Lunedì
San Mungo, ore 10,30
“Signorina, mi rendo
conto che non dovrei essere io a spiegarle come si fa il suo lavoro, ma non
vedo cosa c’entri la mia caviglia col fatto che mi è esploso il calderone in
faccia…” disse una paziente signora a Hermione.
“Uh, sono
mortificata.” Si scusò prontamente la giovane guaritrice.
“Non si preoccupi,
anche mia nipote lavora qui, e con i turni che fate è normale essere un po’
stressati.”
La donna, però, non
sapeva che il problema di Hermione non era lo stress da lavoro. Lei dava il
meglio di sé sotto pressione. Quello che la distraeva era la sua vita privata,
nonché la decisione di tenerne all’oscuro i suoi amici. Non si prometteva una
cosa molto facile, soprattutto con Ron che lavorava assieme a Harry. E non
essendoci (fortunatamente) molti maghi oscuri da combattere in quel periodo,
quei due avevano molto tempo per parlare in ufficio.
Dopo aver sistemato la
signora si prese cinque minuti di pausa caffè, per ricaricarsi e evitare di
essere di nuovo negligente. Stava sorseggiando la bevanda da una tazza bollente
quando…
“Hermione! Che fai mi
eviti?!” disse una voce proveniente dalle sua spalle. La ragazza si voltò.
“Ciao, Mark! No che
non ti evito…” rispose lei.
Mark era un collega
che lavorava al reparto Avvelenamento da pozioni e piante. Si trattava
di un ragazzo molto carino, coi capelli biondo scuro e ridenti occhi castani,
che aveva preso a tampinarla costantemente da quando era andata a lavorare lì.
L’ultima volta che si erano incontrati si era fatto strappare le promessa cha
la settimana seguente gli avrebbe concesso un pranzo assieme (“A patto che
poi mi lasci in pace!” aveva precisato Hermione). In effetti anche lei si
divertiva a flirtare un pochino con lui. Ma adesso era l’ultimo dei suoi
pensieri.
“Sicura? Perché se non
erro avevamo un conto in sospeso…” continuò lui, andandosi a piazzare al suo
fianco e scrutandola col capo un po’ chino e un sorrisetto spavaldo sulla
faccia.
“Sicurissima, non
montarti la testa. E poi non ti dovevo proprio un bel niente!” sottolineò lei
risoluta, ma anche un po’ divertita.
“Bugiarda!” rise. “Mi
avevi promesso un pranzo…”
“Sono le undici, dalle
mie parti è ancora presto per mangiare…”
“Prima o poi
capitolerai, Granger. Rassegnati!”
“Lo credi tu, bello!”
No, aspetta, era
scorretto continuare con il flirt. Doveva mettere le cose in chiaro.
“Guarda, Mark, sarò
sincera con te. Mi vedo con qualcuno.”
Lui non sembrò darle
troppo peso. “Ah sì? Lo conosco?”
“No… non credo”
tentennò.
“A me sa un po’ di
scusa”
“Ti dico che ho già
qualcuno!” rispose spazientita.
“Come si chiama?”
“Allora, si chiama…”
ma il discorso venne interrotto da una terza voce. Era chiaramente, inconfondibilmente
e senza ombra di dubbio Harry Potter.
Merda! Merda, merda,
merda!
La ragazza si voltò
verso il suo vecchio amico con uno sguardo che urlava pietà.
“Su, Hermione, dicci
come si chiama l’uomo del mistero!” rise il moro.
“Harry! Che ci fai
qua?”
“Avevo pausa e sono
venuto a trovare un collega che si è fatto male. Allora chi è il fortunato?” la
stava chiaramente sfottendo.
“Si chiama… David.”
Improvvisò. “E non lo conoscete perché è un babbano, il vicino di casa dei
miei.”
“Un babbano?!”
commentò Mark. “Tu sei una strega troppo brillante per uscire con un babbano!”
“E la vicina dei tuoi
non era una vecchia zitella che viveva circondata da gatti rognosi?” la incalzò
Potter.
Era in trappola.
Doveva prendere in mano la situazione, o la faccenda di non dire nulla di Ron e
lei non sarebbe durata fino all’ora di cena. Si alzò in piedi con aria di
sfida.
“Primo:” sbraitò, “si
dà il caso che i miei genitori siano babbani e non ci sia niente di male a
frequentarne uno, per cui abbassa la cresta, Mark. Secondo: per tua
informazione, Harry, quella vecchia gattara da un mesetto subaffitta una stanza
a un tizio, ed è un gran pezzo di babbano, non so se mi spiego. E terzo:
scusate, ma ora devo andare!”
Con fierezza si
allontanò dai due. Solo le undici di mattina e già si era trovata a inventare
scuse su scuse. Sì, la faccenda si prospettava molto dura.
“Tanto non ti credo!”
le disse dietro il collega con un sogghigno, mentre la guardava andarsene
divertito.
*
Ministero della Magia - ufficio Auror, ore 12,00
Ron aveva fame. Da
quando (e meno male) Voldemort era stato eliminato, il lavoro di Auror restava
sì un po’ pericoloso, ma c’era anche molto più tempo per pensare. E adesso
stava pensando che aveva fame. Quanto ci metteva a tornare Harry? E quanto ci
mettevano a venire le 12,30? Voleva pranzare, subito!
Un momento. Harry era
andato al San Mungo. Avrebbe visto Hermione? Avrebbe capito qualcosa? No, che
c’entrava il fatto che Harry e Hermione si incontrassero con il venire a
conoscenza di loro due? E poi poteva stare tranquillo, quella ragazza se lo era
sempre rigirato come voleva, il Prescelto. Senza contare che con molta
probabilità non si erano neanche incontrati.
“Rieccomi!” disse
Harry di ritorno.
