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Autore: Val    02/12/2011    2 recensioni
"Per starsene un po’ più tranquilli, si erano presi un paio di giorni, forse tre, per fare un giro tra Northumberland e Yorkshire.
Era quasi aprile, c’erano già belle giornate.
Sìle stava attraversando il suo sesto mese di gravidanza con coraggio, perché era sì curiosa e piena di domande che a volte la spaventavano, ma anche con serenità, perché non aveva nulla di cui preoccuparsi, glielo dicevano tutti, e aveva vicini Dorcas, Ceday, Jane, Charlie e Una, Morgan. Perfino George a volte.
E aveva Liam."
Avevo promesso delle appendici a chi ha amato la storia di Liam e Sìle, così ecco qua la prima :)
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'There's Something Magic'
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Appendice – 1:

Tre cose:
- Mi scuso per il solito ritardo nell'aggiornamento della storia, ma il lavoro porta via tempo...e un po' troppe enrgie soprattutto.
- Solita rilettura in itinere.
- Sto apportando qualche modifica alle locations, anche nella storia precedente,che comunque sono sempre nel Lake District, quindi niente di radicale, però non vi stupite se leggete qualche nome sconosciuto.
Detto ciò, buona lettura(spero).




Il giorno fatidico era arrivato.
Ceday era rimasta barricata nel cottage del bosco con la scusa della varicella per una settimana, ma il giorno prima era tornata a Londra spiegando che in fondo non stava così male e poteva benissimo muoversi per rientrare.
Sìle aveva espresso le sue perplessità e quando Liam le aveva detto “Ma no, è venuto a prenderla il tipo con cui esce…” soffocando appena un risolino dettato da un pensiero che però lei non era stata abbastanza svelta a carpire, le perplessità erano triplicate.
E che dire del b&b di Dorcas che in concomitanza della visita di Ced e di quegli strani comportamenti suoi, di Liam e della stessa Dorcas,aveva avuto delle improvvise e misteriose noie al sistema idraulico?
Il motivo di tanta segretezza Sìle non era ancora riuscita a capirlo, quei tre, Dorcas, Ceday e Liam, erano una barriera impenetrabile, l’unica cosa chiara era che le noie idrauliche erano misteriose come lo erano i bigliettini di Garlicky. Proprio della stessa natura.
Sìle sospettava che Liam stesse per cedere perché non era da lui tenere nascoste le cose oltre quanto gli consentisse la sua coscienza, ma non era ancora arrivato il momento.
Poi era arrivata la telefonata con cui Paul confermava il suo arrivo e allora lo strano comportamento di tutti loro, era passato a momenti in secondo piano.
E poi aveva deciso di aspettare il cadavere del nemico portato dalla corrente: prima o poi avrebbero dovuto sputarlo il rospo quei tre.
Inoltre il pensiero di rivedere e di conoscere suo padre a quel punto, da quando Liam aveva detto che era pronto a partire per Manchester, era diventato preponderante.
Aveva iniziato a pulire furiosamente sul pulito, a riordinare lì dove era già in ordine da sempre, a nascondere i bigliettini di Garlicky che quel giorno sembravano vivere di vita propria e spuntare da tutti i cassetti, i libri, i quaderni in cui Liam li infilava senza starci a pensare.
Di Garlicky non c’era traccia, ma Sìle da qualche tempo iniziava ad essere oggetto delle sue attenzioni.
La cosa non la metteva certo a disagio, tutto il trambusto che era capitato nella vita di Liam, per lei era la quotidianità, non ci faceva più caso che a Clara che consegnava la posta, si limitava a riordinare dove trovava disordine, a non fare certe cose per evitare dispetti e via dicendo, ma certo se Garlicky avesse scelto proprio quel giorno per esternarle in maniera più eclatante, sarebbe stato davvero poco tempestivo.
Però non lo si poteva frustrare, in fondo il suo livello di inopportunità era di gran lunga più innocuo di quello di tantissimi suoi simili.
Non restava che farci due chiacchiere in tutta tranquillità, come per una strega era facile fare, e sperare che decidesse di essere collaborativo.
Tutto ciò pero doveva avvenire prima che Liam e suo padre arrivassero, quindi aveva dovuto rinunciare ad andare anche lei all’eroporto…e questo la metteva in costernazione.
- Tesoro calmati, stai girando come una trottola, non ti fa bene…- la richiamò Jane vedendola passare per la cucina in cui lei e Dorcas sedevano prese una dal rammendare una scucitura in un maglione di Liam e l’altra dalla cucina.
- Dovrebbe essere arrivato a quest’ora no?- domandò Sìle per tutta risposta – Liam intendo. Dovrebbe essere a Manchester già da…una mezz’ora giusto?-
- Sì dovrebbe…- rispose Dorcas.
