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Autore: Sophie Hatter    14/03/2012    1 recensioni
1978-1981: i Malandrini e Lily Evans si uniscono all'Ordine della Fenice. Le conseguenze sono tante: alcuni si sposano, altri si ritrovano invischiati in tresche segrete; alcuni si scontrano con Voldemort in persona, altri passano dalla sua parte; alcuni diventano spie di Silente, altri muoiono troppo presto. Come andrà a finire, già lo si sa.
1993: Remus Lupin, quando si era ormai rassegnato alla realtà dei fatti, si ritrova a fronteggiare strane perdite di memoria. Il metodo migliore per indagare su queste anomalie sembra essere quello di tornare a Hogwarts, accettando l'incarico offertogli da Albus Silente...
*
0) Prologo
1) Iniziazione
2) Questioni irrisolte
3) La prima battaglia
4) Il matrimonio
5) E' così facile capirlo
6) La spada di Grifondoro
7) Amicizia
8) Andare fino in fondo
9) La tomba di Regulus
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Silente, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
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oil9 Avviso numero 1: pubblico oggi anziché domani, perché domani ho un esame e volevo concedermi almeno un momento di svago in questa tediosa giornata di ripasso u.u

Avviso numero 2: questo capitolo contiene scene spinte fra persone dello stesso sesso, seppure non descritte nel dettaglio così come da rating. Se l’argomento vi disturba, non leggete.

Evvai che mi sono giocata la sorpresa XD







Capitolo 9 – La tomba di Regulus





Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita umana è così: molta disperazione, ma con qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso.

(Muriel Barbery, L’eleganza del riccio)






