Di ritorni, vittorie ed effetti collaterali

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La gabbia ***
Capitolo 2: *** Ogni eroe ha la sua storia ***
Capitolo 3: *** Pensieri scomodi per notti insonni ***
Capitolo 4: *** Tu sei responsabile della tua rosa ***
Capitolo 5: *** Il prigioniero ***
Capitolo 6: *** Soluzioni che portano problemi ***
Capitolo 7: *** Problemi che portano soluzioni ***
Capitolo 8: *** Prima dell'alba ***
Capitolo 9: *** C'è sempre una luce in fondo al tunnel ***
Capitolo 10: *** Una chiave ***



Capitolo 1
*** La gabbia ***


1

 
 
 
“We’ve all been changed from what we were
Our broken hearts left smashed on the floor
I can’t believe you if I can’t hear you
I can’t believe you if I can’t hear you
 
[Smokers Outside The Hospital Doors – Editors]
 
 
 
          La luce in camera di Peter è ancora accesa.

La porta è insolitamente accostata, ma May si rincuora nel poter almeno intravedere suo nipote dallo spiraglio mentre attraversa il corridoio. Se ne sta sdraiato sul suo letto, con solo la massa di capelli arruffati a far capolino dal bozzolo di coperte. Il suo sguardo è puntato sul muro: May non ha bisogno di guardarlo in faccia per sapere che i suoi occhi sono ancora fissi e spalancati nel vuoto.
Sa bene che entrare sarebbe inutile, così supera la porta e si fa strada in salotto, dove Tony si è già servito una tazza di caffè. Sta giusto per fargli notare il poco buonsenso di assumere caffeina alle due di notte, ma ci ripensa. Dopotutto, se Peter è sveglio perché loro dovrebbero dormire?

Recupera anche lei una tazza dal lavello e lo raggiunge in silenzio, sorseggiando la bevanda tiepida. L’uomo rivolge lo sguardo a lei, poi alla porta di Peter, poi lo lascia sprofondare nel suo caffè come gli stesse nascondendo un qualche segreto di vitale importanza. Ha un’aria disorientata, come se si sentisse fuori posto, e strattona costantemente il braccio sinistro fasciato e bloccato dal tutore, al punto che non ci sarebbe da stupirsi se domani si sveglierà col torcicollo. Delle ombre violacee gli cerchiano gli occhi, e il suo volto è ancora costellato di graffi ed escoriazioni, alcuni quasi svaniti, altri che faticano invece a rimarginarsi. May ha preso nota di come zoppichi pesantemente dal lato sinistro, ma quando gli ha chiesto il perché lui ha svicolato in scioltezza la domanda, offrendo in risposta solo uno spavaldo "sono fresco come una rosa, zietta, non preoccuparti" .

Non è comunque così acciaccato come si sarebbe aspettata, considerando che è sopravvissuto alla fine del mondo. Anche suo nipote è pressoché illeso, almeno fisicamente.
Quello che preoccupa entrambi a morte è il suo stato mentale: Peter non ha ancora pronunciato una singola parola da quando è tornato tra loro, ed è chiuso da due giorni in un profondo mutismo. Non potrebbe immaginare nulla di più terrificante, a parte perderlo – e sa di cosa sta parlando.
"Shock", aveva azzardato Tony quando, anche dopo averlo riconsegnato nelle sue braccia, Peter aveva continuato a non aprir bocca. May è incline a credergli.
Quanti diciassettenni muoiono per poi tornare in vita? Le viene da rabbrividire al solo pensiero: morto. Suo nipote era morto. Quella nozione essenziale continua a bussare alla sua porta di tanto in tanto e finirà per farla uscire fuori di testa, prima o poi.

«May?» la voce preoccupata di Tony frena quel treno di pensieri e le ricorda che Peter è qui: gliel’ha riportato lui, esattamente come aveva promesso.

E adesso Peter è nella sua stanza. Vivo. Silenzioso. E insonne.
All’inizio aveva pensato che quei sintomi fossero normali: non poteva neanche immaginare cosa potesse aver visto "dall’altra parte". Notando quanto sembrasse provato e comunque molto poco incline a dormire, May aveva deciso di rispolverare un rituale del sabato sera ormai in disuso da anni, facendogli passare la notte del suo ritorno accoccolato a lei sul divano, guardando qualche cartone animato demenziale che adorava da bambino con quantità industriali di dolciumi – Peter non li aveva neanche guardati, né i cartoni, né i dolciumi, ed era semplicemente sprofondato nei cuscini senza più muoversi. May aveva provato a non dare peso a quell’assenza di reazioni e gli aveva parlato incessantemente dicendo tutto ciò che le passava per la testa, con la sola speranza che prima o poi le rispondesse o si addormentasse, ma aveva finito per subire lei stessa l’effetto soporifero delle proprie parole. E quando si era svegliata il mattino seguente con la tv che chiacchierava in sottofondo, Peter stava ancora fissando il vuoto con occhi vitrei, immobile e silenzioso quanto prima.

Solo allora aveva cominciato a farsi prendere dal panico. Era letteralmente sopravvissuto all’inferno, aveva sopportato più di ciò che chiunque, figurarsi un ragazzino, dovrebbe sopportare in una vita intera. Doveva dormire, ma si era silenziosamente rifiutato di chiudere gli occhi, anche quando l’aveva implorato con le lacrime che minacciavano di traboccare dai suoi. Sembrava intrappolato in una teca di vetro che impediva a qualunque suono di raggiungerlo o trapelare da lui.
Si è arresa oggi, il secondo giorno, all’una di notte e sull’orlo di una crisi isterica. Ha chiamato Tony pregandolo di venire lì di persona – lui è un genio, sa cos’è successo su quel pianeta dimenticato da Dio su cui hanno combattuto, può essere d’aiuto, deve esserlo.

Ci ha messo meno di venti minuti a precipitarsi dal Complesso al Queens ed è letteralmente saltato fuori dalla sua armatura attraverso la finestra, atterrando in salotto senza fiato, a piedi nudi e ancora in pigiama, coi capelli sfatti e chiaramente preoccupato a morte. May si sente vagamente in colpa per averlo buttato giù dal letto nel cuore della notte: anche lui ha urgente bisogno di dormire, soprattutto considerando che è in convalescenza e che ha già avuto più di una giornata da incubo, con il serraglio di conferenze stampa e riunioni politiche che si è trovato a fronteggiare nelle vesti di portavoce dei Vendicatori. Dubita che abbia avuto occasione di riposarsi. E può soltanto immaginare quanto desideri stare vicino a Pepper dopo averla quasi persa per sempre. Ma immagina anche che, a dispetto di tutto, ha fatto bene a dirgli di Peter. In caso contrario, Tony l’avrebbe prima biasimata per averglielo nascosto, per poi biasimare ancor di più se stesso per non essere stato lì al momento del bisogno.

Quindi adesso se ne stanno lì in cucina, entrambi in pigiama, sorseggiando caffè come se potessero davvero rischiare di addormentarsi, a spremersi le meningi in cerca di una soluzione per far sì che quel loro ragazzino riesca finalmente a chiudere occhio.

«May, tutto bene?» la voce di Tony risuona di nuovo, più bassa del solito, forse nell’inconscia, speranzosa preoccupazione di poter svegliare Peter.

May vorrebbe condividere quell’ottimismo, ma non crede di avere abbastanza energie per illudersi che stia dormendo.

«Quanto tempo è passato?» chiede invece, comunque altrettanto piano.

Conosce già la risposta, ma in effetti la domanda non mira ad ottenerle quella, ed è sicura che Tony sia più che in grado di leggere tra le righe. Lui scrolla le spalle e prende un sorso dalla sua tazza.

«Trentasei ore.» Scrolla di nuovo le spalle. «Personalmente, ho fatto di peggio. È ancora nella zona verde, fidati,» conclude a fugare il suo dubbio inespresso, e non aggiunge altro, come se ciò bastasse a spiegare tutto.

Non basta, e May continua a fissarlo interrogativa, aspettando un continuo. Tony sbuffa piano, come se si ritrovasse in una posizione imprevista e dalla quale vorrebbe districarsi al più presto col minor danno possibile.

«Okay, spesso sono–… uh, soffro d’insonnia,» inizia con leggerezza, prendendo la cosa alla larga. «E di solito inizio a dare i numeri dopo, diciamo, settantadue ore? Forse di più,» conclude, alzando un sopracciglio. «E non ho un super-siero nelle vene, né genoma di ragno o roba simile. I suoi aiutini aracnoidi dovrebbero tenere a bada lo stress e l’insonnia ed evitare ripercussioni, almeno fisicamente. Come dicevo: zona verde,» spiega, con calma apparente.

In realtà sembra che, oltre a lei, stia anche cercando di rassicurare se stesso, ma May coglie l’effettiva logicità di quelle parole. Annuisce appena, ma comprime le labbra. Tony sfugge il suo sguardo e posa la tazza sulla credenza; poi si afferra la spalla sinistra con la mano libera dal tutore e china leggermente la testa, in una posizione insolita e meditabonda che ha assunto spesso nel corso delle ultime due ore. 

«È più forte di quel che pensiamo; ho capito ciò che intendi,» dice dopo un po’ May, con un sospiro. «Ma non posso semplicemente smettere di preoccuparmi se non–…» s’interrompe, con una traccia di paura nella voce.

«Cos’è che ti preoccupa di più, esattamente?» chiede subito Tony. «Il fatto che non dorma o che non parli?»

La domanda è improvvisa, stonata, e indirizza chiaramente la discussione verso il vero problema. Ovvero, che quella non è una semplice questione d’insonnia, o di stress. Ci sono forze più grandi in gioco – dèi e Titani e magia – ma nessuno dei due sembra volerle nominare ad alta voce.

«Secondo te?»

May gli scocca un’occhiata inquisitoria, mentre un’ombra di sospetto emerge inevitabilmente sul suo volto. Tony tentenna. È raro che abbia difficoltà a trovare le parole giuste, e ciò non è affatto un buon segno.

«Cos’è che dovrebbe preoccuparmi di più, secondo te?» lo incalza ancora, cercando di non risultare sgarbata, ma assumendo comunque un tono severo.

«Entrambe le cose, in realtà, e parecchio,» risponde infine lui, con un sospiro reticente, e May sente il cuore scivolarle nello stomaco.

«Hai appena detto che l’insonnia non-…»

«L’ho detto, ma non mi riferisco a quello,» la interrompe, portando la mano alla nuca e sfregandosi distrattamente i capelli. «Quello che intendo è... insonnia? È normale, davvero. Non sono riuscito a dormire per mesi dopo l’Afghanistan e tutto il teatrino; Capitan Ghiacciolo non si è fatto un sonno completo da quando l’hanno scongelato e idem per il suo Tovarišč schizoide... a essere sinceri, tutta la nostra cricca di giustizieri mascherati non fa esattamente sogni d’oro,» parla senza sosta, chiaramente nervoso e snervandola a sua volta con quel suo dilungarsi. «Il punto è che alcune cose ti... ti segnano, e devi pagarne il prezzo.»

Alza finalmente lo sguardo dalla lucida superficie in marmo della cucina, che si è impegnato a fissare finora.

«Soprattutto di notte,» conclude, dopo una pausa pregna di significato.

«Non sei davvero arrivato al punto,» gli fa notare May, con un improvviso groppo in gola.

Tony inspira a fondo, come preparandosi a dire qualcosa di molto scomodo.

«Gli ho dato un’occhiata, e il suo caso non sembra rientrare nella categoria sopraelencata; non del tutto, almeno. C’è qualcosa di strano,» lo sguardo di Tony scatta di nuovo verso la porta di Peter. «Ho l’impressione che, qualunque cosa stia facendo, la stia facendo apposta,» spiega, gesticolando con la mano libera e corrugando le sopracciglia.

«Non stavamo parlando di insonnia e mutismo?» May scuote la testa, presa alla sprovvista.

«Sì, se non riesci a dormire o parlare,» sottolinea Tony, e non l’ha mai visto così controllato, ma la sua postura è troppo rigida per essere spontanea. «Ho... ho l’impressione che lui non voglia dormire, o parlare,» mormora con aperto sconcerto, come se non riesca a credere che qualcosa stia sfuggendo al suo acume.

Sembra quasi spaventato. Ha combattuto alieni, e mutanti, e macchine killer, ed esseri decisi a distruggere il loro mondo, eppure sembra più spaventato che mai, come se fosse sul punto di avere un crollo emotivo da un momento all’altro. Forse è a questo punto che dovrebbe crollare anche lei. Rimane in silenzio. Che diavolo sta succedendo a Peter? E perché lei e Tony non sono ancora in grado fare qualcosa? Sente le proprie dita tremare mentre si artigliano alla stoffa della maglietta, affondando nelle braccia. Non si è mai sentita così impotente.
Tony struscia appena i piedi nudi sulle piastrelle della cucina, come se stesse trattenendo l’urgenza di iniziare a camminare avanti e indietro per il piccolo appartamento.

«Lo so che quello che dico sembra assurdo, ma giuro che c’è una differenza,» dice sottovoce dopo un po’, quasi sulla difensiva.

Fa per aggiungere qualcosa, ma May solleva una mano e si interrompe all’istante.

«Ci sei passato? Intendo il non voler dormire o parlare,» gli chiede a bruciapelo, e lui distoglie subito lo sguardo.

«Una volta. Più o meno,» risponde evasivo. «Non in modo così, diciamo, intenso.» Fa una pausa, e il suo cipiglio s’indurisce, come se avesse appena realizzato qualcosa. «Anche allora c’entrava una delle Gemme dell’Infinito. Forse è una sorta di effetto collaterale...» mormora tra sé, mentre si tira pensoso il pizzetto.

«E sei riuscito a risolvere il problema?» May lo guarda con aspettativa.

Lui tira le labbra come se stesse ponderando la propria risposta e, forse, se mentire o meno.

«Gestire lo stress non è il mio forte,» è tutto ciò che dice infine, con un sorrisetto non molto convincente e quasi di scuse.

«Ovvero?»

«Ovvero, ho reagito male e ho fatto un casino,» sbotta, per poi ammutolire quando May trattiene un sussulto.

Le scocca un’occhiata dispiaciuta, e lei sa che non sta cercando di insinuare nulla riguardo a Peter. Ha imparato a conoscere Tony un po’ meglio, negli ultimi due anni, ed è cosciente che non sempre riesce ad esprimere ciò che pensa nel migliore dei modi. La maggior parte delle volte, lo esprime nel modo più sbagliato. Lo osserva passarsi una mano sul volto, come a cancellare quelle sue ultime parole.

«Come dicevo, gestire queste cose non è nel mio DNA. Quindi ho cercato... beh, in realtà altre persone che tengono a me hanno cercato un supporto, visto che io non volevo,» dice, parlando con cautela, e May intuisce dove stia andando a parare la discussione.

«Stai suggerendo di rivolgerci a uno psicologo per Peter?»

Tony arriccia appena le labbra e si limita ad annuire impercettibilmente. Sembra essere a disagio per quella confessione, molto più di quanto dovrebbe.

«È la soluzione migliore, se le cose non migliorano in fretta. E con "in fretta" intendo un paio di giorni, tre al massimo,» conclude, spostando il peso da un piede all’altro come fosse sulle spine. «Anche se proverei comunque a–... cioè, se noi- intendo tu e io, se vuoi che io, insomma...» gesticola quasi frenetico tra loro due e la stanza di Peter, sollevando le sopracciglia con fare interrogativo, come se avesse realizzato in quel momento di doverle chiedere il permesso per far loro visita o essere coinvolto in primis.

May gli rivolge un sorriso sottile.

«Sono contenta che ci sia tu ad aiutarci,» dice con semplicità.

Tony si rilassa visibilmente e ricambia a sua volta con un sorriso incerto ma grato.

«E credo anch’io che dovremmo cercare di parlare con lui, prima di farlo parlare con un professionista,» concorda poi May, pensando che è bello avere un piano e un piano di riserva. «Se è come dici tu, ed è un meccanismo di autodifesa, forse riusciremo a convincerlo che non ne ha bisogno,» aggiunge con più fermezza.

Tony abbandona il supporto della credenza e si raddrizza, più saldo sulle gambe e con uno sguardo sicuro di sé.

«Okay, allora è deciso. Prima lo facciamo parlare e poi lo facciamo dormire. O il contrario. E se non riusciamo a fare entrambi, lo portiamo da qualcuno che può farlo,» riassume, tagliando l’aria col palmo in un gesto deciso.

Sembra essersi rianimato e May suppone che anche lui sia quel tipo di persona che si sente allo sbando senza un piano, per quanto vago e lacunoso.

«Direi di sì,» concorda May.

Si toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi, lasciando uscire un sospiro profondo e un po’ tremante. Peter è qui, Tony è al suo fianco, e hanno un piano. La situazione è migliorata – dopo la fine del mondo può solo migliorare.

«Ah, senti... solo Pepper e Rhodey sanno dello strizzacervelli, e preferirei che rimanesse così, se non ti dispiace,» aggiunge Tony, tormentandosi intentamente l’orlo della maglietta.

«Spettegolare della tua salute mentale non è tra le mie priorità, al momento. Né lo sarà mai,» gli assicura, cristallina.

«Oh, grazie mille,» risponde lui, sollevando scherzosamente la tazza vuota in un brindisi, ma il suo sorriso è sincero. «Bene. E adesso?» chiede subito dopo, e May nota come i suoi occhi oscillino per un istante dalla porta di Peter alla finestra con fare quasi colpevole.

«Adesso lo lasciamo in pace. Forse ha solo bisogno di un po’ di tempo,» risponde May, sforzandosi di suonare convincente sia alle orecchie di Tony che alle proprie.

Poi inarca un sopracciglio, si appunta di nuovo gli occhiali sul naso e pianta i pugni sui fianchi, fissandolo con decisione.

«E adesso direi che è ora di tornare dalla tua innamorata, giovanotto,» annuncia, con tono di giocoso rimprovero.

Tony si lascia scappare un mezzo sbuffo divertito e scuote la testa, cedendo il punto.

«Ottimo consiglio. Peccato che non do mai retta a nessuno,» aggiunge, sfoggiando il suo tipico sorriso da malandrino, ma i suoi occhi rimangono opachi.

La situazione con Pepper dev’essere più difficile di quanto avesse pensato. Una ragione in più per rispedirlo a casa all’istante.

«Anche lei ha bisogno di te,» gli ricorda, gentilmente, e lui si limita ad annuire.

«Lo so. Ma è più forte di quanto sembri e sicuramente più forte di me,» afferma, con un brillio d’orgoglio negli occhi.

A quelle parole, un pensiero improvviso la fa adombrare e affila lo sguardo, scrutandolo severa.

«Le hai detto che sei qui, vero?»

Non si stupirebbe di scoprire che sia semplicemente decollato in fretta e furia con l’armatura addosso senza fornire alcuna spiegazione, lasciandola a chiedersi quale pericolo incomba su di lui e se tornerà mai indietro, stavolta. Tony emette un verso scocciato, agitando con noncuranza una mano.

«Tranquilla, zietta, lo sa e non credo stia organizzando una missione di recupero. Per ora. Devo solo tenerla aggiornata e farle sapere che stavolta non mi hanno rapito gli alieni o-…»

«Diglielo, allora. Di persona,» lo tronca lei, nel tono più intimidatorio che riesce a formulare a quell’ora indegna del mattino.

È comunque abbastanza, a giudicare dal lampo di genuino terrore che attraversa il volto di Tony.

«Sissignora,» acconsente, portandosi due dita alla fronte e mettendosi blandamente sull’attenti.

«E adesso, marsc’. Da qui in poi ci penso io,» afferma irremovibile, guidandolo fuori dalla cucina con una mano sulla sua schiena a prevenire qualsiasi tentativo di fuga.

Lui la asseconda docilmente, per poi avvicinarsi alla finestra zoppicando in modo inequivocabile e cercando allo stesso tempo di non darlo a vedere. La sua armatura scende prontamente dal tetto, atterrando con impensabile leggerezza sulla scala antincendio, e Tony esita con una mano sul davanzale lanciandole un’occhiata incerta.

«Chiamami se ti serve qualcosa e tienimi aggiornato, okay?» Subito dopo si gira del tutto verso di lei, con un’espressione a metà tra l’implorante e il corrucciato. «E cerca di dormire un po’. Dovrai essere in forma, non appena il ragnetto tornerà a zampettare qua e là,» si raccomanda, indicando la porta di Peter a mo’ di spiegazione, per poi slacciarsi il tutore dal collo per entrare nell’armatura.

«Ci provo, e provaci anche tu. Grazie,» aggiunge poi, sentitamente.

Lui si limita a farle un occhiolino in risposta.

«Allora, buonanotte,» le augura, portandosi fuori dalla finestra e dentro l’armatura. «O meglio, quel che ne rimane,» sbuffa appena, la voce già distorta dal casco, e anche col volto nascosto dalla maschera metallica May riesce a visualizzare il suo sorrisetto ironico.

Fa un ultimo cenno di saluto con la mano guantata per poi decollare con un ruggito di propulsori, tracciando una scia dorata nel cielo notturno e scomparendo ben presto alla vista. May gira le spalle alla finestra, rivolgendosi verso la porta di Peter in corridoio. Si lascia sfuggire un sospiro ripensando alle parole di Tony.

Sanno entrambi che nessuno di loro riuscirà a dormire, stanotte.
 



Note Dell’Autrice (e disclaimer):

Salve :) 
Non contenta dei miei mille progetti in corso, parto in quarta con un altro... anche se in modo un po’ particolare.

Mi spiego: ho scritto questa storia originariamente in inglese, pubblicandola su AO3. Più che una traduzione, questa su EFP è per certi versi è un riadattamento, innanzitutto perché ho modificato molte delle sezioni a volte scritte frettolosamente, o comunque in un modo che non mi soddisfaceva appieno. Ne ho poi aggiunte altre e ho diviso diversamente i capitoli (quella in inglese seguiva infatti il prompt "5+1 Things" ed era composta da sei capitoli totali, schema che qui ho deciso di abbandonare per la lunghezza eccessiva degli ultimi).
Disclaimer: ho letto il regolamento per le traduzioni, che prevederebbe la creazione di un account a parte per tradurre storie di autori stranieri, ovviamente col loro esplicito permesso, ma essendo qui autrice sia dell’originale in inglese, sia della traduzione, ho ritenuto opportuno non farlo – nelle note dei capitoli di AO3 rimanderò comunque a questa traduzione, a mo’ di permesso dato a me stessa per evitare dubbi sulla "paternità" della storia.

Riguardo alla storia in sé: ogni punto che potrebbe sembrare ambiguo o contraddittorio di questo primo capitolo verrà chiarito successivamente, incluso il discors sulle Gemme. Si parte dal presupposto che i Vendicatori abbiano sconfitto Thanos e riportato l’universo alla normalità, in un modo che verrà solo accennato successivamente, sia per non addentrarmi in teorie azzardate, sia perché non rappresenta il focus della storia.

Ringrazio tantissimo la mia cara _Atlas_, che ha fatto da beta per la traduzione italiana sorbendosi non pochi rimpalli di stesure e dubbi su sequenze che non mi filavano in italiano, oltre a subirsi le mie crisi per il titolo :’D Grazie, senza di te questa storia non avrebbe probabilmente mai visto la luce su EFP <3

E grazie anche a chiunque abbia letto fin qui <3 Gli aggiornamenti saranno regolari, ogni sabato/domenica pomeriggio. Se invece siete impazienti, potete trovare la storia originale completa qui-> 5 Times Peter and Tony can’t sleep, and 1 time they can. Tenete conto che in alcuni punti si discosta dalla traduzione, soprattutto negli ultimi due capitoli (che modificherò forse in seguito sulla versione inglese).
Spero di essere riuscita a incuriosirvi :)
A sabato prossimo,

-Light-

P.S. Giuro che le prossime note saranno più concise, ma qui c’era molto da spiegare ;)
 
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l’autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all’originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

©Marvel

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Capitolo 2
*** Ogni eroe ha la sua storia ***


2
Ogni eroe ha la sua storia
 
 
 
“Reach, it’s not as bad as it seems
I cleanse in the river for somebody else
For anyone but myself
Hold my place
Don't you give up on me
Hold on, hold on”
 
[The River – Imagine Dragons]
 
 
 
          Non appena Tony vede il ragazzino in piedi davanti a lui, il suo cervello smette semplicemente di funzionare, investito da un’ondata di puro sollievo.
Sollievo, e un dolore lancinante che gli attraversa la spina dorsale, frantumandogli la vista, spezzandogli le corde vocali; il braccio sinistro fa male, pulsa come lava, sembra andare a fuoco e le fiamme si propagano rapide avvolgendo il suo intero corpo in un turbine incandescente che lo consuma. Grida e pensa che potrebbe morire qui ed ora e non gli importerebbe, e allo stesso tempo pensa di non voler ancora morire. Sarebbe l’ennesimo scherzo beffardo del destino, dover lasciare questo mondo proprio adesso che le persone che ama vi sono tornate, senza poter strappare qualche minuto in più dalle grinfie della morte per poterle rivedere.

