ReggaeFamily
Can
you break out
System
Of A Down - 36
(mi
scuso con voi per la brevità della canzone: non credo che un
no0rmale essere umano riuscirebbe a leggere un capitolo così
lungo in soli quarantasei secondi... ma non ho resistito alla
tentazione di inserire questo brano, ci stava bene ^^)
♫
Shavo ♫
Indossai
il mio cappellino da baseball nero, trascinai il trolley fuori dalla
stanza e diedi un'ultima occhiata all'interno per assicurarmi di non
aver dimenticato niente.
“Non
vedo l'ora di tornare a casa” borbottai tra me mentre giravo la
chiave nella serratura, pronto per lasciare definitivamente la stanza
291 dell'alberghetto di Irvine dove avevamo alloggiato.
Daron
se ne stava appoggiato pesantemente alla sua valigia; teneva lo
sguardo basso e il suo solito cappello nero ombreggiava completamente
il suo viso. “La pace durerà per poco” ribatté
con uno sbadiglio.
Udii
un'altra porta richiudersi e individuai nella penombra dell'andito
una figura familiare: si trattava di Greg, il nostro fotografo. Si
avvicinò a noi con un sorriso. “E anche stavolta ce la
siamo cavata!”
“Ehi
fratello, la gente ha apprezzato la tua foto” gli comunicai.
Qualche ora prima avevo postato nella pagina facebook della band uno
scatto della sera prima, e ora il mio cellulare era intasato di
notifiche.
“Hanno
apprezzato i soggetti della foto” sghignazzò lui
lanciandomi un'occhiata divertita.
Mi
strinsi nelle spalle.
Qualche
secondo dopo vidi comparire Serj dall'imboccatura delle scale.
“Perfetto, possiamo andare. Gli altri sono già di
sotto... e dovremo affrontare un po' di fans radunati qua fuori. Un
momento: Sako e John?”
“Dovrebbero
essere ancora dentro...” A interrompermi fu un gran baccano
proveniente dalla stanza accanto alla mia. Sulla soglia comparve Sako
con indosso una camicia a quadri e un borsone nero in spalla.
“Vaffanculo John!” gridò, rendendosi poi conto che
la sua voce aveva rimbombato per tutto il secondo piano. A quel punto
si guardò attorno con fare circospetto e sospirò
appena.
“Senti,
io ero pronto un'ora fa, è colpa tua se stiamo uscendo in
ritardo. E sai che io odio profondamente arrivare per ultimo”
sibilò John irritato, comparendo dietro di lui in compagnia di
una grande valigia blu.
“Dobbiamo
stare qui a discutere o possiamo andare? Entro stanotte vorrei
tornare a casa mia, grazie” gracchiò Daron incenerendo i
due con lo sguardo.
“Come
facciamo con i fans?” intervenni.
Non
mi dispiaceva avere a che fare con i nostri seguaci, ma quel giorno
ero davvero stanco e non mi andava di dover lottare contro il mal di
testa. Quei giorni di tour mi avevano stremato: non mi ero ancora
riabituato ai ritmi dei live, dato che con i System avevamo
ricominciato a viaggiare da pochi mesi.
“No,
che palle! Giuro che resto a dormire qui un'altra notte, non ne ho
voglia...” protestò il chitarrista, torturando
nervosamente il manico del suo trolley.
“Non
vi preoccupate, ragazzi! Siate rilassati e gentili come al solito:
dirò loro che abbiamo dei tempi stretti e non vi potrete
trattenere più di tanto!” ci rassicurò Sako con
un sorriso.
“Grazie,
tu sì che ci capisci.” Gli mollai una pacca sulla spalla
e mi trascinai faticosamente in direzione dell'ascensore.
“Almeno
non sei ingrato come quello stronzo del tuo batterista!”
esclamò, raggiungendomi e infilandosi in fretta tra le ante
dell'ascensore per sfuggire a un possibile attacco di John.
Ma
quest'ultimo non fece una piega, si limitò a trasportare i
suoi bagagli con aria indifferente. “Io prendo le scale, vi
lascio la mia roba” sentenziò, allontanandosi in fretta.
Qualche
minuto più tardi mi ritrovai a osservare il mucchio di persone
radunate sul marciapiede, appena a qualche metro dall'uscita
dell'hotel.
“Vado
avanti io!” affermò coraggiosamente Sako. “Seguitemi!”
Gli
fui subito dietro, curioso di scoprire cosa aveva in mente.