- Il volo dovrebbe essere quello delle undici…è quasi mezzogiorno…- disse Sìle guardando l’orologio della cucina. Tacque per qualche attimo, poi si voltò d’improvviso a guardare Jane e Dorcas – e se non si trovano?-
- Si erano messi d’accordo ti ricordi?- rammentò Dorcas – si sono parlati ieri pomeriggio…-
- Sì…sì, mi ricordo…-
- E allora calmati. Dai siediti e stai tranquilla…- le ripeté Dorcas e Jane subito di seguito, le diede man forte.
- Liam quell’aeroporto lo conosce benissimo: aveva una ragazza a Manchester, ormai diversi anni fa…per vederla andava e veniva da lì invece che da Glasgow…vedrai che si sono già trovati -
Sìle la guardò e si decise a mettersi seduta.
- E’ che non chiama…mi aveva promesso che mi avrebbe telefonato appena arrivato all’aeroporto…-
In quel momento, come per incanto, il cellulare di Sìle squillò ed era Liam.
- Ma dove…-iniziò con tono risentito ma si fermò mezzo secondo dopo – ah sì?...d’accordo…sì. A dopo…- riattaccò e depose il cellulare sul tavolo come fosse un oggetto imprevedibile che poteva saltarle al collo in qualunque momento.
Dorcas e Jane la guardavano.
- Allora?- domandò Dorcas.
Sìle si schiarì la voce.
- Stanno tornando…-
- “Sedo sed serio”…è pur sempre un Kerr…- sentenziò.
Dorcas e Sìle la guardarono un po’ perplesse e Jane rise.
- E’ il motto del clan dei Kerr. “In ritardo ma con ferma intenzione”...mio figlio si riflette molto in queste parole a volte: ti lascia in ansia per dei mesi e poi se ne esce con delle grandi rivelazioni…-
Lei e Dorcas risero e anche Sìle alla fine, mentre guardava fuori dalla finestra.


Tornando indietro di qualche manciata di minuti, ecco ciò che era avvenuto di fronte a un banco informazioni dell’aeroporto di Manchester.
Liam era arrivato in orario, si era messo in attesa nel punto concordato con Paul Allerston, padre di Sìle dal volto ancora ignoto, ma dalla voce pacata e tranquillizzante, ammorbidita da un piacevole accento del sud-ovest.
- Posso aiutarla?- gli chiese la ragazza dietro il banco.
- No, grazie, sto aspettando una persona…-
- Con quale volo arriva?-
- Quello delle undici e venti da Gatwick…-
- Oh allora dovrebbe aspettare poco, stavano già ritirando i bagagli -
- Perfetto, grazie -
Qualche minuto dopo, un uomo sulla cinquantina, con una valigia e un lungo cappotto scuro, i capelli brizzolati e l’aria distinta ma non affettata, si avvicinò a quello stesso banco informazioni, ma rimase a qualche passo di distanza.
Con Liam si scambiarono un’occhiata di studio mentre Liam faceva ancora qualche parola con la ragazza del punto informazioni.
Pochi istanti dopo, l’uomo col cappotto , gli si avvicinò e si scusò.
- Io starei cercando il padre di mia nipote…-
Liam da quell’approccio ebbe subito un moto di simpatia per Paul Allerston, di cui aveva riconosciuto voce ad accento.
- Beh, io starei aspettando il nonno di mia figlia se lei fosse anche il signor Allerston, saremmo a cavallo…-
La risata con cui l’uomo accolse la risposta, dipanò qualunque dubbio.
- Il signor Kerr, presumo…- disse tendendogli la mano in accompagnamento alla libera interpretazione della famosa frase di Stanley quando, dopo lungo peregrinare, si trovò davanti il disperso dottor Livingstone.
C'era sempre qualcosa che portava Liam a pensare a quella scena: forse era deformazione professionale da esploratori.
- Liam – replicò lui stringendo la mano che gli veniva offerta – molto lieto signor Allerston -
- Il piacere è mio, ma mi chiami Paul – lo incoraggiò l’uomo.
Si sorrisero e quindi Liam gli offrì di alleggerirlo della valigia, ma Paul rifiutò con ferma gentilezza.
- Allora possiamo andare credo -
Salutando la ragazza del banco informazioni, si avviarono verso il parcheggio, Liam aprì la bauliera, Paul caricò la valigia.
Quando entrarono in auto, la prima cosa che Paul notò era il vago odore di fumo, quello lasciato dalla sigaretta che Liam aveva fumato poco prima di scendere.
- Perdoni se mi permetto ma…avrebbe una sigaretta da offrirmi?-
- Anche due!- rispose Liam girandosi verso il sedile posteriore su cui aveva posato la giacca.
- Grazie…di solito fumo la pipa, ma in auto è scomodo prepararla…-
- Sì, immagino di sì…ma se preferisce la pipa, possiamo aspettare un attimo a partire…-
- No. Per favore, andiamo…ho voglia di vedere Sìle – disse Paul con il solito tono gentile, ma determinato: già in quello Liam riconobbe qualcosa di Sìle e la cosa gli piacque.
