro la sua, anche se il resto del suo corpo era come pietrificato… forse quello era un segnale… forse stava iniziando a capire cosa voleva dirgli. Forse voleva dirgli che per lui era lo stesso – lo stesso cosa? E perché ora si sentiva incredibilmente eccitato? Cosa diavolo gli stava succedendo?

Non voleva smettere. Godric solo sapeva che non voleva smettere.

Se quello era l’unico modo…

Ma non era per quello. Era così… disperato.

Lo voleva così tanto.

Lo spinse contro la porta e gli aprì la camicia, con violenza.

Remus fece per tirarsi indietro, ma non poteva andare da nessuna parte.

Gli infilò una mano tra i capelli, tirò e strinse e accarezzò.

L’erezione era quasi dolorosa, probabilmente non aveva più sangue alla testa dato che non capiva più un accidenti. Doveva sfogarsi, doveva…

Ma quando Remus allungò una mano a sfiorargli il fianco si spaventò.

Balzò indietro, di colpo. Lo vide ritrarre subito la mano, lo sguardo fisso a terra.

In quel preciso istante, Sirius Black provò la più grande sensazione di vergogna di tutta la sua vita.

Le gambe presero a tremargli visibilmente, in preda ad un’agitazione convulsa.

Mancava poco che non respirasse più.

Fu Remus ad espirare rumorosamente al suo posto. Come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. Sirius alzò gli occhi su di lui, lentamente, e rimase a fissarlo stringendo le mani sulle gambe, nel vano tentativo di far cessare quel tremolio assurdo.

Remus lo guardava come se stesse osservando una specie di alieno, con gli occhi sgranati e colmi di stupore, e Sirius si sentì pervadere da un moto di rabbia. Non aveva fatto tutto da solo, non era giusto fissarlo con quegli occhi, come a volergli dare tutta la colpa. Lui… lui non sapeva più cosa fare. Quello era l’unico balzano modo in cui gli era saltato in testa di poter provare ad aggiustare le cose. Ma era stata una sensazione devastante. Remus aveva smesso di essere il suo amico di sempre, in quel momento. Non era quello che aveva provato, no, non amicizia. Era stato qualcosa di completamente diverso. Non era preparato ad una sensazione del genere, non era preparato al modo in cui il suo corpo aveva reagito. Come diavolo gli era saltato in mente?

 “Forse è meglio che me ne vada”.

Sentì un colpo al cuore. Non si aspettava di sentirsi dire questo. Fuggire di fronte alle difficoltà… una reazione da vero Grifondoro. Complimenti, Remus John Lupin.

Sollevò su di lui uno sguardo colmo d’ira e di risentimento, come se volesse incenerirlo sul posto.

“Sì, forse è meglio”, scandì, con voce tagliente. Solo qualche secondo dopo si accorse di avere ancora stretto in mano il mantello di Remus. Glielo porse con un gesto secco, trovando ancora più irritante il modo in cui se ne stava lì in silenzio, ad aspettare che lui se ne rendesse conto. Per Merlino, non era stata solo volontà sua. Avrebbe potuto scansarlo, respingerlo, fermarlo. Ma no, non l’aveva fatto. Remus aveva risposto. Se n’era accorto, eccome se se n’era accorto. E ora lo lasciava lì così, senza una sola parola di spiegazione?

“Ciao, Sirius”, lo salutò, inforcando la porta. Si sentì esplodere dalla rabbia e richiuse l’uscio con un colpo violento, assicurandosi che si avvertisse la forza bruta che aveva volutamente messo in quel gesto. Poi appoggiò la schiena allo stipite, coprendosi il volto con le mani. Mezzora dopo era ancora lì, nella stessa posizione.

 

*

Remus vagò a lungo per le strade di Londra, quella mattina, senza una meta precisa. Sentiva soltanto l’impellente bisogno di sfogare, in una qualche maniera, la tensione e la frustrazione che gli attanagliavano le viscere.

All’inizio, desiderò ardentemente poter dimenticare ogni singolo istante di quanto era successo a casa di Sirius. Sarebbe stato meglio per tutti, cancellare l’imbarazzo, la vergogna e l’umiliazione con un colpo di spugna. Sia lui che Sirius avrebbero tirato un sospiro di sollievo, ne era certo. E non ci sarebbe stato alcun bisogno di fingere che tutto andasse bene davanti a Peter o James, per fare in modo che non capissero quello che era successo.

Soprattutto, lui e Sirius avrebbero potuto continuare ad essere amici.