Non
appena i fans ci videro comparire sulla soglia, si precipitarono
nella nostra direzione gridando come matti. Notai qualche ragazza che
squittiva i nostri nomi e tremava per l'emozione, parecchie persone
che sventolavano CD e pennarelli indelebili per attirare la nostra
attenzione e chiederci un autografo, qualcuno che invece si limitava
a puntarci addosso una telecamera come se stesse girando un servizio
per il telegiornale.
“Ciao
belli! Come state? Vi è piaciuto il concerto di ieri?”
esordì il tecnico della batteria con aria completamente
rilassata e cordiale.
“Vogliamo
una foto con loro! Shavo, oddio... Shavo! Ti ricordi di ieri? Ero in
prima fila!” strillò una tizia, avvicinandosi a lui e
cercando di scansarlo per potermi raggiungere.
“Sì,
mi ricordo” mentii. Ma come potevo aver presenti tutti i visi
che si erano susseguiti in quelle due settimane di concerti? Sarei
stato una specie di supereroe, ma la mia memoria era decisamente
troppo scadente.
“Mi
potete autografare questo?” domandò un ragazzino sui
sedici anni, ficcandomi in mano la sua copia di Toxicity.
“Shavo,
Shavo! Mi puoi regalare un plettro?” se ne uscì un altro
ragazzo.
“Bassista,
potresti chiedere a Daron di venire qui?” fece un'altra fan,
cercando di scrutare oltre la mia spalla nella speranza di
individuare gli altri membri.
“Ehm...
sì, aspettate, uno alla volta” tentai di calmarli con un
sorriso spaesato.
“Alt,
fermi tutti!” gridò Sako, sovrastando le voci dei
presenti. “I ragazzi hanno dei tempi molto rigidi da seguire,
non possono stare tutta la sera qui!”
In
pochi però lo ascoltarono.
Anche
John e Serj, vedendomi in difficoltà, vennero fuori e
cominciarono ad accontentare qualcuno.
Sapevo
che Daron, codardo com'era, non sarebbe uscito finché la folla
non si fosse dispersa. Peccato che tutti stessero chiedendo di lui e
non sembravano intenzionati ad andarsene senza averci avuto a che
fare.
“Daron
non è qui. È dovuto partire prima per via di un
impegno” improvvisò abilmente Serj quando tra la folla
si diffuse un coro che ripeteva il nome del chitarrista.
“Bene,
è stato un piacere passare un po' di tempo con voi”
intervenne nuovamente Sako dopo qualche minuto, “ma la
receptionist dell'albergo si sta parecchio incazzando e ha minacciato
di chiamare la polizia se il marciapiede non viene liberato nel giro
di cinque minuti!”
Non
sapevo se ciò che stava dicendo fosse vero, ma ormai avevo una
decina di persone appese addosso per foto e autografi e sfoggiavo un
sorriso talmente finto che credevo mi sarebbero presto cadute le
mascelle. Volevo solo una canna, un letto e un po' di sano relax.
“Quindi
niente Daron?” insistette qualcuno.
“Non
c'è” ribadì Serj, cercando di mantenere la calma.
“Gli porteremo i vostri saluti, promesso!”
Liquidammo
in fretta i nostri seguaci, che iniziavano a essere insistenti e
pesanti, e ci dirigemmo con tutta la squadra di tecnici verso il
nostro tour bus. Mancavano solo Daron e Beno all'appello; sicuramente
ci avrebbero raggiunto quando il nostro compagno di band si sarebbe
sentito abbastanza sicuro.
“C'è
una cosa che non capisco” cominciò John una volta seduto
in un posto vicino al finestrino. “Che senso ha gridare tutti
assieme e spintonarsi come pazzi? Io potrei dedicare tutta la serata
ai fans, se le cose si facessero civilmente e ordinatamente!”
“Ma
John, che carini, sono così contenti di vederci!” lo
contraddissi. In fondo tutte quelle persone mi facevano tenerezza,
sapevano regalare un affetto spiazzante.
“C'è
modo e modo per manifestarlo” fece notare lui.
“Siete
fottutamente coraggiosi” affermò Greg, sfogliando per
l'ennesima volta le foto scattate nei giorni precedenti.
Il
mio cellulare prese a trillare, avvisandomi di una chiamata in
arrivo. Era Johanna.
“Pronto,
Jo Dolmayan?” risposi con una risatina.
“Spiritoso!
Come va, turista in quel di Irvine? Disturbo?” domandò
lei in tono allegro.
“No,
stiamo aspettando Daron che si è rifiutato di uscire
dall'albergo per evitare una folla di fans esaltati, non siamo ancora
partiti. Meno male che siamo già in California e non ci vorrà
molto per arrivare a casa!”