- Certo. A proposito, si scusa di non essere venuta, c’era una cosa importante che doveva fare per il suo arrivo -
Paul lo sapeva, lei glielo aveva già anticipato, allora Liam gli disse che doveva chiamarla per avvisarla che era tutto a posto e che stavano tornando, ma Paul rispose di no quando gli chiese se voleva parlarle.
Dopo la telefonata quindi, si misero in viaggio.
- Non sono un esperto del settore, ma Sìle mi ha accennato al fatto che lei è un fotografo piuttosto famoso in ambito documentaristico…-
Liam dondolò il capo.
- Famoso non saprei dirlo ma…stimato da alcune persone la cui opinione mi sta a cuore, sì -
Paul accennò un sorriso lasciando la sigaretta a languire tra due dita.
- Una fortuna poterne fare un lavoro vero?-
- Sì, per molti aspetti sì, anche se si vedono cose di cui si farebbe a meno a volte -
- Mhmh…immagino di sì…purtroppo il mondo ne è pieno – disse Paul, poi però sorrise - ma è pieno anche di cose belle no?-
- Per fortuna sì. E sono ancora abbastanza da non far rimpiangere la scelta di una strada del genere. Alcune volte ho sofferto parecchio, tanto da desiderare di scappare da tutto, ma non ho mai pensato di smettere di fare questo lavoro -
- Ed è scappato?-
Liam annuì senza esitazione.
- E’ stata la decisione migliore che potessi prendere: ho conosciuto sua figlia durante quella fuga…-
Paul lo guardò con una bella luce negli occhi e sorrise, poi dopo un paio di secondi di esitazione, prese fiato.
- Com’è lei?- domandò quasi con timidezza.
Liam rimase senza parole per un attimo, allora Paul si scusò, forse la domanda era strana o magari…
- No, no, no! Nel modo più assoluto, è che…non ho mai pensato a una risposta precisa…- si interruppe, guardando la strada ebbe modo di riflettere per qualche attimo – beh è dolcissima. E…delicata. Non intendo fragile, intendo sensibile e ammaliante, anche se non se ne accorge. E…- d’improvviso lo colse il dubbio che Paul potesse non sapere quanto anche sua figlia fosse come Morgan, così cerco un termine di maggiore pragmatismo per dire quello che pensava - ehm diciamo empatica...molto, empatica…-
- Sì, credo di conoscere il genere di empatia che la contraddistingue…- rispose invece Paul.
Liam si voltò per un attimo a guardarlo e accennò un sorriso.
- Ah sì?-
L’altro fece segno di sì con la testa.
- Quando ha detto che è ammaliante, ho avuto l’impressione di vedere me stesso quando ho conosciuto sua madre. So che Sìle è come Morgan e conosco alla perfezione l’effetto che donne come loro possono fare…-
- A dirla tutta Morgan fa un po’ paura - commentò di tutto cuore Liam.
- Oh-oh sì!- convenne Paul ridendo un poco, poi però sollevò un dito -…ma può farla anche Sìle scommetto. Come può farla Una, quando vuole…-
- Già…-
Ci fu un altro attimo di silenzio, poi Paul guardò di nuovo Liam con curiosità.
- Sbaglio molto se dico che lei non sembra avere alcuna curiosità sul perché la vita di Sìle, sia stata…piena della mia assenza?- domandò, poi si affrettò a specificare – non è per ansia di protagonismo che lo chiedo, ma mi aspettavo un’accoglienza molto più tiepida da un perfetto estraneo che in fondo di me forse sa solo che sono sparito dalla vita della sua compagna…-
Liam, che aveva lasciato il pacchetto di sigarette appoggiato sul cruscotto, approfittò per prenderne una e accendersela.
- Beh…non ho la tendenza al pregiudizio verso la gente -
Paul sghignazzò appena sotto i baffi.
- Allora è vero che Glasgow è diventata cosmopolita…-
Anche Liam rise, ma parlò seriamente.
- La verità è che Sìle non mi ha mai parlato di lei con risentimento. Morgan, per quel poco che ne parla, non ha mai dato a nessuno motivo di pensare che da parte sua ci fosse una precisa volontà di abbandonare sua figlia…e Una è…-
- Eccezionale…- lo anticipò Paul, poi annuendo tra sé, rimuginando su qualcosa di suo, e di Una, che non era così difficile da immaginare -…davvero Sìle è così serena?-
Liam prese un tiro di fumo e si prese il tempo di buttarlo fuori prima di rispondere ancora.
Il modo in cui Paul Allerston chiedeva di sua figlia, gli comunicava in maniera molto forte che quell’uomo, pur così misurato, prudente e gentile, non aveva smesso per un attimo di domandarsi di lei, di preoccuparsi per lei, di sperare che stesse bene.