Marzo 1979

Era ormai divenuta un’usanza, per Lily e i Malandrini, trascorrere almeno una sera a settimana a casa di Sirius. L’idea era stata di James, che aveva insistito per mantenere costanti i rapporti nonostante la situazione attuale, fatta di continue missioni per l’Ordine, di matrimoni e di responsabilità nuove, rendesse spesso difficile ritrovarsi tutti insieme; ogni tanto, su timida insistenza di Peter, veniva invitata anche Mary. Sirius si divertiva a prendere in giro l’amico, che gli domandava sempre il favore di contattare la ragazza al posto suo, sostenendo che così non ci avrebbe mai combinato niente; Peter per un po’ faceva finta di rimanerci male, dopodiché l’atmosfera tornava ad essere distesa e scherzosa per tutti.
La verità era che, in quei momenti, a Sirius sembrava di ritornare ai tempi di Hogwarts, quando le preoccupazioni principali erano costituite dal non farsi beccare da Gazza in giro per i corridoi di notte, mentre tutto il resto erano soltanto risa, scherzi e bravate. Ora che erano stati spinti a diventare adulti non eccedevano più come in quegli anni, ma il clima che tutti insieme riuscivano a ricreare era più o meno lo stesso.
Più o meno, perché Sirius non poteva evitare di lasciarsi tormentare ogni tanto dai pensieri che il rapporto fra lui e Remus gli procuravano.
Per quanto si sforzasse di mostrarsi sorridente e sereno, certe volte sentiva l’impellente bisogno di cedere a quei turbamenti. Si isolava e diveniva di colpo taciturno, rendendosi così la vita molto più difficile; era complicato nascondere agli altri quegli strani atteggiamenti ed era solo per miracolo che James non se ne fosse già accorto.
“Hai due minuti?” sussurrò quindi a Lily, non appena le capitò vicino. La ragazza sulle prime si mostrò sorpresa, ma poi annuì con convinzione.
“Certo,” rispose, e seguì Sirius in cucina, lasciandosi alle spalle James e Remus che giocavano a scacchi in mezzo al tifo di Peter e Mary.
“Che succede?” domandò quindi lei mentre Sirius le dava le spalle, intento a versarsi un bicchierino di Whiskey Incendiario. Si vergognava come un cane per essersi rivolto a lei, ma era l’unica che era al corrente di come stessero realmente le cose e, dopotutto, l’altra volta parlargliene gli aveva fatto bene.
“Volevo solo sapere se ti sembra che ci sia qualcosa di strano,” rispose infine, con una stretta di spalle fintamente noncurante.
“Beh, non mi hai spiegato nei dettagli come avete sistemato la questione...”
“Ma sì invece, ti ho detto che abbiamo messo le cose a posto. È la verità. Gli ho chiesto di lasciar perdere quello che era successo e di restare amici, perché rompere i rapporti per una sciocchezza del genere sarebbe stato stupido.”
Sirius versò due dita di Whiskey in un altro bicchiere, poi lo porse a Lily, ignorando la sua espressione lievemente perplessa. Sapeva che lei beveva raramente alcolici, ma era tutto ciò che aveva da offrirle in quel momento.
“E lui ha accettato?” domandò lei, prendendo il bicchiere. Sirius vuotò il suo in un attimo: il familiare bruciore alla gola lo aiutò ad eliminare rapidamente le sue reticenze nel confidarsi.
“Sì, ha detto che gli stava bene.”
“Ma...?”
“Ma credo che non sia vero. C’è qualcosa di strano. Certo, abbiamo ricominciato a parlarci, però... non lo so, sembra che faccia comunque di tutto per non rimanere solo con me. Non si è più fermato a dormire da me, ad esempio – ok, io non gliel’ho più chiesto, ma gli avevo già detto che avrebbe potuto farlo quando preferiva e non ho mai revocato l’invito – e poi, quella volta che avremmo dovuto essere di turno insieme, si è inventato una balla e ha fatto cambio con Peter...”
“E qual era questa balla?”
“Stava male suo padre.”
“Oh, Sirius, magari era vero!”
“È la scusa che mi propina da mesi, ormai, quando vuole svicolare da queste situazioni... non me la bevo più.”
Sirius posò il bicchiere sul tavolo piuttosto rumorosamente, con tutte le intenzioni di far trapelare la sua nobile stizza. Lo irritava che Remus lo prendesse in giro, ma ancora di più che lo credesse così tonto da cascarci.
“Beh, se questa... faccenda dell’amicizia non funziona tanto bene, forse non avete affrontato la questione nel modo giusto,” osservò Lily, in tono pacato. Il giovane Black fissò ardentemente i suoi occhi grigi in quelli della ragazza, domandandosi che diamine volesse insinuare.
“Era l’unico modo per non perderlo,” obiettò, allargando le braccia. Era vero, anche lui avvertiva costantemente la sensazione che quel nuovo rapporto fosse tremendamente finto. Ma era giunto alla conclusione che, comportandosi come se tutto fosse normale, le cose sarebbero migliorate e magari anche tornate come prima – nonostante la parte più profonda di se stesso gli suggerisse che, con quel gesto sconsiderato, si fosse giocato per sempre la possibilità di riparare la frattura tra lui e Remus.
E quel pensiero lo mandava tremendamente in bestia.
“Purtroppo non ci sono dentro, quindi non posso sapere cosa passi esattamente nella testa di Remus.”
“Ma come, tutto il tempo che avete passato insieme quando eravate prefetti... avrai imparato a conoscerlo, no?”
“Non quanto si possa credere,” obiettò Lily, con un sorriso pensieroso. “Sai com’è fatto Remus, preferisce stare sulle sue. Non mi ha mai detto molto di lui. E in ogni caso, se vogliamo stare a cercare il pelo nell’uovo, sei tu che sei uno dei suoi migliori amici da una vita, non io.”
Sirius fu profondamente tentato di domandarle come potesse esserci un pelo dentro a un uovo, ma poi scosse la testa e lasciò perdere; quella era tutta matta e solo James avrebbe potuto sposarsela.
“Beh, voi donne non vi vantate mica di essere quelle che capiscono sempre tutto?”
“Andiamo, Sirius, non fare il bambino. Se cerchi un consiglio sono pronta a dartelo, ma non ho intenzione di farmi trascinare in discorsi sessisti.”
Sirius fissò con intensità l’angolo del tavolo, passandosi distrattamente una mano sul collo. Gli seccava profondamente dover chiedere aiuto a qualcuno per risolvere un problema così imbarazzante, ma doveva riconoscere che, tutto sommato, parlare con Lily la scorsa volta era stato piacevole. Non si era sentito giudicato, offeso o deriso, né lei l’aveva mai guardato come se fosse un alieno; se avesse dovuto confessarsi con James, era certo che la notizia l’avrebbe quantomeno gettato in un profondo stato di shock per un paio di giorni, per quanto fosse il suo migliore amico. Per James i Malandrini erano sempre stati un gruppo di veri amici – amici e basta, nient’altro; non era una persona capace di scorgere malizia in rapporti come quello che condivideva con lui, Remus e Peter. Mentre Lily, forse, aveva visto qualcosa di più a cui nessuno aveva mai fatto caso. Sirius sapeva che qualcosa, in effetti, c’era sempre stato; solo l’aveva capito troppo tardi e troppo bruscamente.
“Sentiamo, di’ quello che hai da dire,” borbottò infine, arrendendosi. Lily sospirò.
“Forse dovreste cercare di passare un po’ di tempo insieme, da soli, per capire cosa passa per la testa di Remus. So già cosa stai per dire, ma tu prova a chiederglielo esplicitamente, così se si rifiuterà saprai se cerca realmente delle scuse per non stare con te.”
“Se lo faccio penserà male,” obiettò Sirius, incupito.
“Dato che avete scelto di rimanere amici, non avrebbe nessun motivo di farlo. Gli amici passano del tempo insieme, no? Con James lo fai.”
Il primogenito Black annuì in silenzio. Effettivamente, il ragionamento di Lily non faceva una grinza. Avrebbe potuto sfoderarlo contro Remus come un’arma assolutamente invincibile. Tuttavia c’era anche qualcos’altro che lo tormentava...
“Pensi che dovrei dirlo a James?” domandò, a voce bassa. Lily sorrise lievemente, sorseggiando il suo Whiskey.
“Se non ti sembra questo il momento, puoi sempre aspettare. James non scapperà. Non aggiungere altra carne al fuoco se non è necessario.”
“Mentre torniamo di là mi spieghi che diavolo significhi, questo e quell’altra storia del pelo nell’uovo,” replicò Sirius, mentre si incamminava verso il salotto. James e Remus stavano ancora giocando; nessuno si era accorto di niente, per fortuna. Sirius sapeva bene che Remus era praticamente imbattibile a Scacchi Magici e in circostanze normali si sarebbe seduto a fianco a lui con noncuranza, per poi cominciare a fargli mille dispetti allo scopo di distrarlo e farlo perdere; in quell’occasione, però, si limitò a restare seduto alle sue spalle, fissandogli intensamente la nuca, come se da un momento all’altro il suo cranio potesse scoperchiarsi e mostrargli cosa passasse esattamente per la testa del licantropo.
Si era decisamente rammollito.