La
ragazza sbuffò. “Che acido Daron, sempre il solito!
Comunque, ti ho chiamato per invitare personalmente te e i tuoi
amichetti a un party di bentornati!”
“Che
emozione, un invito ufficiale! Sarebbe?”
“Abbiamo
un concerto domani sera in un locale nella zona del molo. Ecco,
pensavo che sarebbe una bella occasione per incontrarci, così
ci raccontate com'è andata! Che ne dite?”
Setacciai
mentalmente la lista dei miei impegni e appresi che per la sera
successiva, ovvero venerdì 26, non avevo nulla di prefissato.
“Okay, io ci sto! Ora chiedo agli altri, dato che sono con
loro.” Mi voltai verso John e lo interrogai: “Domani c'è
un concerto dei Souls. Vieni a ubriacarti con me?”.
“Ovvio!”
“Tu,
Serj? Ci sei?”
“Non
lo so, vediamo se Angela mi lascia uscire” scherzò il
cantante con un'alzata di spalle.
“Ma
è una delle gemelle psicopatiche?” domandò Sako
curioso.
“Chi
era quello, Sako?” chiese Johanna palesemente divertita.
“Un
attimo, mi state confondendo le idee!” farfugliai.
“Siamo
arrivati!” L'urlo di Daron mi fece sobbalzare: aveva fatto il
suo ingresso nel bus in maniera poco delicata, aveva sbattuto la
portiera rischiando di colpire Beno in faccia e aveva scaraventato in
malo modo il suo trolley a terra, facendo tremare tutta la vettura.
“Perché
psicopatiche?” volle sapere Serj, aggrottando le sopracciglia e
fissando Sako.
“Malakian,
smettila di fare lo spiritoso o ti scarichiamo in autostrada!”
Beno rimproverò scherzosamente Daron, incrociando le braccia
al petto.
“Ehi,
cos'è tutto questo casino? Passami Sako, che gliene dico
quattro!” esclamò Johanna, sempre più presa da
quella situazione.
Tremendamente
confuso, lasciai il telefono nelle mani del tecnico della batteria e
mi presi la testa tra le mani. Avevo dormito troppo poco e come
previsto il mal di testa era in agguato, pronto a stendermi. Intanto
seguivo la conversazione tra Johanna e Sako – o almeno ci
provavo, immerso in quell'enorme caos.
“Vuoi
sapere perché?... No no piccola, io ti adoro e non vedo l'ora
di farti da tecnico della batteria, però quando eravamo al
Grin e voi avete cominciato a urlare per i Dub Inc avete attirato
l'attenzione di tutto il locale... esattamente, sembravate delle
pazze fuggite dal manicomio!... Sì, anche quel giorno in sala
prove parevate fuori di testa... Okay, quindi sono io che non capisco
niente... Vabbè, ti do una bella notizia: domani sera non ho
niente da fare, se vuoi vengo a vedervi e così mi potrai
picchiare... no, non ti conviene usarmi come rullante, non ho un buon
suono, e te lo dico perché John ci ha provato tante volte...”
“Because
you're too serious, you gonna make me delirious!” stava
intanto canticchiando Daron rivolto a John; quest'ultimo sembrava una
mummia, aveva messo su un'espressione estremamente seria e non faceva
che guardare fuori dal finestrino.
“Sai
che domani i Souls hanno un concerto?” se ne uscì
all'improvviso il batterista.
“Bene,
così rivedrò le mie dolcezze prima di partire in
Europa!” esclamò il chitarrista.
“Io
ti consiglio di andarci piano con Ellie...”
E
poi non sentii altro. Ero talmente stanco e assonnato che non avevo
saputo resistere. Il borbottio del motore poi era per me come una
dolce ninna nanna.
Forse
ero un caso perso, forse avevo il sonno molto pesante, ma riuscii a
riposare nonostante l'incessante accavallarsi di voci all'interno
dell'abitacolo.
♫
Ellie ♫
“Mi
ha messo mi piace anche stavolta” sbuffò Johanna
contrariata. “E mi ha scritto «buona fortuna» con
un cuoricino!” sbottò ancora, armeggiando con il suo
cellulare e contemporaneamente con le chiavi della macchina.
“Avevi
condiviso l'evento di stasera?” mi informai, stringendomi nella
mia leggera giacca turchese.
“Sì”
confermò. Buttò il telefono nella sua borsa e si guardò
attorno. “Rockin' Together, dovrebbe essere questo”
affermò poi, indicando un locale dalla facciata piuttosto
tetra e sinistra: le pareti erano grigie, l'entrata consisteva in una
pesante porta in metallo e sull'insegna, fregiata e provata dal
tempo, si leggeva a malapena il nome del bar.