- Ha solo un’ossessione per l’abbandono…- disse rendendosi subito conto che la risposta che aveva dato poteva venire interpretata in modo più grave di quanto non fosse nelle sue intenzioni. Infatti riprese subito dopo – non lo teme nei fatti, sa stare da sola, è molto più che sufficiente a sé stessa e ha troppa dignità per pregare qualcuno di restare se non vuole, ma non tollera l’idea che chi le sta intorno possa prendere la decisione di lasciarla senza dirglielo. Teme in modo spasmodico di venire piantata in asso come un’ospite importuna a cui si mette una scusa per potersi allontanare…e forse a volte rischia di essere lasciata sola proprio per quello. E’ forte, molto più di quanto crede…-
Paul però era diventato più taciturno e meditabondo, guardava fuori.
Liam capì che avrebbe voluto dargli delle spiegazioni, ma per un milione di motivi, tutti ben intuibili, non riusciva a dire niente. E Liam non chiese niente.
Rimasero in silenzio per un po’.
- E la paternità? Come le sembra come prospettiva?- riprese Paul ad un certo punto.
Liam sorrise quasi senza accorgersene.
- Inattesa e terrificante. Non avevo mai programmato se e quando avere dei figli e di certo non di contribuire a perpetuare una schiatta di streghe! – disse -…ma mi piace -
- E’ uno strano pensiero, non c’è che dire…- gli concesse Allerston, poi con un dito indicò il segnale per Windermere- non è a Windermere che hanno avvistato una nuova Nessie di recente?- chiese poi: quel suo modo di abbandonare gli argomenti delicati era particolare.
Non era sintomo di perdita di interesse, quanto del desiderio di non affrettare le cose e Liam anche in questo si sentì piuttosto in armonia con lui.
-Bownessie, sì…se ne vedono parecchie di cose strane qui. Un anguillone a tre gobbe sarebbe il meno – rispose.
Paul gli lanciò un’occhiata allarmata, ma d’altronde Sìle l’aveva avvisato che suo padre forse non aveva mai avuto a che fare con quello che aveva coinvolto lui.
- Lei non è un sostenitore di una delle vostre glorie nazionali?-
- E’ un po’ più complicato di così…ma quanto a Nessie, diciamo che sono una di quelle persone che hanno qualche ragionevole dubbio sulla sua non esistenza. Però sono convinto che sia solo un enorme serpente d’acqua…-
- E da dove le vengono questi ragionevoli dubbi?-
- Dalla foto di un amico, un collega. Foto che lui si è sempre ben guardato dal diffondere proprio per evitare certe prevedibili ripercussioni -
Liam c’era passato meno di un anno prima, attraverso quel tipo di esperienza, dopo di che si era sempre più persuaso che George avesse davvero scattato una foto che non sapeva come spiegarsi se non dicendo “Ho fotografato Nessie”. E in effetti, in quella foto c’era davvero qualcosa di tanto nitido da essere inquietante.
- Deve avere molta fiducia in questa persona…-
- In realtà quello che mi ha convinto è stato che un uomo con una più che onorata carriera di fotoreporter di guerra, abbia deciso di mettere a parte di una cosa così personale uno sbarbatello, come ero io all’epoca, di qualcosa per cui gli avrebbe potuto benissimo ridere in faccia…o fregargli la foto e spacciarla per sua. Avrei potuto farlo nell’occasione in cui mi mostrò lo scatto. E poi stare con una strega…non ti mette in una posizione felice per lo scetticismo -
Paul rise leggermente.
- Parole sante…- commentò.
- Oh ma non si preoccupi: il peggio è tornato a Londra!- lo tranquillizzò Liam pensando a Ceday. Le voleva bene così d'alltronde: considerandola una specie di vulcano in eruzione.


Quando Sìle vide l’auto fermarsi davanti casa, saltò in piedi e corse, per quanto consentiva il pancione, ad aprire.
- Eccoli!- esclamò sparendo dalla vista di Dorcas e Jane.
A metà strada la sentirono protestare contro qualcosa e un attimo dopo starnutire tre volte filate.
Dorcas la seguì con lo sguardo e poi scosse la testa.
- Se solo capissi come diavolo funziona il suo naso…-
- Che vuoi dire?- chiese Jane.
- Oh niente…parlavo tra me -
Entrambe intanto si stavano muovendo verso la finestra della cucina per osservare la scena che si svolgeva fuori.
Dorcas alludeva, era ovvio, a quel prurito al naso che tormentava Sìle quando doveva arrivare qualcuno: Liam le aveva detto che le aveva dato il tormento per una nottata intera prima che partissero per l’Isola di Man. Poi aveva smesso, ma probabilmente, aveva concluso Dorcas, era dovuto all’incontro con Eric.
Quando invece, come quella volta, aspettava qualcuno di importante sapendolo prima, non avvertiva il minimo fastidio se non all’ultimo momento. Presagiva l’arrivo degli attesi con cinque minuti scarsi di anticipo.
