Disclaimer:
Numb3rs e i suoi personaggi non appartengono a me. Purtroppo. E
neanche i pezzi di canzoni che introducono ciascun capitolo.
Timeline:
circa fra la seconda e la terza stagione [se vi interessa: la storia
comincia il 4 ottobre 2006]
Grazie
a Alchimista!
Perché senza di te non sarei riuscita a scrivere una storia
che un
italiano normale potrebbe capire :)
Nontiscordardimé
1.
L’inizio della fine
I will be right here waiting for
you.
Whatever it takes or how my heart breaks,
I will be right
here waiting for you.
(Richard Marx, Right Here
Waiting)
Lo
sguardo di Don cercò l’orologio appeso al muro
– e non era la
prima volta quella sera – prima di voltarsi quasi
automaticamente
verso il cellulare sul tavolino del soggiorno, posto accanto al
telefono di casa. Erano le nove di sera – no, le nove e
quattro
– e per la prima volta dopo tanto tempo aveva finito di
lavorare
presto. Tuttavia, non aveva avuto voglia di andare in un bar con i
colleghi. Era stanco ed esausto; quella settimana l’ufficio
aveva
chiesto pesantemente il suo contributo e i suoi pensieri tesi non lo
avevano per niente aiutato.
Aveva guardato prima una partita in tv
e poi un vecchio film. Ma non era stato attento: del film non aveva
ascoltato una battuta, della partita non sapeva nemmeno il
risultato.
Di nuovo il suo sguardo scivolò sull’orologio. La
lancetta dei secondi aveva compiuto un po’ più di
mezzo giro da
quando aveva guardato l’ultima volta, ma il telefono era
rimasto in
silenzio. Don pensò di riaccendere la tv per riempire
l’attesa, ma
non sarebbe potuto passare più di qualche secondo che il
telefono
avrebbe nuovamente squillato.
Sarebbe
potuto andare da Charlie, ma comunque suo padre non era a casa. Dove
era andato poi? A giocare a golf? No, era già tardi in fin
dei
conti… Al suo incontro settimanale con i senza tetto? No,
quello lo
faceva giovedì, oggi era mercoledì…
che… Esatto, ecco che stava
facendo! Era uscito con Millie!
Un
altro sguardo verso l’orologio. Le nove, sette minuti e tre
secondi.
Avrebbe potuto passare una bella serata
con Robin, rifletté. Ma no, lei aveva una conferenza
stasera, di
nuovo. Era una vera maniaca del lavoro. Non
c’era da
sorprendersi che lei e Don stessero tanto bene insieme. Sì,
era
davvero una donna bravissima. E sembrava che stesse funzionando tra
di loro, anche per più di qualche mese. Sì, Don
poteva essere
davvero felice di averla...
Le nove, undici minuti e quarantuno
secondi.
«Sei in ritardo, Chucky» mormorò.
Il
suo sguardo fissò i due apparecchi telefonici a lungo. Forse
avrebbe
fatto meglio a chiamarlo e chiedergli cosa diavolo stesse…?
«Non
renderti ridicolo» si rimproverò. E
smettila di parlare con te
stesso, aggiunse nella sua testa. Aveva cose migliori da fare
che
complessarsi creando una personalità multipla. O almeno
avrebbe
avuto cose migliori da fare se Charlie si fosse finalmente degnato di
chiamare. In ogni caso lui non avrebbe interpretato il ruolo del
fratello paranoico del tipo
“visto-che-papà-non-si-preoccupa-lo-faccio-io”,
soprattutto
perché… Accidenti, lo aveva dimenticato:
soprattutto perché non
aveva un numero con il quale contattare Charlie.
Don levò un
altro sguardo all’orologio (le nove, quattordici minuti e
tredici
secondi), poi allungò la mano verso il telefono, incerto se
chiamare
o meno, ma si arrestò repentinamente. La chiamata di Charlie
era in
ritardo di quattordici minuti – ma cos’erano
quattordici minuti?
Conosceva suo fratello; se Charlie era immerso in un problema
matematico era possibile un ritardo di mezz’ora o
più. No, non
c’era motivo di preoccuparsi.
Eppure, nelle scorse settimane,
Charlie avesse chiamato sempre a quell’ora… E
inoltre Don non
aveva idea di dove si trovasse...
No. Non c’era nessun motivo
per preoccuparsi. Era tutto in ordine.
Don
gemette. Ma chi voleva prendere in giro?
