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Autore: Gio26    27/01/2012    1 recensioni
"Il momento buio della vita arriva per tutti. Improvvisamente, ti sembra che il mondo intero faccia schifo, che non abbia più senso continuare a vivere...
E poi incontri lei, la persona che ti ascolta in silenzio, ti consola, ti consiglia, ti aiuta ad andare avanti, a vivere.
Quella persona ti capisce con uno sguardo, perché tu sei come un libro aperto, per lei.
Ed io avevo incontrato quella persona per caso, in biblioteca, in uno squallido e piatto pomeriggio di settembre."
-
[Songs by: Jimi Hendrix, The Beatles, Bob Dylan, Tom Petty]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Libro 4
LIBRO 4 - Delitto e castigo

[Tom Petty & The Heartbreakers - Learning to fly]
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Well I started out down a dirty road
Started out all alone
And the sun went down, as I crossed the hill
And the town lit up, the world got still

Mi portò una coperta, mi preparò uno dei suoi tè caldi e mi offrì quei deliziosi biscottini al burro. Divorai tutti quelli nel piatto.
Io gli raccontai tutto, fra le lacrime.
-Così... la verità è più dura di quanto potessi immaginarti- mi disse, al termine del mio racconto.
Annuii. Avevo smesso finalmente di piangere.
-A volte la verità fa male... Ma perlomeno hai chiarito. In tutte le cose c'è un lato negativo e uno positivo, anche se tendiamo a vedere solo il primo. Ora devi chiarire i tuoi sentimenti, a far chiarezza nel tuo cuore.
-Già fatto. Non posso continuare ad andare dietro ad un tipo del genere. Anche se lo amo, lo dimenticherò, nonostante io sappia benissimo che ci vorrà molto, molto tempo. Andrò avanti. Anche se sarà dura, ci sarà lei ad aiutarmi, vero?
Lui sorrise e annuì. -Certo, Julie.
Julie. Che diminutivo grazioso.
-Tua madre dev'essere in pensiero. Vuoi tornare a casa? Però è buio, se vuoi ti accompagno...
-No, per favore. Non voglio tornare a casa, oggi. Se non le dispiace, potrei restare qui per stanotte, per favore? Se non disturbo...  Non vorrei sembrare inopportuna...
Lo vidi titubare, e non poco. Era comprensibile: ospitare una studentessa minorenne! Sarebbe sembrato un porco pedofilo.
Però poi incontrò i miei occhi supplici e desiderosi del suo aiuto più di qualunque altra cosa... e sorrise. -No, nessun problema. Però telefona ai tuoi genitori e dì loro... che starai da un'amica.- Sospirò. -Cavoli, non inventavo bugie del genere da... vent'anni? Anche di più! Mi sento come un'adolescente.
Risi. -Vado a chiamarla. Finora non ho risposto alle sue chiamate e avevo spento il cellulare: sarà davvero molto preoccupata.
-Già. Dopo però va' a farti un bagno caldo, o ti prenderai un raffreddore.
-Ma... Non ho niente da mettermi- mormorai.
Lui si alzò, andò in un'altra stanza e tornò poco dopo con in mano una felpa e un paio di pantaloni. -Questi erano di mia moglie, dovrebbero andarti bene. Vieni, ti indico il bagno.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