Quando si era alzata dalla seda lo aveva tutto rosso, e ora eccola che starnutiva.
Sìle aprì la porta e uscì: Liam stava armeggiando nel bagagliaio per recuperare i bagagli di Paul e un’altra grossa busta di carta mentre Paul si stava guardando intorno con aria ammirata e curiosa.
L’ondata di ansia che l’aveva colta nell’atto di aprire la porta, si dissolse all’istante proprio vedendolo così.
La memoria le si aprì proprio su quel modo di tenere le mani in tasca, sulla forma delle spalle che erano dritte e rassicuranti. Paul non era imponente come Liam, ma aveva un fisico atletico e prestante.
Forse il ricordo venne aiutato dal cappotto scuro e lungo, molto simile a quelli che indossava all’epoca della sua infanzia.
Non credeva di ricordarselo, invece da quando aveva parlato con lui al telefono, era come se un canale tra lei e la sua parte sopita si fosse riaperto, rivitalizzato.
- E’ un posto bellissimo…- lo sentì dire, e un attimo dopo lo vide allungare una mano ad accarezzare il testone Pluffie che, trovata la porta aperta, si era fiondato incontro a Liam.
- Già…le danno fastidio cani e gatti? Sìle non me l’ha detto- chiese quello vedendo Pluffie che dava segni di entusiasmo anche verso il nuovo ospite.
Paul rise e scosse la testa.
- Abbiamo tre cani e non so quanti gatti a casa…spero anzi che loro non la prendano per un’indelicatezza!-
- Anche in questo caso, non è il peggio che può succedere qui dentro- rispose allora Liam, che posando gli occhi sulla porta d’ingresso, vide Sìle ferma pochi passi più avanti e non si offese di vederla così concentrata sull’uomo che aveva vicino – siamo attesi…- gli disse anzi mentre estraeva una borsa dalla bauliera.
Paul aveva una faccia non molto mobile, ma espressiva e in un attimo gli passarono sul viso un interrogativo, sorpresa e poi qualcosa di simile all’improvviso ricordo del motivo per cui era lì.
Guardò verso Sìle e seguì Liam incontro a lei.
Li guardò scambiarsi qualche parola, lei gli accarezzò la mano con le sue mentre lui gliela appoggiava sulla pancia, ma solo per accarezzare lei, era un gesto che faceva sempre, poi si abbassò a darle un bacio sulla testa e tornò a voltarsi verso Paul.
- Porto dentro queste…- annunciò, poi rivolto a Sìle aggiunse – serve a Dorcas…- poi la guardò un attimo, le sorrise e vedendola ancora preda delle ultime tracce di esitazione, le fece un cenno incoraggiante verso Paul – dai. E’ simpatico…-
Detto questo sparì richiamando Pluffie che lo seguì a ruota, e li lasciò soli.
Paul si avvicinò con le mani in tasca e un’espressione incantata di fronte a quella giovane donna, ai suoi occhi grandi e brillanti, al suo sorriso dolcissimo e ai suoi lunghi capelli scuri e lucenti.
Dopo un lungo momento di contemplazione, allargò le braccia abbandonando il rifugio della tasche.
- Buon Dio…sei meravigliosa!- esclamò.
Sìle, al suo solito, si portò le mani alle guance come per nascondersi, ma quella volta si fermò, si sfiorò il mento e sorrise come se lui l’avesse scoperta a combinare qualche marachella.
- Quell’uomo si offende molto se altri ti abbracciano?- domandò Paul riferendosi a Liam. E dicendo “quell’uomo”, usò un tono già quasi familiare e cameratesco. C’era qualcosa di rispettoso, ma di bonario in quelle parole.
Sìle scosse la testa, non riuscì a parlare perché le mancava il fiato e le veniva da piangere: si andò a nascondere contro il petto del padre come se non fosse passato un giorno dal loro ultimo incontro.
Gli afferrò il collo del cappotto e lasciò che lui se la stringesse addosso e la cullasse tra le braccia.


- Accidenti…si sono riconciliati presto…- commentò Jane sbirciando con Dorcas dalla finestra.
- Non è che avessero litigato. E’ che lei doveva aspettare il momento giusto per cercarlo…- rispose Dorcas – avranno molte cose da dirsi, certo, ma Sìle ha sempre saputo in qualche modo che suo padre non l’aveva lasciata con l’intenzione di starle lontano…-
Liam entrò in quel momento e le vide entrambe barcollanti sulle punte dei piedi e il naso appuntito al di sopra delle tendine della cucina.
- Portate i vostri augusti culoni su queste sedie e fatevi gli affari vostri per favore…- intimò loro.
- Ti sembra il modo di rivolgerti a tua madre?- disse Dorcas.
- Non parlare così a Ms.Patel William, chiedi scusa!- disse anche Jane quasi in coro con Dorcas.