Perché, dopo quello che era successo, non era affatto sicuro che ci fossero le condizioni per proseguire in tal senso.

Ma dimenticare non era possibile. Che cosa potevano fare? Smettere di vedersi? Inutile anche solo tentare. Gli impegni con l’Ordine li avrebbero comunque portati ad incrociarsi spesso. Senza contare che gli altri avrebbero cominciato a fare domande e questa, ne era certo, era la cosa che meno di tutte lui e Sirius desideravano.

Era una faccenda che riguardava esclusivamente loro due.

E poi, che facce avrebbero fatto James e Peter se mai l’avessero raccontato loro? Probabilmente Peter sarebbe svenuto e a James sarebbero usciti gli occhi fuori dalle orbite. Potevano essere le persone dalle più larghe vedute di questo mondo, ma si trattava di due loro intimi amici che, a dispetto di ogni loro aspettativa, si erano messi a pomiciare come adolescenti in calore. Nessuno dei due avrebbe potuto prendere la notizia con serenità e nonchalance, questo era fuori discussione.

Per cui, l’unico con cui doveva vedersela era Sirius.

Era la prima volta da quando erano diventati amici che c’era qualcosa esclusivamente tra loro, in cui James non fosse coinvolto. Era facile supporre che, questa volta, Sirius non sarebbe corso dal suo migliore amico a raccontargli tutto. Era una strana sensazione, un formicolio che gli risaliva rapido lungo la nuca e lo faceva rabbrividire di colpo, anche se era ben chiuso nel suo mantello a proteggersi dal freddo di dicembre. Quasi con orrore, Remus realizzò che gli faceva piacere che fosse così, che per una volta il primogenito Black avesse concentrato tutte le sue attenzioni esclusivamente su di lui, puntandogli addosso quegli occhi fiammeggianti e avventandosi su di lui in quella maniera.

Il cuore gli martellava ancora furiosamente nel petto. È perché sto camminando troppo veloce, si disse. Provò a rallentare il passo. Non aveva idea di dove fosse, nella maniera più assoluta. Non conosceva bene Londra e il suo senso dell’orientamento era sempre stato particolarmente scarso.

Sospirò e decise che doveva riflettere con ordine.

Prima domanda. Avrebbe potuto prevederlo?

No. Assolutamente no. Indipendentemente dal fatto che Sirius Black fosse una persona imprevedibile, quella volta aveva decisamente superato se stesso. Infatti, quando aveva chiuso improvvisamente le distanze fra loro, lui era rimasto pietrificato per diversi secondi prima di reagire. E anche nei momenti immediatamente precedenti, non aveva ricevuto segnali di alcun genere. La notte prima era andato a dormire di malavoglia, la testa affollata da mille pensieri, dopo aver infilato il pigiama all’ubriachissimo proprietario di casa. Ma che c’era di ambiguo in quello? Si erano sempre comportati così, fra loro. Bisticci e frecciatine ad ogni occasione, ma poi lui era sempre il primo a difenderlo o ad aiutarlo quando ce n’era bisogno; anzi, lo faceva con una ferocia che alle volte lo lasciava sorpreso. Lo stesso aveva sempre fatto lui, seppur in modi meno plateali. Era esattamente su quello che stava riflettendo prima di andare a dormire.

Però no, non avrebbe potuto prevederlo.

Avrebbe potuto evitarlo?

Forse, ma era con le spalle alla porta. Sirius non gli aveva lasciato molte possibilità di fuga. E lo sconcerto era stato più forte di ogni capacità motoria. Però avrebbe potuto allontanarlo da sé in ogni momento, sebbene Sirius fosse fisicamente più forte. No, di certo non poteva accusarlo di violenza.

Ora, però, veniva la domanda più importante. Perché l’aveva assecondato?

Si portò una mano alla bocca in un gesto delicato ed inconscio, che quasi lo spaventò.

Aveva sentito con chiarezza ogni cosa, eppure ora ricordava solo dettagli sfuocati e confusi. Le labbra di Sirius erano morbide come sembravano. Avrebbe voluto morderle. Gli aveva strappato la camicia e sfiorato un capezzolo – ne era certo, l’aveva fatto apposta. E tutto quello che lui aveva provato era stato piacere. Storse la bocca in una smorfia di disgusto. Era semplicemente assurdo, mai e poi mai fino a quel momento aveva pensato a Sirius in quel modo. La frequente tensione dovuta allo scontrarsi dei loro caratteri profondamente diversi, contrapposta all’affetto che comunque si era creato fra loro, era una cosa totalmente diversa. Non c’entrava nulla. Sirius era suo amico, perché era proprio così necessario rovinare tutto sentendosi attratto da lui? Possibile che non fosse capace di contaminare qualcosa di prezioso con la sua essenza di mostro?