Fare il bagno fu un'idea grandiosa: era davvero un uomo saggio e maturo e i suoi consigli non mi deludevano mai. Anche parlare con Phil, in fondo, era stato positivo. Avevo capito finalmente che dovevo superare la cosa, nonostante fosse doloroso.
Mi rilassai e mi sentii subito meglio, anche se non volevo pensare troppo, o avrei ricominciato a piangere e non ne avevo nessuna voglia.
Indossai i vestiti che mi aveva dato il professor Spencer con un po' di malinconia (erano i vestiti della moglie...) e tornai in salotto.
-Ho messo i tuoi vestiti ad asciugare- mi disse.
Mi guardò e s'incupì; poi distolse subito lo sguardo.
Sospirai. -Questi vestiti appartenevano a sua moglie... Non dev'essere facile... Se preferisce mi rimetto i miei...
Lui fece cenno di no con la testa e mostrò un amaro sorriso.
Mi bloccai. Non sapevo davvero cosa dire.
Il professor Spencer portò le mani indietro sui braccioli e si sedette sulla poltrona dietro di lui. Alcune lacrime rigarono il suo volto.
Non l'avevo mai visto piangere. Mi avvicinai piano. -Professore...
-Scusa... A quanto pare, è giornata di pianti- Cercò di essere spiritoso, ma la sua battuta ghiacciò la stanza.
Sospirai e lo abbracciai in silenzio. Non ci sono mai parole che possano confortare abbastanza da una morte.
-Mia moglie... L'amavo tantissimo. Anche lei mi amava tantissimo. Desideravamo un figlio, ma lei scoprì di essere sterile: ne soffrì moltissimo, si scusava spesso con me, anche se le ripetevo che non ne aveva motivo. Le proposi di adottare un bambino, ma lei non volle. Dopo dieci anni di matrimonio... Di ritorno da scuola la trovai morta sul pavimento del bagno, questo giugno, proprio quando tu sei stata lasciata da Phil. Per questo ho cambiato scuola e mi sono trasferito nella tua... Lei stringeva in mano una scatoletta di pillole antidepressive, vuota: le aveva ingerite tutte insieme. Non sapevo nemmeno che le assumesse... Mi aveva tenuto all'oscuro di tutto. Sapevo che soffrisse, ma non immaginavo che volesse suicidarsi. Credo che non sopportasse più il dolore. Sono stato così cieco... E' tutta colpa mia...
-Non è colpa sua, professore- dissi.
-Io... Pensavo di poterla consolare, di poterla aiutare, ma non ci sono riuscito... Avrei dovuto confortarla e proteggerla, era mia moglie, dopotutto! Era mio dovere. Non sono capace di aiutare nessuno.
-Lei ha aiutato me, professore. Mi ha aiutato davvero tanto, e le sono infinitamente riconoscente. Sono sicura che sua moglie l'abbia amata immensamente. Deve superare questo dolore, deve andare avanti come mi ha insegnato.
-Non credo di esserne capace! Io... Parlo bene, ma... sono solo un debole in realtà...
-Non dica così. E' umano soffrire: me l'ha detto lei stesso, ricorda? Lei è un uomo meraviglioso. Sono sicura che un giorno riuscirà e risollevarsi... e ad amare di nuovo.
Il prof Spencer non piangeva più. Si asciugò il viso: era visibilmente imbarazzato. -Ti ringrazio. Anche tu mi hai aiutato tanto, Julie, con i tuoi sorrisi e la tua vitale gioventù.
Sorrisi amaramente. Non era ciò che vrei voluto sentirmi dire. -Si figuri. Sono felice di essere utile a qualcuno.
Lui comprese il mio stato d'animo, come sempre. Sospirò. -Mi scuso se ti ho dato l'impressione contraria, ma non provo nessun sentimento d'amore nei tuoi confronti. Per me sei una studentessa... un'amica, una confidente. Una ragazza intelligente e una piacevole compagnia. Ma nulla di più. Io continuo ad amare mia moglie, come tu continui ad amare Phil. Noi due possiamo capirci, ma non ci amiamo.
-Ha ragione. Io mi scuso per il mio comportamento di ieri... Ho capito i miei sentimenti. Effettivamente, ero confusa e anche io la penso come lei. Per me lei è un professore che stimo... un amico, un confidente. Un uomo adulto intelligente e una piacevole compagnia. Ma nulla di più.
Non avevo mentito. La verità era quella, e l'avevo capito: avevo fatto davvero chiarezza nel mio cuore. Quella sera avevo compreso molte cose.
Mi caddero gli occhi sulla libreria. Il prof possedeva moltissimi romanzi, ma mi colpì uno in particolare, uno che -stranamente- non avevo mai visto.
Lo sfilai pian piano: era rilegato alla buona, aveva una semplice copertina bianca con il titolo e l'autore, niente più.
-Professore, potrei leggere il suo libro "La nebbia d'estate?"
-Cosa?- Il prof si agitò un po'. -Ma veramente io...
-La prego! Mi piacerebbe moltissimo.
Scrollò le spalle. -D'accordo, ma non aspettarti chissà che. Quando lo scrissi ero giovane e immaturo...
-Lo sono anch'io: vorrà dire che lo comprenderò meglio- sorrisi. -Ma prima di giudicare devo leggerlo. Le farò sapere la mia opinione.