- Se venite qui, vi chiedo scusa. Anzi ve lo chiedo ancora più sinceramente se adesso andate lì, salutate il signor Allerston e poi, buone, buone, da rispettabili signore "Vecchia Britannia", ve ne tornate di qua e li lasciate un po’ da soli – replicò lui nient’affatto intimidito – ti servono sempre questi?- domandò a Dorcas alludendo a tutta una serie di vasi, vasetti e scatoline di legno che lei aveva comprato in un mercatino dell’antiquariato in un paese vicino e che aveva dimenticato nell’auto di Liam.


Mentre Liam si adoperava in quella delicata opera di persuasione, Sìle e Paul si stavano rientrando in casa tenendosi la mano dopo un lungo abbraccio e un lungo silenzio.
Sìle non sapeva come aspettarselo quell’incontro e invece era tutto molto più facile di quanto non avesse mai creduto.
- Mi spiace non essere venuta all’aeroporto, c’era una cosa urgente che dovevo fare e…-
- Non ti preoccupare. Se devo essere sincero, mi avrebbe messo più in difficoltà…-
- Sì anche a me forse -
Entrarono e Sìle lo portò verso il salotto, gli prese il cappotto, quindi si scusò e uscì per un attimo andando a chiamare Dorcas e Jane.
- Ricordatevi cosa mi avete promesso…- le ammonì Liam.
- Insomma smettila di trattarci come bambine piccole!- lo rimbrottarono entrambe mentre andavano dietro a Sìle, ma ad ogni buon conto Liam le seguì.
Quando arrivarono nel salotto dove era Paul, le due rispettabili signore inglesi, sembravano due sorelle gemelle di Miss Marple: un’emulsione letale di irresistibile gentilezza e irrefrenabile indiscrezione.
Sìle esitò quando si trattò di richiamarlo: dire “papà”, non le veniva naturale, così Liam le venne in aiuto.
- Paul, le serve niente? Qualcosa da bere?- chiese entrando dietro di loro.
L’uomo si voltò e si alzò in piedi vedendo le due donne.
- No, grazie, sono a posto così…-
- Bene…- disse Liam dando una spintarella dietro la schiena di Sìle per indurla a parlare, infatti lei riprese subito il filo del discorso.
- Queste sono Jane, la madre di Liam, e Dorcas, la mia…-
Dorcas si intrufolò nel discorso per dare subito risalto al suo ruolo di primo piano, o almeno secondo e mezzo, nella vita di Sìle.
- Zia. Zia put…put…come si dice?- domandò a Liam schioccando le dita della mano che non stava stringendo quella di Paul.
- Putativa -
- Sì, ecco…-
Paul sorrise ad entrambe le donne, aveva stretto prima la mano a Jane però, gli rimaneva più vicina.
- Questo è mio padre…- si decise a dire Sìle: ebbe bisogno del cenno di approvazione di Liam, molto discreto, per essere certa di aver fatto bene.
- Molto lieto – disse Paul.
Dorcas e Jane, dopo aver risposto con squisita gentilezza, rimasero ferme, impalate, a guardare quell’uomo affascinante, dal sorriso gentile.
Liam sentì di dover intervenire di nuovo.
- Ehi…- chiamò rivolto a Sìle che lo guardò – perché non porti Paul di sopra e lo fai sistemare? Io porto su la valigia intanto -
- D’accordo…- rispose Sìle.
Poco dopo erano al piano di sopra, nella camera da letto vicina a quella di Jane. Liam si allontanò subito per tornare di sotto.
Sìle richiuse la finestra e gli sorrise mentre lui si sedeva su una delle due poltroncine che erano sistemate nella stanza, proprio lì vicino.
Poi si accomodò anche lei.
- Sei stanco? - chiese.
- No, stai tranquilla: è solo un’ora di viaggio…-
- Se hai bisogno di qualcosa…-
- Non ho bisogno di niente, stai tranquilla -
Sìle annuì, poi le tornò improvviso un po’ di panico dovuto all’emozione quando si accorse che non riusciva a spiccicare parola.
Paul vedendola in difficoltà, le riprese la mano e la strinse con fare incoraggiante, allora lei rise tra le lacrime che le avevano di nuovo riempito gli occhi.
- Non so neppure da dove cominciare…chiederti come stai mi sembra così stupido…- disse lasciando che lui le asciugasse i lacrimoni che le rigavano il viso.
- Sapessi quanti pensieri stupidi ho fatto io in questi giorni!- rispose sorridendo, poi allargò il sorriso – ma che dico in questi giorni. In questi anni! Ogni volta che pensavo al giorno in cui ti avrei rivista o sentita…-
- Davvero ci pensavi?- gli domandò lei.
Paul prima di risponderle, accennò un’espressione e un gesto del viso, che faceva spesso anche Liam: quel modo di aggrottare le sopracciglia su un sorriso perplesso, sorpreso da qualcosa che credeva ovvio, e quel leggero movimento all’indietro del mento e del collo.
