Seoul, duemila diciassette.
Vecchie correnti culturali, mai scomparse davvero, tornano prepotentemente alla ribalta come mode che si fanno strada plagiando personalità ancora in cerca di una propria identità.
I giovani della grande metropoli si identificano nel movimento punk, violento e anarchico, o in quello hippie, pacifista e libertino. Come i due gruppi riescano a convivere è un mistero: l'insofferenza degli uni nei confronti degli altri è palese, eppure nessuno fa nulla per cambiare le cose, perché è così che deve andare.
Namjoon e Yoongi sono ciò che la maggior parte dei genitori etichetterebbe come "cattiva compagnia": capelli tinti, birra sempre in mano e tanta rabbia repressa nei confronti del sistema. Seokjin e Jimin, al contrario, promuovono ideali di pace, sempre persi nel loro mondo fatto di allucinogeni e fiori tra i capelli.
Punk e hippie, mondi agli antipodi, nessun motivo per entrare in contatto… oppure no?

Raccolta di situazioni random e assurde che non possono assolutamente mancare nelle ff!
ALTO CONTENUTO DI DEMENZA.

Mi guardo intorno per un istante e finalmente intravedo un posto libero fortunatamente lontano da qualsiasi finestrino. Sembra che il posto affianco al mio sia già occupato da qualche zotico ma queste dannate poltrone sono troppo alte per vedere persino per me. Non che io sia interessato a chi dovrà sopportarmi ubriaco per tutta la durata del viaggio. Ancora qualche passo tra gente che cerca di scorgere il mio volto dietro gli occhiali da sole e finalmente eccomi arrivato. Faccio per sistemare lo zaino sopra il posto 23C quando lo sguardo mi cade su un ragazzo biondo cenere, i capelli ridotti uno schifo, lo sguardo perso, la testa appoggiata allo schienale, un maglione di flanella verdognolo addosso, un paio di jeans bucati, converse nere rovinate, la barba incolta, un braccio appoggiato alla poltrona.
Che mi venga un colpo, ma questo è Cobain.
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Ho provato ad immaginarmi l'incontro, l'ultimo, tra Kurt e Duff Mckagan (GnR) visto con gli occhi di Duff.
Ho provato a immaginarmi che potessero mai dirsi due ragazzi che suonavano in rockband famose, rivali, per giunta della stessa città, su quell'aereo.
Non so se ci sia riuscita, se non altro ci ho provato.

I Guns N' Roses raccontati da un personaggio strisciante dotato di squame e alla disperata ricerca di qualcuno che risvegli in lui il suo lato selvaggio: Clyde.
(Il rating giallo è dovuto all'utilizzo di qualche parola poco fine. Dovevo rendere lo stile Guns in un qualche modo!)

Slash sorrise ammiccante “Lo so che mi vuoi”.

Le bastarono dieci minuti per vestirsi ma, in una Londra col traffico in tilt e la pioggia che rendeva l’asfalto una tavolozza umida di colori, le ci vollero quindici minuti prima che un taxi si fermasse di fronte alla sua mano alzata. Quando l’auto si fu allontanata di qualche isolato, lei era già in ritardo di una decina di minuti buoni e constatò che se avesse aspettato che il taxi raggiungesse il caffè, avrebbe fatto prima a rimandare l’appuntamento al giorno seguente.
Sarebbe stato meglio.
***
Liberamente e spudoratamente cucita addosso a uno dei Led Zeppelin, la storia che leggerete è un adattamento di un romanzo del '94, Lunch di Karen Moline. Pregando con tutto il cuore di riuscire a farne un "remake" più personale, vi lascio alla storia di una pittrice che un giorno, per un ritardo non voluto ad un appuntamento, s'imbattè nel Dirigibile.

In realtà non è una Drabble, è solo una rivisitazione dell'Ave Maria che ho ritrovato dopo tanto tempo.
Perdonatemi.

Non c'è molto da dire ad essere sinceri... questa cosa è... una str*****a, sul serio... ma ormai l'ho scritta, perciò eccovela.
"Il buco è troppo piccolo Axl!"
"E' quel coso che è troppo grande!"
"mmm... bè si a guardarlo bene si in effetti..."

mi è venuta di getto oggi... cinque ragazzi, cinque modi differenti di darsi piacere... solo una parola oblio...

Axl Rose si concede un'intervista con una giornalista dopo l'uscita dell'ultimo cd dei Guns N'Roses, "Chinese Democracy".

"Quella droga non ti ha fatto un cazzo" constato brutale, "Lo sai che cos’è successo, lo sai."
E non negare che ti è piaciuto, perché non sei l’unico in questa stanza ad avere la schiena sfregiata.
Continua ad osservarmi senza dar segno di avermi sentito, poi abbassa appena la testa, un sorriso triste – ma forse è solo una mia impressione, Dio fa che sia così - che gli danza sulle labbra gonfie.
"Sì, io lo so.".
Sobbalzo, non mi aspettavo di avvertire le note della sua voce ferma vibrare nell’aria così presto.
"E tu, Billy? Tu lo sai?", chiede sprezzante e questa volta si alza e mi si avvicina svelto, le gambe lunghe che rapide fendono l’aria, il corpo nudo se non per i boxer che s’infila senza farci caso.

~Aveva sempre creduto che non si potesse uccidere qualcuno solo parlandogli. Aveva riso quando, una sera, Slash gli aveva detto di sentirsi morire ogni volta che Perla si arrabbiava con lui. Come è possibile, gli aveva detto, che tu ti senta morire? Non ti ha mica pugnalato, ti ha solo parlato in fondo. Affondò il viso tra le mani, accucciandosi sul pavimento. Tutto d’un tratto gli mancava l’aria, ogni respiro gli sembrava andasse a vuoto, o portasse con se qualcosa di altamente infiammabile che esplodeva puntualmente nei suoi polmoni. Si sentiva come se stesse affogando, come se una mano invisibile lo stesse trascinando in un baratro di cui non vedeva la fine.

Mi lancia uno sguardo, il migliore. L’unico. Quegli occhi grevi di malizia che ostenta dinanzi a migliaia di persone, cantando un nostro pezzo. Iridi attraenti, foggiate di sottili filamenti dorati e verdi fusi, liquefatti in una cosa sola. In quel cipiglio arguto e assottigliato si cela l’intrigo di una giungla.