“Ce ne hai messo!”
“Beh, una visita è un
visita, mica posso fare il giro del letto e tanti saluti.”
“Già… ehm, hai mica
visto qualcuno, all’ospedale?” chiese poi Ron. Doveva sapere.
“A parte William?”
“Sì, a parte lui.”
“Ho visto Hermione. E
a proposito di questo, credo che dovreste decidervi a parlarvi di nuovo, prima o
poi. Siete cresciuti, non potete ignorarvi in eterno! E io rivoglio il mio
trio!”
Questa era proprio
bella da sentire, pensò Ron. No, lui non ignorava più Hermione. Decisamente no.
Ma almeno il loro segreto era ancora tale.
“Hai ragione, uno di
questi giorni la chiamo… ehm…” diede un colpetto di tosse. “Che dice?”
“Il solito… Che
ridere, c’è un collega che non le dà un attimo di respiro, ci prova
spudoratamente, senza ritegno!”
Ron avvampò e saltò in
piedi. “Come prego?! In che senso?!”
Harry lo guardò stupito,
e il rosso se ne accorse perché cercò di controllarsi immediatamente.
“No, cioè, voglio
dire… chi è?”
“Un collega, te l’ho
detto.” Gli rispose l’amico, ancora perplesso. “Ma che hai, non sarai mica geloso
di lei, mi auguro! Non vi vedete da anni, pensi che si stia conservando nella
naftalina per un eventuale ritorno di fiamma?” rise.
Ecco, perché adesso
non poteva spaccargli la faccia, al suo caro amico Harry Potter? Ne aveva ogni
diritto!
“Moi? Geloso?
Ma daaaaai! Sono solo curioso.” Replicò l’altro, ma senza troppa convinzione.
“Sarà… comunque ti sei
perso una bella scena, figurati che si stava inventando la storia di un tale
babbano con cui si vedrebbe. Assolutamente poco credibile. Che poi non mi sembra
male quel suo collega, non vedo perché faccia tanto la difficile…”
Non era male? NON ERA
MALE?! Adesso glielo faceva vedere lui chi non era male, con un occhio nero, un
paio di denti in meno e un labbro tumefatto.
“Ora basta parlare di
Hermione. Un giorno di questi la vado a trovare e appianiamo ogni divergenza.
Allora, pranziamo?” concluse scocciato il rosso.
In realtà aveva perso
un po’ di appetito, ma doveva conservare la facciata.
*
Casa di Ron, ore 22,00
“Casa tua è un
disastro! Come fai a convivere ancora con tutti questi scatoloni?” rise
Hermione appena entrata nella stanza del ragazzo. “Un giorno ti do una mano a…
ma insomma, Ron, mi vuoi dire che hai? È tutta la sera che mi sembri
scocciato!”
“Umpf… chi cazzo è
‘sto Mark, adesso?!”
La ragazza spalancò
gli occhi indecisa se ridere o… o ridere. Ma si trattenne a stento.
“Cosa? Sei geloso,
Ronald?” lo canzonò.
“Non cambiare
discorso, Harry mi ha detto tutto dei tuoi inciuci ospedalieri! Guarda che ci
metto un minuto a spaccagli la faccia a quel pervertito!” rispose l’altro
alterato. Hermione adesso non poté non lasciarsi sfuggire una risatina
divertita.
“Ron, calmati, è solo
un collega che non sa darsi per vinto. Gli avrei detto tutto, ma poi è arrivato
Harry…”
Il ragazzo continuava
a guardarla storto, battendo nervosamente un piede per terra.
“Ma mi fa piacere che
ti preoccupi per il mio onore, da vero paladino della giustizia!” rise lei.
“La smetti di
pigliarmi per il culo?” protestò lui, scocciato.
“D’accordo, se
preferisci ti chiamo sbirro…” continuò la ragazza con un tono malizioso
avvicinandosi a lui. E riuscì a farlo ridere, finalmente. Quando erano più
piccoli e frequentava l’accademia per Auror, lei lo chiamava sempre sbirro, per
scherzare, e lui la lasciava fare anche perché non aveva ben capito di cosa si
trattasse.
“Chiamami come vuoi,
bambina…” replicò dopo un momento Ron, altrettanto malizioso e con la voce
divertita da finto macho. Ma appena era riuscito a lasciarsi alle spalle la
storia di Mark e a trascinarla di peso verso di sé sul materasso, sentirono uno
scroscio provenire dal salotto.
“RON?! CI SEI?”
“Cazzo!” Seppe solo
dire Hermione, rialzandosi di scatto dal corpo del ragazzo e cercando
spasmodicamente di darsi una sistemata e riabbottonarsi la camicetta. Lui le
fece segno di stare in silenzio con un indice sulle labbra.
“RON! Boh… o non ci
sei, o sei occupato, deduco.” Continuò Harry dal braciere del caminetto. “Mi
auguro per te la seconda. A domani, e scusa l’interruzione…” e con un altro
scroscio la voce sparì.
“Se n’è andato.” Disse
il ragazzo.
“Sicuro?”
“Sicurissimo. Io e
Harry abbiamo questa specie di tacito accordo, non entriamo in casa l’uno
dell’altro senza autorizzazione. Dopo quella volta che l’ho beccato seminudo in
cucina con la nuova segretaria del Ministro…”
“Uh, che bello
spettacolo.”
“Non dirmi niente. Ma
adesso non parliamo più di Harry nudo, che sennò puoi anche andartene diretta a
casa tua, stanotte. Piuttosto, dove eravamo?” rise.
“Mah, la mia camicetta
stava inspiegabilmente crollando a terra…” disse con aria vaga Hermione,
spogliandosi dell’indumento.
I due ragazzi risero e
ricaddero sdraiati sul materasso.