Razionalmente si rendeva conto che la licantropia non c’entrava nulla, ma pensarlo era più forte di lui.

Era un deviato, un essere pericoloso. Doveva stare alla larga da tutti, soprattutto da Sirius.

Si rese conto che una simile prospettiva lo gettava nello sconforto più nero e totale. Si trattava dei suoi amici, dei suoi unici, veri amici. Le sole persone che l’avevano mai accettato per quello che era, i soli che non avevano avuto paura di lui, ma anzi, avevano cercato un modo per fargli compagnia nella sua animalesca solitudine del plenilunio. Reagendo in quel modo, formulando quei pensieri, Remus li aveva traditi. Non capiva da dove saltasse fuori quel genere di reazione nei confronti di Sirius, ma lui aveva sicuramente una scusa pronta per quello che aveva fatto. Probabilmente era stato un capriccio del momento, una curiosità da soddisfare o, perché no, un nuovo, divertentissimo scherzo. Uno scherzo che però, contrariamente ad ogni aspettativa e logica, a lui era piaciuto.

Non doveva mai più lasciare che quella situazione si ripetesse. Altrimenti, tutto si sarebbe rovinato irrimediabilmente. Avrebbe iniziato ad odiare Sirius perché si prendeva gioco di lui. E poi, un giorno o l’altro, James e Peter l’avrebbero scoperto. E allora sì che l’avrebbero guardato con orrore, scansato ed emarginato, come qualsiasi altra persona avrebbe già fatto al loro posto quando avevano scoperto che era un Lupo Mannaro.

Alzò lo sguardo ad osservare il cielo. Il vento era forte e le nuvole si spostavano veloci, senza che una si fermasse per aspettare l’altra, sospinte da una forza troppo grande che di sicuro non riuscivano a comprendere, né tantomeno a contrastare.

Strinse gli occhi e deglutì a vuoto, accorgendosi solo in quel momento di avere un groppo alla gola.

Non voleva rimanere solo.

*

30 Agosto 1993

 

Quella mattina, Remus aprì la porta di casa a mente del tutto lucida. Nessun vuoto di memoria quel giorno, nessuno stato confusionale gli aveva fatto sovrapporre i piani temporali. Sapeva chi aveva bussato alla porta e che cosa voleva. Sapeva che Lily e James erano morti e che Sirius li aveva traditi.

Anche se una parte di lui non riusciva ancora a crederci del tutto.

“Buongiorno, Remus”.

“Buongiorno, professore”.

Silente gli sorrise cordialmente, facendo il suo ingresso in casa di Remus. Questa volta era solo; sospirò di sollievo. Piton era sempre stato oltremodo sospettoso e di fronte alle sue imminenti dichiarazioni avrebbe probabilmente cominciato a sollevare quesiti inopportuni.

“Come va stamane? Meglio?” gli domandò il Preside.

“Oh, sì, molto meglio. Credo che la memoria sia tornata definitivamente a posto”, rispose Remus, sfoggiando un sorriso rassicurante con tutta la naturalezza possibile.

“Bene, molto bene. Allora non avrai più bisogno di questa”, disse Silente, accennando alla fiala di pozione verde smeraldo che sbucava dalla sua tasca destra. Remus annuì, sforzandosi di sembrare convincente.

“Non è il caso di preoccuparsi, signore. Credo proprio che sia stato l’effetto di una luna piena particolarmente devastante. Non ho ricordato nulla di strano o pericoloso. Mi dispiace di averla disturbata per niente”.

“Oh, non ti devi preoccupare per questo. Vedrai, con la Pozione Antilupo avrai molto sollievo. Ho chiesto al professor Piton di farti il favore di preparartela ogni mese”.

“La ringrazio, signore. Sono sicuro che la prossima sarà la notte da lupo migliore di tutta la mia vita”.

Sapeva benissimo che quella era una gigantesca, colossale bugia. Le sue nottate migliori le aveva già vissute, anni fa, quando scorrazzava libero in compagnia di tre Animagi illegali nei dintorni di Hogsmeade, per poi tornare a sdraiarsi nel buio della Stamberga Strillante e risvegliarsi con un sorriso sul volto. Quei momenti non sarebbero mai tornati, né, men che meno, sarebbero mai stati eguagliati da qualsiasi altra esperienza in cui James, Peter e Sirius non sarebbero stati presenti al suo fianco.