- Ma certo…- rispose – però non posso pretendere che tu lo dia così per scontato, hai ragione…sono…venticinque anni che aspetti una spiegazione vero?-
- Più o meno…- sospirò Sìle asciugandosi una lacrima che le era arrivata sotto il mento – in realtà la domanda che mi sono fatta più di frequente è stata perché avessi accettato certe condizioni per…lei – disse alludendo a Morgan.
Paul si schiarì la voce. Forse non si aspettava che le cose prendessero subito una direzione così decisa e determinata, ma magari era meglio.
- Con tua madre hai mai parlato di come ci siamo lasciati?-
- Non ho quasi mai parlato con lei fino all’anno scorso…e di te non vuole parlarne. Mi ha solo detto che tu…- rispose Sìle.
- Ero troppo poco impositivo. O qualcosa del genere. Vero?-
Lei tacque confermando in quel modo.
L’uomo si appoggiò con la schiena alla poltrona e scosse appena la testa.
- E forse è vero…- ammise – c’era qualcosa su cui proprio non riuscivamo a capirci. Lei non voleva sentirsi troppo legata, così io cercavo di non farle pesare il mio modo di vedere le cose…ma…questo l’ha convinta che io mi fossi rimesso a lei. E neppure questo le andava bene -
- Questo posso capirlo…io non tollererei di essere subìta. Meglio sola…- disse Sìle.
- Credo che fosse questo in parte, sì. E quando sei arrivata tu, questa cosa è esplosa…lei era molto giovane e impulsiva. Era molto sicura di quello che sentiva, e l’idea di sbagliare proprio su qualcosa che riguardava sé stessa non la accettava, ne aveva paura…-
Sìle non aveva mai ascoltato il punto di vista di qualcuno che non fossero Dorcas o Una, sul conto di Morgan. Il parere più utile in quel senso glielo aveva dato Liam, che dal canto suo vedeva solo, o prevalentemente, le somiglianze umane tra madre e figlia.
Però Paul le stava parlando da un’altra posizione e le stava dicendo cose che Liam non poteva sapere, ma che le facevano capire quanto lei e Morgan si somigliassero non solo nei tratti somatici.
- Anche io sono così. Quando si tratta di me, diventa tutto confuso, fumoso…e spaventoso…e allora faccio gli errori più enormi. Ma perché io ho peggiorato le cose?-
Paul sorrise.
- Per me eri la cosa più bella che potesse succederci. Per lei eri la cosa più…sacra, mi viene solo questo in mente per spiegarti. Non ti vedeva solo come la sua bambina, eri qualcosa di cui perfino lei sembrava avere soggezione. E così viveva con timore l’idea che la mia presenza potesse distrarti da quello che le premeva che tu rivelassi di te…e così alla fine la mia presenza era diventata la causa di una divisione tra te e lei che non era giusto che ci fosse -
Sìle capiva, ma per la prima volta in quei minuti, diede respiro a quel bisogno di rimproverare all’uomo che aveva davanti almeno la sua assenza.
- Non dovevi andartene…-
Paul allargò le braccia con rammarico.
- Non sapevo che altro fare. Avevo la sensazione di essere un intruso e di stare facendo di ventare te estranea per tua madre. Sembrava avesse insofferenza per il normale rapporto tra un padre e una figlia, come se lo vedesse poco "rispettoso" di quello che tu potevi diventare. Una dal canto suo non si esprimeva molto…sentivo che era dalla mia parte, ma non poteva mettersi contro sua figlia, non sarebbe stato naturale né giusto. Così quando io decisi di allontanarmi, mi promise che avrebbe fatto il possibile perché tu non mi odiassi o non pensassi che non mi importava di te e per un po’ è anche riuscita a farci incontrare…-
- Ma poi non ti ho visto più…-
- Sono stato fuori dal Regno Unito per quasi dieci anni. Sulle prime era un trasferimento che doveva durare solo uno o due anni e io mi sono detto “Vado, lascio passare un po’ di tempo, scrivo alla bambina, magari Morgan intanto ci ripensa e poi vediamo…”. Io ero ancora molto innamorato di tua madre a dispetto di tutto…tentai di riavvicinarmi a lei allora, passati quei due anni, ma lei non volle saperne. E io alla fine ho ceduto all’orgoglio. Così…tua nonna, mi consigliò di aspettare. Non lei, non Morgan, ma te…e in effetti io non sono mai sparito, ti ho sempre scritto -
Sìle d’improvviso ebbe un’illuminazione.
Una che, in assenza di Morgan, arrivava quatta quatta e, da sotto i suoi improbabili maglioni e cardigans, estraeva delle lettere.
“Queste te le leggo stasera…” le prometteva.
Poi quando lei, nel sentirle, chiedeva chi fosse a scriverle, la nonna le rispondeva soltanto che un giorno l’avrebbe scoperto. Che non doveva avere fretta.