*

Se solo avesse intuito quello che stava per scoprire, quella mattina Remus si sarebbe ben guardato dall’aprire il giornale mentre consumava la sua scarna colazione.
Aveva mille problemi per la testa; suo padre si stava ammalando piuttosto seriamente e per ricevere le cure necessarie avrebbe dovuto lasciare il lavoro, cosa che avrebbe implicato la necessità che fosse Remus a trovarsene uno, nonostante le prime richieste per un’occupazione inoltrate nei mesi precedenti non avessero dato alcun frutto; sua zia si era gentilmente offerta di prendere il fratello in casa con lei, ma se non fosse riuscito a mantenersi da solo Remus avrebbe dovuto vendere la dimora paterna e si sarebbe ritrovato in mezzo a una strada, senza un posto dove andare. I pochi risparmi che avevano da parte servivano per le cure, questo era assolutamente fuori discussione. Tuttavia, già era difficile trovare un impiego con degli orari che gli permettessero comunque di prestare servizio all’Ordine, ma ancora peggiori erano le speranze di farsi assumere nonostante la sua licantropia. Erano diverse notti che l’angoscia lo tormentava e non gli faceva prendere sonno, perciò quello di sfogliare la Gazzetta del Profeta appena alzato fu un gesto totalmente automatico, in cui forse si augurava inconsciamente di trovare un certo sollievo, constatando di non essere l’unico a cui le cose andavano male.
La prima pagina era sovrapponibile a quella di qualsiasi altro giorno degli ultimi mesi: un omicidio nel Sussex, un Marchio Nero avvistato al limitare di una foresta, una casa bruciata, l’inarrestabile perdita di credibilità del primo ministro, le rubriche L’Auror del mese e Tecniche di autodifesa contro i Maghi Oscuri. All’interno, un’inchiesta sui Vampiri: realtà e leggenda. Chi sono veramente? Si uniranno a Colui-che-non-deve-essere-nominato? Poi la terza pagina, quella dei necrologi.
Remus era abituato a leggere tutta la Gazzetta da cima a fondo ma, anche se così non fosse stato, era impossibile che l’occhio non cadesse su quell’annuncio. Era scritto con caratteri molto più grandi degli altri e a fianco si stagliava una fotografia incorniciata da mille ghirigori.
Aveva ripensato di rado a quella fredda nottata d’inizio gennaio, preso com’era da tutti i suoi crucci personali; non si aspettava, perciò, di ritrovarselo davanti agli occhi in quel modo. La famiglia annunciava con dolore la prematura dipartita del tanto amato figlio ed erede – quello che Sirius non era più da molto tempo. Non aveva nemmeno compiuto diciotto anni.
Remus si passò una mano tra i fini capelli castani, osservando le parole sbiadirsi e diventare sfuocate man mano che il suo sguardo si perdeva nel vuoto. Ingenuamente aveva sperato davvero che Regulus ce la facesse, dopo che l’aveva portato in salvo dalla sua amica. Forse avrebbe dovuto insistere anziché lavarsene così precocemente le mani, avrebbe dovuto tornare e farlo sedere di fronte a lui e spiegargli in tono perentorio che stava sbagliando tutto, senza lasciargli una scelta ma vessandolo finché non si fosse convinto pienamente.
O forse era comunque inevitabile che finisse in quel modo, perché Voldemort era il Mago Oscuro più potente che fosse mai esistito e probabilmente l’aveva trovato senza troppi sforzi.
Magari era stato lo stesso Regulus a tornare da lui, consapevole di avere di fronte, in alternativa, soltanto un’onta familiare difficilmente sopportabile.
Remus sospirò. Doveva avvisare Sirius, anche se la sua reazione sarebbe stata, probabilmente, un’ostentata indifferenza o un’aria seccata per averlo svegliato a quell’ora del mattino. Non gli aveva mai raccontato di ciò che era successo tra lui e Regulus durante la battaglia di quella notte, ma dopo averci riflettuto qualche istante decise che quello non era il momento; meglio non fornirgli altri appigli per insultare un morto, almeno temporaneamente.