-Bene, si è fatto tardi e credo che abbiamo bisogno entrambi di riposare: domattina suona la sveglia- disse il prof. -Puoi dormire in camera mia, io dormirò sul divano: l'ho già preparato...
-Oh, no: dormo io sul divano, ci mancherebbe!
-Sicura?
-Certo. Mi sentirei troppo in imbarazzo... Sto già approfittando troppo della sua gentilezza.
-Va bene, buonanotte allora- mi disse, baciandomi la fronte come mio padre non aveva mai fatto.
-Buonanotte, prof.
Prima di dormire cominciai a leggere il romanzo del professore, “La nebbia d'estate”. Era proprio come se lui mi parlasse. A quanto pare non era cambiato molto negli anni.
Passai tutta la notte a leggerlo.
La mattina seguente il professore si alzò prestissimo. Non mi aveva notata: sbadigliò rumorosamente, spalancando la bocca.
Risi. -Buongiorno, prof.
Fece un balzo per la sorpresa. -Buon...- Mi vide con il libro in mano, incredulo. -Stai ancora leggendo? Non dirmi che non hai dormito?!
-Il suo libro è troppo bello, professore.
-A che punto sei arrivata?
-Quasi alla fine. Lo trovo bellissimo: non capisco davvero perché non lo abbiamo pubblicato.
-Ti ringrazio. Te lo presto, finiscilo pure con calma. Cosa gradisci per colazione? Caffè, latte, cappuccino, tè, cioccolata calda...?
-Uno dei suoi tè caldi, per favore. E quei deliziosi biscottini al burro.
-Mi dispiace: temo che tu li abbia finiti tutti ieri sera- rise.
Risi anch'io. -Il tè basterà, grazie.
Avrei voluto che quella serenità durasse per sempre, ma, come mi aveva insegnato, era impossibile.
Mi guardò. Fece una faccia strana.
-Che c'è? Qualcosa non va?- chiesi.
-Hai dei capelli davvero orrendi la mattina, Hendrix.

Well the good ol' days, may not return
And the rocks might melt & the sea may burn

Uscimmo di casa, un po' imbarazzati.
-Beh, sarà meglio non andare a scuola insieme...- disse.
-Già, assolutamente. Lei può andare in macchina come sempre, io andrò con l'autobus. Dov'è la fermata più vicina?
-Oh, è proprio davanti alla biblioteca.
-Allora è vicino.
-Vuoi che ti accompagni?
-No, grazie, non è necessario.
Ci salutammo e ci dividemmo.
Non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo. Di lì a poco, la serenità che avevo ritrovato con tanto sforzo sarebbe andata in frantumi.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

Qualche giorno dopo, a scuola, cominciarono a girare strane voci. La gente, dopo tanti mesi di pace, aveva ricominciato a sparlarmi dietro... Ma questa volta non ridevano. Non sapevo però cosa dicessero quei pettegolezzi.  Era ancora per Phil, dopo tutto quel tempo?
Il professor Spencer mi chiamò. -Dobbiamo parlare. Riguarda quello che si dice su di noi...
-Su di noi? Pensavo riguardasse solo me. Cosa si dice esattamente?
Il prof sbiancò. Deglutì. -Ci hanno visti uscire insieme da casa mia, l'altra mattina.
Sgranai gli occhi. -Oh, cazzo. Ma non è possibile! Chi?
-Patricia Marren. Abita vicino casa mia, non lo sapevo...
-Cosa ha fatto, quella troia?!- Ero furiosa. Come si era permessa? Mi odiava a tal punto da mettermi seriamente nei guai? O era talmente stupida da non esserci arrivata col suo cervellino bacato? -Se lo verrà a sapere il preside...!
Lui abbassò lo sguardo. -Temo che ne sia già al corrente. Oggi andrò personalmente a parlargli... Probabilmente ci convocherà tutti, domani, anche i tuoi genitori e Patricia.
-Che imbarazzo! Ma non abbiamo fatto nulla!- Per quanto fossi disperata e terrorizzata, non riuscivo a piangere. Ero troppo agitata e il cuore mi batteva a mille. Cosa ne sarebbe stato di me e del professore? Non osavo immaginarlo.
-Calmati, Julie, spiegheremo la situazione. Vedrai, si sistemerà tutto.