La realizzazione lo colpisce senza preavviso, rintronandolo: il ragazzino, Peter, è . Scosso, in evidente shock e a occhi sbarrati, ma è di fronte a lui. La sua parte più ingenua si aspetta di vederlo saltare qua e là preso dall’entusiasmo, di sentire un allegro e squillante “Signor Stark!” e, forse, di ricevere un rapido abbraccio prima di trovarsi costretto ad ascoltarlo mentre parla a raffica di tutto ciò che è successo.
Invece Peter se ne sta immobile, in piedi, con le braccia strette attorno al corpo come se temesse di sentirlo sfaldarsi di nuovo al primo passo. Lo fissa stralunato, in un silenzio che alle sue orecchie risuona come una richiesta d’aiuto.

Tony non riesce a muoversi. Vorrebbe solo alzarsi e andargli incontro, ma le sue ginocchia spingono e affondano inutilmente nella sabbia rosso sangue di Titano, spostando i resti semifusi e contorti del guanto dorato ormai irriconoscibile, e il dolore gli pugnala le ferite ad ogni contrazione, facendogli girare la testa. Stringe la mano e sobbalza nel sentirla umida, viscosa e in fiamme come se avesse tentato di afferrare un carbone ardente; abbassa lo sguardo e la vede rossa, nera, ustionata e scarnificata da dargli il voltastomaco. La nasconde sotto la sabbia, che sfrega come carta vetrata sulle ferite, e distoglie lo sguardo velato appuntandolo di nuovo sul ragazzo.

Riesce a malapena a sollevare il braccio sano nella sua direzione, quasi in una supplica, e Peter barcolla subito in avanti come se non avesse aspettato altro che quel segnale.
Crolla in ginocchio accanto a lui e collassa di peso tra le sue braccia, inerte. Il corpo di Tony si inclina, oscilla per un momento tra il dolore accecante e la felicità più profonda e le sue terminazioni nervose non riescono a decidere quale sensazione debba prevalere. I due segnali si sovrappongono e si annullano, lasciandolo sospeso in un limbo insensibile, beatamente stordito e scosso da brividi di sollievo.

Peter si aggrappa alla sua armatura semidistrutta con tutte le proprie forze, esattamente come ha fatto non troppo tempo fa, e Tony ricaccia indietro l’angosciante sensazione delle ceneri che si sgretolano sotto le sue dita. Ma stavolta l’abbraccio rimane saldo e il Peter è lì, è reale. E sta piangendo così piano che se ne accorge solo quando fa scivolare la mano a cingergli la nuca, sfiorandogli inavvertitamente la guancia umida.
Ha l’impressione che il mondo stesso ricominci a sgretolarsi. Peter è fatto di risate, battute leggere, di pura gioia e spensieratezza. Il suo pianto è opprimente, profondamente sbagliato, e gli sferra una stoccata nel petto ad ogni singhiozzo smorzato. È qualcosa che dovrebbe essere vietato da una qualche legge universale e vorrebbe solo smettere di sentirselo risuonare addosso, nel cuore e nelle ossa attraverso il guscio fragile dell’armatura, ma sa che ne ha bisogno. Ha bisogno di piangere, di lasciar scorrere via tutti quei ricordi prima che si annidino nel suo animo facendolo avvizzire. Ha bisogno di quella liberazione, di lasciarsi proteggere e di rivendicare il diritto di essere solo un ragazzino e non un supereroe.

«Va tutto bene, Pete. Sei qui. Sei qui,» continua a mormorargli, sperando di suonare rassicurante anche se non percepisce quasi la propria voce roca, distrutta dalle urla e dal fumo, e i singhiozzi di Peter si fanno sempre più fievoli, lasciando man mano il posto a lacrime quiete e respiri spezzati. «Va tutto bene, ti riporto a casa. Andiamo a casa,» ripete in una nenia, e la sua voce si incrina del tutto quando realizza che anche Pepper è di nuovo lì, a casa, e lo sta aspettando con un anello al dito.

Chiude placidamente gli occhi e le lacrime che hanno continuato a farglieli bruciare per mesi superano infine la barriera delle sue palpebre. Non tenta di fermarle, le lascia scorrere e basta. Non sa neanche cosa siano: se dolore, o sollievo, o gioia, o spossatezza. Ma Peter è tornato, Pepper è tornata, hanno salvato il mondo; Thanos è morto e hanno vinto. È finita, anche grazie a lui. Oggi può concedersi di piangere e smettere di essere Iron Man: per quel singolo minuto può togliersi la sua maschera di ferro ed essere semplicemente Tony.
Si lascia andare e rimane lì, vincitore e in ginocchio sul campo di battaglia, sorreggendo quel ragazzino in lacrime che è appena tornato in vita.

 
§
 

La stanza di Peter è decisamente sovraffollata, rispetto all’ultima volta che ci è entrato. Cumuli di cianfrusaglie tecnologiche sono sparse in ogni dove, tra modellini di astronavi, manuali scientifici e ogni sorta di gingillo nerd. Un computer ultimo modello troneggia sulla scrivania, tra uno completamente smontato e un antiquato Commodore recuperato chissà dove. Sul muro è attaccato un vecchio poster della Star Expo 2010 ormai scolorito, e Tony non può evitare di sorridere appena al ricordo del loro primo, inconsapevole incontro.
Il sorriso si affievolisce non appena i suoi occhi si posano sul ragazzino, sdraiato sul fianco con le coperte tirate fino alle orecchie a farsi scudo dal mondo intero. Non dà segno di essersi accorto della sua presenza e rimane immobile, se non per il respiro leggero. Tony sa che probabilmente si è reso conto di lui nel momento stesso in cui ha varcato la porta dell’appartamento: ha il netto presentimento che quel suo cosiddetto "senso di ragno" sia ancora attivo e funzionante.

Il fatto che Peter lo stia ignorando volontariamente rende tutto più difficile da sopportare – non è abituato ad essere ignorato e, soprattutto, sente un principio di malessere nel rendersi conto che riesce a capire perché lo stia facendo. E allo stesso tempo non ci riesce, perché dopotutto lui non è mai morto. Ci è andato vicino e ha pensato di esserlo più volte, ma non ha mai oltrepassato quella soglia. Riesce comunque a capire il bisogno di isolarsi da tutto e tutti, e sa anche che è esattamente ciò che non dovrebbe fare.

Aggira con circospezione il letto finché non scorge il volto di Peter. È sveglio, ovviamente, e i suoi occhi scuri e un tempo vivaci sono vacui, fissi su un punto in lontananza. Si avvicina a lui come farebbe con un animale ferito e spaventato, e in fin dei conti quell’immagine non si discosta poi molto dalla realtà. Sente una stretta al cuore, violenta e inaspettata. Non riesce a identificare il perché di quel comportamento, almeno non con assoluta certezza. Ricorda chiaramente il proprio stato confusionale dopo essere entrato in contatto con lo Scettro e la Gemma della Mente in Sokovia: l’insonnia, il panico, il percepire ogni sua paura e paranoia amplificata, spingendolo ad azioni sconsiderate e a tacere i suoi pensieri con tutti, persino con Pepper. La Gemma si era radicata in lui, traendo nutrimento dalle sue paure, dai suoi difetti, dai suoi segreti, velandogli lo sguardo con una visione terrificante che a volte continua ancora a spalancare il proprio occhio nei suoi incubi.

Peter però non ha così tanti lati oscuri – probabilmente non ne ha neanche uno – né qualcosa da nascondere. Su quello non potrebbe giurarci, però; gli è già capitato di fidarsi delle persone sbagliate, e il solo pensiero di potersi sbagliare su Peter gli dà la nausea, pur conscio della sua irrazionalità. Sospira scoraggiato. Vorrebbe aver inventato un qualche congegno in grado di leggere nella mente altrui: gli basterebbe dare un’occhiata in quella di Peter per sapere cosa fare, per carpire il nòcciolo del problema. Ma niente è mai così facile, ormai l’ha imparato a sue spese.

Si riscuote dai suoi pensieri e spegne la luce centrale, accendendo quella più soffusa sul comodino, poi si siede cautamente sul letto, ancora senza parlare. Fa una smorfia quando percepisce i punti di sutura sul fianco che si tendono fastidiosamente. Abbassa lo sguardo sulle sue mani, con la sinistra ancora strettamente fasciata che sbuca dal tutore e, di nuovo, il pensiero fuggevole ma ricorrente di quanto sia stato fortunato ad essersela cavarsela con così poco gli attraversa la testa. Scaccia dalla propria testa il paesaggio aspro e sanguigno di Titano, impedendosi di soffermarvisi e spostando invece gli occhi sul ragazzino.

Spera di cogliere una qualunque reazione da parte sua, ma è come se fossero entrambi nella stessa stanza, solo su piani astrali differenti. Non sa se ciò possa avere senso, ma non accantona del tutto l’idea e si appunta mentalmente di chiedere delucidazioni al riguardo al Dottor Portal, giusto per sicurezza. Sa che probabilmente si sta illudendo, ma sono passate più di quarantott’ore, contando dal momento in cui è tornato tra loro: Peter sta rasentando il suo limite fisico.

E come se non bastasse, non ha ancora parlato. Neanche mezza parola.
May ha provato in ogni modo possibile, persino con pizzicotti e solletico, ma non un singolo suono ha lasciato la bocca sigillata di Peter. Ormai è a corto di idee, stanca ed esaurita, e Tony è contento che abbia accettato la sua offerta di vegliare su Peter per stanotte mentre lei ricarica le batterie. In realtà si sente vagamente in colpa per aver lasciato Pepper a dormire da sola al Complesso, ma lei stessa ha insistito perché andasse senza preoccuparsi per lei. Tony sa che è al sicuro e protetta dagli eroi più potenti della Terra, se mai dovesse accadere qualcosa, ma ha comunque subìto la stessa, terrificante esperienza di Peter, e lui deve pur assicurarsi che stia metabolizzando il tutto nel giusto modo. E sa da sé che, detto da un paranoico che soffre ancora sporadicamente di attacchi di panico, suona abbastanza ipocrita.

Si ritrova a sospirare, di nuovo, in un moto spossato. In quel momento dovrebbero festeggiare e brindare alla vittoria. Dovrebbe presentare Peter alla squadra, sanare vecchie ferite con Rogers e Barnes, discutere di location e ricevimenti con Pepper, organizzare una delle sue feste clamorose per spazzar via tutti quei ricordi tremendi…
Un pensiero infantile si affaccia nella sua testa, non richiesto: perché non può aggiustarsi tutto come si deve, per una volta? Invece si trova come sempre a doverlo aggiustare lui, da solo.

Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.

«Ehi, ragazzino,» lo chiama a bassa voce e, come previsto, non ottiene alcuna reazione.

Ma non importa, e continua a parlare.

«Ti spiace se mi siedo qui? In effetti, l’ho già fatto, ma mi sembrava carino chiedere, visto che in teoria è la tua stanza,» tira lievemente su col naso, come sempre quando è nervoso, e si sforza di mantenere un tono leggero mentre si agita appena sul bordo del letto.

Nessuna reazione.

«May ha finito il turno, per oggi, nel caso te lo stessi chiedendo.»

Mentre parla lo osserva in cerca di un qualunque segno che lo stia ascoltando. Non lo trova.

«Quindi la sto coprendo io. In pratica sei bloccato per quasi cinque ore di fila con uno stronzo egocentrico che farà l’elogio di se stesso, quindi forse ti conviene farti un pisolino nel frattempo,» dice con nonchalance.

Vale la pena tentare, no?

«In alternativa, puoi sempre dirmi di chiudere il becco. Non è molto efficace, però, di solito parlo solo di più,» conclude, rivolgendogli un sogghigno appena accennato che s’impegna a non far traballare.

Non ci riesce, e si sfalda dopo pochi istanti.
Ha appena cominciato e già si sente sconfitto. E magari questa non è una missione, ma un test ideato appositamente per lui. Un test per verificare che è in grado di prendersi cura delle persone a cui tiene anche quando non è nella sua corazza. Un test che non può permettersi di fallire, che non può superare con l’intelligenza o il sarcasmo o la forza. Si tratta piuttosto del suo cuore, della sua umanità: fallire significherebbe che ha perso entrambi da qualche parte, lungo la strada che ha intrapreso per arrivare fin là. E ha bisogno di entrambi, per proteggere chi ama.
Se fallisce, è in un vicolo cieco, o meglio, in un circolo vizioso in cui rischia di tornare ad essere solo, odiando se stesso e ciò che non ha o che ha perso.
Non può fallire, non questa volta.

Posa delicatamente la sua mano illesa sulla spalla di Peter, inclinandosi appena verso di lui.

«Pete?» 

Ci riprova, anche se May ci ha provato per due giorni senza successo. Sente cedere qualcosa dentro di sé, perché non vuole fallire, non vuole perderlo di nuovo, e non vuole pensare a Pepper da sola, sveglia, preoccupata e in sua attesa, e a May nella stanza accanto che non sta davvero dormendo, e alle ore insonni e inutili che si stanno accumulando sulle spalle di tutti loro. Inspira profondamente e sente il cuore vacillare assieme al suo respiro.

«Pete, senti non-- non importa se non vuoi parlare, ok? Dovresti solo dormire un po’, se puoi. Sei al sicuro, adesso, e ci sono io qui a farti da soldato di latta personale,» dice, senza più cercare di nascondere l’urgenza nella sua voce. «E quello che ti ho detto prima… che non sarei stato zitto per ore? Non stavo scherzando. Quindi, finché ascolterai, io continuerò a parlare,» prosegue, costruendo sul momento quel discorso assolutamente non preventivato. «Potrei non seguire sempre il copione, quindi faresti meglio ad aprire le orecchie se non vuoi perderti qualche puntata inedita su di me per rovinare ancor di più la mia reputazione.»

Gli stringe leggermente la spalla e gli rivolge un debole sorriso che non raggiunge gli occhi.

«Non sto scherzando, davvero. Sarà la storia della buonanotte più lunga della tua vita.»

Ecco, l’ha detto, come un idiota. Storia della buonanotte. Suona come una parola tabù, alle sue orecchie. Le storie della buonanotte sono un qualcosa riservato ai genitori per i loro figli – e un qualcosa che lui non ha mai avuto il lusso di poter ascoltare, né si è mai immaginato di poter raccontare nei secoli dei secoli.
Non si è mai pensato nelle vesti di padre, se non per un breve, fugace momento subito prima che eventi molto più grandi di lui decidessero di spazzar via quel ridicolo desiderio che gli era passato per la testa assieme a metà universo.
Il tempo di un sogno, confuso e annebbiato, di cui riusciva a rievocare solo un peso lieve tra le braccia e la stretta impercettibile di una mano minuscola attorno al suo indice. Non aveva memoria d’altro, ma si era trovato a riempire parte delle lacune con immagini che spesso si sovrapponevano involontariamente al volto di un Peter più giovane, bambino, alle sue parole, a momenti già vissuti con lui, magari senza la pantomima del “signor Stark” e “signore” – che in effetti ormai è diventata più uno scherzo tra loro che una vera e propria formalità.

Non riesce a fissare nel tempo quando, esattamente, si è risolto ad essere migliore di suo padre nel tenere d’occhio il ragazzino. Non sa neanche quando e come Peter sia passato dall’essere solo un ragazzino ad essere il ragazzino. Si era semplicemente trovato a tener fede a quel tacito proposito, così come aveva tenuto fede a quello di diventare un uomo migliore quando era uscito dalla grotta, e a quello di proteggere chi amava quando aveva scelto di rimanere al fianco di Pepper.

“E storia della buonanotte sia,” si trova a pensare, determinato, con le parole che iniziano a scorrergli in testa una dopo l’altra nel giusto ordine, come se fossero sempre state pronte ad essere pronunciate.

«Sai, sono un disastro con le persone.»

Quasi gli viene da sbuffare: bel modo per iniziare una storia... ma non sarà certo una fiaba per bambini, quindi è anche meglio che non cominci come tale.

«Un vero disastro. Faccio sempre casino nei modi più stupidi…» si stuzzica il tutore con un’unghia, scrollando poi le spalle. «Ho preso da mio padre, che non era… diciamo solo che anche lui non era molto bravo, con le persone. Non era neanche molto bravo come padre, ma ha avuto i suoi momenti di gloria, anche se troppo tardi per valere qualcosa. Ma meglio di niente.»

Fa una pausa e comprime le labbra, cercando con lo sguardo il poster della Stark Expo, solo per distoglierlo subito.

«Quello che voglio dire, se davvero sto dicendo qualcosa… è che sto cercando di essere migliore di lui. Mi piace pensare che ci stia riuscendo, ma lo sai che non ho un’opinione obbiettiva di me stesso.»

Fa una pausa, gli occhi fissi sulla coperta blu notte che avvolge Peter, intenti a seguirne il fitto motivo di stelle, pianeti e galassie che la decora. Si accorge di trattenere il respiro, e si affretta a riprendere:

«Il punto è che non ho sempre cercato di essere migliore.»

Lancia un’occhiata a Peter, immobile e silenzioso quanto lo era quando è entrato nella stanza. Non sentirà una parola di ciò che sta per dire. Ma forse quello è un incentivo, e ormai la storia è iniziata, quindi tanto vale continuare. Parte dall’inizio, dal “prima”. Prima che loro si incontrassero, prima di New York e della Expo, prima ancora di Iron Man, prima della bomba col suo nome sopra. Gli racconta tutto; attraversa le risate, la tristezza, l’entusiasmo, il senso di colpa e i fallimenti – ce ne sono così tanti anche prima che ne accettasse l’intero peso sulle proprie spalle. Gli racconta quella storia che ha sempre tenuto per sé e non omette alcun dettaglio. Aveva comunque avuto intenzione di parlargli già da tempo; avrebbe solo voluto scegliere un momento più sereno, uno in cui Peter sarebbe stato in grado di porgli domande scomode a cui lui non si sarebbe sottratto.

Vuole fargli capire chi sia realmente colui a cui guarda con così tanta ammirazione. Peter deve sapere che né Tony Stark né Iron Man sono perfetti, e che sia il suo corpo che l’armatura portano i segni di ogni errore. E soprattutto, ha bisogno di sentirsi dire che c’è sempre una via d’uscita, per quanto dolorosa e ardua possa essere; che la paura esiste ed è umana, ma può essere sconfitta; che la solitudine è spesso un’impressione e non si è mai davvero soli; che la disperazione non deve mai oscurare del tutto la speranza, anche nella grotta più buia – anche in faccia alla morte.

La prima volta che è costretto a fermarsi – la morte di Yinsen gli appesantisce ancora il cuore dopo tutti quegli anni – gli occhi di Peter scattano per un istante nella sua direzione, così rapidamente che potrebbe averlo solo immaginato. Sta ascoltando, e quello sembra un invito a continuare. E lui lo fa, senza più esitare.
Due ore dopo, ha praticamente inserito il pilota automatico mentre lascia che la sua bocca dia voce a pensieri ai quali in vita sua non ha mai osato rivolgere più di un’occhiata. E nel farlo cerca sempre di puntare il dito verso la luce in fondo al tunnel, e cerca sempre di disperdere le nubi più scure e dense anche quando sembrano impenetrabili.

Da qualche parte tra Ultron e la Siberia, Peter allunga timidamente e a scatti la mano verso la sua, per poi stringerla con dita deboli. Tony la avvolge saldamente in risposta, cercando di continuare a parlare e ricacciando indietro l’emozione che gli ha ostruito la voce. Vorrebbe balzare in piedi e chiamare May, o sbracciarsi e gridare a squarciagola dalla finestra per annunciare quell’evento a tutto il Queens alle quattro di mattina, ma non lo fa nel timore di distruggere il traguardo appena raggiunto. Invece continua semplicemente a narrare la sua storia, che a quel punto include anche il ragazzino.
Peter non si muove più, e neanche chiude gli occhi. Mantiene solo quel flebile contatto, come se fosse l’unica àncora che ha in questo mondo. Tony inizia a pensare che potrebbe essere davvero così, e si limita a ad offrirgli quell’appiglio sperando che basti, che sia sufficiente a tirarlo fuori dal limbo in cui è scivolato, che le sue parole servano davvero a qualcosa.

L’alba li sorprende con Peter ancora in quieto ascolto e la voce di Tony che si affievolisce nel raggiungere la fine, per ora, lasciando entrambi esausti e ancora svegli.



 


Note Dell'Autrice:

Pensavate che stessi scherzando, con la storia degli aggiornamenti regolari, eh? Invece, per una volta, sarò sempre puntuale :')
Come già accennato, non entrerò nei dettagli di come sia stato sconfitto Thanos: mi rifaccio parzialmente ai fumetti, in cui Tony è il primo essere umano (inteso come non potenziato) a brandire il Guanto dell'Infinito completo, quindi in questa versione è stato lui a compiere il "contro-schiocco", mentre Steve e Carol si occupavano del Titano. Detto ciò, è più probabile che in Endgame sarà Capitan Marvel a indossare il Guanto. 
Ogni altro "punto oscuro", come la volontà/nolontà di Peter rispetto al dormire e parlare verrà esplicato a tempo debito.
Per il resto, vorrei sottolineare che in questo mio headcanon, Tony non è cosciente che la sua visione avuta in Age of Ultron sia stata causata da Wanda: per questo ricollega i disturbi di Peter con le Gemme e la paranoia che lo ha portato a creare Ultron.

Ringrazio ancora una volta la mia beta, _Atlas_, che oltre a sorbirsi i miei scleri recensisce pure, e T612 <3 per aver commentato lo scorso capitolo. Grazie anche a Ghillyam, Blacklife589635 e Aiko_Miura per aver aggiunto la storia alle seguite (e non siate timidi, adoro lo scambio costruttivo d'opinioni <3)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento a sabato prossimo!

-Light-

P.S. Vi lascio il link al capitolo originale-> Ain't no hero without a story to tell


 

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Capitolo 3
*** Pensieri scomodi per notti insonni ***


3
Pensieri scomodi per notti insonni
 
 
 
“Late at night when you can’t fall asleep
I’ll be lying right beside you counting sheep

You’re the fire and the flood
And I’ll always feel you in my blood”

 
[Fire And The Flood – Vance Joy]
 
 
 
          Tutto è esattamente come subito dopo New York: il mondo è salvo, i Vendicatori hanno vinto e Tony è insonne.

Con ogni vittoria, i cocci di ciò che si è rotto finiscono sempre per cadere sulle sue spalle, e lui non è mai in grado di scrollarseli di dosso, o forse non vuole: lascia che affondino nella sua carne in profondità, finché è impossibile rimuoverli e le ferite iniziano a infettarsi. Pepper ha iniziato a pensare che non ci sarà mai un momento in cui si sentirà in pace, men che meno con se stesso.