*

Buffo come, trascorsi diversi anni dall’ultima volta che aveva visto quel luogo, Sirius si fosse quasi scordato di come era fatto.
Ritrovarcisi dopo tanto tempo, per di più praticamente contro la sua volontà, accrebbe ancora di più il suo fastidio.
C’era davvero bisogno di costruire quell’imponente mausoleo attorniato da gigantesche statue? Che se ne facevano di un simile lusso architettonico i morti della sua famiglia che giacevano lì dentro? Assolutamente niente, si rispose. Ma la necessità di rimarcare lo sfarzo e la nobiltà di sangue per potersi ergere e distinguere da tutte le tombe comuni del cimitero era stata sicuramente più forte, quando i suoi trisavoli avevano pensato a quella costruzione.
Per quanto lo riguardava, era solo un modo inutile di occupare spazio.
“Dobbiamo entrare per forza?” domandò, senza preoccuparsi di celare troppo l’astio. Sapeva che Remus l’avrebbe odiato per quel suo atteggiamento, ma sul momento non gli interessava granché.
“Beh, siamo venuti fin qui ormai. Prenditi un minuto.”
“Oh, no, non credere di lasciarmi andare lì dentro da solo. Tu verrai con me.”
Lo trascinò per un braccio, quasi strattonandolo; lui non oppose resistenza e, se provò fastidio, non lo diede a vedere. Forse pensava che in simili frangenti si potesse essere più pazienti con lui, ma Sirius si disse che l’avrebbe fatto pentire di averlo portato lì. Perché non era stata una sua proposta, aveva acconsentito soltanto perché Remus si era fatto insistente ed era il modo migliore di farlo tacere, ma quando Lily gli aveva suggerito che trascorressero del tempo da soli non aveva certo pensato che l’ideale fosse fare una gita al cimitero sulla tomba di suo fratello.
Pareva che non avessero neppure ritrovato il corpo, dato che vi erano annunci di ricompense da parte della sua famiglia per chi avesse fornito informazioni in merito. Regulus doveva averla fatta grossa per arrivare a tanto. Quando Remus gli aveva dato la notizia inizialmente non ci aveva creduto, poi però i giornali si erano interessati della vicenda e in tutta la settimana successiva erano stati pubblicati fantasiosi articoli sulla storia della famiglia Black; sua madre aveva addirittura lanciato un lacrimoso appello affinché chi sapeva qualcosa sulla scomparsa del figlio si facesse avanti. Tuttavia, il mistero si era risolto in un nulla di fatto. Probabile che il suo stupido fratello si fosse cacciato in qualche pasticcio per conto di Voldemort e ci avesse rimesso le penne, molto semplicemente.
Di malavoglia, Sirius si guardò intorno. L’interno del mausoleo non era certo meno sfarzoso dell’esterno: le tombe erano disposte secondo un perimetro circolare e ognuna era sormontata da una statua a grandezza naturale raffigurante il defunto. I nomi erano incisi in oro, lo stemma di famiglia troneggiava al loro fianco e sulla parete, in fondo, faceva bella mostra di sé una copia dell’arazzo con la genealogia di famiglia molto simile a quella che si trovava in casa sua.
Anche lì, ovviamente, il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il suo nome era ridotto a una bruciatura nerastra.
Per lui non ci sarebbe mai stato posto lì dentro, era chiaro.
Si sentì pervadere da un moto di disgusto verso tutto ciò che quella tomba rappresentava; per qualche strano motivo, improvvisamente, si mise a pensare alla famiglia di James. Che l’aveva accolto come un figlio, ma che non era la sua vera famiglia. Nessuno avrebbe mai potuto cambiare il suo cognome o i suoi tratti somatici. La sensazione di repulsione si estese anche contro se stesso quando si ritrovò a pensare che non era giusto il modo in cui stavano le cose per lui: in tutte le case avrebbe dovuto esserci il clima che regnava dentro casa di James, tutti i bambini avrebbero dovuto avere il diritto di essere viziati e adorati com’era stato per l’amico. Si sentì uno schifo per aver provato quel moto d’invidia, perciò lo represse bruscamente affinché Remus non si accorgesse di nulla.
“Ti sembra una cosa sana di mente costruire un posto come questo?” gli domandò quindi, con il proposito di mettere da parte quelle riflessioni.
“Suppongo che sia una cosa abituale se appartieni a certi ranghi...”
“Non ti ho chiesto che cos’è abituale, Remus, ti ho chiesto una tua opinione. Possibile che tu non ti sappia mai esporre?” lo attaccò, trafiggendolo con lo sguardo. Ripensò a quel maledetto giorno in cui aveva rovinato tutto fra loro, al modo in cui lui aveva preso ed era fuggito di corsa da casa sua. Remus aveva fegato per tante cose, ma non quando si trattava di dire la propria: avrebbe potuto fermarsi, urlargli contro, dirgli che era completamente ammattito oppure anche che gli era piaciuto, sarebbe bastato dire qualcosa.
E invece ora giocavano di nuovo ad essere amici, soltanto perché l’alternativa era smettere di parlarsi.
“Senti, non ti ho portato qui per farti un dispetto o qualsiasi altra cosa tu stia pensando. Tuo fratello è morto e, che ti piaccia o no, era comunque tuo fratello. Pensaci per un paio di minuti, poi potremo andarcene.”