“Ma
davvero dobbiamo suonare in questa bettola?” protestò
mia sorella storcendo il naso.
“Guarda
il lato positivo: ti hanno messo a disposizione una batteria e non
l'hai dovuta montare tu. Però, aspetta un momento!” Le
posai una mano sulla spalla prima che potesse allontanarsi da me ed
entrare nel locale. “Perché le attenzioni di Miles ti
danno così fastidio?”
Lei
si voltò verso di me e incrociò le braccia al petto.
“Che domande fai? Mi conosci, no? Da giorni non fa che mettermi
likes a ogni post! E poi ieri mi ha mandato il buongiorno, ma ti
rendi conto? È uno squilibrato, ci sta provando senza nemmeno
conoscermi!”
“Tu
te la prendi troppo per questa cosa! Che ti cambia un like in più?
Mica si apposta sotto casa nostra, in fondo non fa nulla di male”
tentai di rassicurarla. Non mi piaceva vedere Johanna così
nervosa, non era da lei; in genere quella che si agitava per tutto
ero io, ma sapevo che mia sorella non sopportava le insistenze, la
mandavano completamente fuori di testa.
“Come
mai lo difendi?” indagò lei aggrottando le sopracciglia.
“Non
lo difendo, penso solo che tu gli dia troppo peso.”
“Staremo
a vedere. Se continua di questo passo lo rimuoverò dagli
amici” concluse, posando la mano sulla maniglia e facendomi
strada all'interno del Rockin' Together.
“Questo
posto è uno schifo” brontolò Noah scuotendo la
testa.
“Ma
no, dai, hanno anche la mia birra preferita!” obiettò
Jacob con un sorriso, brandendo la bottiglia che aveva in mano.
“Smettila
di bere, altrimenti ci farai fare una figura di merda durante il
concerto” lo rimproverò Johanna.
“Che
palle, solo perché tu sei astemia! Sono più affidabile
del chitarrista dei Judas Priest!”
Scoppiai
a ridere sguaiatamente e diedi una pacca sul braccio del mio amico.
Noi
quattro eravamo appollaiati dietro il palco, dove potevamo tenere
d'occhio l'intero locale, in attesa che arrivasse il momento di
salirvici sopra. Durante un veloce soundcheck di un paio d'ore prima
ci eravamo resi conto che l'audio lasciava parecchio a desiderare, il
suono rimbalzava tra le pareti ed era tutto troppo confuso. Inoltre i
tavolini erano insufficienti e malmessi, l'ambiente era piccolo e i
clienti abituali non avevano fatto altro che squadrarci con
indignazione e lanciarci occhiatacce.
“Comunque
c'era da aspettarselo: prima o poi avremmo trovato un locale
scadente, è normale quando si gira per concerti” dissi
quando mi fui ripresa dalle risate.
“Mi
dispiace che i System debbano assistere al nostro peggiore concerto”
mormorò il bassista deluso.
“Ma
loro terranno in conto la nostra performance” lo rincuorò
Johanna.
“Ehi
piccolo Sting, dov'è la tua donna?” intervenne Jacob in
tono malizioso.
“Forse
oggi non riuscirà a venire.”
Mi
sorpresi della mia stessa reazione. Quella notizia avrebbe dovuto
rallegrarmi, invece non mi fece né caldo né freddo.
Anzi, sarei stata più contenta se Kate fosse stata presente:
era diventata una nostra fan assidua, ci avrebbe di sicuro
supportato.
Da
quando avevo iniziato a parlare con Shavo del mio problema, questo
aveva cominciato a dissolversi lentamente. Forse il mio amico era
stato davvero una cura per me, mi aveva aiutato a distrarmi e
superare quel momento difficile.
“A
proposito di System!” esclamò mia sorella
all'improvviso, balzando in piedi e puntando lo sguardo verso
l'ingresso.
Io,
Noah e Jacob volgemmo contemporaneamente la nostra attenzione in
quella direzione e constatammo che John, Shavo, Daron e Sako erano
giunti, puntuali e sorridenti, per assistere al nostro live.
Dalla
zona del bancone si levò una bestemmia che sovrastò le
chiacchiere dei clienti. Sgranai gli occhi quando la barista lasciò
la sua postazione come un fulmine e si precipitò praticamente
addosso ai nostri amici. “Oh merda, oh merda, oh merda! Ma voi
siete i System Of A Down, porca troia! Non potete nemmeno immaginare
quanto ci onora avervi qui!” strepitò ancora la tizia,
stringendo ognuno dei membri della band in un abbraccio, a eccezione
di Sako.