Well some say life will beat you down,
break your heart, steal your crown
So I've started out, for God knows where
I guess I'll know when I get there

Il giorno seguente, il professor Spencer non si presentò a scuola. Né sarebbe venuto il giorno dopo, né quello dopo ancora. Non sarebbe venuto più, ma ancora non lo sapevo, anche se lo temevo. Avevo un brutto, tremendo presentimento.
Così decisi di chiedere spiegazioni al preside.
Lui mi rispose freddamente. -Il professor Herbert Spencer si è licenziato proprio ieri. Non mi ha dato spiegazioni, ma immagino sia a causa tua - mi disse, con sguardo accusatore. -Hai qualcosa da dire?
Non risposi. Corsi via dalla presidenza. “Lo sapevo! Si è licenziato prima ancora che ci convocassero. Ma avremmo spiegato tutto!" Mi veniva da piangere, ma non lo feci. "No, non ci avrebbero mai creduto. L'ha fatto solo per proteggermi... Che stupido!”
Mi precipitai a casa sua, ma non lo trovai. Se n'era già andato, si era già trasferito, mi aveva già lasciata. Ero nuovamente sola.
Non si presentò più nemmeno in biblioteca. Non riuscivo a credere che fosse successa una cosa simile per una sciocchezza del genere: noi non avevamo nessuna colpa, era terribilmente ingiusto. “Non mi ha nemmeno salutata... E adesso come farò senza di lui?”
Mi sentii terribilmente depressa. Di nuovo.
Il sole era sparito: era tornato il buio.
Così tornai lì, sezione C, terzo corridoio a destra, quarta fila dal basso, sotto la “S”.
 “Suicidio”. Questa volta era al suo posto.
Lo presi. Finalmente mi avrebbe dato qualche spunto su come farla finita nel modo meno doloroso possibile. Avrei dovuto farlo molti mesi prima, quel giorno di settembre. Avevo soltanto posticipato l'appuntamento con la morte: se solo non lo avessi incontrato, sarei stata già all'altro mondo. Non volevo più soffrire.
Mi accomodai nella sala lettura della biblioteca e aprii il libro.
Dalla prima pagina uscì un fogliettino. Svolazzò, ondeggiando lentamente, e cadde a terra. Lo raccolsi.
Il labbro mi tremò. Era un suo biglietto.

Mia cara piccola Julie,
So che prenderai in prestito questo libro dopo la mia partenza. Ti conosco troppo bene, sei come un libro aperto per me. Non fare pazzie: vai avanti, vivi. Sei più forte di quanto tu creda. Sono certo che riuscirai a superare anche questa situazione.
Dobbiamo andare avanti entrambi, da soli, con le nostre forze. Abbiamo fatto troppo affidamento l'uno sull'altro ma dobbiamo essere coraggiosi. Vivere significa andare avanti e superare i propri timori.
Mi hai aiutato tanto, più di quanto tu possa immaginare. Adesso so di poter continuare a vivere... E anche tu lo sai.
Ti sarò sempre accanto. Con affetto,
il tuo professore Herbert Spencer.

Una lacrima cadde silenziosa sul foglietto. Lo strinsi, lo misi in tasca e riposi il libro sullo scaffale.
A quanto pare non dovevo proprio leggerlo, quel libro.