“Oh, andiamo, Remus, che senso ha? Non gli parlavo da mesi, ci odiavamo e per di più era un Mangiamorte! Cosa dovrei fare, mettermi a piangere? In teoria non faccio più parte della loro stramaledetta famiglia, visto che come puoi vedere il mio nome è stato cancellato, che cosa diamine dovrebbe importarmene?”
Si rese conto che stava gridando, e un po’ gli dispiacque di essere la causa di quell’espressione contrita che si era dipinta sul volto di Remus. Ma lui non capiva, non poteva capire.
“Non era mia intenzione farti un torto portandoti qui,” gli rispose lui, semplicemente. Sirius si avvicinò un poco.
“Lo so che non è una situazione facile da afferrare, ma riesci a capire perché non me ne importa niente?”
“Hai ragione, forse non ci arrivo. Ma non credo che davvero non te ne importi niente.”
A dispetto del suo tentativo di calmarsi, a quelle parole Sirius si sentì di nuovo assalire dalla rabbia.
“Per la barba di Merlino, Remus, perché dovrebbe?! Regulus era soltanto un idiota!” esclamò, voltandosi per un attimo ad osservare la statua che raffigurava suo fratello. Ricordava bene i tratti del suo viso, eppure gli sembrò di averlo visto per l’ultima volta un’infinità di tempo prima e realizzò che probabilmente era così impegnato ad ignorarlo che non l’aveva neppure guardato veramente. Si era abituato a ragionare come se non esistesse, perché loro si comportavano come se lui fosse morto anziché semplicemente fuggito.
“Era molto giovane,” replicò Remus, ancora con quell’aria grave sul volto.
“Era un idiota,” ripeté Sirius, con voce spezzata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo davanti in quel momento e poterlo prendere selvaggiamente a pugni, senza risparmiargli un solo colpo, fino a farlo crollare a terra talmente malridotto da non riuscire neppure a parlare; a quel punto, urlando di rabbia, gli avrebbe intimato di smetterla con quelle stupidaggini e mollare Voldemort subito per venire con lui. Quello sciocco ragazzino non aveva scelto la sua strada perché era malvagio, ma soltanto perché faceva sempre tutto ciò che gli altri si aspettavano da lui, senza battere ciglio; era solo un vigliacco servile e incapace, che aveva giocato a fare l’adulto ed era finito in un pasticcio che gli era costato la vita. Sirius sentì di odiarlo con forza, provò disgusto all’idea che un suo consanguineo stretto potesse essere così diverso da lui, così estraneo, così totalmente opposto, ma se solo avesse potuto prenderlo da parte e pestarlo con tutta la forza che aveva forse avrebbe potuto fargli cambiare idea. Era questa l’unica cosa che Regulus aveva sempre compreso, le imposizioni. E lui che era il fratello maggiore, nonostante per la sua famiglia ormai fosse soltanto una macchia bruciata su un arazzo, non aveva forse il diritto di farsi valere?
Ma era tardi per pensarci. Non c’era più nulla da salvare, neppure i resti di un corpo morto. Aveva fallito.
Quel pensiero gli rimase fisso in testa per diversi minuti, mentre rimaneva lì immobile a fissare le lettere incise impietosamente sulla pietra. Si chiese se fossero mai stati felici insieme, come sarebbe stato giusto che fosse; magari quando erano molto piccoli, ancora troppo sciocchi per capire cosa imponesse loro un cognome che nessuno dei due, in fondo, aveva esplicitamente chiesto di ricevere.
A un certo punto, però, Sirius si voltò e si accorse di una cosa.
Di fianco a lui stava Remus, un Remus che sembrava sentirsi fuori posto e quasi in colpa per averlo trascinato fin lì, che si tormentava l’orlo del mantello rattoppato talmente tanto che prima o poi l’avrebbe scucito, che si mordeva il labbro inferiore e si guardava attorno con sguardo perso, mentre chissà quali pensieri gli affollavano la mente. Sirius avrebbe voluto strattonarlo e dirgli di parlare, una volta tanto, di aprire bocca e rivelargli cosa lo angustiava tanto, su quali argomenti stesse riflettendo di fronte a un luogo che non gli apparteneva, in cui stavano sepolte persone che non avevano nulla a che vedere con lui.
Però Remus era lì, insieme a lui.
Era l’unico che gli stava a fianco in un momento del genere. L’unico che l’aveva costretto ad affrontare una situazione che lui avrebbe volentieri ignorato.
Era sempre stato così. Remus che insisteva perché facesse i compiti delle vacanze, Remus che lo allontanava quando stava per fare a botte con qualche Serpeverde, Remus che gli stava a fianco quando doveva vomitare, Remus che si assumeva la colpa per tirarlo fuori dai guai. Non capiva perché si desse tanto da fare per lui, né riusciva a comprendere come questo si conciliasse con i loro continui battibecchi, le loro diversità e l’allontanamento che si era creato tra loro dopo l’episodio con Mocciosus, ma Remus non aveva mai smesso di occuparsi di lui, anche se nessuno gliel’aveva mai chiesto. Questo era il dato di fatto. Alle volte era fastidioso, pungente e supponente e Sirius l’avrebbe preso a schiaffi se non fosse stato suo amico, ma c’era. C’era sempre.
Non poté fare a meno di reprimere quel qualcosa che improvvisamente gli diede la forza di reagire e neppure ci provò. Dopo avergli piantato in faccia due occhi grigio ardente, lo spinse di colpo verso la parete e quasi lo soffocò con un bacio disperato.