Vedendo
i poveri malcapitati in difficoltà, capimmo che era il caso di
intervenire e porre fine a quella patetica scenetta. Così ci
avvicinammo e feci giusto in tempo a sentire la barista che
sproloquiava: “Oh, quindi siete amici dei musicisti? Capisco...
beh, certo che sono fortunati, hanno un pubblico rinomato allora!
Comunque, accomodatevi pure, occupate pure tutti i tavolini e le
sedie che volete... e ovviamente, dato che siete i nostri ospiti
speciali, tutto quello che consumerete sarà gentilmente
offerto da noi!”.
“Ma
che cazzo... a noi, che saremmo gli artisti della serata, hanno messo
a disposizione quattro sedie e un tavolino di merda” borbottò
Johanna al mio orecchio, indignata.
Daron,
palesemente stanco di stare a sentire le fesserie dell'ennesima fan
esaltata, decise di usarci come espediente per sfuggire dalle sue
grinfie: si buttò praticamente addosso a me e mia sorella,
stringendoci in un abbraccio. “Ragazze, che piacere vedervi! Mi
siete mancate tanto! Allora, come va? Sono curioso di vedere il palco
in cui suonerete!”
Detto
questo, prese entrambe per un polso e ci trascinò il più
lontano possibile dall'ingresso.
“Daron,
dobbiamo andare a salvare e salutare gli altri!” sbottò
Johanna, divincolandosi dalla sua stretta e tornando indietro.
Probabilmente
non l'aveva fatto apposta, ma mi aveva lasciato da sola con Daron e
la cosa mi metteva in soggezione, soprattutto perché lui non
mi levava gli occhi di dosso nemmeno un secondo.
Pensai
a una scusa per seguire mia sorella, ma non mi venne in mente niente.
Così decisi di prenderla con filosofia e cercare di aprire una
conversazione con il chitarrista.
“Allora,
Daron, com'è andato questo tour? È stato stancante?”
“Alla
grande, ma preferisco sempre l'Europa, non so perché. E sì,
sono molto stanco, ma per la mia dolcezza preferita ho voluto fare un
sacrificio!”
Sorrisi,
cercando di non dare troppo peso a quel suo sguardo ammiccante che mi
metteva tanto in imbarazzo. “Che dolce, grazie!”
Improvvisamente,
a salvarmi dalla situazione bizzarra in cui mi trovavo, due braccia
mi circondarono e qualcuno mi attirò a sé con una
dolcezza e un trasporto che non avrei mai potuto confondere. “Non
mi scappi più!”
“Eh
Shavo, mi dispiace dirtelo, ma tra poco salirò sul palco e non
credo che potrai stare appeso a me per tutto il tempo.”
“E
chi lo dice?”
“Giù
le mani dal mio tesoro!” si rivoltò Daron,
impossessandosi come al solito del bordo del mio foulard.
“Dodici!
Dolmayan, vaffanculo, la soluzione è dodici!” strillò
Sako, facendomi sobbalzare. Non avevo ancora avuto modo di salutarlo,
ma lui e Johanna avevano subito preso a conversare e battibeccare.
“Ma
che diamine sta dicendo?” domandai confusa, mentre Shavo
scioglieva l'abbraccio.
“Un
rompicapo stupido che John ha portato fuori l'altro giorno...”
spiegò Daron con indifferenza.
“I
rompicapo non sono stupidi” obiettai.
“E
invece sì. Sono creati apposta per incasinarti e farti sentire
un deficiente, ma in realtà sono delle enormi cazzate.”
MI
avvicinai a Sako, John e Johanna per capire di cosa si trattava. La
matematica non era il mio forte, ma quei giochetti mi incuriosivano.
“Come
ci sei arrivato?” domandò John.
“L'ho
risolto insieme a Johanna!” cominciò a raccontare lui.
“Bene,
l'unione fa la forza!” se ne uscì Jacob a sproposito;
probabilmente non stava nemmeno seguendo la conversazione.
“Veramente
l'ho risolto io, lui ascoltava e basta!” precisò mia
sorella dando di gomito al tecnico della batteria.
“Ah,
allora chi fa da sé fa per tre!” intervenne ancora
Jacob, per poi allontanarsi e andare a importunare Daron.
Mi
strinsi nelle spalle, basita.
“Allora,
il primo passo era scoprire quanti balli sono stati fatti in tutto
durante la serata” spiegò Johanna. “Per farlo
bisogna moltiplicare il numero dei ragazzi per il numero dei balli
che ciascuno ha fatto, quindi nove per quattro, che dà
trentasei.”