Sapeva che Charlie si
occupava solo di numeri. Sapeva che suo fratello non aveva incarichi
al di fuori del suo ufficio. Sapeva che si faceva di tutto per
proteggere i civili, soprattutto in caso di una missione segreta.
Eppure si preoccupava.
Probabilmente non ce n’era alcun motivo,
era inutilmente, esagerato. Però sapeva che non sarebbe
stato in
grado di dormire in pace finché non avesse saputo che suo
fratello
si trovava al sicuro, a casa sua. E alla fine una notte calma gli
avrebbe anche fatto piacere.
Intanto, suo fratello lavorava da
ventotto giorni per un qualche gruppo investigativo come consulente
matematico ad un progetto che doveva durare circa un mese. Ecco tutto
quello che Don sapeva: non aveva idea di ciò che esattamente
suo
fratello dovesse fare o di che cosa trattasse il progetto, non aveva
idea di dove si trovasse e sì, non sapeva nemmeno per chi
lavorasse.
Non sapeva niente e probabilmente non avrebbe mai saputo nulla di
più
preciso.
Non
che non c’avesse provato. All’inizio di
quell’incarico era
stato una tortura non sapere nulla. Di solito conosceva almeno il
luogo o l’agenzia per cui Charlie lavorava, oppure non ne
sapeva
niente perché suo fratello poteva fare tutti i calcoli a
casa sua.
Questa volta, invece, era scomparso per un mese e Don non aveva idea
quanto pericolosa fosse questa missione.
Almeno
Charlie gli assicurava ogni volta che stava benissimo, che Don non
doveva preoccuparsi. Telefonavano spesso, anche se le conversazioni
di solito erano molto brevi. Chiamava più o meno verso sera,
ma in
generale sapeva sempre quando avrebbe chiamato la volta successiva e
manteneva sempre la parola. Era vero che non poteva raccontare a Don
della sua missione, ma sapeva che quell’impotenza e il fatto
di non
poter saper niente non erano facili da sopportare per il suo fratello
maggiore e cercava di facilitare la situazione con chiamate regolari.
Don
sorrise al pensiero di qualche frammento delle telefonate di suo
fratello. “Sì, posso immaginare che tu sia
snervato, ma sai
perfettamente che non posso dirti niente, Don… No, Don,
davvero non
posso, e adesso smettila di chiedermi queste cose… Non
preoccupatevi. Sto bene qui, davvero… Oggi ho fatto degli
ottimi
progressi e piano piano mi sto abituando a tutte le cose che ci sono
qui… Dovrei tornare per il fine settimana. Ho già
detto a papà di
comprare le bistecche di filetto: non hai idea di quanto mi manchino
stando qui. Sto seriamente pensando di far vedere loro
un’equazione
che mostra come l’efficienza di tutti i collaboratori aumenta
proporzionalmente al il numero di bistecche
mangiate…”
Dell’equazione
delle bistecche gli aveva parlato l’altro ieri, nella loro
ultima
conversazione. Charlie era di buon umore; la missione stava per
finire e tutto sembrava andare liscio.
Forse
sta già tornando a casa? venne in mente a Don
improvvisamente.
Forse è per questo che non chiama?
Però sapeva che non
aveva alcun senso. Charlie gliel’avrebbe detto. E se suo
fratello
era convinto che avrebbe finito il suo lavoro per il fine settimana,
allora l’avrebbe finito per il fine settimana, non prima,
almeno
non così tanto.
E quindi qual era la ragione per cui Charlie era
in ritardo?
Rilassati, tentò di dirsi Don. Te
lo dirà
fra poco.
Forse
avevano fatto un progresso inaspettato e per questo Charlie non
poteva o non voleva andarsene. Oppure era stato disturbato da
qualcuno che voleva parlargli. Oppure stava telefonando ad Amita o ad
Alan o a Larry e non voleva terminare la chiamata bruscamente.
C’era
sicuramente una spiegazione del tutto ragionevole. Charlie avrebbe
chiamato prima o poi. Gli avrebbe dato tempo fino alle dieci. Non
sapeva che cosa avrebbe fatto poi, ma aveva bisogno di quella
scadenza. In fondo, Charlie avrebbe chiamato entro quell’ora
sicuramente. Un’ora di ritardo era il massimo.
Del
fatto che si sbagliasse di molto in quella valutazione, che
l’attesa
per sapere qualcosa di nuovo su suo fratello sarebbe durata molto
più
a lungo e che fino a quel momento sarebbe stato come attraversare
l’Inferno – no, di queste cose Don, in quel
momento, non aveva
ancora alcun’idea.