*

Il battito del pendolo suonò le quattro mentre Sirius e Remus entravano in casa, pochi secondi dopo essersi Smaterializzati sulla soglia; il primogenito Black si passò una mano fra i capelli, con un sospiro e uno sguardo ancora stravolto.
“Va bene, sediamoci e parliamone,” disse, dopo un enorme sforzo. “Tutto si può risolvere, no?”
Il licantropo lo guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa, rassegnato.
“No, questo no. Ci abbiamo già provato e non si può risolvere,” replicò. Sirius sgranò gli occhi e per un attimo sembrò precipitare dentro un baratro di disperazione, come se quella fosse l’ultima risposta che volesse sentirsi dare; allora Remus gli prese il viso fra le mani tremanti e lo baciò, per sancire con i fatti le sue stesse parole. Era inutile tentare di seppellire quel qualcosa che si era inevitabilmente creato tra loro sotto una coltre di menzogne.
Sirius sembrò alleggerirsi di colpo sotto il suo tocco, come se quel gesto l’avesse liberato da un’apprensione che gli gravava sul cuore; anche questa volta, Remus lo lasciò fare. Accolse la sua lingua e le sue mani senza protestare o tirarsi indietro, gli permise di accarezzargli proprio quella zona così sensibile dietro l’orecchio e di insinuarsi fra i capelli sulla nuca, scendere lungo la schiena e poi risalire sul petto fino a scivolare sul fianco. Questa volta aveva molta più consapevolezza di ciò che stava succedendo, sia fuori che dentro il suo corpo, perciò non si impietrì, anche se gli fu impossibile non sentirsi in tensione per ciò che stava capitando, e nonostante tutto lasciò ancora che fosse Sirius a fare le prime mosse, con il timore che si tirasse indietro di nuovo non appena lui avesse osato controbattere. A un certo punto, però, Padfoot s’incagliò ad armeggiare con la chiusura del mantello e Remus, sbuffando, si staccò da lui per avere campo libero e dargli una mano.
“Questo accidenti di...”
“Lascia.”
Scostò le mani di Sirius con un gesto perentorio, poi con calma e rapidità gli allentò il mantello e lo gettò sopra alla poltrona di fronte al caminetto.
Sirius lo guardò e gli sorrise, e a Remus vennero i brividi. Erano sempre gli stessi occhi grigi di Sirius, quelli che conosceva da una vita e che da anni si posavano su di lui con le più svariate espressioni possibili, ma in quel momento pensò che non l’aveva mai visto così, le guance arrossate, i capelli scarmigliati, le labbra tirate a scoprire i denti con un’aria quasi infantile. Rimase a contemplarlo per qualche secondo, poi qualcosa scattò in lui e in pochi secondi gli aprì la veste, tirando e strappando. L’aveva già visto più che mezzo nudo altre volte – Sirius non era uno che si vergognava del suo corpo – ma l’idea di averlo lì soltanto per sé, senza che ci fosse nessun altro a interromperli o a tenerli d’occhio, gli diede improvvisamente alla testa.
Quando anche Sirius si gettò su di lui per ricambiare, Remus lo intercettò con un’occhiata.
“Non hai un posto più comodo dell’anticamera?” domandò, affannosamente, nonostante le mani dell’altro s’insinuassero dappertutto.
“Bastava chiedere,” replicò lui, e senza che Remus facesse in tempo ad accorgersene gli prese la bacchetta dalla tasca e Smaterializzò entrambi in camera da letto.
Il resto, nonostante l’eccitazione di entrambi fosse allo stremo, successe con molta lentezza.
Nella penombra della stanza Remus lasciò che Sirius lo spogliasse e lo toccasse con una maestria che nella sua immaginazione gli aveva sempre conferito, forse per via della grazia innata con cui si muoveva in ogni situazione e in ogni gesto, dalle più elaborate alle più banali: Sirius non era mai goffo o fuori tempo, non inciampava, non pestava i piedi a nessuno. Per questo, incantato com’era da quell’assurda naturalezza, Remus si scordò di provare imbarazzo fino al momento in cui l’altro non si accorse che non gli riusciva a staccare gli occhi di dosso.
“Che c’è?” domandò, brusco, interrompendosi. Il licantropo arrossì.
“Nulla...” mormorò, poi d’istinto gli mise una mano sulla nuca, esercitando una leggera pressione. Sirius oppose una veemente resistenza e gli imprigionò il polso in una stretta; Remus reagì con un colpo di reni, ribaltando le loro posizioni, e per un po’ lottarono come due bambini, rotolandosi fra cuscini e coperte. In circostanze normali Sirius sarebbe risultato decisamente il più forte tra i due ma, forse perché la luna piena era pericolosamente vicina – e con essa il vigore del lupo – Remus riuscì invece ad imprigionarlo sul materasso a pancia in giù, bloccandogli i polsi con le mani e le gambe, semplicemente, sedendoglisi sopra.