I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down


I mesi passarono inesorabilmente: era tornata la tempesta nel mio cuore e il sole non accennava a ricomparire.
Passò un anno. Più di un anno.
Ero arrivata miracolosamente all'ultimo giorno di scuola superiore, non so bene come in realtà. Finalmente mi sarei diplomata, con un po' di fortuna, e sarei evasa da quella scuola, quella prigione schifosa.
Continuavo ad andare in biblioteca ogni giorno. Cominciò a frequentarla spesso anche un ragazzo, ma non ci feci molto caso.
Un giorno mi si avvicinò nella sala lettura e mi salutò. -Ehi, ciao. Vengo spesso qui e ti ho sempre vista... Mi chiamo Simon, e tu?
Alzai gli occhi. Lui stava leggendo “Delitto e castigo” di Dostoevskij: interessante, aveva buon gusto. Sì, se pensate che sia una che giudica le persone dai gusti letterari... avete indovinato. -Julia – risposi, senza troppo entusiasmo.
-Ciao, Julia – disse. Sorrise. -Che buffo, sembriamo in una clinica di alcolisti anonimi! Che poi perché si chiama anonimi se ti chiedono il nome?
Risi. Dopo tanto tempo, risi. Era simpatico, Simon. Sembrava soddisfatto che la sua battuta avesse avuto successo. Era chiaro che gli interessassi: era pazzo?
-Vieni spesso anche tu per studiare?- mi chiese.
-Oh, no, in verità sono una divoratrice di libri. Tu vieni per studiare?
-Sì... Sai com'è, la maturità...
-Eh già, ci sto passando anch'io...
-Ah, anche tu? Hai la mia età? A che scuola vai?
Cominciammo a chiacchierare tranquillamente. Discorsi semplici e concreti, nulla a che vedere con quelli che intraprendevo con il professore. Discorsi da ragazzi normali della mia età.
Stranamente anche Simon cominciò a venire in biblioteca tutti i giorni, nei miei stessi orari... Nonostante non gli dessi troppo spago, gli piacevo davvero, me n'ero accorta.
-Ti va di uscire, uno di questi giorni?- mi chiese infatti all'improvviso.
-Ehm... Veramente ho tanto da studiare in questo periodo. Preferirei di no, scusa- risposi.
Ci rimase malissimo. -Ah. Okay.

I'm learning to fly, but I ain't got wings
Coming down is the hardest thing

A casa, mi gettai sul letto, tappandomi la testa con il cuscino. Ripensai al mio conportamento... idiota.
Mi misi le mani in tasca e trovai il bigliettino, quel bigliettino: lo avevo conservato. Mi tornarono in mente le parole del professore e dopo tanto tempo ripensai seriamente a lui. Mi mancava tantissimo. Lo rilessi, ma conoscevo già ogni parola a memoria.
Mi alzai e aprii un cassetto. Dal suo fondo, tirai fuori un libro impolverato. Soffiai sulla copertina bianca.
"La nebbia d'estate". Non lo avevo mai finito, da quella notte. Mi mancavano solo venti pagine: le lessi tutte d'un fiato.
Chiusi il libro: lo avrei conservato per sempre come ricordo del mio professore di storia e filosofia, anche se non avevo bisogno di oggetti per ricordarlo.
Sospirai. Lui avrebbe sicuramente biasimato il mio comportamento stupido e vigliacco.
Anche se mi era difficile fidarmi degli uomini, dovevo andare avanti. Dovevo vivere, lasciarmi scoprire per far tornare il sole.
In biblioteca Simon aveva smesso di parlarmi. Probabilmente aveva pensato che non mi piacesse e non voleva infastidirmi, ma continuava a venire solo per vedermi. Che carino.
In realtà non è che non mi piacesse... Avevo paura. Ma avevo capito che non dovevo aver paura di amare.
-Scusami, Simon... Per quanto riguarda l'invito dell'altro giorno... È ancora valido?- gli chiesi, titubante e in imbarazzo.
Lui era visibilmente sorpreso.
-Se non ti va più, lo capisco...
-No... Sì! Sì, mi va!- esclamò. La sua ingenua semplicità era adorabile. -Domani?
Sorrisi. -Ci incontriamo qui e poi andiamo a bere qualcosa?
-S-sì!- balbettò. Era davvero molto tenero.
Ci scambiammo i numeri di telefono e ci salutammo.