John
annuì, mentre nella mia mente cominciò a rimbombare la
36 dei System. Non era una delle mie canzoni preferite –
anche perché, per la sua durata non poteva essere considerata
una canzone – ma quando sentivo nominare quel numero non potevo
non associarla a quella traccia di Steal This Album!.
“Per
capire quante ragazze erano presenti, non restava che dividere il
numero dei balli totali per il numero dei balli che ciascuna ragazza
ha fatto: quindi trentasei diviso tre uguale dodici. È una
fesseria! Non ci posso credere che questo tecnico della Tama non ci
sia arrivato!”
“Ma
Sako è stupido, è risaputo!” esclamò John.
“Ragazzi!
È ora di suonare!” annunciò Noah, interrompendo
tutte le nostre conversazioni.
“Evviva!”
esultò Shavo, preparando la fotocamera del cellulare per
qualche scatto.
Quel
giorno ero più agitata del solito, forse perché
conoscevo una parte del mio pubblico. O forse perché sapevo
che il risultato non sarebbe stato il massimo per una serie di
problemi indipendenti da me.
Ma
mi bastò stringere forte una mano a Johanna prima di entrare
in scena, e tutto mi sembrò più facile.
“Allora,
inizieremo dall'Italia: suoneremo a Milano” stava raccontando
Shavo.
Io
e i miei amici, dopo il live, ci eravamo riuniti tutti insieme
attorno a un tavolino. Dato che prima non ce n'era stato il tempo,
avevamo chiesto ai ragazzi dove si fosse cacciato Serj e loro avevano
spiegato che era rimasto imbottigliato in una cena assieme ad Angela
e alcuni loro amici.
Mi
dispiaceva non averlo potuto riabbracciare, ma in un certo senso ero
contenta che non avesse assistito a quello scempio che, purtroppo, si
era rivelato il nostro concerto.
Poi
avevamo chiesto loro informazioni sull'imminente tour europeo che li
avrebbe tenuti lontani da casa per circa tre settimane.
L'Europa
affascinava un po' tutti e volevamo saperne di più: inoltre i
SOAD avevano suonato già un sacco di volte in quel continente
e conoscevano già qualche posto.
“Milano?
Wow! Però ho sentito dire che ci sono città migliori in
Italia” commentò Noah.
“Serj
è in fissa con Firenze” raccontò Daron. “Io
sinceramente preferisco Paesi nordici come la Finlandia e la
Norvegia!”
“A
me piacerebbe la Spagna!” disse Jacob.
“Ci
suoneremo una volta quando saremo in tour tutti assieme” gli
ricordò John.
“Davvero?
Oh chicos, ci daremo alla pazza gioia!”
“Souls!”
Un
grido alle mie spalle mi fece prendere un enorme spavento. Non avevo
idea di chi potesse essere: la voce non mi era familiare.
Johanna,
seduta dalla parte opposta del tavolino, aveva già avuto modo
di riconoscere il proprietario di quella voce. La sua reazione non mi
piacque affatto: inizialmente era sbiancata e un secondo dopo il suo
viso era andato a fuoco, potevo quasi vedere il fumo che le usciva
dalle orecchie.
Mi
voltai di scatto e rimasi di sasso.
“Miles?”
mi lasciai sfuggire.
“In
carne e ossa!” rispose lui, battendosi una mano sul petto.
Subito
il mio istinto mi suggerì di correre da mia sorella, ma
chiaramente non potevo comportarmi ineducatamente con lui: mi misi in
piedi e gli tesi una mano, sorridendo appena. “Piacere, io sono
Ellie, la cantante. Credo che tu lo sappia già, se hai
assistito al concerto.”
“Il
piacere è tutto mio! Sì, alla fine sono riuscito a
venire: in genere quando decido di intervistare un gruppo faccio in
modo di assistere almeno a un suo concerto!”
“Oddio,
oggi non è andata proprio bene...”
“C'erano
parecchi problemi di audio in effetti, ma voi siete stati tutti
bravissimi! Ora, se permetti, vorrei presentarmi agli altri
componenti della band... okay?”
“Ma
certo! Sanno già chi sei, ma bassista e chitarrista non hanno
visto nessuna tua foto.”
Miles
cominciò a girare attorno al tavolo e presentarsi con
entusiasmo a tutti. Non diede segno di riconoscere i membri dei
System; forse non aveva dimestichezza con il loro genere musicale.