“Moony, ti prego, sto soffocando!” si lamentò Sirius, ma lui lo ignorò, perso nell’ammirare quel corpo prigioniero sotto di lui che tante volte, invece, gli era sembrato distante e intoccabile. La bestia dentro di lui reclamava di più, perciò finì di svestirlo e cominciò a toccarlo, in silenzio, chinandosi poi per disseminare leggeri morsi sulla sua spalla sinistra; Sirius smise di opporre resistenza e Remus avvicinò il volto al suo per udirne i gemiti e i respiri accelerati. Chiuse gli occhi, stringendolo con una mano e con l’altra accarezzando i punti più sensibili, portandolo quasi al limite; lasciò poi che Sirius lo fermasse all’ultimo e che lo ribaltasse supino per scendere con la bocca esattamente dove lui desiderava, rompendo finalmente ogni barriera.
Si persero in quei giochi nuovi per entrambi per un tempo di cui nessuno dei due riuscì a tenere il conto, senza lasciarsi un attimo di respiro; sapevano entrambi che, se si fossero ritrovati a riflettere in un momento morto, questo li avrebbe condotti a fermarsi. Perciò, all’insaputa l’uno dell’altro, tutti e due fecero il possibile per colmare ogni secondo con carezze eccitanti, baci avidi, segni di unghie sulla pelle, gemiti soffocati e imprecazioni quando i canini affondavano troppo nella carne, esplorando una dimensione fisica dell’altro che non conoscevano, imparando rapidamente i gesti che davano maggior piacere, i punti più sensibili. Sirius non lasciò in pace Remus nemmeno nei secondi che seguirono il primo orgasmo; lo costrinse a voltarsi e a piegarsi alla sua voglia, ma nonostante tutto lui non aprì bocca per protestare a quella dolorosa forzatura. Mentre Sirius era dentro di lui, finalmente tutto gli sembrò giusto: aveva cercato di non desiderarlo, ma era quello che voleva, quello che il suo istinto reclamava a gran voce fin da quando Sirius l’aveva colto alla sprovvista con quel bacio un paio di mesi prima. Quel sentimento smise di colpo di fargli paura per lasciar posto ad un piacere che mai aveva provato e Remus sorrise silenziosamente sotto le spinte, perché se era così significava che la paura non era abbastanza forte e che non lo era nemmeno per Sirius, che gli stava strattonando ciocche di capelli con tutta la forza che aveva.
Non ci furono più angosce e timori finché tutto non finì e Remus si ritrovò raggomitolato su un fianco, con il braccio sinistro di Sirius intorno al torace, avvinghiato in una stretta decisa che non accennava a volerlo liberare.
La sua pelle scottava e il suo respiro nell’orecchio era profondo, a volte lievemente spezzato.
A quel punto, giunta finalmente la calma, Remus ebbe il tempo per riflettere.
Si domandò che razza di folli pensieri fossero scattati nel cervello di Padfoot nel momento in cui aveva deciso di infrangere quel veto che entrambi si erano posti di comune accordo. Possibile che davvero provasse qualcosa? Che si fosse reso conto di aver proposto un’assurdità, quando gli aveva chiesto di ignorare tutto e restare amici?
O forse era più probabile che si fosse sentito solo e abbandonato in un momento infelice, senza che nessun altro a parte lui l’avesse aiutato ad affrontare la morte di suo fratello?
Si disse che era stupido rovinare un simile momento di pace con inutili elucubrazioni, ma dopo svariati tentativi di assopirsi fu costretto ad arrendersi. Il bisogno di ritrovarsi in solitudine, a riflettere con la sola compagnia di se stesso, prevalse su tutto.
Si liberò quindi dall’abbraccio di Sirius per cominciare a rivestirsi, cercando di ignorare il suo sguardo assonnato.
“Scusa ma si è fatto tardi, devo andare a fare rapporto a Moody,” gli disse quindi, inventandosi la prima sciocchezza che gli venne in mente. Sirius corrugò la fronte con evidente disappunto, poi si voltò freddamente dall’altra parte.
“Come desideri. Fatti vivo.”
Remus annuì, accorgendosi che il cuore gli batteva pesantemente nel petto. Quando uscì di casa, lasciò che il vento fresco del crepuscolo gli scompigliasse ancora di più i capelli. Dopo essersi accertato che nessuno lo potesse vedere si pizzicò una guancia, per avere la conferma di non trovarsi nel bel mezzo di un sogno troppo vivido.
In che razza di disastro si erano cacciati, non riusciva neppure a immaginarlo.