Paul, quando lei come poteva essere prevedibile domandò perché Morgan non dovesse sapere delle lettere che lui mandava alla figlia, spiegò che no, non era vero: Morgan era al corrente di tutto, solo che non voleva essere presente quando quelle lettere fossero state aperte e lette. Non voleva vedere sul viso di sua figlia la curiosità, l’attesa di scoprire cosa dicevano come fossero il più grande regalo del mondo.
- E perché non dovevo sapere che erano tue?-
- Questo credo fosse un modo di Una per non farti avere più contrasti di quanti già non ce ne fossero con tua madre, ma al contempo per non farti dimenticare che c’era qualcuno, da qualche parte, che aspettava con ansia il momento in cui avesse potuto incontrarti…-
Sìle rimase in silenzio per un attimo, con un’espressione poco serena, e allora Paul si chinò in avanti e le sfiorò un ginocchio.
- Ascoltami ti prego…- le disse – l’ultima cosa che voglio al mondo è creare dei problemi tra te e Morgan ora che siete tornate ad avere un rapporto più normale, quindi ti chiedo di ascoltarmi molto bene e di capire una cosa…-
- Sì…- rispose Sìle senza guardarlo però.
- Morgan è testarda e orgogliosa. Non ammette con facilità i suoi errori. Con te non ammetteva di poterne fare e si sentiva in colpa per come si stava comportando, questo posso dirlo con una buona dose di sicurezza: è una zuccona bisbetica, ma è ben lontana dall’essere una stupida. Quando si è accorta di stare sbagliando, era troppo tardi per lei, non avrebbe mai accettato di tornare indietro. E poi aveva troppa paura di peggiorare le cose, e questo posso capirlo, l’ho avuta tante volte anche io questa paura…- mormorò sotto lo sguardo attento della figlia - lei era così sicura che tu non avresti avuto bisogno di me, di lei, di niente. Avevi “la tua natura”, diceva, che ti avrebbe dato tutta la forza di cui avevi bisogno…-
- Beh si sbagliava!- esclamò Sìle con gli occhi accesi di un lampo di rabbia che rivelarono quel solito riflesso felino, infatti un attimo dopo li coprì come fosse qualcosa di imbarazzante, di indelicato.
Paul ne rimase colpito senz’altro, ma non lo sottolineò. Tentò solo di calmarla.
- Non del tutto a quanto ho sentito dire…-
- Da chi?-
- Il tuo ragazzo mi pare un tipo piuttosto saldo…eppure parla di te come di una piccola roccia -
Sìle lo guardò di nuovo e il suo sguardo baluginò ancora per un momento della luce ferina, ma poi si ammorbidì e accompagnò un piccolo sorriso timido.
- Davvero?- chiese.
- Lo sai che è così. Non ti sbagli se lo pensi…- le rispose Paul, quindi sollevò un dito – il primo consiglio da padre, me lo consenti?-
Sìle sorrise e acconsentì.
- Non fare l’errore di tua madre: non mettere sempre in dubbio quello che il tuo intuito ti dice di te stessa e di quello che conta per te. Non mettere sempre in dubbio le intenzioni e i pensieri che ti sembra di cogliere negli altri perché ti sembrano troppo “belli”…- le disse – essere messo sempre in dubbio, non è bello per un uomo che ama una strega e che accetta che lei lo esplori in ogni sua parte. Lo rendi impotente, gli rendi impossibile starti vicino…e allora lui rischia di fare i miei di errori e lì dentro – aggiunse indicando la pancia di Sìle – c’è qualcuno che non deve subirli quegli errori, se c’è la possibilità di evitarli: giusto?-
Sìle finalmente fece caso al fatto che la bambina, che come un animaletto allarmato, immobile e “nascosta” per le ore precedenti, da quando Liam era tornato e Paul stava parlando con la mamma, si era timidamente riaffacciata producendo qualche prudente sommovimento nel suo rifugio liquido. Allora annuì.
Lo guardò per qualche attimo poi decise che di chiarimenti non ne voleva altri per il momento.
Avvertiva con chiarezza alcune due importanti a quel punto: suo padre non era mai stato lontano nel modo in cui sembrava, e lei in qualche modo, e grazie alla nonna, lo sapeva da sempre, o non avrebbe avuto voglia di cercarlo ancora.
Morgan era sempre meno la madre lontana e fredda che aveva visto per tanto tempo, e Sìle si sentiva sempre meno in contrasto con lei. Certo avrebbe ancora avuto una gran voglia di prenderla di petto, affrontarla e costringerla a spiegarsi, ma abbattendo un altro pezzo di muro, invece che aggiungere file di mattoni.
Ecco fatto!, pensò tra sé come chiudendo uno dei libri che avrebbero composto la sua vita.
-…e la signora Allerston? Com’è?- chiese.
- Un giorno te la faccio conoscere, promesso!-

   
 
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