Lo guarda, disteso sulla schiena con la testa poggiata al cuscino appallottolato mentre scorre pigramente il cellulare, il braccio ferito ora libero dal tutore che riposa sull’addome. Sembrerebbe rilassato, ma lo conosce troppo bene per lasciarsi ingannare. Si sono messi a letto da più di un’ora, esausti dopo un’altra giornata di riunioni e assedi mediatici, ed è riuscito a rimanere fermo e in silenzio quasi assoluto per tutto quel tempo: c’è decisamente qualcosa che non va, ma sa che pressarlo non servirebbe a nulla e lo farebbe solo ritrarre ancor di più. Qualche trucco l’ha imparato, in diciotto anni.
Smette di fingere di dormire e si limita ad accostarsi a lui e a cingergli la vita con un braccio, prestando attenzione a non toccare la ferita, ora non più coperta ma comunque sensibile e arrossata. Lui sposta la mano libera sulle sue spalle nude, prendendo a tracciarle ghirigori leggeri e distratti sulla pelle con la punta delle dita. Le rivolge una breve occhiata, per poi posare il cellulare sul comodino.
Fissa il soffitto per qualche secondo.

«Ti ricordi la nostra chiacchierata al parco prima che Dottor Who sbucasse fuori dal nulla?» chiede senza preavviso, con gli occhi ancora puntati sopra di sé.

In tutta risposta, Pepper sbatte le palpebre perplessa.
Bambini. Non è assolutamente l’argomento che si aspetterebbe arrivare da lui, né ora né mai, ed è la seconda volta che salta fuori in poco meno di una settimana. L’aveva presa in contropiede anche la prima, ed è consapevole di aver reagito in modo fin troppo freddo, quasi disfattista. Non ha neanche avuto occasione per ritrattare le proprie parole o realizzare cosa volessero realmente significare quelle di Tony, visto che subito dopo l’ennesimo alieno squilibrato aveva puntualmente deciso di seminare distruzione nel loro mondo.

«Quella chiacchierata riguardo al chiamare la nostra ipotetica progenie come il mio zio eccentrico?» scherza, anche se ha percepito la serietà di fondo nella voce di Tony.

«Ah, riguardo a quello… eliminiamo ipoteticamente Morgan dalla lista dei nomi, ok?»

«Ok,» sorride lei, e trattiene una risatina di fronte alla sua espressione ora imbarazzata. «Quindi? Che cosa pensavi?» chiede poi, in tono basso ma leggermente nervoso mentre le sue dita attorcigliano di nascosto l’orlo del lenzuolo. 

Non è che non voglia dei figli. Semplicemente, non ci ha mai pensato in modo serio: diventare dei genitori le è sempre sembrato in qualche modo incompatibile col loro stile di vita e l’argomento, di fatto, non era mai stato menzionato in dieci anni come in tacito accordo. Il fatto che Tony avesse travalicato quelle direttive non scritte era stato come un fulmine a ciel sereno, e un qualcosa che, dopo il primo momento di sorpresa, l’aveva rallegrata molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

«Perché non mettiamo quel piano in stand-by, per ora?»

Le successive parole di Tony riescono a far sfiorire le sue aspettative prima che riescano anche solo a sbocciare. Si ritrae un poco, scostando la testa da lui e poggiandola sul cuscino per guardarlo meglio: è accigliato, col braccio sano piegato dietro al collo.

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Tony fa una smorfia e smuove i piedi sotto le lenzuola con fare irrequieto.

«Non è ovvio?» mormora, prima di girarsi finalmente del tutto verso di lei.

«Con te, non lo è mai,» gli fa notare, a metà tra il serio e il faceto.

«Vero.» Le rivolge un sorrisetto rapido, spento. «È solo che ultimamente ho pensato… troppo, in effetti. Non sono fatto per essere padre, è-- è una questione genetica. E magari potrei programmare Dum-E per cambiare pannolini e preparare biberon e tutto il resto, ma non posso affidare a un robot la parte… emotiva,» incespica nelle sue stesse parole e si fa silenzioso.

«Solo perché Howard non è stato un buon padre, non vuol dire che anche tu non lo sarai,» dice Pepper a bruciapelo, e lui sfugge i suoi occhi.

«Lo so che posso essere migliore di lui,» bofonchia, senza suonare troppo convinto. «Mi chiedo solo se sarà abbastanza.»

«Tony, nessuno nasce genitore, è un qualcosa che impari sul momento. Neanch’io saprei da dove cominciare,» ammette con un’alzata di spalle.

«Non hai davvero imparato nulla dopo vent’anni passati a stare appresso al tuo disastro ambulante preferito? È preoccupante, signorina Potts,» ridacchia, al che lei gli tira perfidamente l’elastico dei boxer con uno schiocco, facendolo reagire con un mirato pizzicotto di solletico sul suo fianco.

«Parli tu, che stai sempre a preoccuparti per tutto e per tutti: entreresti in modalità mamma-chioccia all’istante,» lo rimbecca, ritraendosi prontamente prima che la zuffa degeneri, e lui alza gli occhi al cielo. «Saresti un buon padre, tesoro. Davvero.»

«Dai, riesco a malapena a badare a me stesso,» sbuffa Tony, facendosi di nuovo serio.

Fa una pausa. 

«Ma che cavolo, non riesco neanche a badare a Peter.»

Eccola, la bomba che stava aspettando da tre giorni.

«Stai facendo tutto il possibile,» gli fa notare con dolcezza, senza commentare la deriva del discorso.

«È questo il punto,» ribatte subito lui quasi con rabbia, agitando il palmo. «Non è neanche lontanamente abbastanza.»

Pepper gli poggia una mano sul braccio, percependone la tensione, e gli cinge il polso con le dita in silenzio. Non è riuscito a darsi pace per la situazione di Peter sin dal momento in cui il ragazzo è tornato tra loro in quello stato, ma ha comunque cercato di tenerla a distanza e comportarsi come se nulla fosse, il suo comportamento di default quando c’è qualcosa che lo tormenta. E in realtà anche lei è preoccupata, per tutti: Peter e May sono ormai diventati qualcosa di molto simile a una famiglia e vorrebbe riuscire a fare di più per loro, oltre a evitare a Tony un crollo nervoso.

«Ci sono novità?» chiede semplicemente, sapendo che ogni parola di conforto andrebbe sprecata, quando si impunta in quell’atteggiamento così spietatamente autocritico.

«Stavo parlando con May,» fa un gesto verso il cellulare. «Ha provato coi sonniferi, ma non ha tenuto conto del suo metabolismo accelerato. In pratica, è come se avesse mangiato delle caramelle. Quindi, sì, è ancora sveglio.» Chiude brevemente gli occhi, come se solo il pensiero gli facesse venire il mal di testa. «E io sono a corto di idee,» aggiunge seccamente.

«Non è colpa tua, Tony,» gli dice subito, prima che possa elaborare pensieri assurdi riguardo al suo ruolo in ciò che è accaduto.

«Ah davvero?» sbotta, la voce di nuovo aspra. «L’ho trascinato io in tutto questo e adesso non riesco neanche a rimettere a posto le cose.»

«Sarebbe accaduto comunque, che fosse stato con te su Titano, o da solo in camera sua, o a scuola, o a spasso sul Queens Boulevard. E almeno aveva te accanto,» replica lei senza esitare, per poi desiderare di potersi rimangiare quell’ultima affermazione quando nota l’occhiata addolorata che le scocca Tony.

Non intendeva farlo sentire in colpa per non essere stato lì con lei al momento dello schiocco, ma ormai il danno è fatto. Tony scuote la testa e si pizzica il naso, senza sprecarsi in un commento, o forse solo incapace di formularne uno. Riprende a parlare esattamente da dove si era interrotto come se nulla fosse, con un tremito nella voce forzatamente leggera:

«Non riesce a dormire, ma almeno ha mangiato qualcosa. Stavo-- stavamo iniziando a preoccuparci anche per quello, ma a quanto pare gli Oreo hanno funzionato e se n’è divorato un pacco intero, insieme a una lattina di quel tremendo intruglio alla ciliegia che gli piace così tanto,» sorride debolmente mentre parla a ruota libera, ma è uno di quei sorrisi che gli lascia gli occhi di un marrone spento, tenendo in ombra le pagliuzze nocciola.

«È una buona notizia, Tony. Significa che sta facendo passi avanti, e scommetto che è anche grazie a te. Hai detto che ieri ha reagito quando gli hai parlato, no?» rileva pragmatica, scostandosi il lenzuolo da dosso e abbracciando invece il cuscino per coprirsi e riuscire a guardarlo in volto più comodamente.

«Forse,» riconosce lui in tono quasi convinto, prima di sbuffare. «Non lo so, volevo… scuoterlo,» gesticola a vuoto per dare enfasi a quel concetto vago, «Ma gli ho solo detto un sacco di stupidaggini e–…»

«Dubito fortemente che fossero stupidaggini, e comunque è quello che dovresti fare: parlare con lui,» afferma, più decisa che mai.

«Ma lui non parla con me!» obietta vivacemente, alzando ora le mani come se non sapesse cosa farsene.

Il suo respiro accelera appena e quando riprende a parlare è quasi affannato.

«Magari vuole solo che me ne vada e mi odia per quello che è successo, e magari dovrei andarmene davvero e lasciarlo in pace, così potrebbe finalmente–…»

«Per l’amor di Dio, Tony,» sbotta lei, sollevandosi sui gomiti e portandosi alla sua altezza, costringendolo così a guardarla negli occhi. «Peter ti adora, ti ammira e ti vuole bene. Ha bisogno di attenzioni e ha bisogno di sapere che tu sei lì per lui,» scandisce senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo, conscia che il panico represso di Tony è sul punto di traboccare. «Pensi davvero che andartene migliorerebbe le cose?» gli chiede poi, senza trattenere una traccia di incredulo sarcasmo.

Tony prende un lungo respiro e deglutisce come se volesse ricacciarsi in gola quella risposta più che ovvia, ma finisce comunque per pronunciarla:

«No.»

Rimane in silenzio per un po’, e Pepper gli permette di ripristinare ordine e calma nei suoi pensieri. Il fatto che si sia agitato in modo così repentino e che abbia poi ceduto altrettanto facilmente le dà un’idea di quanto debba essere esausto, sia nella mente che nel fisico: sa quanto sia difficile per lui non ritenersi responsabile di qualcosa e quanto sia incline a fossilizzarsi nel senso di colpa. Osserva il suo petto sollevarsi e abbassarsi ritmicamente nella luce soffusa che filtra dalla vetrata, che mette in risalto la cicatrice circolare all’altezza dello sterno, e lo vede farsi man mano più calmo.

«Sto cercando di mettermi nei suoi panni, di capire cosa ha passato,» riprende poi, a voce bassa e misurata. «Pensavo di poterci riuscire, considerando… lo sai.»

Pepper sente “New York” anche senza che lo dica ad alta voce, e si limita ad annuire.

«E non ci riesci?» chiede cautamente.

Lui sospira così a fondo da farsi quasi scoppiare i polmoni, premendosi le dita sulle palpebre, e Pepper sa che è sul punto di cedere al flusso che ha tentato di sommergere le sue difese fino ad ora. Fuoriesce come un fiume in piena, ed è grata che non stia più tentando di arginarlo: 

«Quello che ha passato è su tutt’altro livello. Ha diciassette anni e si è trovato faccia a faccia con la morte; io sono solo caduto nello scarico di un lavandino alieno,» scrolla le spalle e incrocia le braccia sul petto in modo difensivo. «E poi, io non sono diventato cenere e non sono stato tenuto ostaggio in una gemma del cazzo portata a spasso da una prugna gigante con manie omicide e complessi divini. Quel bastardo,» sbotta, ora trattenendo visibilmente la propria collera, con la rigidità della mascella che gli disegna una linea di tensione sul collo.

Pepper è sicura che, se Tony avesse la folle possibilità di riportare in vita Thanos, lo farebbe solo per riservarsi il diritto di ucciderlo con le proprie mani, invece di lasciarlo a Steve e Carol. Lo vede prendere un respiro traballante, per poi continuare:

«A parte questo, era là quando Thanos mi ha… mi ha quasi ucciso,» conclude, come se non riuscisse ancora a realizzare del tutto quel fatto.

Le lancia uno sguardo nervoso e lei si limita ad abbassare il proprio sul marchio rosso e gonfio che spicca sul suo fianco, tra le ultime due costole. È cosciente che ce n’è uno identico sulla schiena poco più in basso, a sfregiargli una fossetta di Venere.

«Ha visto Thanos che mi colpiva. E dopo lui è-- è sparito e io non sono riuscito a fare nulla per aiutarlo… me ne stavo lì impalato mentre–…» la voce gli si incastra in gola e Pepper si accosta di più a lui, col petto pesante nel sentirlo parlare per la prima volta di ciò che è successo. «Dovevo proteggerlo. Ha chiesto aiuto, mi ha chiesto aiuto perché pensa che io sia chissà quale grande eroe… e sono rimasto a guardare mentre mi moriva davanti,» ansima, di nuovo a corto di fiato, vicino a un attacco di panico, ma lo contrasta con veemenza ferrea, lo butta fuori di sé e mantiene a stento il controllo. «Ha già sofferto abbastanza. È solo un ragazzino,» conclude, lasciando che quel flusso di emozioni si esaurisca assieme alla sua voce.

Sta affondando le dita nel fianco e Pepper vi poggia una mano sopra, allentando la loro stretta sulla ferita sensibile mentre lui cerca a poco a poco di calmarsi, scosso dai tremiti e sopraffatto dai ricordi appena evocati. Lei aspetta in silenzio, un braccio a cingerlo delicatamente e le labbra premute contro la sua spalla. Sa che in quei momenti quel semplice contatto è tutto ciò di cui lui ha bisogno, piuttosto che delle sue parole. Tony si gira infine verso lei, con un’espressione adesso colpevole.

«Scusa,» esordisce, sorprendentemente, facendole corrugare le sopracciglia. «Continuo a dimenticarmi… o meglio, vorrei dimenticarmi che anche tu eri… sparita,» formula infine. «Non volevo–…»

«Sto bene,» lo rassicura subito, inclinandosi verso di lui per lasciargli un breve bacio sulle labbra. «E comunque, non ricordo nulla,» aggiunge, nel modo più disinvolto che le riesce.

«Sei sicura? Non voglio pressarti, ma se c’è qualcosa, qualunque cosa che ti dà pensiero, lo sai che puoi dirmelo e proverò a–…»

«Te l’ho detto, è stato come–…» si interrompe guardandosi le dita, la prima cosa che aveva iniziato a sgretolarsi sotto i suoi occhi terrorizzati. Le arriccia in un pugno e stabilizza il proprio respiro. «Non lo so, come entrare in una specie di anestesia totale, poi mi sono svegliata nel mio ufficio tutta intera come se nulla fosse accaduto. Ero stordita e molto confusa, tutto qui. Non ho sentito dolore, solo il… nulla. Poi sono tornata, e c'eri tu. L’importante è quello,» conclude, baciandolo di nuovo con affetto.

Lui ricambia, ma la ruga tra le sue sopracciglia non si dissolve e si scosta quasi subito.

«Non hai mai parlato del momento in sé, quando-- quando…» lascia sfumare le parole, e capisce che si sta figurando il suo corpo che si tramuta in cenere dal modo in cui le sta toccando il braccio, aggrappandosi ad esso come ad assicurarsi che rimanga saldo e solido. «Te lo ricordi?» la sua voce vacilla.

Lei rimane in silenzio e si rannicchia ancor più contro di lui, poggiando la guancia sulla sua clavicola e inalando l’odore familiare della sua pelle. Quello, e il suo braccio che si stringe attorno alla sua figura esile, le fanno trovare il coraggio di pronunciare la parola successiva:

«Sì.»

La mano di Tony trova la sua, stringendola con fermezza e accarezzando l'anello che le cinge l'anulare.

«E l’hai sognato.»

Non è una domanda. Pepper trattiene l’istinto di alzare gli occhi al cielo come fa sempre quando Tony si dimostra più perspicace di quanto dovrebbe. Ma ovviamente se l’era immaginato, visto che lui stesso ha passato più di sei anni a rivoltarsi nel sonno una notte sì e l’altra pure.

«Un paio di volte.»

Il sospiro di Tony le sfiora i capelli, ma non aggiunge altro. Non è nella posizione di rimproverarla per non avergli detto qualcosa, quando si è sempre impegnato a nascondere ogni sua debolezza, finché non avevano finito per crollargli addosso tutte insieme spingendolo ad allontanarla da sé. Poi aveva imparato, con tempo e costanza, a mostrarle anche le paure, oltre ai sorrisi. Adesso iniziava a capire anche lei quanto fosse difficile.

«Mi dispiace di essermene andato, ieri,» dice invece. «Non avrei dovuto lasciarti sola di notte. Avrei dovuto pensarci,» conclude, girandosi sul fianco sano e accogliendola contro il suo petto.

Pepper non dice nulla e si limita a rifugiarsi nel suo abbraccio.

«Non sono arrabbiata o delusa. Non ti sto dando la colpa,» mette subito in chiaro. «Pensavo solo di potermela cavare da sola e non è andata come pensavo. Ma adesso è Peter ad aver più bisogno del tuo aiuto,» dice contro la sua pelle, ed è sincera.

«Lo so. Ma devo anche assicurarmi che tu stia bene.» Pepper sente le sue braccia irrigidirsi. «Quindi rivedrò le mie priorità per riuscire ad esserci per tutti e due. Ma tu devi dirmi se c’è qualcosa che non va, non importa dove sono o che cosa sto facendo, e devi dirmi se mi comporto da stronzo come al solito... sono un genio, ma lo sai che per queste cose sono un disastro.» scuote la testa, rassegnato. «D’accordo?»

Tony cerca i suoi occhi, senza distogliere lo sguardo. Lei non risponde subito: non le sembra un buon compromesso e con tutta probabilità finirà solo per farsi consumare dalla preoccupazione.

«D’accordo?» insiste lui, posando la mano ferita sulla sua guancia.

Lei gli stampa un bacio leggero sul palmo e annuisce appena.

«D’accordo,» dice soltanto, e quella semplice risposta rende l’aria attorno a lei meno soffocante al pensiero di non dover passare un’altra notte da sola.

Si sente un po’ egoista, ma sa anche di avere un assoluto bisogno di sentire Tony vicino. Spera davvero che Peter si riprenda presto, sia per avere di nuovo il ragazzo a rallegrare la giornata a entrambi col suo candido entusiasmo, sia per non far sentire Tony dilaniato dalle responsabilità che sente verso entrambi. Ha già abbastanza sensi di colpa sulle spalle, e adesso le riesce anche più facile capire la sua volontà di voler rimandare il discorso “figli”.

«Come va il braccio?» gli chiede, cambiando volutamente argomento.

Lui la asseconda volentieri e alza le spalle mostrandole l’arto in questione, ancora striato da sottili ma profonde linee rossastre là dove la pelle si era spaccata, che convergono sul dorso della sua mano aggrovigliandosi in un intrico spigoloso e sensibile di tagli e bruciature. Alcune garze coprono le ustioni più gravi sull’incavo del gomito e sul polso, ma sembra in condizioni decisamente migliori rispetto a tre giorni fa.

«Non c’è male. Brucia ancora un po’, ma la Dottoressa Cho e Shuri hanno fatto un buon lavoro di taglia e cuci,» commenta con un sorriso un po’ flebile. «Il mio senso del tatto è un po’ sballato, in realtà… forse ci sono stati comunque dei danni. Qualche nervo, o roba del genere,» si acciglia mentre si sfiora la pelle con la punta delle dita, tracciando il contorno dello sfregio sul fianco.

Lei gli scosta la mano prima che finisca per irritare la ferita, e lui non oppone resistenza, incastrando il palmo nel suo.

«Non puoi chiedere a Helen di aggiustare anche quello?»

Tony le rivolge un sorrisetto incredulo.

«Pep, ho brandito l’arma più potente dell’universo, e sono ancora vivo per vantarmene. Credo di aver già avuto la mia buona dose di fortuna, quindi evitiamo di tentare troppo la sorte, mh?» sbuffa appena, per poi accarezzarle la guancia con le nocche. «E comunque, secondo me funziona ancora abbastanza bene,» sottolinea, alzando scherzoso un sopracciglio in quella sua classica espressione furbetta, subito addolcita da un sorriso.

Pepper sorride di rimando: è raro che Tony si lasci andare a dimostrazioni d’affetto così esplicite e le sta apprezzando ancor più del solito. Le è mancato, anche se in realtà non poteva esserne cosciente, ed è evidente che anche lei gli è mancata, forse nel modo più intenso in quei diciotto anni. Si accosta di più a lui e Tony la stringe a sé racchiudendola nella penombra rassicurante del proprio corpo, col mento posato sulla sua testa. Rimangono così per qualche minuto, respirando in controtempo e crogiolandosi nel calore reciproco. Tony rompe il silenzio con un respiro più profondo.

«Pensavo di averti persa,» sussurra poi, appena udibile, e Pepper sente con chiarezza il lieve tremito che lo scuote.

Prende a massaggiargli piano la schiena, cercando di sciogliere l’ostinato nodo di tensione tra le sue scapole.

«Sono qui,» risponde in un sussurro, e Tony lo segue, trovando di nuovo le sue labbra.

«Lo so,» mormora lui, poggiando la fronte contro la sua. «Adesso sono qui anch’io, credo,» aggiunge un po’ confusamente, sfuggendo poi il suo sguardo.

Non ha bisogno di aggiungere altro: anche lei conosce fin troppo bene il dolore debilitante di perdere chi si ama, e come finisca per annichilire qualunque altra sensazione. Quel ricordo l’ha accompagnata sin da New York, e sa che è stato un incubo mai espresso ma ricorrente di Tony sin dall'incidente con Extremis.
I loro respiri si stabilizzano pian piano, per poi approfondirsi, ma nessuno dei due sembra in grado di varcare la soglia del sonno. Pepper sente Tony che continua a giocherellare coi suoi capelli, facendola andare alla deriva in un leggero dormiveglia.

«Sono quasi le due… dovresti almeno provare a dormire,» farfuglia, riscuotendosi appena. «Ti fa male non–…»

«Non ci riesco. Lo sai,» bofonchia lui in tono stanco, con le palpebre appena schiuse.

Lo sa, quindi si limita a stringerlo al seno e a racchiudere la sua testa tra le braccia mentre gli accarezza i capelli, cercando di cullarlo senza successo. Sente che è ancora sveglio e adesso è certa che neanche lei riuscirà ad addormentarsi. Osserva i suoi lineamenti, appena visibili nella penombra, e li percorre con la punta delle dita come se li vedesse per la prima volta. È la prima notte completa che passano insieme da quando hanno vinto e averlo accanto a sé è quasi irreale.

Dopo un po’, inizia a tracciare una leggera scia di baci partendo dalla sua tempia, attraverso la guancia, seguendo la linea della mandibola incorniciata dal pizzetto fino a raggiungere il collo. Lui si contrae appena e si lascia sfuggire un piccolo sospiro, premendole le labbra sulla clavicola mentre prende ad accarezzarle il fianco, scendendo poi lungo la coscia. Pepper intreccia le mani dietro la sua nuca e lui fa scivolare un braccio a cingerle la vita, per poi attirarla con decisione a sé e catturare infine le sue labbra.

Anche per quella notte, nessuno dei due riesce a dormire.




Note Dell'Autrice:

Se io scrivo pseudo-fluff, la fine del mondo è vicina, ve lo dico.
A parte la premessa, questo è uno dei capitoli che più ho amato scrivere, e spero di avervi sorpreso col PoV Pepper <3 Una notte di tenerezza e intimità se la meritano dopo dieci film, essù. 