I'm learning to fly, around the clouds,
But what goes up must come down

La mattina dopo, a scuola, dovevo intraprendere il mio esame orale di maturità: gli scritti non erano andati un granché, quindi dovevo rifarmi.
Ero molto nervosa... Sarebbe andata male, me lo sentivo.
-Hendrix, c'è un biglietto per te – mi disse la bidella.
-Un biglietto? E di chi?
Non mi rispose. Le bidelle, come gli impiegati, sono una più svogliata dell'altra. -Tieni.
Lo aprii. Sorrisi.
In bocca al lupo!
Il prof Spencer.

Mi si alleggerì immediatamente il cuore. Grazie a lui trovai il coraggio e la forza di farcela.
“Ti sarò sempre accanto” mi aveva scritto in quel bigliettino che avevo conservato. Ed era vero.
Ancora una volta mi aveva aiutato, e l'esame andò alla grande.
Sarei stata promossa: con 65, ma pur sempre promossa. Per fortuna: non avrei resistito un anno di più a scuola. Non sapevo che fare del mio futuro, ma alla fine sarei andata a lavorare nell'azienda di mio padre.
Quel pomeriggio dovevo uscire con Simon, però non sapevo che fare. Ero indecisa, non sapevo perché.
Alla fine non mi presentai. Sapevo di essere maleducata a dargli buca, così pensai di inviargli un sms almeno per avvertirlo che non sarei andata, che ci avevo ripensato e che mi scusavo tanto, ma non ne ebbi il coraggio.
In fondo io ero una vigliacca.
“Non devi scappare”. Il professore mi avrebbe detto così. E lui aveva sempre ragione.
Ma ormai era troppo tardi. Come sempre, mi accorgevo delle cose troppo tardi.
Era sera, era buio. Andai lo stesso alla biblioteca, certa che non lo avrei trovato.
E invece lui era lì. Simon era seduto sulla solita sedia, quella su cui si sedeva sempre il professore, e mi stava ancora aspettando dopo tante ore.
Vedendomi arrivare, si alzò immediatamente, raggiante. Pensavo che fosse arrabbiato e che non mi volesse più parlare, e invece era semplicemente felice di vedermi. -Temevo che non saresti più venuta...
-Temevo che non mi avessi aspettata. Scusa tanto il ritardo. Dovrai avere molta pazienza, con me.
Mi sorrise. -Io sono molto paziente.
Sorrisi anch'io.
Flebili raggi di sole cominciarono a far capolino nella mia vita.
“Non so come andrà fra me e Simon. Probabilmente ci lasceremo. Ma per ora, vivo il presente.
Me l'ha insegnato il mio professore.”

I'm learning to fly
I'm learning to fly...


Fine / Inizio

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__________________
'Sera!
Non so se lo avete notato (credo di no), ma i colori dei titoli dei capitoli diventano sempre più "caldi", come il cuore di Julia che si è sciolto.
Carina la foto in fondo, vero? Si chiama "book art". Per quanto riguarda il titolo... "Delitto e castigo" non è scelto a caso, perché c'è un "castigo" (addio del prof), anche se il "delitto" in realtà non è stato commesso.
In fondo ho scritto "fine/inizio" perché la storia è finita, ma continua in realtà, no? (Come sono ambigua...)
Allora, che ne pensate? Finale deludente? In tal caso mi spiace, ma è stata concepita così fin dall'inizio e non ho cambiato la fine. D'altra parte sono convinta che non può andare sempre tutto rose e fiori! Forse perché a me non me ne capita mai una giusta? xD
Però è finita proprio come doveva finire, credo. Fin dall'inizio ho sempre sottolineato che tutto finisce, prima o poi, e qualcosa di nuovo comincia. Inoltre Julia doveva crescere, andare avanti con le sue forze. Doveva imparare a volare ("learning to fly" è azzeccata a tal proposito, no?).
Bene bene, spero di non avervi annoiata. Grazie per avermi seguita per questi 4 capitoli :) 
Spero di riuscire presto a trovare il tempo per mettere per iscritto un'altra delle storie che vivono nella mia testolina. Arg!
Gio.
  
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