Johanna,
da brava attrice che era, lo salutò cordialmente e conversò
con lui senza mostrarsi infastidita. In effetti Miles pareva un
ragazzo a posto, molto meno invadente di come l'avevo immaginato, in
certi momenti perfino troppo discreto e riservato.
Nel
frattempo potei osservarlo senza dare nell'occhio: era alto più
o meno quanto me, indossava una leggera giacca in jeans blu scuro su
una camicia bianca, un paio di jeans neri e delle scarpe da
ginnastica bianche; i capelli biondi erano leggermente scompigliati.
Tutto
sommato non era male, anche se non lo trovavo adatto a me. Inoltre in
quel periodo non pensavo ai ragazzi, non me la sentivo ancora di
rivolgere le mie attenzioni a qualcuno.
“Ragazzi,
io devo scappare” annunciò Miles dispiaciuto dopo
qualche minuto. “Vorrei tanto trattenermi di più con voi
e conoscervi meglio, ma oggi sono di fretta. Mi ha fatto comunque
tanto piacere sentirvi dal vivo e incontrarvi, spero che ricapiti
presto un'occasione del genere!”
“Amico,
puoi aggiungerci su facebook!” Jacob l'aveva evidentemente
preso in simpatia, nonostante i due a primo impatto sembrassero così
diversi.
Miles
mi si avvicinò per salutarmi con due baci sulle guance. “Io
intanto preparo le domande, domani dovrei riuscire a mandarvele.”
“Grazie
mille, sei stato davvero gentilissimo a proporci questa intervista.
Spero di rivederti presto a qualche altro concerto!”
“Contaci!
Ciao, buona serata a tutti!” si congedò, dirigendosi
frettolosamente verso l'uscita.
Più
tardi, mentre io e Johanna rincasavamo, ripensai ai fatti accaduti
durante la giornata.
“Jo?”
“Dimmi.”
“Miles
non è poi così male, vero?”
“Devo
ammettere che mi ero sbagliata: sembra un tipo simpatico e
tranquillo” sentenziò con il sorriso nella voce. “Ma
se continua a insistere su facebook gli tolgo l'amicizia lo stesso!”
Scoppiai
a ridere. “Sei assurda!”
♫
Grégory ♫
Quella
sì che era un'annata di fuoco! Non avrei mai pensato che il
nuovo album dei miei amati Dub Inc potesse riscuotere tanto successo.
Era
davvero grandioso poter viaggiare per il mondo e portare la nostra
musica in tanti Paesi diversi, ma spostarsi senza sosta era anche
incredibilmente sfiancante.
“Zigo?”
mi richiamò la voce di Moritz, strappandomi dalla sorta di
dormiveglia in cui ero entrato, ancora seduto dietro la mia batteria.
“Eh?”
bofonchiai, sollevando lo sguardo sul bassista.
“Mi
sembri un po' stanco, ma giusto un pochino...” osservò
in tono ironico.
“Si
vede?”
“Ma
Jérémie?” sbuffò Idir, uno dei nostri due
tastieristi, profondamente infastidito.
In
effetti noi prendevamo molto sul serio le prove: quella mattina però
ci eravamo dovuti interrompere perché alle orecchie di Jérémie
erano giunte delle strane voci e aveva deciso di indagare meglio
attraverso qualche telefonata. Non aveva voluto anticiparci niente,
ma ormai tutti noi eravamo stanchi di aspettare, anche per via della
crescente curiosità.
“Hakim
dovrebbe essere con lui, ma non risponde” ci comunicò
Aurélien, che girava per la stanza con il cellulare
all'orecchio.
“E
se provassimo senza di loro?” propose Moritz, accennando una
linea di basso che in quel momento non riuscii ad associare a una
canzone.
“E
come facciamo senza il chitarrista e uno dei cantanti?” mormorò
l'altro, mettendo via il telefono dopo aver appreso che insistere non
sarebbe servito a niente.
“Ritz
ha ragione: possiamo provare le canzoni in cui canti solo tu, no?”
proposi, lanciando un'occhiata complice ad Aurélien. Lui
scosse la testa, facendo oscillare i suoi lunghi dreadlocks.
Calò
il silenzio per qualche istante.
Poi
all'improvviso la porta della sala prove si spalancò e un
grido del chitarrista ci colse alla sprovvista: “Porca puttana,
non avete idea di quello che ho scoperto!”
“Ma
che problemi hai?” si rivoltò Idir, abbandonando la sua
postazione dietro le tastiere.
Jérémie,
palesemente sconvolto, fece qualche passo avanti in modo che anche
Hakim potesse entrare nella stanza. Quest'ultimo scosse la testa.