 




Come on fallen star, I refuse to let you die.
‘Cause that’s wrong and I’ve been waiting far too long
It’s wrong, and I’ve been waiting far too long
For you to be… be mine.

(Placebo, Centrefolds)







Nota di fine capitolo: di norma non è nelle mie corde domandare recensioni, ma devo ammettere che mi piacerebbe ricevere un po’ di commenti sulla parte sconcia XD (vabbé, sconcia si fa per dire, visto che mi sono attenuta al rating arancione). Ho fatto bene/non ho fatto bene ad inserirla ora? È uscita bene o è una schifezza? Ogni commento sarà prezioso per me, dato che è la prima volta che mi cimento con quest’impresa.
Non è un caso, comunque, che io abbia fatto tacere a Remus quell’episodio su Regulus. Tra Sirius e Remus si deve costruire man mano un rapporto in cui la sincerità fra i due viene sempre meno, fino al punto che sospetteranno entrambi che l’altro sia la spia... e in questi casi si comincia sempre con le piccole bugie, che l’uno crede innocenti ma che l’altro interpreterà come gravi omissioni.
Ho un altro appunto da fare riguardo alla storia di Regulus, dato che qualcuno me l'ha domandato nelle recensioni: Dorcas non ha mai detto degli Horcrux a nessuno, per il momento, l'ha fatto soltanto con Regulus perché ha visto che era solo un ragazzo cacciatosi in un pasticcio più grande di lui e ne ha avuto pietà. Dorcas, nella mia idea, è un personaggio in cerca di una vendetta solitaria, che riguarda soltanto lei e la sua famiglia, per questo si è tenuta per sé quel ricordo. Nonostante ciò, il primo a scoprire qualcosa di concreto è stato proprio Regulus, ma non ha avuto né tempo né modo di comunicarlo a Dorcas: sia perché era troppo rischioso mettersi in contatto, sia perché Regulus scopre l'Horcrux e contemporaneamente ci rimette le penne. Per questo tutta la storia finisce sepolta con lui e quello di Dorcas resterà, alla fine, un sospetto senza prove, perché tutto sommato lei ha soltanto origliato una conversazione, anche se è convinta che quella sia la vera essenza di Voldemort, ciò che davvero gli interessa, e per questo ha voluto mostrarlo a Regulus, che invece credeva di seguire degli ideali stando al suo servizio.
Secondo ciò che sta nella mia testa, poco prima di morire, Dorcas accennerà qualcosa a Silente, insinuando in lui il sospetto (che dovrà pur essere nato da qualcosa, non credo che un giorno il buon Albus si sia svegliato e si sia detto "Oh, cominciamo a fare ricerche difficili e lunghe anni per vedere se quel vecchio volpone di Voldemort non si è per caso creato un Horcrux..."). Poi però, come sappiamo, Dorcas viene uccisa direttamente da Voldemort e quindi Silente inizierà le sue ricerche praticamente dal nulla, finendo con ciò che avviene in HP6.
Spero che così sia più chiaro, mi rendo conto che avrei dovuto specificarlo la scorsa volta. Dovrei scrivere uno spin-off su Dorcas, in effetti XD 
Continuerò ad aggiornare una volta al mese, lo so che è un tempo piuttosto lungo ma almeno così sono piuttosto sicura di riuscire a finire il capitolo e di avere il tempo di riguardarlo con calma. In ogni caso, lascerò degli aggiornamenti sulla mia pagina autore, se a qualcuno possono interessare per sapere a che punto sono.
Un grazie sincero a chi ha commentato lo scorso capitolo, ricordandosi dell’esistenza di questa storia. Mi ha fatto un immenso piacere rileggervi ^_^
A presto!
S.
   
 
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