Ma non poteva tradirsi di fronte a Silente.

“Allora, verrai a Hogwarts, Remus?”

“Se proprio lei non ha nessun altro a disposizione, signore…”

“Te l’ho proposto perché ritengo che saresti un eccellente insegnante”.

Remus sorrise con aria nostalgica.

“Già, un passato nell’Ordine della Fenice garantisce un buon curriculum a tutti”.

“Non è solo questo”, rispose Silente, con dolcezza. Il licantropo chinò lo sguardo a terra.

“Lei mi lusinga, signore”, mormorò. La sua carriera di disoccupato era stata così interminabile che, ora, sentirsi proporre un posto di lavoro senza aver dovuto andare a cercarlo era quasi incredibile.

“Inoltre, ho ragione di pensare che ti farà piacere insegnare a Harry”, aggiunse Silente, come per sollevarlo dall’imbarazzo.

“Oh, sì, moltissimo. È bello sapere che c’è ancora una speranza promettente”.

Il Preside lo guardò attentamente negli occhi, come se volesse cogliere un fremito delle sue emozioni. Remus si sforzò di rimanere tranquillo.

“Si affezionerà a te”.

S’incupì a quelle parole. Non si aspettava una simile affermazione.

“Forse è meglio che resti all’oscuro dei miei rapporti con James. Sapere troppo potrebbe ferirlo”.

“Non è solo per quello, Remus. Harry ha un gran cuore e gli piacerai, anche se non saprà che eri amico di James”.

Il licantropo sorrise, quasi impercettibilmente.

“Le crederò, signore”.

“Bene. Viaggerai in treno?”

“Sì. Ho sempre amato quel viaggio”.

“Allora ci rivedremo dopodomani a Hogwarts”.

Silente esibì un sorriso di congedo e uscì a passi impercettibili dalla casa di Remus. Lui richiuse la porta alle sue spalle, poi sospirò e vi si appoggiò contro di schiena.

Non poteva dirlo al Preside, perché aveva la forte sensazione che la cosa non lo riguardasse. Ma la pozione di Piton non gli era servita a ricordare cos’era successo durante la notte di luna piena del 2 agosto scorso. Non soffriva più di amnesie mattutine e di stati confusionali, ma quell’intervallo di vuoto completo era rimasto: non sapeva cosa avesse fatto la mattina dopo, come e dove si fosse svegliato, come fosse tornato a casa. C’era qualcosa, qualcosa… come un chiodo che gli graffiava un angolo della mente, ma che lui non riusciva ad afferrare. Il suo ricordo era ancora perso nell’oblio e lui doveva recuperarlo da solo. Silente aveva fatto per lui tutto ciò che poteva.

Nei giorni scorsi, dopo che la pozione di Piton aveva sortito il suo effetto e lui aveva recuperato del tutto la lucidità, si era messo a sfogliare i suoi vecchi libri di scuola, alla ricerca di una risposta. Se si fosse trattato di un semplice Incantesimo di Memoria, grazie alla pozione avrebbe ricordato. Era molto efficace e un pozionista abile come Piton non avrebbe di sicuro potuto sbagliare nel prepararla. Invece, Remus non aveva ricordato un bel nulla.