“Ah, non chiedete a me, non mi ha voluto dire niente!”
“Sono
curioso!” esclamai, ora completamente sveglio e attento.
“Okay,
allora, con calma...” cominciò Jérémie,
afferrando la sua chitarra e cominciando a torturare nervosamente la
tracolla. “Avete presente il festival di Saint-Étienne,
il M(us)ix Festival, dove suoneremo anche noi?”
“Certo!”
confermammo tutti quasi in coro.
“Bene,
non immaginate che concerto apriremo...”
“Certo,
se non ce lo dici non lo possiamo immaginare” gli fece notare
Hakim con impazienza. Il cantante aveva una curiosità fuori
dal comune, odiava la suspance.
“Io
pensavo che saremmo stati noi i big della serata!” se ne uscì
ingenuamente Frédéric, l'altro tastierista, per poi
arrossire.
La
scena mi fece ridacchiare sotto i baffi.
“Apriremo
i System Of A Down! Okay, l'ho detto!” sbottò infine il
chitarrista tutto d'un fiato, per poi lasciarsi andare a un grido di
gioia.
Mi
caddero le bacchette dalle mani e rischiai di perdere l'equilibrio
perfino da seduto. Il cuore mi martellava nelle tempie, quasi
sovrastava il baccano generale che si era diffuso in tutta la stanza.
“Cosa?
No, questa è una cazzata, ti hanno raccontato una balla!”
esplosi, balzando in piedi e piazzandomi di fronte a Jéeémie.
“Ma
stai scherzando?” aggiunse Moritz portandosi una mano sulla
fronte.
“Oddio,
suonerò di fronte a John Dolmayan...” borbottavo,
incredulo. Non era la prima volta che mi trovavo a lavorare con
artisti importanti o che stimavo, ma quella notizia assurda mi aveva
completamente destabilizzato.
Il
che era strano, perché in genere ero una persona abbastanza
mite e temperata.
“Oh,
i SOAD! Sì, ho capito chi sono: le loro canzoni sono una
figata, hanno una palese influenza orientale!” commentò
Hakim con un sorriso rilassato. Come faceva a non fare mai una piega?
Intanto
Idir, preso dall'entusiasmo, si era impossessato della mia batteria e
la suonava a caso per festeggiare. Era uno scempio, ma non avevo le
forze per proteggere il mio povero strumento.
Per
la prima volta nella nostra vita, trascorremmo una mattinata del
tutto controproducente in sala prove. Non provammo nemmeno mezza
canzone; in compenso festeggiammo, fumammo, strimpellammo B.Y.O.B.
senza il minimo impegno e la minima serietà.
E
cercammo di non pensare troppo a ciò che ci attendeva.
♪ ♪ ♪
Bene,
signori e signore (?)
Il
WOAD continua indisturbato, ed ecco quindi un nuovo capitolo di
questa storia!
Come
già accennato all'inizio, mi rendo conto che una canzone come
36, della durata di neanche un minuto, non sarà mai un
sottofondo adeguato a un capitolo di millemila parole, ma avrete
sicuramente notato il riferimento al numero, importante indizio per
la risoluzione dell'indovinello XD
Sicuramente
alcuni di voi saranno confusi dall'ultimo pov: tutti chiamano il
batterista del Dub Inc “Zigo”, almeno quando gli si
rivolgono, mentre all'inizio del pov c'è scritto “Grégory”.
Questo semplicemente perché Zigo è il suo “nome
d'arte”, il suo soprannome, e i suoi amici lo chiamano così
^^
Mi
rendo conto che, per chi non conosce i Dub Inc, ora ricordare tutti
questi nomi sarà complicato. Non vi preoccupate: li rivedremo
con calma più avanti!
Nel
caso foste interessati, ho scritto da poco una one shot su di loro,
la mia prima fanfic sul gruppo francese... magari vi può
aiutare a memorizzarli e ad assegnare a ognuno una caratterizzazione
più precisa!
Odio
farmi pubblicità, ma ve la linko lo stesso, almeno potrete
raggiungerla con più facilità:
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3713820&i=1
Sapete,
fa un po' strano scrivere di loro, soprattutto di Moritz, che ho
avuto il piacere di incontrare di persona l'anno scorso... ma mi sta
piacendo un casino e non vedo l'ora che i ragazzi partano in Europa
per poter scrivere ancora di loro *-*
Grazie
mille ai seguaci e lettori della storia, siete dolcissimi e
fantastici! :3
A
mercoledì prossimo con il secondo capitolo della mia raccolta
systemosa delirante!!! ♥
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