Pallose precisazioni temporali: il tempo della storia è volutamente vago, ma dopo il nuovo trailer di Endgame ho fatto un po' di retcon nella traduzione. Ovvero: dallo schiocco alla "soluzione" passano tre mesi ma, presupponendo un viaggio nel tempo e la nascita di una linea temporale alternativa, nel capitolo sono passati poco più di tre giorni dallo schiocco/contro-schiocco che è appunto il tempo percepito da Pepper. Infinity War, a detta dei registi, si svolge in meno di due giorni, di qui la "settimana" che cita.
Il fatto che la ferita inferta a Tony da Thanos sia ancora così dolente è perché il suddetto viaggio nel tempo l'ha riportato al momento dello scontro su Titano. Scusate la divagazione tecnica.
Spero di essere stata chiara: io in primis detesto i viaggi nel tempo con tutta l'anima, ma mi sembrava doveroso citarli tra le righe vista la loro probabile importanza in Endgame. Tutto ciò che ho detto è ovviamente un mio headcanon frutto di elucubrazioni personali e derivato da fan-theory circolanti nel web. Sono disponibile per qualsiasi chiarimento in merito :)

Ringrazio tantissimo
_Atlas_ e T612 per aver recensito gli scorsi capitoli, e tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite (siete tantissimi! :D) <3

-Light-


P.S. Link al capitolo originale -> And the wheels keep spinning 'round

P.P.S. Per chi ha letto altre mie storie: questa non rientra completamente nel "mio" canon post-Infinity War/Endgame, ma ne mantiene alcuni dettagli, come appunto il fatto che Pepper sia stata vittima dello schiocco (cosa citata sia in Interferenze che in Comunicazioni Interrotte). Deciderò in seguito se creare un headcanon coerente e unitario, a seconda di dove mi porterà il prossimo progetto sul nostro Spidey ;) *spam!*

 

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Capitolo 4
*** Tu sei responsabile della tua rosa ***


4
Tu sei responsabile della tua rosa
 
 
“Oh, be strong
Don't turn your heart
We're all
You're all
For all
For always

Let us cling together”
 
[Teo Torriatte (Let Us Cling Together) – Queen]
 
 
 
          Ben avrebbe saputo cosa fare.

Di tutti i pensieri che hanno continuato a frullare nella testa di May nell’ultima settimana, questo è il più insistente, il solo che sia riuscito a farsi strada attraverso il suo cranio per andare ad annidarsi nei recessi più profondi del suo cervello.

Ben avrebbe saputo cosa fare.

Aveva questo modo innato di relazionarsi con Peter che faceva aprire il ragazzo come non ha mai fatto con lei. Avrebbe saputo cosa dire adesso, come gestire quel silenzio terrificante, lo stesso che aveva inghiottito entrambi dopo la sua morte. May è cosciente del fatto che, se non ha perso suo nipote all’epoca, è stato solo grazie a Spider-Man. È ancora angosciante pensare a Peter che combatte il crimine per le strade di New York indossando solo una tuta sdrucita e un paio di occhialetti per sei mesi, ma sa che è stato esattamente quello a impedirgli di crollare, fornendogli invece uno scopo. Era andata fuori di testa quando l’aveva scoperto, e ancor di più quando aveva intuito la complicità di Stark nella faccenda, ma aveva anche realizzato che gli aveva probabilmente salvato la vita grazie alla nuova tuta potenziata. In fondo era grata che l’avesse tenuto d’occhio e si erano riappacificati abbastanza in fretta – ma era comunque stata a un passo così dall’incenerirlo via telefono per averla tenuta all’oscuro di tutto.

Dopodiché, la situazione con Peter le era sfuggita di mano.
C’erano stati molti rimproveri, discussioni infinite, battibecchi, liti, panico: lui aveva quindici anni, non aveva alcuna idea di quello in cui si era cacciato, poteva morire – e lei invece non capiva, non aveva idea del perché fosse diventato Spider-Man, e lo sottovalutava, perché sapeva ciò che stava facendo. Per giorni si erano rivoltati in quell’inferno di litigi inconcludenti come mai era accaduto prima.
Alla fine, Peter si era messo il suo costume ed era uscito di casa sbattendo la porta per “schiarirsi le idee”; May l’aveva lasciato andare d’impulso e senza scenate per pura esasperazione. Non si era fatto vivo per tre giorni di fila, e May aveva passato quel tempo a incolparsi per non aver tentato di fermarlo, con la netta sensazione che il suo mondo avesse iniziato a sgretolarsi nel momento in cui Peter aveva varcato la soglia. Forse per non tornare, proprio come Ben. E anche allora, era riemerso il pensiero che suo marito avrebbe saputo cosa fare per impedire a Peter di andarsene.

Tony si era sicuramente sentito preso tra due fuochi, quando una mattina si era ritrovato Peter alla porta del Complesso proprio mentre era al telefono con la zia del suddetto nel tentativo di rassicurarla. Ma aveva comunque giostrato in scioltezza l’intera situazione, ospitando Peter senza battere ciglio e tenendola contemporaneamente aggiornata sugli sviluppi in corso. In qualche modo, era riuscito a convincerlo a tornare a casa entro sera, e May aveva avuto l’impressione che Peter avesse ricevuto la sua buona dose di ramanzine anche su quel fronte. A dispetto del suo modo di fare flemmatico, Tony sapeva essere inflessibile, quando voleva.

Peter le era sembrato molto più pacato nel momento stesso in cui aveva rimesso piede nel loro appartamento, con gli occhi fissi sulle scarpe e il costume rosso e blu che faceva capolino con naturalezza da sotto la felpa. L’aveva abbracciata con impeto e si era scusato per tutto, anche cose per cui non avrebbe mai dovuto scusarsi. Poi erano arrivate di nuovo le parole, le spiegazioni che si era rifiutata di ascoltare fino ad allora, i perché e i percome, le ragioni per cui aveva scelto di intraprendere quella strada. E lei non aveva saputo trovare alcuna obiezione.

La consapevolezza l’aveva sommersa come una valanga: non poteva fare nulla per fermarlo. Era la sua scelta, la sua responsabilità, come l’aveva chiamata lui, con un tono solenne che le aveva ricordato quello di Ben. È quello che in fondo ha sempre pensato anche lei: Peter è la sua responsabilità, l’unico motivo per cui è andata avanti dopo aver perso Ben, ma non può neanche rinchiuderlo in una campana di vetro solo perché ha paura di perderlo. Così aveva deciso di lasciargli fare ciò che voleva… con l’aggiunta di alcune regole ferree, un coprifuoco tassativo e la stretta sorveglianza di Tony. Peter aveva accettato il tutto con evidente insofferenza, ma vi si era anche attenuto senza fiatare, con relativamente poche contravvenzioni nel corso di quei due anni, e May si era abituata a vivere con un connubio di orgoglio, angoscia e senso di colpa a rimestare continuamente i suoi pensieri.

Quando aveva saputo che Peter era sparito, morto, una parte di lei aveva urlato ancora una volta che Ben avrebbe saputo far di meglio che lasciarsi scivolare a terra scossa dai suoi stessi singhiozzi mentre pregava Tony, Dio, il destino, chiunque di riportarle il suo ragazzo. E anche se quel desiderio è stato infine esaudito, adesso non sa cosa farsene. Ben lo saprebbe.
Peter non è tornato. Quella è solo la sua forma fisica accasciata sul letto, con le lenzuola tirate fin sopra al naso come nell’infantile convinzione che possano proteggerlo dai mostri nell’armadio.

May si appoggia allo stipite della porta mentre veglia su di lui. Sono le sei del pomeriggio ed è già così stanca che potrebbe addormentarsi lì in piedi senza neanche accorgersene, ma è anche troppo nervosa e frustrata per riuscire a rilassarsi davvero. Ha passato l’ultima ora al telefono con Tony, cercando di convincerlo che non c’è alcun problema se si trattiene per quella notte a Malibu. Anche lui ha bisogno di staccare per un po’, come chiunque altro, e la situazione di Peter non cambierà certo nel giro di una notte, quindi farebbe bene a godersi quella breve gita fuori porta con Pepper senza darsi pensiero. May dubita che riuscirà a tenere del tutto a bada il suo senso di colpa, considerando quanto le era sembrato stressato e quanto ha insistito affinché lo chiamasse in qualunque caso, ma più di così non può fare.
Subito dopo si erano trovati a parlare del più e del meno, entrambi consapevoli che ogni argomento ruotava sempre attorno al medesimo ragazzo muto e insonne, e May non riesce a ricostruire cosa, esattamente, abbia innescato il diverbio.

Forse l’insistenza di Tony nel voler contattare “un esperto” per Peter; forse il proprio commento riguardo a come ciò che ha funzionato per lui poteva non funzionare per Peter; forse la sua osservazione piccata su come lui, al contrario di lei, avesse almeno una vaga idea riguardo a cosa poteva essere utile per Peter; forse la propria secca replica su come lui non fosse esattamente la persona più indicata ad avere voce in capitolo. May sa solo di averlo rimbeccato bruscamente di punto in bianco, spingendolo a troncare la chiamata con uno dei suoi soliti commentini ironici dai sottotoni caustici.
Si è pentita della propria reazione nel momento stesso in cui le ha attaccato, ma tutta quella situazione li tiene sulle spine da giorni e si era aspettata che degenerasse, prima o poi, e il caratteraccio di Tony non aiuta.

In realtà ha seriamente preso in considerazione il suo suggerimento sin dalla loro chiacchierata notturna, e ancor più dopo che le ha riferito di come Peter sembrasse effettivamente cosciente quando gli aveva parlato. Ma se il ragazzo rifiuta di muoversi, non può certo costringerlo a vedere uno psicologo. In passato trascinava regolarmente un testardo e molto poco collaborativo Peter di sei anni dal dentista, ma le sue braccia sottili non possono contrastare la sua forza ora sovrumana. È riuscita a malapena a metterlo a letto, e sa che è solo perché lui gliel’ha permesso: se si fosse opposto non l’avrebbe smosso di un millimetro e ritiene poco saggio far intervenire Iron Man o chi per lui per farlo andare in terapia.

May vuole comunque credere che stia meglio: ha mangiato, reagisce ai rumori di tanto in tanto, sembra più cosciente di ciò che lo circonda. Qualcosa sembra essersi sbloccato, chissà come. Un paio di volte si è persino alzato in piedi, facendo qualche passo esitante e instabile, con le braccia strette quasi allo spasmo attorno al busto. Però la sua bocca è ancora sigillata, al contrario dei suoi occhi. Le ombre violacee attorno ad essi si sono approfondite, sembrando ancor più scure in contrasto con il suo volto cereo. Ogni tanto le sue palpebre tremano e fremono come se si stessero sforzando di sostenere un peso invisibile, ma non cedono al sonno: May inizia a trovare prove tangibili del discorso di Tony sul voler rimanere svegli, anche se non ne comprende il motivo.

Per lei è come guardare un’ombra del ragazzo vivace e chiassoso che le aveva illuminato la vita dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lui. Rinuncerebbe alla propria voce, se potesse donarla a lui per sentirlo parlare o ridere di nuovo. Le è comunque inutile, visto che tutto ciò che dice si infrange sui muri di silenzio che circondano Peter.

 
§
 
Il silenzio viene rotto un’ora dopo dal trillo del suo cellulare. May sobbalza, seduta sul letto ai piedi di Peter; lui non batte ciglio. Guarda lo schermo e si acciglia vedendo che è Tony, di nuovo. Sospira e pondera se lasciarlo squillare a vuoto, ma sarebbe un colpo basso alla sua ansia. E magari vuole solo mettere una pietra sopra alla loro discussione. Si alza e si sposta sulla soglia della camera, rivolta verso il corridoio, prima di accettare la chiamata.

«Sì?» esordisce, non del tutto scortese, ma comunque fredda.

In risposta riceve un insolito silenzio che la incita a parlare di nuovo:

«Tony? Mi senti?»

«Non dare di matto,» dice infine la voce dell’uomo dall’altro lato, e le rughe sulla fronte di May si accentuano per la confusione.

Ha a malapena il tempo di registrare quelle parole che sente un improvviso sfrigolio provenire dalla sua destra. Volta di scatto la testa e quasi le sfugge il telefono di mano quando si trova a fissare il cerchio di un brillante rosso-arancio appena apparso a mezz’aria nel suo salotto. Soffoca un gridolino di sorpresa nel palmo, mentre cerca di dare un senso a quello che sta guardando.
Nell'arco di pochi secondi, un uomo dall’aspetto bizzarro, alto e moro, è sbucato dal nulla in salotto. Indossa una veste blu di fattura orientale, coronata da un enorme mantello rosso che fluttua attorno alla sua figura; un massiccio medaglione bronzeo gli pende dal collo, appena sopra la larga cintura di cuoio che gli fascia la vita.

«Signora Parker,» esordisce garbato, con voce profonda, chinando appena la testa. «Sono il Dottor Strange, Stregone Supremo. Perdoni l’intrusione,» aggiunge, come realizzando in quel momento la circostanza insolita.

May poggia la schiena al muro, con una mano al petto martellante e l'altra avvinghiata al cellulare mentre riprende fiato per lo spavento. Conosce l’uomo, almeno di nome e di vista, e sa che non è ostile: è coi Vendicatori e ha avuto un ruolo fondamentale nel salvare il mondo, o almeno così ha colto dai telegiornali e da qualche commento estemporaneo di Tony. Fatica comunque a ricomporsi.

«Lieta di… conoscerla, signor Strange,» formula infine, con un sospiro stremato. «A cosa devo il piacere?» aggiunge subito dopo, già sospettandolo, ma prima che lui possa rispondere, qualcun altro lo fa al posto suo.

«Lui è l’esperto!» annuncia una voce nota, suonando stranamente lontana.

Il Dottore alza gli occhi al cielo.
May impiega qualche istante a realizzare che il cerchio luminoso sta ancora vorticando al centro del salotto, e che la voce proviene proprio da lì. S’inclina appena di lato per guardare alle spalle dello Stregone, e questi si fa da parte per non ostruirle la visuale. Attraverso l’abbagliante portale intravede quello che sembra un salone ampio e luminoso affacciato sull’oceano. Tony è in piedi oltre la soglia del cerchio, ma è rivolto alla sua sinistra mentre parla, rendendo inudibili le sue parole. Sembra nel bel mezzo di un’accesa discussione, visto il modo in cui sta gesticolando.

«Stark,» abbaia seccamente il Dottore, «Ti dispiace tagliar corto?»

Tony volta la testa e solleva le sopracciglia, apertamente scocciato.

«Così non stai guadagnando punti per ottenere quell’invito di nozze,» lo schernisce con uno sbuffo, prima di attraversare il portale con un saltello disinvolto. «Ehi, May,» la saluta spigliato, prima di approcciare Strange.

Subito dopo Pepper fa capolino dall’altro lato, fissando in cagnesco il proprio fidanzato con le braccia severamente incrociate, prima di rivolgere a lei un’occhiata costernata:

«Mi scuso da parte sua. Non sono riuscita a farlo ragionare.»

Le sue parole sono attutite ma perfettamente comprensibili, e contengono una ben distinta traccia di rimprovero rivolto all’uomo in questione.

«È tutto a posto, so che lo fa in buona fede,» la rassicura May, scoccando a Tony un’occhiata pungente ma venata d’affetto mentre lui è già intento a bisticciare col Dottore riguardo a quella che sembra una diatriba su scienza e magia con riferimenti al teletrasporto.

«Come va?» la distoglie Pepper, con un’evidente ombra di preoccupazione a segnarle il volto.

May stenta un sorriso sottile.

«Potrebbe andare peggio. Almeno è qui,» aggiunge, lanciando uno sguardo laterale alla porta di Peter, e Pepper si limita ad annuire. «Grazie per il supporto,» dice poi, di getto e incapace di esprimere quanto sia grata sia a lei che a Tony.

Pepper in fondo è in una situazione delicata quanto quella di Peter, e riconosce lo sforzo che sta facendo nel lasciare che Tony si assenti così spesso.

«Vogliamo tutti che Peter stia meglio,» replica lei con la consueta premura, accompagnata da un sorriso solidale.

«Signore, mi dispiace interrompervi, ma non posso tenerlo aperto per sempre,» s’intromette Strange, svicolando senza complimenti da Tony e mettendo in chiaro che non ha tempo da perdere.

Pepper e May si scambiano un rapido cenno di saluto e Tony riesce a far pervenire dall’altra parte un affrettato “torno per cena!” prima che il portale si restringa alle dimensioni di una pallina da tennis e scompaia nel nulla con uno sfrigolio di scintille.

Il Dottore compie un ultimo, elegante gesto delle mani guantate prima di raccoglierle in grembo prendendo a guardarsi attorno con discrezione, in attesa. I lineamenti affilati gli danno un’aria perennemente annoiata, ma gli occhi di un azzurro quasi trasparente sono brillanti e acuti. Tony è ora insolitamente silenzioso e continua a scoccare occhiate alla porta di Peter, con linee di tensione prima represse che iniziano a farsi strada sul suo volto.

«Suppongo che sia qui per mio nipote,» esordisce infine May, rivolgendosi al suo ospite inatteso.

«Esatto. Stark pensa che io possa esservi d’aiuto e, viste le circostanze, sono stranamente incline a concordare con lui,» afferma con fare sicuro di sé.

Tony libera uno sbuffo silenzioso, ma non commenta; invece, si accosta a lei e rimane al suo fianco, ascoltando a braccia conserte.

«E in che modo?» indaga May, senza curarsi di nascondere la propria circospezione.

Una scintilla di speranza si è accesa nel suo petto a quelle parole, ma non può permettersi di alimentarla finché non sarà sicura di non rimanere delusa. Illudersi la distruggerebbe definitivamente.

«Sono un medico, e inoltre ho familiarità con le Gemme e il loro potere. Potrei essere in grado di identificare la fonte del problema, e forse anche risolverlo.» Strange sembra non dar peso al suo atteggiamento e rimane imperturbabile. «Se può consolarla, sembra che Peter non sia il solo ad aver accusato effetti collaterali dopo essere stato imprigionato nel Regno dell’Anima. Ci sono state diverse testimonianze riguardo a persone affette da svariati sintomi a livello mentale, da allucinazioni ad attacchi di panico e terrori notturni,» continua, pacatamente ma con schiettezza.

May non lascia trapelare la sua preoccupazione, ma contrae le dita e sente il peso gelido della paura nel suo stomaco; Tony sposta il peso da un piede all’altro a disagio e sembra sul punto di intervenire, ma si trattiene quando il Dottore riprende a parlare:

«La reazione del ragazzo sembra essere abbastanza moderata, da quanto mi è stato riferito, quindi non c’è ragione di pensare che peggiorerà. Ma prima o poi la carenza di sonno avrà effetti deleteri, a dispetto della sua resistenza fuori dal comune,» aggiunge, con fare significativo.

May decide che ha sentito abbastanza per dare a questo strambo Dottore una possibilità, e ogni minuto perso a parlare è un minuto di riposo in meno per Peter.

«La porto da lui,» annuncia, dirigendosi verso la sua stanza.

Strange le si accoda con prontezza, mentre Tony li segue con passo indolente.
May non può negare di essere nervosa al pensiero che Strange entri in contatto con Peter: una parte di lei teme, o forse spera, che ciò scateni una reazione imprevista. Apre comunque la porta e si fa da parte per lasciar entrare il Dottore. Tentenna brevemente, chiedendosi se annunciare l’ospite al nipote, ma realizza che non avrebbe senso e che non si accorgerà comunque di nulla.

Tony si ferma accanto a lei, le mani affondate nelle tasche, mentre Strange entra nella stanza ed esamina l’ambiente con occhi attenti prima di concentrarli su Peter, a malapena visibile sotto il suo cumulo di coperte e con la schiena rivolta alla porta. Sembrerebbe dormire, se non fossero tutti coscienti del contrario. Il Dottore le rivolge uno sguardo interrogativo, a chiedere il suo permesso, e lei glielo concede con un cenno del capo.

«Faccia ciò che deve,» lo incita semplicemente, giocherellando con le mani in mano.

Strange si avvicina a Peter, osservandolo a distanza, le sopracciglia corrugate con fare quasi intrigato. Si china leggermente accanto a lui, guardandolo in faccia e senza fare il minimo gesto per toccarlo. Chiude brevemente gli occhi, come tentando di percepire qualcosa di invisibile, per poi riaprirli di scatto e girarsi verso di loro.

«Potete farlo mettere seduto? Non vorrei allarmarlo facendolo io,» dice, raddrizzandosi con le mani raccolte dietro la schiena.

«Certo. Anche se dubito se ne accorgerebbe,» May scrolla le spalle, accostandosi al letto.

«È più cosciente di quanto sembri,» replica il Dottore, ancora impassibile.

May coglie quelle parole che vanno subito ad alimentare la piccola scintilla nel suo petto, ma non risponde e si concentra nel cercare di far sedere Peter. Sembra non avere la minima intenzione di muoversi a dispetto dei suoi sforzi e delle sue parole rassicuranti, bloccato in uno dei suoi momenti di scarsa collaborazione. May si lascia sfuggire un sospiro frustrato, al che Tony si fa prontamente avanti per aiutarla, ignorando le sue obiezioni.

«Dai, ragazzino, non farmi chiamare l’armatura,» borbotta tra i denti, vincendo infine la sua resistenza e sollevandolo di peso con le braccia a fare leva sotto le ascelle.

Fa una smorfia per lo sforzo che gli stuzzica le ferite ancora in via di guarigione, ma riesce a portarlo seduto sul bordo del letto. Peter si accascia contro di lui e sta a capo chino, ma rimane in posizione e Tony si ritrae in fretta, sfregandosi la spalla sinistra con una smorfia turbata che balena sul suo volto.

«Ecco fatto,» dice con un lieve affanno, facendo un gesto a Strange che si è sensibilmente tenuto a distanza, osservandoli però attento.

«Grazie,» risponde con un piccolo cenno del capo, per poi porsi di fronte a Peter.

Si toglie i guanti: le sue mani sono scosse da un leggero tremito e sembrano insolitamente rigide, solcate per tutta la loro lunghezza da cicatrici profonde e slabbrate, come se qualcuno le avesse squarciate per poi ricucirle rozzamente. May lo tiene d’istinto sotto stretta osservazione, monitorando ogni sua mossa. Nell’esaminare Peter, si sforza in modo evidente di non toccarlo più di quanto strettamente necessario. La prima parte della visita sembra procedere in modo piuttosto normale: Strange esamina gli occhi apparentemente ciechi del ragazzo, poi poggia due dita prima sul suo polso e poi sul collo per misurare il battito. Quella parvenza di normalità viene sovvertita non appena il Dottore si siede sul pavimento a gambe incrociate e inizia a far guizzare le mani qua e là a mezz’aria, seguendo uno schema preciso e articolato, come se stesse sciogliendo un nodo invisibile. Dei sinuosi filamenti rosso-arancio scaturiscono dalla punta delle sue dita. May trasalisce, ma combatte l’istinto di intervenire vedendo che Tony non sembra affatto allarmato, e si trattiene finché i filamenti non strisciano verso Peter, avvolgendo le loro spire attorno ai suoi polsi. Tony le posa una mano gentile sulla spalla, bloccando il passo che aveva appena compiuto verso i due.

«Non fanno male,» le spiega pacatamente, accennando col mento alle sottili fruste di fuoco. «È tutta scena,» aggiunge con leggerezza.

May non ha motivo di non fidarsi di lui, ma svicola comunque dalla sua presa per osservare quella scena singolare da una distanza ravvicinata. Non si sa mai.

«Allora, hai avuto qualche epifania?» sbotta impazientemente Tony dopo qualche minuto, già iniziando a diventare irrequieto.

«Percepisco qualcosa, ma non saprei dire con esattezza cosa …» borbotta Strange di rimando, piroettando il filo color fuoco tra le dita come se stesse manovrando un burattino.

«E meno male che sei il “sommo dottore”,» commenta l’altro, con fare accusatorio.

«E meno male che non sei un imbecille, o starei avendo serie difficoltà a non spedirti su qualche pianeta ghiacciato e dimenticato da Dio.»

Strange non si gira neanche verso l’ingegnere e mantiene gli occhi focalizzati sul suo paziente, ma Tony chiude comunque la bocca, non senza aver prima brontolato un ben udibile “stronzo” tra sé e sé.
May ignora il loro battibecco, persistendo a guardare fissamente le corde infuocate strette attorno ai polsi di Peter, che però non ne sembra minimamente disturbato. Il Dottore continua a controllarle con gesti aggraziati, ma qualche ruga sulla fronte tradisce l’estrema concentrazione che gli richiedono quelle manovre apparentemente frivole. Dopo un altro minuto di armeggi, le sue palpebre si chiudono di colpo e lui si accascia sul posto col mento sul petto e le ciocche scure a schermargli il viso. May strabuzza gli occhi e anche Tony ha un sussulto involontario.