Aveva divorato febbrilmente pagine su pagine, ritrovando vecchi appunti frettolosi scarabocchiati a lato di qualche paragrafo, ogni tanto messaggi con una grafia diversa – quella di James, o Sirius, che si divertivano a farlo imbestialire pasticciandogli i libri durante le ore di lezione. Si era morso le labbra e mangiato le unghie centinaia di volte, e ogni minuto il suo sguardo tornava a quel mantello appeso all’attaccapanni all’ingresso. Ora non aveva problemi a ricordare che fosse di Sirius. Avrebbe dovuto bruciarlo, gettarlo via, farlo sparire, ma il pensiero e il nome di Sirius gli risuonavano continuamente nella testa, come se volessero dirgli che era in quella direzione che doveva scavare. Dopo qualche giorno, aveva ritrovato il capitolo sugli Incantesimi di Memoria. Quello classico era spiegato molto bene, fin nei minimi dettagli, ma non era ciò che gli serviva. Alla fine del capitolo, c’era solo un breve paragrafo che accennava ad un altro tipo di incantesimo: uno che serviva non a modificare la memoria, ma a cancellare. Il testo recitava così: questo incantesimo permette di cancellare dalla mente della persona oggetto dell’incantesimo il ricordo di uno o più episodi, purché collegati da uno stesso filo conduttore. Ma non specificava nulla di più. Per ulteriori approfondimenti, consultare un testo di magia più avanzata. Probabilmente era di difficile esecuzione, poco conosciuto o praticato. Dato che la memoria non veniva modificata ma cancellata, era probabile che fosse per quel motivo che Remus non aveva alcuna reminescenza di quel determinato intervallo di tempo. Ma perché quella sensazione martellante che c’entrasse Sirius, soprattutto ora che era evaso da Azkaban? Si disse che forse era stato incosciente ad aver mentito a Silente. Forse Sirius, in qualche maniera a lui ignota, l’aveva stregato in modo da poterlo usare per avere accesso a Hogwarts. Più o meno in tutto il mondo magico si vociferava che mirasse ad uccidere Harry. La testimonianza di Caramell, riguardo agli ultimi, folli giorni di Sirius ad Azkaban prima dell’evasione, era sulla bocca di tutti. Poteva essere molto pericoloso, per lui, tornare a Hogwarts, se davvero rischiava di favorirlo inconsciamente in qualche maniera. Ma di sicuro, se esisteva una risposta alle sue domande, stava in qualche libro del reparto proibito della Biblioteca. Non ne esistevano di più fornite. Doveva tornare a Hogwarts, ad ogni costo. Avrebbe preso il treno, così, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe protetto Harry durante il viaggio. E a scuola lo avrebbe tenuto sempre d’occhio, di modo da non lasciare a Sirius la possibilità di avvicinarglisi, se questo era ciò a cui mirava.

Sirius, il suo padrino. Quello che lo faceva volare per aria quando non aveva che pochi mesi, facendo spaventare a morte Lily e ridere di gusto il bambino. Era incredibile. Assolutamente incredibile.

Ma ora doveva farsi coraggio e tornare laggiù, dove risiedevano tutti i suoi ricordi più dolorosi.

Inoltre sentiva di dovere più di un favore a Silente, dopo che, contro ogni previsione, anni prima gli aveva permesso di frequentare Hogwarts e ora, al di là di qualsiasi aspettativa, era tornato per offrirgli un impiego – probabilmente il più dignitoso ed interessante di tutta la sua vita, aggiunse fra sé. Perciò, era sua intenzione impegnarsi a fondo per ricompensarlo. Non voleva comportarsi di nuovo da ingrato, come aveva fatto nel momento in cui aveva permesso a James, Sirius e Peter di diventare Animagi illegalmente, soltanto per il desiderio egoistico di allontanare da sé la solitudine.

Sarebbe stato un buon insegnante, e avrebbe protetto Harry.

E nel frattempo avrebbe cercato delle risposte.

 

 

Never thought you'd make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.

(Placebo, My Sweet Prince)

 

 

Nota di fine capitolo: oh, beh. È stato scritto quasi tutto mentre ero sotto esame e con la colonna sonora dell’Ultimo dei Mohicani di sottofondo, quindi, se è delirante e tragico, cercate di capirmi. Ho deciso di tornare anche per un attimo al presente nell’ultima parte, e probabilmente lo farò ancora, perché il prologo di questa storia non era campato in aria. C’è comunque un collegamento con la tresca tra Remus e Sirius che sta avendo luogo in quello che è il “passato”. Insomma, alla fine si capirà tutto (ho già lasciato troppi indizi XD). Ho comunque aggiunto una data anche al prologo dopo aver potuto fare le giuste ricerche; sì, sono maniacale, ma mi sono basata sulle reali date delle fasi lunari scovate sui calendari.

Inoltre, penso proprio che da qui in avanti molti capitoli assumeranno un punto di vista multiplo, proprio come questo, così da non perdere per strada i vari fili di Arianna – che sono veramente tanti, e se uscirò mentalmente sana dalla stesura di questa fanfic credo che mi stringerò la mano da sola XD. Spero di non destare troppa confusione nella lettura, altrimenti, se si inizia a non capire più nulla, vi prego, fatemelo notare.

Ad ogni modo, grazie un sacchissimo a tutti. Ho ricevuto delle recensioni stupende, talmente tanto che davvero non so se me le merito. Grazie, non smetterò mai di dirlo.

   
 
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