«Uh, non preoccuparti,» borbotta poi, mentre il suo sguardo vaga rapido per la stanza. «È ancora qui… credo. E probabilmente se la ride mentre ci fa le boccacce,» scrolla le spalle e incrocia le braccia con fare piuttosto nervoso, come se trovasse quell'idea estremamente fastidiosa.

In quel momento il Dottore si riscuote di colpo con un singulto, facendoli trasalire di nuovo; dissolve i fili magici e si rialza agilmente liberando un lieve sbuffo soddisfatto.

«Ho raccolto un po’ di informazioni utili,» annuncia, accennando un sorrisetto compiaciuto.

«Illuminaci,» lo incalza Tony con impeto, per poi smorzare il suo entusiasmo e sedersi cautamente ai piedi del letto con una mano a comprimere il fianco dolorante.

In quello stesso istante, Peter oscilla appena sul posto con aria assente, per poi distendersi di nuovo con un movimento rigido e meccanico; si tira le coperte fino al naso, tornando nella sua posizione iniziale. Gli occhi di tutti e tre sono ora incollati su di lui, presi in contropiede da quel repentino sfoggio di vitalità. Rimangono in attesa di un continuo, ma lui si limita a buttar fuori un respiro più profondo e ad affondare la guancia nel cuscino. Il cuore di May accelera, poi riprende a battere a singhiozzo quando non accade nient’altro. Tony posa delicatamente una mano sulla caviglia di Peter da sopra le coperte, tirando le labbra in una linea amara. Come lei ha sperato in qualcosa, e adesso si trovano a condividere la stessa, opprimente sensazione di essere stati derubati di qualcosa di bello e a lungo atteso.
La voce grave di Strange li distoglie da quei pensieri:

«La buona notizia è che Peter è tra noi, sia fisicamente che mentalmente. È cosciente di ciò che accade e registra ogni input sensoriale.»

«Quindi ci sta ignorando? E perché?» chiede di getto May, prima di potersi frenare.

«Ho ragione di credere che il legame col Regno dell’Anima non sia stato del tutto reciso,» risponde Strange, addentrandosi circospetto nella spiegazione e spostando lo sguardo tra lei e Tony per assicurarsi che la stiano seguendo. «Una parte della sua anima sembra bloccata a metà strada, da quanto sono riuscito a vedere dal piano astrale. Non posso avvicinarmi di più o raggiungerlo, quindi rimane una plausibile supposizione,» mette in chiaro, con un lieve scatto insoddisfatto delle labbra. «Non so dirvi perché sia in questo stato catatonico, né perché si ostini a non parlare o dormire. Forse è succube del potere della Gemma e si sta salvaguardando, o forse è intrappolato in un’illusione. Le ipotesi sono molteplici e temo che queste siano le meno drammatiche,» aggiunge, in un eccesso di schiettezza.

Tony si irrigidisce per poi lanciargli un’occhiataccia, e May non può fare a meno di schiudere la bocca per l’angoscia, affrettandosi a coprirla col palmo.

«Si può fare qualcosa?» riesce a chiedere, odiandosi per quanto suona sottile la sua voce.

Strange esita, e sembra contrariato.

«Ricorrendo alla Gemma stessa, forse–»

«Non possiamo correre il rischio di recuperarla,» lo interrompe fermamente Tony.

Pronunciare quell’affermazione sembra addolorarlo nel profondo, ma la sua voce rimane salda.

«Certo, che non possiamo,» Strange sembra quasi offeso da quella sua conclusione affrettata. «Ma la sua anima è in bilico sulla soglia, e il legame sembra comunque incline ad allentarsi col passare del tempo, anche se dubito si dissolverà mai del tutto se non interveniamo. Dobbiamo solo tirare l’anima dalla parte giusta, e potremmo farlo anche senza la Gemma,» rivela, e May ha la sensazione che sia troppo bello per essere vero.

«Cosa stai suggerendo?» Tony incrocia le braccia e lo scruta inclinandosi leggermente all’indietro, col mento sollevato e gli occhi che si assottigliano in un moto d’interesse, così come quelli di May.

«Non ti piacerà,» lo avverte Strange, prendendo poi un profondo respiro. «Se è opera della Gemma, forse la signorina Maximoff potreb–…»

«Sul mio cadavere,» sillaba duramente Tony, e la sua espressione si incupisce come se Strange avesse proposto un qualche rituale di sangue per aiutare Peter. «La strega non si avvicina di mezzo passo al ragazzino finché sono in vita io,» conclude, quasi in un ringhio.

«Tony? Che ti–…» interviene May, spaesata, ma la sua voce si sovrappone a quella del Dottore, che sembrava aspettarsi quella reazione e non si scompone:

«Capisco che essere venuto a sapere della sua interferenza con te sia stato un brutto colpo, ma–…»

«“Interferenza”?» Tony lo tronca di nuovo, ora traboccante d’ira. «Mi ha mandato a puttane il cervello, mi ha manipolato e l’ha fatta franca per anni! Questa la chiami un’interferenza?» alza la voce, ormai a un passo dal gridare.

May non l’ha mai visto così in collera e fa istintivamente un passo verso Peter, quasi a fargli da scudo, ma Tony non sembra nelle condizioni di alimentare ulteriormente la sua rabbia, a giudicare dal volto paonazzo e dal modo in cui si tiene di nuovo il fianco.

«Di cosa state parlando?» tenta di nuovo May, più severamente, con gli occhi che saettano tra i due uomini impegnati a fronteggiarsi. «Chi è Maximoff?»

«La Strega Scarlatta,» dice Strange, anticipando la risposta caustica di Tony. «Uno dei nuovi membri dei Vendicatori che ha recentemente firmato gli Accordi. È legata alla Gemma della Mente in modi che al momento non ci interessano, ma proprio per questo potrebbe essere in grado di aiutarci,» spiega concisamente, mantenendo il suo aplomb imperturbabile.

«E perché tu vuoi impedirglielo?» May si volta verso Tony, che si è portato una mano alla fronte, stringendo la radice del naso tra pollice e indice nel tentativo di ricomporsi, ma il suo pugno è ancora serrato.

Quando risponde, la sua voce è altrettanto contratta:

«Hai presente Ultron? Beh, colpa mia, colpa sua. Ha dei… poteri non trascurabili, è vero, e a quanto pare li ha usati per ficcarmi in testa delle idee assurde. Idee che mi hanno spinto a creare quell’intelligenza artificiale completamente svalvolata,» spiega in fretta, senza guardarla in faccia, e il suo nervosismo trapela dal modo in cui la sua gamba continua a sussultare quasi a ritmo con le sue parole. «Peccato che nessuno si sia mai degnato di farmelo presente, a parte qualcuno che conosco a malapena da tre mesi e che non è nemmeno un Vendicatore,» dice tra i denti con astio, prima di quietarsi appena e rivolgere uno sguardo al Dottore. «Non fraintendermi: ti sono grato per avermelo detto. Semplicemente, non è da te che avrei dovuto saperlo,» mette in chiaro, con evidente delusione.

Strange non commenta, ma la sua disapprovazione si legge nel modo severo in cui aggrotta le sopracciglia. May si prende qualche secondo per elaborare le parole di Tony. Ricorda le polemiche sulla Strega ai tempi dell’incidente a Lagos. E lei le dovrebbe affidare suo nipote? Si schiarisce la gola, cercando di porsi in modo ragionevole:

«Date le premesse, la proposta non è affatto invitante,» ammette diplomaticamente, posando il suo sguardo preoccupato su Peter.

«È folle, ecco cos’è,» interviene Tony, scaldandosi di nuovo e lanciando eloquenti occhiatacce a Strange, che sostiene con distacco il suo sguardo.

«Non credere che l’idea mi piaccia poi così tanto, ma lei potrebbe aiutarci, Stark. Maximoff è un diretto derivato della Gemma della Mente ed è stata in contatto con Visione per anni. Non sarà in grado di capire del tutto la Gemma dell’Anima, ma ha comunque una stilla di una delle sue sorelle nelle vene. E al contrario di me, può effettivamente vedere nella testa di Peter,» spiega compassato. «Sei abbastanza sveglio da fare due più due da solo, quindi dimmi se credi davvero che la mia non sia una proposta sensata,» lo interroga infine, sfidandolo a negare quel fatto.

Tony si spreca in un cenno d’assenso visibilmente forzato.

«È logicamente probabile che possa aiutarci. Oppure potrebbe ridurgli in poltiglia il cervello e ci troveremmo a fare i conti con un super-ragazzino fuori controllo,» sibila, lanciando un’occhiata sofferta a Peter e May, che fa del suo meglio per non trasalire a quelle parole crude.

«E che interesse avrebbe a farlo?» lo incalza Strange, con una singola traccia di curiosità a incrinare la sua compostezza.

Tony comprime le labbra e ammutolisce. May lo fissa con intensità, per poi accostarsi a lui e poggiargli gentilmente una mano sull’avambraccio per riscuoterlo.

«Tony? Perché dovrebbe voler far del male a Peter?» chiede, più pacatamente rispetto al Dottore nonostante la salda stretta della paura che le serra la gola.

Tony tentenna e sfugge il suo sguardo.

«Non le importa di lui.» Esita ancora per un istante. «Ma odia me, e ne ha buon motivo. E-- e questa sarebbe un’occasione perfetta per ferirmi,» conclude con rapidità, guardando ovunque tranne che nei suoi occhi e posando i suoi su Peter.

«Sono lo Stregone Supremo,» interviene improvvisamente Strange, con una palpabile aura di fierezza.

«Sì, mi sembra di avertelo sentito ripetere qualche dozzina di volte,» bofonchia Tony, approfittandone per ripararsi dietro la sua solita facciata di sarcasmo.

«Vuol dire,» scandisce l’altro con sottile irritazione, «Che Wanda e i suoi poteri ricadono teoricamente sotto la mia giurisdizione. E se ve ne sarà bisogno, sono del tutto in grado di impedirle di nuocere e punirla di conseguenza,» nel concludere Strange guarda direttamente May, che ha suo malgrado iniziato a mordicchiarsi le labbra.

«Non saprei,» prende tempo. «Non ho idea di chi sia questa Wanda e la descrizione di Tony non è incoraggiante,» constata, odiandosi per la propria irresolutezza.

«Capisco le sue preoccupazioni,» afferma conciliante Strange, per poi voltarsi verso Tony. «Ma forse possiamo offrire un piano alternativo?»

Il suo tono oscilla tra una domanda e un’affermazione, e nel parlare guarda l’ingegnere con fare eloquente. Lui incrocia di nuovo le braccia, facendosi più serio che mai e non accennando a spiccicare parola, quasi fosse incerto su quali usare.

«Hai detto di avere ancora quella tua tecnologia R.I.M.B.A, no?» lo incalza Strange.

«L’ho detto, sì,» replica laconico, ancora perso in chissà quali ragionamenti.

«Rimba?» ripete May fissandolo interrogativa, e lui inclina appena la testa con fare vagamente imbarazzato.

«Già, devo ancora perfezionare l’acronimo,» ammette, ma il suo sguardo finisce per ravvivarsi mentre si accinge a chiarirle la faccenda. «Retro-Inquadratura Mnemonica Binaria Ampliata. In poche parole: non ti piacciono i tuoi ricordi? Ti metti un paio di occhiali chic, li riscrivi da capo e vivi per sempre felice e contento,» conclude, con un tono indecifrabile che sembra rasentare il sarcasmo. «E tu pensi davvero che sarebbe utile?» chiede poi al Dottore, senza nascondere il suo scetticismo.

«Potrebbe renderci più facile raggiungere Peter, magari eliminare parte dello stress o smorzare una potenziale illusione. Ma sei tu l’esperto in questo campo.» Fa una breve pausa, arcuando poi le sopracciglia. «E sei stato tu a menzionare quest’opzione, prima,» gli ricorda poi senz’ombra di rimprovero, ma il cipiglio di Tony si accentua comunque.

May segue in silenzio quello scambio serrato, oscillando in bilico tra sollievo e disillusione mentre tenta di carpirne ogni dettaglio e sottinteso.

«Vero,» Tony schiocca la lingua irritato. «Ma ho anche detto che non mi sembra adatta a questo caso. Lui è–…» lancia un’occhiata scoraggiata a Peter, «È catatonico, e qui stiamo parlando di un processo volontario e sfiancante: bisogna concentrarsi sul ricordo da alterare e ricostruirlo passo passo. Non sempre funziona al primo colpo e, come se non bastasse, ti regala anche delle emicranie favolose,» conclude, passandosi una mano tra i capelli come di riflesso.

«Penso che valga la pena tentare,» si sente dire May, con più decisione di quanta ne senta in realtà, e sostiene lo sguardo perplesso di Tony. «Di sicuro mi fido più di te che di un’estranea. Nella peggiore delle ipotesi, avrà addosso un paio di occhiali hi-tech e gli verrà un brutto mal di testa,» dice, storcendo la bocca al pensiero e guardando Peter quasi a volersi scusare con lui.

Tony le rivolge un cauto cenno d’assenso, come restio a riporre troppe speranze in quell’idea.

«Possiamo provarci. È più sicuro farlo al Complesso; Banner sarà lieto di assisterci–…» si interrompe prima di partire per la tangente, guardando Strange con fare interrogativo. «A meno che tu non voglia diventare il nuovo doc ufficiale di Spidey.»

Strange scuote la testa.

«Seguirei volentieri da vicino il caso, ma sai che ho faccende urgenti di cui occuparmi,» replica impassibile come al solito, e guarda Tony negli occhi picchiettando sul suo medaglione, ottenendo un cenno d’assenso da parte sua.

Rivolge comunque un’occhiata vagamente dispiaciuta in direzione di May, in un accenno di scusa.

«Potete passare da me questo finesettimana,» continua allora Tony. «Prima sarò impegnato a scrollarmi il redivivo Segretario Ross di dosso,» spiega, con una smorfia di aperto disgusto mentre si alza un po’ vacillante.

«Bene, allora è tutto a posto,» commenta Strange in modo quasi vivace, indossando nuovamente i suoi appariscenti guanti gialli.

«Grazie per la sua assistenza, Dottore,» dice May, con sincera riconoscenza.

Lui si limita a sorridere tranquillo di rimando, già avviato verso l’uscita.

«È un bravo ragazzo,» aggiunge, accennando a Peter come se quella fosse una motivazione sufficiente; si volta poi verso Tony, con un cipiglio a metà tra il critico e il beffardo. «Tu, invece…»

«Ok, ok, ti devo un favore, Houdini,» si affretta a rispondere lui, sbrigativo. «Ti sei guadagnato quell’invito, forse,» brontola poi, accodandosi a loro per uscire dalla stanza.

Si ferma però appena oltre soglia, lanciando a Peter uno sguardo rattristato da sopra la spalla. May lascia che il Dottore avanzi verso il salotto, ed è giusto alla ricerca di qualcosa che sia in grado di rassicurare sia lei stessa che Tony, quando questi si affaccia dalla porta della camera, sporgendo dentro la testa con le mani appoggiate sugli stipiti:

«Ehi, ragazzo! Lo so che ci sei, quindi stammi a sentire!» esordisce, a voce leggermente più alta del normale. «Te lo dico tanto per dire: Pepper non vede l’ora che tu venga di nuovo a cena da noi, a Rhodey manca raccontarti storielle imbarazzanti su di me e la squadra mi sta assillando da giorni per conoscerti. E io ho un paio di diavolerie in laboratorio che avrebbero bisogno di una sistemata congiunta.» S’interrompe, prendendo un breve respiro. «Così, tanto per fartelo sapere,» conclude con uno dei suoi sorrisi sbilenchi, per poi ritrarsi e raggiungerli in salotto con aria soddisfatta e sollevata al contempo.

«Non ti facevo così sdolcinato,» commenta divertito Strange, facendogli alzare gli occhi al cielo, ma non c’è malizia nelle parole dello stregone, né vero risentimento nella reazione dell’ingegnere.

May sorride tra sé nel vederli battibeccare e fare allo stesso tempo fronte unito per aiutare lei e Peter. Strange apre un portale con ampi movimenti circolari del braccio, e in un batter d’occhio Villa Stark fa capolino dall’altro lato; è il primo a entrare, e aspetta dall’altro lato che Tony faccia lo stesso. Lui invece si gira verso May, con un’espressione incerta stampata in faccia.

«Riguardo alla stre-- a Wanda… non penso che tu debba scartare definitivamente l’idea,» riesce a cavarsi fuori di bocca con notevole sforzo, e May si limita ad ascoltare attenta, in quanto è raro che Tony Stark ritratti le proprie opinioni. «Ma prima voglio assicurarmi che non sia in cerca di vendetta per quello che le ho fatto. Ci sono ancora molti conti in sospeso tra noi. Tra tutti noi, in realtà,» aggiunge, e il suo sguardo sprofonda ai suoi piedi mentre scuote affranto il capo. «Mi dispiace, sto solo peggiorando le cose e non faccio che mettervi i bastoni tra le ruote e-- non dovrei nemmeno essere qui per-- mi dispiace e basta,» ripete infine ingarbugliandosi, e rialza appena la testa evitando però di guardarla direttamente.

May si lascia sfuggire un lieve sospiro, rivolgendogli un’occhiata rassegnata nel constatare che non ha perso il vizio di addossarsi sempre la colpa per tutti i mali del mondo, nonostante l'abbia salvato.

«Hai riportato indietro Peter, l’hai protetto in ogni modo possibile e immaginabile e gli hai dato molto di più di un costume nuovo e qualche gadget hi-tech.» Sorride nel vedere Tony che solleva gli occhi, fattisi un poco più grandi per lo stupore. «Non ho nulla da rimproverarti, e neanche tu dovresti,» conclude, posandogli una mano rassicurante sulla spalla a conferma di quelle parole.

Lui non risponde subito, come se fosse impegnato a registrare quelle parole e a dare loro senso compiuto.

«Quindi sono finalmente perdonato per non averti detto subito del nostro ragnetto in incognito?» articola infine, con un furbo sorriso finale chiaramente volto a celare la sua emozione, che riverbera però inconfutabile nei suoi occhi ora leggermente lucidi.

«Non me lo ricordare,» lo avverte con un finto cipiglio severo, piazzandogli minacciosa l’indice a un palmo dal naso.

Tony libera un’ultima risatina scanzonata e un po’ rotta prima di prestare finalmente ascolto all’ennesimo, esasperato richiamo congiunto di Strange e Pepper e attraversare il portale con un saltello svogliato. May fa un sentito cenno di saluto ai tre dall’altro lato, poi il portale svanisce con uno sbuffo finale di faville.
Rimane per qualche secondo a fissare quel punto, prima di dirigersi nuovamente verso la stanza di Peter. Il suo corpo sembra essersi fatto più leggero, e la testa meno densa di pensieri.
Aveva dimenticato quanto fosse bello avere una famiglia.
 
§
 
May lancia un’altra occhiata all’orologio, sapendo che sarà un’altra lunga, lunga notte, a dispetto di tutti i progressi della giornata appena trascorsa. Entra in salotto, dove Peter si è trasferito di sua volontà da una decina di minuti per stendersi sul divano; si siede accanto a lui, sollevandogli la testa per posarla in grembo. Lui non si ribella e si limita a stringere con più forza il plaid, con la mascella rigida e le nocche sbiancate. I suoi occhi rimangono fissi sulla pelle del divano, ma si sbarrano appena, come se si stesse preparando ad affrontare nemici che hanno contorni reali solo nella sua mente.

May ripensa alle parole di Strange, e a come Tony gli abbia parlato poco fa: può sentirli, ovunque sia in quel momento. Semplicemente, non può rispondere. Si china su di lui e posa una mano delicata sulla sua guancia prima di parlargli con voce morbida:

«Pensiamo tutti a te, Pete, l’hai sentito. Io, Tony, Pepper, Ned, MJ, Strange, Rhodey, i tuoi compagni di squadra…» prosegue ad elencare quanti più nomi possibili tra tutti i suoi amici, insegnanti, compagni di scuola, conoscenti, persone salvate da Spider-Man, continuando ad accarezzargli la guancia. «Ti stiamo aspettando tutti.»

Gli occhi di Peter sono ora ridotti a due fessure, come se fosse finalmente sul punto di addormentarsi. May gli accarezza i capelli, pettinando dolcemente all’indietro le ciocche castane e morbide che gli si arricciano sulla fronte pallida, in un gesto familiare sin da quando era poco più di un neonato.

«Vorrei che Ben fosse qui,» sussurra poi, appena udibile e senza neanche volerlo, prima di posargli un bacio leggero sulla tempia.

Peter freme e si contrae, rannicchiandosi un poco; May quasi sobbalza e subito il torpore lascia il posto a uno stato di massima attenzione. Le ci vuole comunque qualche istante per realizzare che Peter sta piangendo in silenzio. Lo fissa frastornata, oscillando tra preoccupazione e sollievo, perché quella è comunque una reazione, è suo nipote che cerca di parlarle anche se non può farlo a parole. Lo stringe a sé, con il viso premuto contro la sua spalla, e riesce a ricacciare indietro le lacrime in procinto di unirsi a quelle di Peter; lui agita a tentoni una mano e le stringe goffamente il braccio in una presa appena percettibile, ed è come se con quel gesto una parte del peso insostenibile che la comprime al suolo scivolasse via dalle sue spalle. Chiude gli occhi, stringendolo a sé. Peter è lì, da qualche parte; è con lei. E lei sta facendo ciò che ha sempre fatto, ovvero proteggerlo, sostenerlo e amarlo in tutti i modi possibili.

Riapre gli occhi dopo quelli che sembrano pochi minuti, e si ritrova ad ammirare dalla finestra la tenue, livida luce grigiastra che annuncia l’alba e che inizia a rischiarare la skyline di New York. Peter è ancora sveglio tra le sue braccia, aggrappato debolmente a lei, col respiro tranquillo a sollevargli il petto e gli occhi scuri e calmi che cercano il suo volto rassicurante.
Gli scompiglia i capelli in un gesto affettuoso, con un sorriso che tremola agli angoli delle sue labbra nonostante Peter non abbia dormito neanche quella notte.
 
Ma almeno lei sa che sta facendo la cosa giusta, esattamente come avrebbe fatto Ben.



Note Dell'Autrice:

Buonasera, buonasera! *voce da Mike Bongiorno*
Ok, scherzi, fluff e compagnia bella a parte: questo è il capitolo in cui ho gettato gran parte dei miei headcanon inespressi, il più rilevante dei quali riguarda Wanda.

Spiegone: in AoU Tony si rifiuta di credere che la visione che ha avuto sia stata causata dalla Strega Scarlatta, come cerca appunto di dirgli Fury. In realtà non mi è chiaro se Fury stia tirando a indovinare col fatto della manipolazione (in quanto non era in Sokovia e Tony non è stato attaccato da Wanda in Nigeria); sta di fatto che Tony sottolinea più volte di "non essere stato ingannato" (I wasn't tricked, I was shown). Il resto sono mie speculazioni, e il sospetto di Tony di essere stato tenuto all'oscuro dai suoi compagni (in realtà ignari sia nel MCU che in questa storia) è da ricondurre alle sue solite paranoie/diffidenza. Il ruolo di Strange come una sorta di giudice e supervisore di utilizzatori di magia è pure un mio headcanon, derivato dai fumetti, in cui è comunque tra i più potenti utilizzatori delle arti mistiche/magiche, assieme appunto a Wanda.
Come ho già accennato, non entrerò nel dettaglio di come il mondo sia stato riportato alla normalità, ma sottintendo un utilizzo delle Gemme e il fatto che esse siano integre e adesso nascoste.

Papiri a parte, spero che abbiate apprezzato questo capitolo, in particolare l'introduzione di un certo Dottore ;) Il titolo è una citazione dal libro Il Piccolo Principe, ovviamente a tema responsabilità, sennò che Spider-Man sarebbe?
Ringrazio T612 per aver recensito gli scorsi capitoli e la mia beta _Atlas_ per il supporto pratico e morale nella traduzione di questa storia <3 E grazie anche a tutti coloro che l'hanno aggiunta nelle seguite/ricordate/preferite! (E come sempre, ogni recensione è più che gradita) :D

Non mi dilungo ulteriormente: a sabato prossimo!

-Light-

P.S. Link al capitolo originale -> You are responsible for your rose 

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Capitolo 5
*** Il prigioniero ***


5
Il prigioniero


 
“I look inside myself
And see my heart is black
I see my red door

I must have it painted black
Maybe then I'll fade away

And not have to face the facts
It's not easy facin' up

When your whole world is black”
 
[Paint It, Black – The Rolling Stones]
 
 
 
          Respirare diventa sempre più difficile.

Ha l’impressione non riuscire a incamerare abbastanza ossigeno, non importa quanto si sforzi: c’è un macigno sulla sua cassa toracica che gli comprime lentamente e dolorosamente i polmoni.
Ha l’impressione di essere di nuovo sotto le macerie.

Il ricordo dell’edificio crollato continua a emergere, insistente, e non riesce a smettere di pensare che ciò che è accaduto su Titano sarebbe dovuto accadere proprio sotto quelle macerie. L’edificio avrebbe dovuto schiacciarlo, fermando il suo cuore e il suo respiro, confondendo i suoi resti con la polvere sottile dei calcinacci. Sarebbe dovuto morire tempo fa. Non riesce a spiegarsi come non sia potuto accadere, come sia riuscito a sfuggire alla morte solo per essere ridotto in cenere due anni dopo su Titano.
Il destino sa essere beffardo.

E adesso che vi è sfuggito di nuovo non può fare a meno di temere che qualcos’altro arriverà a disintegrarlo, stavolta per sempre. Stavolta la sua gabbia toracica cederà di schianto, spappolandogli i polmoni, o magari finirà per dissolversi di nuovo nell’aria mentre il suo senso di ragno grida agonizzante.

Invece è intrappolato in questo mondo inquietante e tinto di giallo, nel quale respirare si fa sempre più difficile. Riconosce ciò che lo circonda: i luoghi, i volti, le voci, ma gli sembrano così fasulli, così irreali. Tutto è immerso in una sfumatura ambrata e angosciante – persino le voci suonano gialle, e sembrano settate su una frequenza più grave, disturbata.

Si è chiesto a lungo – non sa dire con esattezza quanto – se ciò che vede sia reale o se sia solo una parte meno raccapricciante del vuoto arancione in cui è stato scaraventato, o magari una proiezione della sua mente che tenta di impedirgli di diventare pazzo. Il punto è che sta comunque diventando pazzo, quindi ha smesso di mettere in discussione la materialità di ciò che vede o sente, bollando il tutto come mera illusione.

E tutti sanno che non si deve parlare con le illusioni, o rischiano di diventare reali. E soprattutto non può abbandonarsi al sonno, o rischierebbe di non svegliarsi mai più.

Così tace e tiene gli occhi spalancati, paralizzato in quel mondo falsamente invitante che non può permettersi di raggiungere se non vuole perdersi per sempre.
 
§
 
I dubbi emergono a più riprese, subito scacciati dalla coscienza che tutto ciò non è reale.

È la Gemma che cerca di convincerlo a non lasciare i suoi meandri, così da privarlo anche dell’ultima goccia di linfa vitale. È la Gemma che gli presenta le immagini artefatte di zia May che lo bacia sulla fronte e lo stringe a sé accogliendolo a casa, di Iron Man ferito e in lacrime che lo abbraccia su Titano, di MJ e Ned che gli parlano con occhi lucidi in camera sua cercando di ottenere una reazione.
Quella forza malefica attinge dalla sua stessa mente, rivoltandola alla ricerca di ciò che più gli è caro, manipolando ciò che vorrebbe veder accadere per poi materializzarlo e presentarlo davanti ai suoi occhi per convincerlo a cedere.

Sa che è un’illusione, ma quella certezza inizia a sfrangiarsi quando vede May farsi sempre più preoccupata, più triste. È un’immagine che rema contro il piano della Gemma: non vorrebbe mai rimanere intrappolato in un’illusione simile. Quella certezza pencola, e barcolla, e oscilla sempre più, ma si impone di tenere bocca chiusa e occhi aperti perché anche quello potrebbe essere un trucco, finché non la percepisce schiantarsi in mille pezzi in fondo alla sua mente.

Ha sempre avuto una fervida immaginazione, ma quello che gli sta dicendo ora il signor Stark, Iron Man, l’eroe che ammira di più sull’intero pianeta, esula da qualunque fantasticheria che avrebbe mai potuto concepire, e mette a tacere l’irrealtà del sentirlo pronunciare più di due parole su di sé. La sua voce è distante, ovattata, il suo volto è distorto dal velo ambrato che gli offusca lo sguardo, ma quella non è un’illusione. È troppo accurata, troppo amara e intensa per essere frutto della sua mente o l’elucubrazione di una Gemma cosmica, distante dalle emozioni e sofferenze umane.

Rimane in ascolto della storia di Iron Man, quella vera, e se da una parte riesce a rallegrarsi del fatto che tutto ciò stia accadendo veramente, dall’altra sente le parole scivolargli via dalla testa non appena le ascolta, lasciando solo una vaga impressione a lambirla. Poi sente un freddo terrore risalirgli le membra quando si rende conto che non può parlare, non può muoversi, anche adesso che vorrebbe compiere quei semplici gesti con tutto se stesso. Dopo un tempo e uno sforzo che gli sembrano interminabili riesce a sollevare una mano per stringere quella del signor Stark, aggrappandosi alla nuova certezza di essere davvero lì, anche se non del tutto. È arenato a metà strada, tra la freddezza di un mondo deserto e tinto di falso oro e il calore di chi gli vuol bene che trapela appena attraverso la membrana della sua mente paralizzata.

Non sa ancora come riuscirà a dissipare quella nebbia giallastra che lo tiene prigioniero rendendogli difficoltoso il respiro. Ma lui è Spider-Man, ha Iron Man al suo fianco e zia May a coprirgli le spalle, e lei da sola vale quanto tutti i Vendicatori messi insieme.

Non potrebbe desiderare compagni di squadra migliori.
 
§
 
Si è abituato alla rigidezza del proprio corpo e al fatto di non poterlo muovere come desidera, così come a non sentirlo come parte di sé per la maggior parte del tempo – una sorta di marionetta appesa ai suoi arti con fili invisibili e rigidi come piombo. Ci sono dei frangenti in cui la pressione che lo schiaccia si allenta, permettendogli qualche goffo, breve sprazzo di vitalità, ma è quasi sempre bloccato sotto quelle macerie inamovibili.

Ma ciò che lo frustra di più è la sua voce scomparsa, le parole che si rifiutano di salirgli alle labbra. Può sentirle accumularsi contro le corde vocali facendole tendere fino allo stremo, e ogni volta che sembrano trovare una fessura in quel muro invisibile vengono semplicemente ricacciate indietro, dentro al vortice interiore che sta minacciando di farlo impazzire e risucchiarlo a sua volta.
Vorrebbe chiamare May e dirle di non preoccuparsi, ma non ci riesce. Vorrebbe chiamare il signor Stark e dirgli che non è colpa sua, ma non può. Vorrebbe dire a entrambi quanto è felice nel saperli entrambi vivi, ma non ci riesce, maledizione. La Gemma ha semplicemente deciso di chiudere a doppia mandata la sua gola e di gettare poi la chiave dentro al vortice.

In questo momento ha almeno la consolazione di poter percepire il proprio corpo; o almeno, quello che immagina esser il suo corpo e che sente solo come un’ombra di percezione che fa da contenitore ai battiti del suo cuore. Gli costa sempre un grande sforzo rimanere vigile e cosciente di ciò che avviene attorno a sé, ma a volte la sua presa sulla realtà si allenta del tutto e ogni senso si annebbia facendolo scivolare in uno spiacevole torpore. In quei momenti è di nuovo sotto le macerie, o chiuso in un armadietto buio a scuola, o bloccato in un ascensore, e tutto ciò che può fare è sforzarsi di respirare per impedire che i suoi polmoni si tramutino in blocchi di cemento.

Prova a muoversi, ma come sempre solo un flebile impulso raggiunge i suoi arti, non abbastanza per controllarli. Si sforza di mettere a fuoco qualcosa, e la sua testa inizia a pulsare come se volesse spaccarsi in due. La sua vista si sdoppia per un istante: da una parte un vuoto ambrato e senza fine; dall’altra i contorni di una stanza sconosciuta. Si concentra su quest’ultima, incapace di sbattere le palpebre per alleviare la secchezza dei suoi occhi brucianti, ma riesce infine a scacciare la pesante cappa che li offusca.

Non è più a casa.

Un fiotto di puro, irrazionale panico gli rivolta le viscere.

Dove si trova? Quando l’hanno spostato? Chi l’ha spostato? E perché non ricorda nulla?

Quelle domande gli mozzano il respiro.

Si era infine addormentato?

A quel punto non riesce a reprimere il tremore che prende a fargli vibrare la spina dorsale. Vorrebbe solo poter chiudere davvero gli occhi; ma non può concederselo, quella è l’unica cosa che può e non deve fare, se non vuole tornare nel deserto dorato che l’ha tenuto ostaggio fino ad allora. Il solo pensiero lo annichilisce, così lascia che il suo corpo si arrenda alla paura, nella remota speranza che tutti quei brividi lo aiutino almeno a rimanere sveglio.

«Tesoro, cos’hai?» 

È la voce di zia May, proprio alla sua sinistra, ma non riesce ad obbligarsi a girare la testa: è troppo faticoso e i suoi muscoli sembrano già sul punto di strapparsi di netto. Si sente sfiorare la guancia da una mano liscia e tiepida, e May entra nel suo campo visivo. Riesce a contare ogni singola linea di preoccupazione sulla sua fronte e ogni ombra violacea attorno ai suoi occhi, anche se tutto è distorto da quel terrificante vetro ambrato.

«Stai tranquillo. Sei al sicuro,» lo calma May, pur con una nota d’ansia che si intreccia alle sue parole.

Gli prende brevemente il volto tra le mani, morbide e confortanti, e Peter si trova a sperare che non lo lascino più, ma ben presto il calore che gli lambisce la pelle sfuma, sostituito da una patina gelida. May si scosta da lui, rimanendo in un punto da cui può solo intravederla con la coda dell’occhio. Vorrebbe avere di nuovo la forza di abbracciarla come ha fatto prima – quando sarà mai stato? – ma si sente troppo debole persino per tenere in riga i propri pensieri, figurarsi per muoversi.

Cerca comunque di capire dove si trova ed è con difficoltà che riconosce un laboratorio, probabilmente quello al Complesso; non si sforza troppo di radunare altri ricordi al riguardo, visto che in precedenza si è rivelato un processo inutilmente doloroso. Sa solo che è seduto su una comoda sedia da ufficio, con le punte dei piedi che toccano il pavimento. Riesce a sbattere un paio di volte le palpebre e quel movimento gli invia una scossa atroce ai nervi ottici. Si irrigidisce, trema, digrignando i denti e desiderando di poter almeno esternare verbalmente il suo fastidio.
In quel momento un’altra mano, più grande e salda di quella di May, si posa sulla sua spalla stringendola con delicatezza.

«Ehi, ragazzino, non ti agitare. Ci siamo qua noi.»

La voce bassa del signor Stark raggiunge i suoi timpani ovattati, e Peter si sente più al sicuro nel sapere che sono entrambi lì con lui. Sa che è una considerazione infantile, ma non vuole rimanere da solo, non quando tutto ciò che vede è filtrato da un’orrida lente gialla.

«Allora, li hai testati?» interviene una terza voce maschile e sconosciuta alle loro spalle.

La mano del signor Stark si sposta leggermente, come se si stesse voltando verso l’interlocutore.

«Certo: funzionano a meraviglia e mi hanno già fatto venire un mal di testa tremendo,» risponde, concludendo la frase con un lamento smorzato.

«Quindi possiamo procedere?» chiede ancora l’altra voce, accompagnata da uno scalpiccio di passi pesanti. 

«Direi di sì…»

Il signor Stark lascia la sua spalla, e un istante dopo è di fronte a lui. Ha l’aria di non dormire da un mese ed è accigliato, anche se il principio di uno dei suoi soliti sorrisetti fa capolino agli angoli delle labbra. Tiene in mano uno strano paio di occhiali, che fa girare su se stessi tenendoli per una stanghetta. Prima di riprendere a parlare si accovaccia davanti a lui, portandosi a livello dei suoi occhi per permettergli di guardarlo.

«Ok, Pete, questo è il tuo biglietto per uscire di lì, ovunque tu ti sia cacciato,» esordisce, quasi allegro. «Dacci un altro paio di minuti e ti tiriamo fuori,» conclude incoraggiante, senza interrompere il contatto visivo come ad assicurarsi di essere ascoltato.

Peter non può dargli alcuna conferma, ma si concentra intensamente su ogni singola parola, cercando di non farne sfuggire neanche una attraverso le maglie allentate della sua mente intorpidita. Ripete tra sé quelle semplici frasi, cogliendone a rilento il significato: può uscire di lì, può tornare normale, può sollevare quel sipario giallastro dai suoi occhi. Qualunque piano stia architettando il signor Stark, funzionerà, come tutto ciò che crea. Cerca di rimettere in carreggiata i propri pensieri, impedendosi di distrarsi.

È difficile trattenere le informazioni che registra: i giorni passati – o settimane, o mesi, non lo sa di preciso – non sono che una macchia confusa e intrisa di paura.

Titano si staglia nitido su quello sfondo sfocato: prima il dolore straziante di dover lasciare di nuovo sola zia May e il signor Stark a credere che fosse tutta colpa sua; poi il vuoto, interrotto solo dalla crudele sensazione di riavere il proprio corpo per poi sentirselo sottrarre nuovamente. Ricorda May che lo culla come quando era piccolo, cercando di farlo addormentare e parlandogli sottovoce, ma potrebbe anche essere un ricordo molto più remoto. Ricorda il signor Stark che gli racconta di Iron Man e di molte altre cose che non riesce a richiamare con chiarezza – e ha la sensazione che sia meglio così. Ricorda quanto è stato sfiancante abbracciare May quando ha menzionato zio Ben. Quel momento è impresso a fuoco nella sua mente ed è felice di averle dato almeno un briciolo di conforto, anche se poi si è messo a piangere come un bambino – perché è colpa sua se Ben non è con loro.

Si sente strizzare il cuore come uno straccio bagnato. May ha sempre fatto del suo meglio e non le ha causato altro che dolore e preoccupazioni. Per lei vale la pena compiere ogni sforzo che sia in suo potere, anche se non sarà comunque mai abbastanza per ripagarla di tutto.

«Tony, mi garantisci che è sicuro, vero?»

Le mani gentili di May si posano sulle sue spalle, da dietro; non riesce a raggiungerle, stavolta. È così frustrante, così avvilente non avere alcun controllo sul proprio corpo, e adesso è così esausto che non ci riuscirebbe neanche mettendoci ogni fibra del suo essere. Maledizione, è Spider-Man: ha sollevato un intero edificio da solo e adesso non riesce nemmeno a sollevare un dito. Si sente ribollire di frustrazione. 

«Lo è. Li ho usati più volte e sono ancora vivo e vegeto. Ma a dirla tutta, non so come reagirà,» risponde il signor Stark, soppesando gli occhiali sul palmo.

Punta lo sguardo oltre la sua spalla, in direzione di May, per poi riportarlo su di lui e fare un mezzo sospiro.

«Sicuramente ci stai odiando per parlare di te come se non ci fossi, ma ti prometto che tra poco ce lo potrai rinfacciare di persona,» conclude, sollevando gli occhiali per permettergli di vederli chiaramente.

Peter prende nota dei sensori che spuntano dalle estremità delle stanghette, e maledice il suo cervello annebbiato e sprofondato in una melassa torpida: fino a qualche tempo prima si sarebbe slanciato nelle più svariate ipotesi sul loro funzionamento, adesso è invece costretto a guardarli vacuamente senza che la minima nozione scientifica lo illumini su cosa siano o a cosa servano.

Qualcuno si muove alle spalle del signor Stark, fermandosi a un paio di passi da lui con le braccia strettamente incrociate sul petto. Peter non osa distogliere lo sguardo dagli occhiali per evitare di perdere la sua messa a fuoco traballante, ma dal camice e dalla postura gli sembra di riconoscere il dottor Banner – Hulk. Non sa esattamente come interpretare quell’informazione, ma conclude che più menti geniali ci sono nei paraggi, tanto meglio per lui.

«Brucie, preparalo, vuoi?» lo sprona il signor Stark, e nonostante il tono quasi gioviale i suoi occhi rimangono seri e fissi su Peter; sente May che gli accarezza leggera le spalle, in un riflesso nervoso.

Bruce gli si fa prontamente incontro, assicurandogli al polso quello che sembra un orologio.

«Questo serve solo a monitorare il tuo battito cardiaco e la pressione sanguigna,» spiega pacatamente, per poi piazzargli sulle tempie quelle che sembrano delle piccole ventose. «E queste sono per le tue onde cerebrali, così sarai coperto su tutti i fronti.»

Peter inizia a sentirsi abbastanza inquieto per tutti quei “preparativi”. Segue i movimenti del dottore con la coda dell’occhio, prendendo nota di come i suoi lineamenti sembrino rilassati. Non è esattamente il tipo di persona che assocerebbe ad Hulk. La sua parte infantile si chiede per un istante se la sua controparte verde e mostruosa apparirebbe egualmente gialla ai suoi occhi, se si trasformasse adesso, ma scaccia rapido il pensiero: ha faccende più urgenti a cui pensare.

«Adesso che sei pronto, ti presento questi gioiellini,» il signor Stark agita con un certo orgoglio gli occhiali a mezz’aria, per poi posare la mano che li tiene sul suo ginocchio.

Peter è grato di avere un contatto fisico sia con lui che con May; per quanto suoni ridicolo, lo aiuta enormemente a rimanere concentrato, presente a se stesso, oltre ad essere intrinsecamente rassicurante, come se potessero afferrarlo in caso di caduta.

«Dovrebbero aiutarti ad eliminare i brutti momenti che hai vissuto ultimamente. Se riesci a cestinarne una parte, o a modificarli come preferisci, ti renderanno più semplice comunicare con noi, e a noi con te. Almeno, questo è il piano,» aggiunge, come se temesse di sperarci troppo. «Ho apportato qualche miglioramento, così non dovrai proiettare fisicamente i tuoi ricordi: avrai la tua privacy e sarai l’unico a poterli vede qui sopra,» spiega, ticchettando con l’unghia sulle lenti leggermente opache.

Peter annuirebbe, se solo potesse, ma è costretto a guardarlo con occhi vacui, mentre l’ingegnere si domanda probabilmente se non farebbe meglio a parlare col muro invece di sprecare il suo tempo con un ragazzino catatonico che l’ha quasi fatto uccidere. Soffoca quel pensiero, ma quello continua a strisciare nel retro della sua testa, pronto a far di nuovo capolino come un cobra velenoso. 

«Non devi fare altro che concentrarti su un ricordo spiacevole. Uno che--» balbetta per un istante, distogliendo altrettanto brevemente lo sguardo. «Magari potresti iniziare da ciò che è successo su Titano, visto che è da lì che è partito tutto,» dice d’un fiato, sforzandosi chiaramente di mantenere un tono noncurante.

Peter percepisce il suo senso di ragno mandare un lieve impulso allarmato, anche se non c’è alcun pericolo in vista: gli succede sempre quando si sofferma su quel momento e non è affatto certo di poterlo rivivere per eliminarlo o “aggiustarlo”.

«Comunque, la scelta è tua, basta che tu scelga un-- un ricordo degno, se mi passi il termine. Questo gingillo non è piacevole da indossare e ti ritroverai con un bel mal di testa, quindi non voglio che lo usi più del necessario.» Si umetta le labbra prima di concludere: «E non lasciarti trascinare dai ricordi. Gestire un sovraccarico può essere… complicato, fidati. Quindi scegline uno, mantieni la scelta e lavoraci sopra, capito?»

Il signor Stark gli rivolge un sorrisetto fiducioso, poi lancia un’occhiata in direzione di May e fa un lieve cenno col capo, come se avesse appena ricevuto il via libera da lei.

«Allora, ci siamo,» annuncia, tirandosi in piedi e facendo scivolare con cura le stanghette degli occhiali dietro le sue orecchie, raddrizzandoli poi sul naso e assicurandosi che i sensori aderiscano per bene alla sua testa.

Peter sente i capelli sulla nuca rizzarsi all’istante e un lieve, molesto ronzio che prende a riverberargli tra le orecchie, attraverso il cranio. Un anello di pressione inizia a comprimergli la testa, e socchiude gli occhi in un riflesso involontario. La sua vista rimane limpida, sebbene ancora imbevuta di una tinta ambrata, e potrebbe quasi far finta di stare indossando un paio di quei buffi occhiali da festa colorati e scadenti. Si impone ancora una volta di rimanere concentrato, e sente la bocca farsi secca mentre cerca di ricordare — prima di tutto, in effetti, dovrebbe capire come ricordare qualcosa con il cervello che sembra essere diventato una massa inerte e gelatinosa nella sua scatola cranica.

«Puoi andare, Peter,» dice Banner. «Saremo pronti a intervenire nel caso dovessi mostrare segni di stress.»

Peter è scettico sul fatto che il suo corpo sia in grado di reagire in modo consono a qualsivoglia stress dovrà sopportare di lì a pochi secondi – sempre che riesca a far riattivare le sue sinapsi avvizzite – ma al momento non è nelle condizioni di protestare.

Percepisce zia May posargli un bacio leggero sulla testa, cingendogli ancora le spalle, e il signor Stark che gli stringe esitante il polso libero. Si concentra su quelle sensazioni, che lo aiutano a rimanere presente a se stesso, ancorato a terra. Punta lo sguardo sulle lenti ambrate, mentre immagini sfocate già iniziano a farvi capolino, e riversa ogni stilla di energia nel dare loro forma e consistenza. Riesce a prendere un respiro più profondo, per quanto qual semplice gesto sia sfiancante, e sente la stretta di May e del signor Stark aumentare appena.

«Andrà tutto bene, tesoro.»

«Forza, ragazzino. Ce la puoi fare.»




Note Dell'Autrice:

E rieccoci qui, finalmente con il primo PoV Peter!
Questo è forse il capitolo che differisce di più dall'originale inglese, tra parti aggiunte e modifiche alle varie sequenze e, per chi ha letto l'altra versione, spero apprezziate i cambiamenti :)

Ci tengo a sottolineare che tengo in altissima considerazione il potenziale di Peter (che hanno "nerfato" nel MCU) e che se vi sembra "debole" in questo contesto è solo perché sta effettivamente contrastando il potere di una Gemma dell'Infinito, un artefatto che persino Wanda ha avuto difficoltà distruggere e il cui utilizzo strema Thanos. Nella sua resa ho voluto mediare tra la versione fumettistica e quella del MCU, tenendo conto della giovane età e del suo vissuto fino ad ora, oltre che della sua condizione particolare (e del fatto che qui non compare nelle vesti di Spider-Man).
Chiusa questa parentesi, ovviamente tutte le digressioni tecniche presenti nel capitolo sono come sempre miei headcanon plausibili ma di improbabile realizzazione pratica.

Ringrazio come sempre la mia cara beta _Atlas_ per la revisione e per aver recensito gli scorsi capitoli, così come T612 e tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite (orsù, fatevi avanti! :'D <3)

Per il prossimo capitolo ci sarà un appuntamento anticipato a giovedì, visto che questo finesettimana non ci sarò, e anche il successivo arriverà prima di sabato, data la brevità del prossimo capitolo.
A presto,

-Light-

P.S. Link al capitolo originale (la traduzione include solo la prima sezione) -> There's Always a Light at the End of the Tunnel
P.P.S. Colgo l'occasione per sottolineare che non ho ancora visto Capitan Marvel, quindi se qui dovessero esserci discrepanze col film in qualunque aspetto (per esempio riguardo alle Gemme), vi prego di non farmelo notare adesso, grazie <3



 

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Capitolo 6
*** Soluzioni che portano problemi ***


6
 
Soluzioni che portano problemi
 
 
 
“Rows of houses
All bearing down on me
I can feel their blue hands touching me
All these things into position
All these things we'll one day

Swallow whole
And fade out again

And fade out”
 
[Fade Out (Street Spirit) – Radiohead]
 
 

 
          Ovviamente, è di nuovo su Titano. La sabbia di un arancione bruciato è la prima cosa a ferirgli la vista, assieme al cielo giallognolo che avvolge il pianeta. Inizia a odiare quei colori asfissianti, ed è lieto che il suo costume, almeno nel ricordo, sia di un rosso-blu acceso e vivace, a spezzare quella spenta monocromia.
 
Non c’è nessun altro oltre a lui: è da solo in mezzo alle rovine.
 
Il paesaggio sfarfalla per un istante, come una di quelle vecchie tv che oscilla tra i vari canali nel tentativo di sintonizzarsi su quello giusto: intravede un vicolo, poi un’affollata strada newyorkese, poi il traghetto a Staten Island, per poi stabilizzarsi di nuovo su Titano. C’è anche lo scorcio di un edificio crollato – di quell’edificio – e cerca di scacciare l’immagine prima che assuma contorni troppo definiti.
Non è quella che gli serve adesso: deve tornare al momento delle ceneri e del vuoto che le ha seguite, così da poterlo modificare e riuscire forse ad evadere dal limbo angosciante che lo tiene prigioniero – così ha detto il signor Stark, e deve fidarsi di lui.

Il pensiero di ciò che lo aspetta lo impietrisce, ma lui e zia May sono sicuri che ce la possa fare. Dopotutto è Spider-Man e un futuro Vendicatore; ha affrontato di peggio, inclusa la morte per poi sfuggirle. Modificare un paio di ricordi non sembra poi così difficile. Si impegna a indirizzare ogni sua sinapsi nel rivangare quelle immagini che, nel profondo, sembrano incatenargli la mente, bloccandolo nell’istante in cui si è dissolto. Ormai non ha più percezione del proprio corpo, ma ciò lo aiuta a immergersi meglio nei ricordi.

Inizia a rievocarli, con attenta cautela, timoroso di risvegliarli in modo troppo potente.
 
Era su Titano, e insieme a lui c’era il signor Stark. È il più semplice da mettere a fuoco e lo visualizza immediatamente di fronte a lui, con l’armatura addosso e il classico cipiglio di malcelata preoccupazione riservato a lui stampato in faccia. Lo Stregone richiede qualche secondo in più, ma riesce infine a collocarlo in quello spazio onirico mentre fluttua a gambe incrociate e occhi chiusi a una spanna da terra, col mantello a fargli da contorno. Per quanto si sforzi di scavare nei recessi della sua mente, non riesce a ricostruire le fattezze degli altri presenti: i loro volti rimangono macchie indistinte di colore, prive di lineamenti, e si aggirano come burattini informi sulla scena.
 
Manca Thanos. Gli è dolorosamente facile richiamarlo: stazza possente, sguardo freddo, la gigantesca mano omicida avvolta dal guanto bronzeo. Può quasi sentirla chiudersi ferocemente attorno al suo collo per poi inchiodarlo a terra di schianto, strizzandogli l’aria fuori dai polmoni…
 
 

… È di nuovo sotto le macerie.

I piloni si sbriciolano, i muri cedono, il soffitto gli crolla addosso. Polvere, calce e sangue gli riempiono la bocca, il pulviscolo gli impasta la lingua e si incolla alla gola mentre singhiozza per il dolore. Un cumulo di detriti inamovibile pesa sulle sue spalle come una pressa idraulica, schiacciandolo e comprimendolo finché il suo respiro non si riduce a un rantolo flebile e patetico, un refolo stentato che sibila tra le sue labbra spaccate.

Cerca di sfuggire a quella frana di sensazioni che gli è piombata addosso: deve rimanere su Titano, deve completare la sua missione per tornare dalle persone che ama…
 

 
… Di colpo non è più sotto le macerie, ma in un’ampia strada affollata.

I lampioni sono accesi e decine di taxi gialli arrancano a passo d’uomo nel traffico congestionato, mentre pendolari affrettati lo spintonano per raggiungere la stazione della metro dietro di lui, con svelte nuvolette di vapore che si levano sopra le loro teste. I grattacieli di New York si slanciano verso il freddo cielo notturno, osservando silenziosamente il brulichio umano ai loro piedi.

Peter sente chiaramente l’aria che lo circonda farsi più rarefatta, come se fosse nuovamente aggrappato all’astronave in decollo, e una parte di lui vorrebbe che fosse davvero così – di poter scomparire nello spazio profondo adesso, piuttosto che rimanere lì. Conosce quella strada.

Il suo senso di ragno va in tilt, anche se sa già cosa sta per accadere e sa di non poterlo impedire – ha avuto la sua occasione, l’ha sprecata, e adesso è troppo tardi.
 
Lo sparo lo coglie comunque di sorpresa e gli fa balzare il cuore in gola.
Sa esattamente dove guardare – anche se non vuole, anche se sa cosa vedrà – e i suoi occhi scattano ansiosi nella direzione giusta come se si aspettassero di incontrare qualcos’altro, di non vedere zio Ben riverso in una pozza del suo stesso sangue, stringendosi il ventre come se potesse impedire alla vita di sfuggirgli mentre gli occhi vitrei si rivolgono al cielo nero – non vuole vederlo di nuovo, vorrebbe scappare e vorrebbe vomitare per quell’istinto meschino, perché è colpa sua.

La cosa peggiore che avrebbe mai potuto immaginare è accaduta a causa sua; perché avrebbe potuto fare qualcosa, e non l’ha fatta…
 
 

… Si volta, con le lacrime che già si accavallano nei suoi occhi pronte a strabordare, e invece del marciapiedi chiazzato di sangue e degli occhi morenti di Ben incontra di nuovo le dune rossicce di Titano.

Fa appena in tempo a iniziare un sospiro di sollievo, che lo sente incastrarsi in gola lasciandolo a boccheggiare, gli occhi sbarrati fissi davanti a sé.
 
Thanos si erge imponente, una smorfia di crudele indifferenza che si allarga sul suo volto mostruoso nel conficcare più a fondo la lama nel fianco di Tony. Vede il suo mentore annaspare, lottando per mantenersi in piedi, ma incespica all’indietro mentre tenta debolmente di estrarre il pugnale dalle sue carni, col sangue che gli cola già lungo il mento e gli occhi che iniziano a farsi vitrei. Le sue gambe cedono e Thanos lo spinge via, caricando poi il colpo di grazia.

“Non sta accadendo – ti prego, non di nuovo, non di nuovo, non di nuovo – non è vero – oddio, non sta succedendo di nuovo...”

Il suo cervello manda quelle parole in loop all’infinito mentre cerca di imporre al suo corpo di muoversi, ma l’impulso si perde ancor prima di raggiungere i suoi arti.
È troppo lontano; non può aiutarlo, così come non è riuscito ad aiutare zio Ben, ed è di nuovo colpa sua – perché non è stato abbastanza coraggioso, o abbastanza bravo, ed è solo un ragazzino e Ben gli ha detto che aveva delle responsabilità, e il signor Stark gli ha detto di essere migliore di lui, ed entrambi gli avevano detto di stare al suo posto – se solo li avesse ascoltati, se solo… – sarebbero ancora vivi…
 


… E adesso è di nuovo sul marciapiede, con le ginocchia impregnate di sangue mentre scuote invano il corpo senza vita di zio Ben. Si china su di lui e stringe la sua giacca premendo il volto contro il suo petto immobile, cercando di reprimere i singhiozzi. E magari è su Titano e quello è il corpo di Tony, o magari è altrove e sta piangendo per qualcun altro, per May o Ned o MJ, perché non è in grado di proteggere nessuna delle persone che ama.
Il terreno cede sotto i suoi piedi e il marciapiedi si dissolve in una sabbia fine e rossastra che lo ingloba lentamente, rendendo ciechi i suoi pensieri e sfumando quelle scene in una pacifica oscurità che smorza i suoi sensi...



È di nuovo cenere.

Aveva una missione.

Qual era?

Doveva cambiare qualcosa, ma non ci è riuscito...
Avrebbe potuto salvarli entrambi, ma non l’ha fatto, e ormai non può più rimediare, neanche in sogno.

La sua testa gira su se stessa un’ultima volta, e precipita nel vortice.

 
§

«Bruce? Che diavolo gli prende?»

«Non lo so, i valori sono stabili. Spostati, fammi–…»

«Dottor Banner? Che succede?»

«Penso – credo che ci siano degli effetti collaterali. Levagli gli occhiali, non possiamo rischiare.»

«Sono passati tre minuti, come è possibile che–»

«Non importa, fallo prima che… – merda! Tony, tienilo fermo, sta avendo una crisi!» 

«Levategli quegli affari di dosso!»

 
§
 
Peter sente i singhiozzi muti che gli squassano il petto, senza riuscire a trapelare dalla sua bocca e tramutarsi in suoni.
Fa male, come se qualcuno gli stesse ficcando dei petardi nei polmoni un attimo prima di farli esplodere. Le braccia di zia May lo avvolgono delicatamente, ma si sovrappongono con quelle morenti di zio Ben e con quelle tremanti di Tony mentre lui stesso si dissolve in cenere su Titano. Si sta ancora sfaldando, un granello alla volta, sempre più lontano. La sua testa sembra sanguinare dall’interno e pulsa in modo atroce, stritolata da una tagliola.

«Peter, tesoro, è finita, sei di nuovo qui. Adesso mettiti giù e riposati, ok? Cerca di dormire un po’, se ci riesci.» 

Non può, non vuole. Adesso vorrebbe solo essere lasciato in pace.


 

Note Dell'Autrice:

Ecco a voi l'aggiornamento in anticipo!
Non c'è poi molto da dire al riguardo, considerando che è un capitolo molto "onirico" e frammentato, ma spero che abbiate gradito la parentesi di puro angst :) Appunto 1: la scena della morte di zio Ben *sigh* è una fusione tra quella che si vede film di Raimi e Webb e quella dei fumetti; Appunto 2: il passaggio di registro da "signor Stark" a "Tony", nei punti in cui avviene, è intenzionale; Appunto 3: ci sono vari rimandi a Civil War e Homecoming nei pensieri di Peter.

Approfitto delle note per una breve comunicazione di servizio: so di essere in ritardo disarmante nel rispondere alle recensioni, recensire chi seguo e mi legge e aggiornare le altre storie in corso, ma è stato un periodo infernale dal punto di vista accademico e stressante da quello personale, quindi ho trascurato un po' quell'aspetto. Ho preferito impiegare quei pochi tempi morti per scrivere, visto che conto di ultimare Comunicazioni Interrotte e relativa missing moment (ebbene sì) prima di Endgame, e vorrei terminare anche Phoenix attorno a quella data (tenete gli occhi aperti su quel fronte il 18 marzo :P). A tutto questo, aggiungeteci peripezie universitarie e impegni mal incastrati e voilà, non ho un minuto per respirare.
Abbiate pazienza: lo sapete che alla fine arrivo dappertutto, e nel frattempo seguo puntualmente i vostri aggiornamenti :') <3

Detto ciò, ringrazio tantissimo Atlas e T612 per aver recensito come sempre lo scorso capitolo e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/ preferite <3 Siete la mia gioia :')
Appuntamento a martedì, poi riprenderò a pubblicare regolarmente il sabato.
A presto,

-Light-

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Capitolo 7
*** Problemi che portano soluzioni ***


7
 
Problemi che portano soluzioni
 
 
 
“The sun bursts, clouds break
Well this is life in motion
And just when I could run

This race no more
The sun bursts, clouds break
This is life in color”

 
[Life In Color – OneRepublic]
 
 
 
          Quando riprende conoscenza il suo corpo è del tutto intirizzito, come se avesse dormito su un letto di neve.

Gli occhi gli bruciano terribilmente e capisce di non averli chiusi forse per ore, ma si costringe a puntarli sull’ambiente che lo circonda, lasciandosi infine alle spalle il buio ed entrando nel suo odioso mondo ambrato. La testa gli fa così male che anche mantenere la messa a fuoco è un’impresa, ma riesce infine a riconoscere l’infermeria del Complesso, dove è capitato un paio di volte per rimettersi in sesto dopo qualche bravata troppo audace. È steso su uno dei sei letti da ospedale allineati lungo la parete.

Man mano che i contorni si fanno più nitidi, capisce che qualcosa blocca in parte il suo campo visivo. Realizza con stupore che il Dottor Strange è in piedi di fianco al suo letto: è a occhi chiusi, con le mani raccolte in un cerchio appena sotto il medaglione e la testa leggermente china in avanti. Il suo respiro è rallentato e profondo, ma si riscuote ben presto dalla sua meditazione e rivolge lo sguardo verso di lui, prendendo a scrutarlo coi suoi occhi vividi.
 
«Bentornato tra noi,» lo saluta con semplicità, accennando un sorriso sottile mentre abbassa le mani e rilassa le spalle sormontate dal mantello fluttuante. «Ho tenuto d’occhio la tua anima dal piano astrale. Sapevo quando saresti tornato,» spiega poi, intuendo con acutezza la sua domanda inespressa.
 
Come sempre, Peter non può far altro che ricambiare piattamente il suo sguardo, ma è grato che lo Stregone si stia prodigando per essere più accomodante del solito. Non sembra essere un tipo paziente, a dispetto delle vesti da monaco. 
 
«Sei stato “assente” per quasi dieci ore,» gli annuncia poi senza giri di parole, mantenendo lo sguardo penetrante su di lui.
 
Il proprio volto deve lasciar trapelare un’ombra di assoluta incredulità, perché Strange riprende a parlare in tono più pacato:
 
«Stark mi ha contattato non appena il tentativo coi suoi occhiali è andato storto. Sei rimasto sotto stretta osservazione costante sia fisica che mentale, visto che hai avuto un lieve attacco epilettico ed eri febbricitante. La tua anima si è distaccata per un po’ dal tuo corpo, ma sono riuscito a impedirle di allontanarsi troppo ed è poi tornata spontaneamente da te,» spiega senza batter ciglio, come se stesse parlando del tempo.
 
Peter, superato lo shock iniziale, si sente in qualche modo rassicurato nel sapere che almeno lui sembra avere quell’assurda situazione sotto controllo.
 
«Tua zia è impegnata a discutere col tuo mentore,» lo informa poi, incrociando compostamente le mani dietro la schiena. «Come puoi immaginare, non è stata molto contenta degli esiti della tecnologia Stark. Adesso siamo al quarto round della ramanzina,» aggiunge, con un cenno alla porta scorrevole in fondo alla stanza e un tono che sfiora il divertito, senza però intaccare il suo volto serio.
 
Una fitta di colpevolezza lo prende allo stomaco. Tutti si stanno preoccupando per lui, e non può fare a meno di pensare di non meritarsi l’attenzione dello Stregone Supremo, come il signor Stark e zia May non si meritano il fardello di stargli appresso. Per fortuna, il sibilo della porta scorrevole che si apre lo distoglie un istante prima che quella considerazione riesca ad affondare come un chiodo nella sua nuca, insieme a tutte le altre che vi si sono infisse recentemente.

Sente delle voci agitate che si sovrappongono tra loro – May, il signor Stark, forse Bruce, e una voce femminile sconosciuta – scalpiccio di piedi e un fievole rumore di fondo che titilla il suo senso di ragno. C’è un pericolo latente, una sirena d’allarme smorzata che gli trilla nelle orecchie, troppo lontana per identificarne con chiarezza la fonte.
 
«Eccoli… qui andremo per le lunghe,» borbotta quietamente Strange, forse a lui, più probabilmente tra sé e sé.
 
Rimane in piedi di fianco al letto, diritto come un fuso e imperturbabile, ancora davanti a lui come a fargli da scudo dal trambusto in arrivo e col mantello che ondeggia pigramente attorno alla sua silhouette.
 
«È di nuovo tra noi,» annuncia, a voce alta.
 
Il chiacchiericcio cessa di colpo e vi è una breve pausa attonita.
 
«Grazie a Dio,» sospira poi May, e Peter la sente avanzare verso il letto.
 
«Grazie al mago,» ribatte prontamente il signor Stark, col sarcasmo che cela solo per metà il suo ovvio sollievo.
 
May entra nel suo campo visivo, si siede accanto a lui e gli stringe la mano quasi annaspando. Sembra bollente nella sua stretta gelida. Ha pianto, è evidente dagli occhi gonfi e da quanto fragile sembri la sua voce. Peter si concede comunque di rilassarsi, anche se non si era accorto della tensione che gli stringeva la schiena annodandogli i muscoli in crampi nervosi. Sente gli altri che riprendono a discutere concitati in sottofondo, ma è troppo difficile concentrarsi sul volto e sulla mano di May e allo stesso tempo ascoltare cosa dicono.
 
Il suo cervello si rifiuta di collaborare ed è sicuro che qualunque forzatura finirebbe per farlo andare di nuovo in cortocircuito, quindi si limita a raccogliere le forze per stringere appena la mano di zia May e ammira la pura, incontenibile gioia che si sprigiona dal suo volto per quel semplice gesto.
 
§
 
Qualche minuto dopo, si sente strappare da quel momento di pace dal suo senso di ragno che ha improvvisamente un picco e inizia a inviare impellenti segnali d’emergenza al suo corpo inerte.

È una scarica talmente violenta che riesce effettivamente a guardare nella direzione giusta. Vede una giovane donna, col volto pallido incorniciato da lunghi capelli mossi che le scendono a cascata sulle spalle. I suoi occhi sono filtrati da quell’odiosa lastra gialla, ma gli sembrano comunque del colore sbagliato. Solo a guardarla sente tendersi ogni singolo nervo in uno spasmo allarmato, ma il segnale è confuso e intermittente: forse è ostile, forse no, ma può decisamente essere pericolosa. Per qualche motivo ha l’impressione di doverla riconoscere, ma decide di non sforzare più di tanto la memoria: per oggi ha già avuto la sua dose di brutti ricordi. 
 
«Signori, visto che qui il buonsenso sembra non andare di moda, mi sento in dovere di rilanciarlo personalmente.»
 
L’osservazione pungente del signor Stark intacca il silenzio come una lama mentre si piazza con nonchalance tra lui e la donna, le mani affondate pigramente nelle tasche. Lei gli rivolge un’occhiata infastidita, e per un singolo istante i suoi occhi vengono attraversati da un’ombra scarlatta che rompe la monotonia cromatica; l’altro si irrigidisce visibilmente, ma mantiene la propria posizione, continuando a guardarla in cagnesco. Peter percepisce i propri innati campanelli d’allarme attivarsi all’unisono, per poi ammutolire altrettanto repentinamente. 
 
«Tony, per favore,» interviene Bruce, in una supplica esasperata.
 
«Pensavo fossimo tutti d’accordo,» aggiunge May, in tono vagamente accusatorio, e Peter la sente stringere con più forza la sua mano. 
 
«Infatti non mi sono opposto… o almeno, non ad alta voce,» replica il signor Stark con assoluta disinvoltura, prima di inclinare appena la testa nel fissare la donna, quasi stesse valutando la pericolosità di un insolito fenomeno naturale. «Ma prima che inizi a sprigionare i tuoi trucchetti da Fata Morgana su di lui, vorrei essere molto chiaro,» prosegue, e il suo tono si fa gelido e stranamente ostile, come se stesse parlando tra i denti. «Se vedo qualcosa che non mi piace, non ci penso due volte a spararti addosso un uniraggio, per poi emendare qua e là gli Accordi personalmente, fregandomene di quel che dice il tuo paladino a stelle e strisce. Ci siamo capiti?”  
 
«Stark, stanne fuori e lasciami gestire il tutto come si deve,» s’intromette la voce profonda e distintamente irritata di Strange.
 
«Non sono così meschina come vorresti far credere, Stark,» risponde aspramente la donna, con un marcato accento dell’est a rendere più puntute le sue parole.
 
«Abbastanza meschina da far scatenare Hulk su una città innocente,» replica asciutto lui, e Peter coglie un sobbalzo da parte di Bruce.
 
«Tu non puoi permetterti di accusare nessuno, col cognome sporco di sangue che porti,» controbatte lei pacatamente, con un sorriso obliquo e amaro a incrinarle il volto.
 
Peter percepisce di nuovo il suo senso di ragno dibattersi frenetico in fondo allo stomaco quando capta il respiro del signor Stark arrestarsi per qualche istante, mentre serra i pugni nelle tasche sembrando pronto a mettere in atto la minaccia di poco prima. Riesce a intuire la sua espressione furiosa anche se gli volta le spalle, e ne coglie una porzione quando si volta verso Strange, ignorando il commento della donna e sembrando del tutto imperturbabile, almeno a chi non è dotato di un super-udito in grado di cogliere i battiti decisamente troppo rapidi e violenti del suo cuore.
 
«Scusa, Copperfield, ma stavolta non mi sento molto in vena di fidarmi delle tue “possibilità”,» commenta, e l’unico segno che tradisce la sua collera è il tono un po’ troppo brusco.
 
«Mi sembra che l’ultima volta le mie “possibilità” ti abbiano aiutato a salvare l’universo, stronzo,» replica l’altro, senza alzare di una tacca la propria voce, ma con un velo gelido a ricoprirla. 
 
«Potreste piantarla di azzannarvi alla gola a vicenda e concentrarvi sul problema attuale?»
 
Banner sembra tranquillo, quasi compassato, ma Peter intuisce il ringhio represso che riverbera nelle sue parole, così come gli altri, che ammutoliscono all’istante.
 
«Siamo tutti arrabbiati, qui dentro, lo so. Avremo tempo per risolvere tutte le stronzate che ci portiamo appresso da anni, ma non ora. Sono serio, Tony: piantala,» aggiunge poi, ora indiscutibilmente seccato, anticipando una sua prevedibile replica.
 
«Agli ordini, Dottor Disertore,» bofonchia comunque lui in risposta, e Banner non lo sente, o più probabilmente finge di non averlo sentito.
 
Peter sente il suo piede che comincia a contrarsi insistentemente in un ritmo nervoso sotto il lenzuolo, anche se non si saprebbe obbligare a farlo di proposito nemmeno se ne andasse della sua vita. La tensione nella stanza è palpabile, solida al punto da ostruirgli il respiro, e ciò che resta del suo senso di ragno emana uno snervante tintinnio di sottofondo, che si somma al disagio nel percepire quello che deve essere il flusso magico della donna sconosciuta, simile a un’anomalia elettrica che gli fa venire la pelle d’oca. Non sa dire se la sua irrequietezza derivi da quella presenza disturbante, dalla voce irritata di Hulk, dal volto adesso incupito di Strange o dal fatto che il signor Stark sembra pronto a indossare l’armatura per attaccar briga con chiunque gli capiti a tiro. 
 
«Tony, apprezzo molto il tuo interesse, ma non sta a te decidere,» interviene a quel punto May.
 
Peter riconosce appieno lo sforzo che sta compiendo per equilibrare la sua severa fermezza con un tono accomodante, la stessa mistura di emozioni che, come ha imparato a proprie spese nel corso degli anni, precede una sfuriata epocale. Dopo un iniziale attimo di confusione, anche il suo mentore sembra percepire il velato ammonimento, e il suo volto oscilla tra il consapevole e l’addolorato.
 
«Come vuoi,» mormora infine, prima di decidersi a farsi da parte, liberando il passo all’altra donna non senza lanciarle un’ultima occhiata ostile.
 
«Signora Parker, la signorina Maximoff ha il permesso di usare i suoi poteri per aiutare Peter?»
 
Strange prende formalmente la parola dopo un breve momento di silenzio, e dal modo in cui ha enunciato la domanda Peter ha l’impressione che sia una sorta di contratto vincolante, completo di conseguenze funeste in caso di mancato adempimento. Si rende poi conto che adesso gli occhi di tutti sono puntati su lui e May, e ne sente quasi la pressione addosso. Sua zia fa un respiro profondo prima di rispondere:
 
«Ho solo lui,» dice con semplicità, e Peter sente il suo cuore contrarsi e piegarsi come un cartoncino ad attutire l’impatto di quelle parole. «Non ti conosco, ma da ciò che mi hanno detto sono sicura che sai come mi sentirei se dovesse accadergli qualcosa,» conclude, e lui è l’unico a sentire la sua mano tremare appena, al contrario della sua voce salda.
 
«Lo so,» sussurra la donna, con una traccia di tristezza negli occhi.
 
Quasi rispondendo a un comando collettivo, May si alza strizzandogli un’ultima volta la mano, Strange riprende posto in piedi accanto a lui e Peter si ritrova a fissare senza barriere la donna. La sua espressione è quasi vacua, le labbra piene atteggiate a una piega inespressiva, ma i suoi occhi sono di un’intensità fuori dal comune e lo scrutano a fondo, mantenendo la distanza. A Peter verrebbe da sospirare, se solo potesse: si sta stancando di essere costantemente osservato come se fosse un esotico fenomeno da baraccone.
 
La donna si fa avanti di un passo e Peter scorge una densa nebbia scura che prende a scaturire dalle sue dita. La fissa sbigottito, ma il suo senso di ragno tace, seppur sulle spine. Strange vigila attento su di loro, con le dita intrecciate in una complessa geometria e il mantello più irrequieto del solito. May e il signor Stark si tengono lontani, entrambi tesi e preoccupati, quasi trattenendosi a vicenda dall’avvicinarsi di più; Peter è certo di aver fatto perdere loro almeno dieci anni di vita in un solo giorno.
 
«Non farà male,» dice in quel mentre la donna, e non gli è chiaro se stia parlando con lui o con gli altri. 
 
Le spire fumose serpeggiano verso di lui e le sente sfiorargli la fronte come un alito di vento caldo. Per un singolo istante, il velo giallastro che gli scherma gli occhi si solleva, e non può fare a meno di trasalire per la sorpresa, assaporando meravigliato quell’istantanea a colori che balena davanti a lui. Nota solo ora che gli occhi della donna sono di un verde chiaro, ombreggiati però da una sottile iridescenza che richiama la sfumatura scarlatta della sua magia. Nel giro di un istante, piomba di nuovo nel suo mondo giallo e un’imprecazione gli si schianta contro la gola sigillata.
 
Percepisce le volute magiche farsi strada cautamente dentro la sua testa, spingendo da parte le sue tenui difese con gentile fermezza. È una sensazione che non riesce a classificare con precisione come spiacevole o meno, ma è sicuramente innaturale. Destabilizzante, anche, ma non prova davvero alcun dolore. Gli ci vuole un po’ per notare che la luce intorno a lui sta scemando lentamente, e ancor di più per realizzare che la causa sono le sue palpebre che si stanno chiudendo.
 
No.
 
No, no, no no, non può permettere che ciò accada: tornerebbe nel vuoto, riverso sulla lastra ambrata e deserta che l’aveva imprigionato e dove nessuno poteva sentirlo piangere o gridare; tornerebbe ad essere incastonato dentro la Gemma e poi sotto le macerie, e stavolta morirà – morto, sarà morto e non può morire se May e Tony e Ned e MJ lo stanno aspettando.
 
Il terrore di risprofondare in quella voragine arancione e senza fondo dilata le sue pupille finché i suoi occhi non diventano neri quanto l’oscurità che lo sta inghiottendo.
 
Non riesce a respirare.
 
“Peter.”
 
La voce calda della donna echeggia nella sua mente, permeando ogni meandro della sua coscienza e aprendo uno stretto sentiero nell’intricata selva dei suoi pensieri impauriti. Di tanto in tanto, vede lampeggiare davanti a sé delle singole immagini sconosciute e slegate tra loro, forse particelle di memoria involontariamente condivise da lei.
 
“Voglio aiutarti, ma devi permettermelo. Calmati.”
 
Una strana corrente di forza – magia – lo avvolge delicatamente; non gli sembra ostile, anche se vi si intreccia una sottile nota di tristezza. Si sente sospingere da quel flusso rassicurante, fino a immergervisi completamente, e i flash di memoria aumentano.
 
Intravede dei paesaggi montuosi e sconosciuti, ricoperti da fitte foreste; percepisce il calore di una vecchia casetta affacciata su una stradina di ciottoli; inspira l’odore di resina, legno di pino e fumo della stufa; il sapore dolce ed esotico di un piatto alla paprika gli riempie la bocca; gli risuonano nelle orecchie delle risate argentine e infantili mentre due bambini si rincorrono giocando a palle di neve, lei con una lunga treccia dai riflessi ramati che ondeggia qua là, lui con delle ciocche bionde e ricce che sbucano dal cappello di lana. I loro occhi hanno lo stesso punto di verde, e sono lucidi e brillanti per il freddo e il ridere. Quell’ultimo fotogramma sfuma più rapidamente degli altri, soffermandosi appena sul sorrisetto da monello del bambino e lasciando dietro di sé una traccia dolceamara.
 
Si ritrova in un bosco, con la sottile nebbia del mattino che serpeggia tra gli alberi, simile a miele nei primi raggi di sole; delle pozzanghere ghiacciate riflettono la luce come specchi incrinati. L’aria fredda sembra detergergli i polmoni, e assorbe con lo sguardo quelle tinte verdi che spezzano la sua prigione ambrata. C’è silenzio, e anche il brusio di sottofondo che gli risuona in testa da quando è tornato scema, confuso col lieve stormire degli abeti. Riesce a pensare, in quel bosco sconosciuto ma arioso, pulito, irrorato di luce soffusa.
 
Non ha idea di chi sia questa donna, se non che l’ha già incontrata da qualche parte e che è molto più potente di qualsiasi altro super-eroe che conosce, ma quel torrente di ricordi familiari e sinceri riesce a quietare il suo panico crescente fino a ridurlo a una semplice increspatura sulla superficie di un mare calmo. Chiunque lei sia, è umana, a dispetto dei suoi poteri, aveva una casa e una famiglia e sa cosa sia il dolore: gli è chiaro da quanto quelle immagini gli siano sembrate nostalgiche e intrise di rimpianto.
 
“Sono Wanda,” dice lei a quel punto, o meglio, pensa, e poter associare un nome a quel volto lo fa sentire meglio, quasi ciò potesse dare contorni più definiti alla persona. “Posso farti uscire di lì, ma devi fidarti di me,” continua con fermezza, con la voce che sembra echeggiare attutita dai tronchi circostanti.
 
Il bosco ondeggia, come un riflesso o un miraggio facilmente valicabile. Sente le palpebre farsi pesanti, invitandolo verso il sonno. La paura lo morde nuovamente allo stomaco e sembra dilaniarlo mentre i suoi sensi lo implorano di non lasciare la presa sul mondo reale e non affondare nella penombra invitante che gli sta spalancando davanti Wanda. Fidarsi vorrebbe dire abbandonare ogni residua coscienza di sé e rischiare di non riemergere mai più dall’oblio, perché non è detto che funzionerà, così come non hanno funzionato il piano di Tony, i tentativi di May e i suoi stessi, vani sforzi.

Ma allo stesso tempo non vede altre soluzioni, e lui vuole uscire di lì con tutto se stesso e vuole disperatamente essere aiutato: fuggire dalla sua prigione d’ambra e tornare dalle persone che si stanno preoccupando per lui e dire loro con la sua voce che sta bene.

Esita per un lungo, doloroso istante prima di abbandonare completamente le sue difese e fidarsi di Wanda.
 
Improvvisamente, non è più dove dovrebbe essere. Il bosco è svanito, l’infermeria anche, la lastra ambrata è lontana. Non sa più dove sia il suo corpo, ma sente qualcosa che lo tira e lo strattona per un braccio, come se stesse cercando di strapparlo da una sorta di trappola viscosa in cui sembra intrappolato – non sa dire dove, o come, e continua a tenere gli occhi chiusi anche se una parte di sé continua a rimanere perfettamente sveglia – e poi inizia a lottare. Si dibatte e divincola, seguendo quella forza che lo guida, sentendo i viluppi che si staccano pian piano dal suo corpo spezzandosi sotto le sue mani; straccia un filo alla volta la trama di quella ragnatela – il destino, lo sa, è beffardo – finché non gli manca il respiro, finché la forza che lo guida non diventa la sua forza. Scalcia un’ultima volta, con impeto, e avverte un improvviso vuoto allo stomaco, come se stesse cadendo.
 
Il senso di vertigine lo assale, facendo vacillare sempre più la sua lucidità, e distende d’istinto un braccio come a lanciare una ragnatela per proiettarsi verso l’alto, ma non ci sono appigli, ed è inerme. Si sente trattenere dolcemente per poi essere adagiato a terra, su quello che sembra un tappeto di muschio e foglie secche. Stringe i pugni, e le sente scricchiolare fragili contro i palmi mentre inala l’odore denso del sottobosco.
 
Schiude gli occhi, e la tinta ambrata che gli offusca lo sguardo inizia a diluirsi, per poi scurirsi fino a diventare di un nero assoluto. 
 
§
 
I colori sono tornati.
 
È la prima cosa che nota non appena riprende il controllo dei propri occhi, che non è sicuro di aver davvero chiuso per tutto quel tempo. La prima cosa che incontrano è un display con una linea di un verde brillante a segnare il battito del suo cuore: s’impenna e scende in picchiata in modo discontinuo, seguendo un ritmo leggermente accelerato che rispecchia il suo stato di completa euforia.
 
Batte le palpebre nella penombra, all’erta, ma si rilassa quando inala un profumo conosciuto e realizza che May è raggomitolata accanto a lui, mentre lo abbraccia da dietro sopra le coperte. Lascia vagare i suoi occhi sulla stanza, e individua il signor Stark abbandonato sulla poltroncina accanto al letto, con gli occhi stanchi illuminati fiocamente dallo schermo del telefono.
 
Peter rimane immobile, sveglio, troppo esausto per provare davvero a muoversi o parlare, e in fin dei conti non lo farebbe neanche se ne avesse la forza per evitare di infrangere quella piccola cornice di serenità in cui è racchiuso. Si limita a riempirsi gli occhi di ogni singolo colore che riesce a vedere di nuovo per la prima volta, dall’azzurro chiaro delle sue lenzuola al rosso acceso del logo degli AC/DC sulla maglietta del signor Stark, dai piccoli numeri di un verde fluorescente sull’orologio allo smalto blu notte di zia May.
 
Un sorriso sfinito ma spontaneo emerge sulle sue labbra screpolate nel vedere il signor Stark sbadigliare e muoversi appena per rimanere sveglio, e nel sentire l’abbraccio di May stringerlo così forte da poter percepire il suo cuore battere contro la propria schiena.
 
Finalmente, un battito alla volta, riprende a respirare.
 
§
 
Sono circa le due del mattino quando May si alza barcollando per andare al bagno e, su insistenza del signor Stark, per fare uso della vasca, mangiare qualcosa e mettersi qualcosa di più comodo, visto che c’è. Peter è immensamente sollevato quando lei finalmente cede e acconsente riluttante a tornare tra circa un’ora, a patto che poi lui faccia lo stesso.
 
Peter è ancora abbastanza terrorizzato all’idea di provare a muoversi o parlare, ma adesso che ha finito di analizzare e classificare ogni singolo colore, gradazione e sfumatura dell’infermeria e che May se n’è andata, inizia a trovare un po’ inquietante starsene lì a fissare con le palpebre socchiuse un ignaro signor Stark, che è apparentemente occupato a testare quanto può piegarsi la sua schiena prima di spezzarsi man mano che sprofonda sempre più nella poltrona. In effetti è quasi divertente, ma sa anche che è il momento di scoprire se il suo corpo e la sua voce funzionano davvero, e conclude che è meglio farlo adesso con lui che rischiare di far preoccupare ancora May.
 
“Signor Stark,” prova a dire, ma le parole si accapigliano nella strettoia delle sue corde vocali e l’unico risultato è un senso di soffocamento.
 
Emette un muto sospiro frustrato e si agita appena sotto le lenzuola, tirando su le ginocchia fino al mento e stendendole di nuovo in un gesto nervoso. La realizzazione di essersi appena mosso volontariamente lo colpisce con una frazione di secondo di ritardo, e comincia subito a piegare, muovere e ruotare ogni singola articolazione che ha coscienza di possedere per assicurarsi che tutto funzioni ancora a dovere. Si sente intorpidito e dolorante, oltre che molto scoordinato, ma è comunque meglio di essere totalmente paralizzato.
 
Le sue manovre attirano ben presto l’attenzione del signor Stark, che solleva lo sguardo dal telefono, fortunatamente senza notare il modo idiota in cui sta agitando le dita dei piedi solo per il gusto di poterlo fare di nuovo. L’ingegnere gli rivolge un gran sorriso, coi lineamenti che si rilassano di colpo, scacciando parte della preoccupazione e lasciando posto a un pizzico di serenità.
 
«Ehi, ragazzino,» lo saluta, con voce chiaramente distrutta, ma comunque vivace. «Sei sveglio?» chiede poi, e sarebbe una domanda sciocca, se Peter non sapesse di aver passato la maggior parte del tempo a guardare fisso in lontananza, a volte del tutto inconsapevole di ciò che gli accadeva attorno.
 
È quindi con estrema soddisfazione che risponde annuendo lentamente col capo, riuscendo anche a strapparsi un sorriso esitante. La mandibola del signor Stark cade in modo quasi comico, lasciandolo a fissarlo a bocca semiaperta e con sguardo assolutamente sconcertato.
 
«Sei… sei qui? Insomma, sei davvero qui?» sussurra, a corto di voce, e nel parlare quasi capitombola a terra nel tentativo di districarsi dalla coperta in cui si è avvolto.
 
Peter stavolta annuisce più volte, e l’uomo si copre la bocca con la mano, i gomiti poggiati sulle ginocchia mentre chiude brevemente gli occhi.
 
«Ok. Ok, tutto… tutto questo è reale, vero?» mormora preoccupato, alzandosi e avvicinandosi al letto. «Dimmi che non sto allucinando.»
 
Peter annuisce una volta per la prima domanda, per poi fare un cenno di diniego alla seconda affermazione, e il signor Stark si lascia cadere seduto di peso sulla sponda del letto, senza staccargli gli occhi di dosso, come se farlo potesse in qualche modo farlo scomparire. Lui è ancora disteso e non vuole forzare il suo corpo provato per tirarsi su; è comunque piuttosto sicuro che a lui non importi che lui sia sdraiato, seduto, in piedi o a testa in giù, in quel momento.
 
«Riesci a parlare?» chiede poi, con ancora la mano davanti alla bocca a smorzare la sua voce.
 
Peter sente la sua espressione soddisfatta affievolirsi appena mentre nega di nuovo con la testa. Lui tira a sua volta le labbra, ma non lascia trasparire troppo la sua preoccupazione in merito.
 
«Non fa niente, Pete, ci riuscirai; ora sono solo contento che-… sei qui,» dice poi, balbettando come se avesse davvero realizzato quel fatto solo nel momento in cui pronuncia le parole per esprimerlo. «Oddio, sei qui. Devo–… merda, dammi un secondo, sto avendo un– un sovraccarico di sistema,» straparla infine, buttando poi fuori un sospiro traballante.
 
Si alza di nuovo in piedi, sfregandosi incredulo i palmi sul volto e prendendo a camminare su e giù per scaricare la tensione nervosa. Il volto di Peter si blocca a metà tra un sorriso perplesso e un cipiglio preoccupato, perché è raro che si mostri così palesemente in agitazione e soprattutto emotivo, e non si sarebbe mai aspettato di vederlo così per causa sua. Non sa se sentirsi in colpa o lusingato, quindi la sua espressione continua ad oscillare tra le due alternative, creandone una terza, molto confusa. Ma è felice che lui sia lì, e non vede l’ora di rivedere anche May. Il signor Stark si volta bruscamente verso di lui, puntandogli contro un indice minaccioso, il volto atteggiato a un cipiglio severo.
 
«Non guardarmi così. Lo so che sto miseramente fallendo nel darmi un contegno, quindi–…» s’interrompe di nuovo e si siede di nuovo sul letto, apparentemente svuotato di ogni energia.
 
Riprende a parlare a raffica dopo appena un paio di secondi, badando ad evitare accuratamente di guardarlo negli occhi.
 
«Sapevo che ce l’avresti fatta. Lo– lo sapevo e basta, dopotutto sono un genio,» farfuglia, e per un singolo istante Peter intravede il suo labbro tremare tra un ghigno e un singulto sotto il pizzetto.
 
Poggia la fronte contro il palmo e prende un altro respiro profondo e non del tutto stabile. Peter si sta sforzando di dire qualcosa, qualunque cosa, ma tutto ciò che riesce a fare è sollevarsi su un gomito; incapace di chiamarlo a voce, lo tira leggermente per la manica come un bambino, facendogli così sollevare il capo. I suoi occhi sono indiscutibilmente lucidi e si sta trattenendo con ostinazione dal battere le palpebre per evitare di farli traboccare. È quasi riuscito nell’intento di ricacciarle indietro, quando una lacrima sfugge a tradimento dalle sue ciglia, attraversandogli una guancia, e scatta subito ad asciugarla col palmo della mano prima che raggiunga il pizzetto.
 
“Sta bene?”, cerca di sillabare Peter, senza riuscire a controllare del tutto i propri movimenti, e indirizza ogni briciolo di emozione in suo possesso verso il suo volto per esprimere quella semplice domanda – perché, Cristo santo, Tony Stark sta piangendo e non ha la minima idea di come gestire un evento simile.
Chissà come, lui comprende quello che sta cercando di dirgli, e riesce a rispondergli in modo coerente.
 
«Sto bene, ragazzino, davvero. Sono lacrime di gioia: odio cercare altri protetti,» dice, con una mezza risatina un po’ rotta. «E giuro su Dio, se questo,» si asciuga del tutto il volto con la manica a chiarire il concetto, «Esce fuori di qui, la prima cosa che faccio è mettere della polvere pruriginosa nella tua eroica calzamaglia,» aggiunge, tirando su col naso un’ultima volta e raddrizzando compostamente la schiena quasi a voler cancellare quel momento di debolezza.
 
A Peter viene un po’ da ridere, adesso, ma la sua voce è decisa a privarlo anche di quel gesto, quindi si limita a rivolgergli un sorriso furbo per quella minaccia non poi molto minacciosa. Gli sembra così irreale poter scherzare col signor Stark come se nulla fosse mai successo, e potersi di nuovo muovere e pensare lucidamente, e poter vedere ogni singolo colore che aveva temuto di dimenticare – e forse è lui a piangere, adesso, e non fa nulla per impedirlo, perché anche quelle sono lacrime di gioia e si sente un po’ giustificato dal fatto che neanche Iron Man sia riuscito a trattenerle.

Il signor Stark lo osserva incerto, e Peter a quel punto cerca di ricomporsi almeno un po’, sentendosi in lieve imbarazzo. Infine, Tony libera un sospiro teatrale, volge gli occhi al cielo con fare giocoso e allarga le braccia con aria quasi rassegnata.
 
«Dai, bimbo-ragno. Mi sa che adesso ci siamo,» dice semplicemente.
 
Prima ancora che possa finire la frase, Peter l’ha già abbracciato goffamente e con tale impeto da sbalzarlo quasi per terra. Lui sbuffa divertito e lo trattiene con prontezza, arruffandogli i capelli per poi stringerlo saldamente a sé. Peter chiude gli occhi umidi, stavolta senza alcuna paura, e si lascia avvolgere da quel calore nuovo, ma allo stesso tempo conosciuto e familiare. Tutti i ricordi degli abbracci passati e rotti, dolorosi o sbriciolati, sfumano alle sue spalle mentre lascia che le sensazioni che prova adesso diventino le uniche che contino davvero.
Stavolta, è tutto esattamente come dovrebbe essere. Si sente al sicuro, amato, a casa, come lo era stato tra altre braccia ormai lontane che gli sono mancate fino ad ora.
 
«È bello riaverti qui, ragazzino.»


 


Note Dell'Autrice:

Eccomi qui, sebbene in ritardo di un giorno <3
Forse ci sono andata un po' pesante col fluff, ma spero abbiate apprezzato il cambiamento :')
Qui mi sono sforzata di non lasciar trapelare la mia antipatia borderline per Wanda, che in realtà è un personaggio che mi dispiace aver visto così poco approfondito nel MCU; mi sono tenuta dall'entrare in merito dei rapporti tra i Vendicatori post-Endgame, ma non ho potuto evitare di inserirvi un accenno. E sì, Tony è volutamente rompiscatole, come sempre quando parte per la tangente delle sue paranoie...

Ringrazio tantissimo _Atlas_ e T612 che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite (siete sempre di più e io un po' mi commuovo <3)
L'aggiornamento è scalato a domenica, ed è incredibile vedere che, pur con tutti i capitoli pronti, riesca comunque ad aggiornare in modo discontinuo :')
Au revoir,

-Light-

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Capitolo 8
*** Prima dell'alba ***


6
 

Prima dell'alba
 
 
 
“I've battled hard with the face in the mirror
Every scar makes me dig down deeper
I push it 'til there's nothing more
'Cause I'm stronger than I was before”

 
[The Fear – The Score]
 
 
 
          In quei giorni, Peter si sente esattamente come se quel ragno l’avesse morso di nuovo. Solo che in questo caso ogni vantaggio si rivela controproducente, se sommato al lieve stato di dissociazione dalla realtà in cui si ritrova spesso a scivolare. Ha una strana percezione del proprio corpo, che sente troppo potente e sempre sul punto di fargli perdere l’equilibrio: si sta ancora abituando al ritorno della sua forza fuori dal comune, ed è come essere di nuovo un bambino che impara a padroneggiare i movimenti e le azioni più basilari attraverso i propri errori.

Ha perso il conto di quanti bicchieri ha rovesciato e di quante volte sia inciampato nei suoi stessi piedi o abbia inavvertitamente rotto qualcosa. È sempre stato tremendamente imbranato, e anche coi suoi nuovi poteri la cosa aveva avuto un margine di miglioramento molto ristretto, ma adesso è una calamità ambulante ed è sicuro che zia May lo stia sopportando solo perché è al settimo cielo per averlo di nuovo con lei quasi al cento per cento, disastri inclusi.
 
Il Dottor Strange non si è stupito più di tanto per quegli effetti collaterali: secondo lui degli strascichi erano prevedibili e concorda con Bruce nel dire che riacquisterà una completa mobilità nel giro di un paio di settimane al massimo, come d’altronde tutti coloro che sono sfuggiti al limbo e di cui si sta man mano occupando coi suoi collaboratori dei Sanctum e Wanda. Il suo mutismo sembra averlo lasciato più perplesso, ma non preoccupato, e ha promesso di interessarsi più a fondo alla questione nel caso non si risolva spontaneamente.
 
Peter cerca di non pensarci troppo e di non stressarsi per cercare di parlare, perché sente chiaramente che non è un qualcosa che dipende dalla sua volontà – non che sia molto rassicurante. Si sforza semplicemente di godersi quelle vacanze anticipate, una delle tante iniziative avallate dal governo per dar modo a chi è tornato di riprendersi e passare del tempo con i propri cari dopo la scampata fine del mondo. È particolarmente grato di non dover andare a scuola, evitando così che le sue evidenti difficoltà divengano di dominio pubblico, obbligandolo a spiegare a tutti perché non riesce a parlare. È stato già abbastanza difficile con Ned e MJ, che si sono ormai stabiliti in pianta quasi stabile a casa sua rendendogli un po’ meno pesanti quelle giornate silenziose passate a pensare a quando potrà riprendere il suo ruolo di Spider-Man senza rischiare di rompersi l’osso del collo.
 
Sta cercando di recuperare una sorta di routine, nonostante la stranezza di non doversi alzare presto in quelle giornate di maggio tiepide e primaverili, in cui si lascia trascinare sempre più spesso fuori casa man mano che la sua mobilità migliora. Si sente molto meno osservato da quando ha notato che non è l’unico ad avere qualche difficoltà di movimento per le strade del Queens. Gli è ancora difficile concepire che la metà delle persone che guarda fosse svanita fino a una settimana prima, ed è un fatto destabilizzante e rassicurante allo stesso tempo. È un’altra delle tante cose a cui cerca di non pensare.
 
Neanche Tony sembra minimamente infastidito dalla sua goffaggine e rifiuta con fermezza ogni suo – silenzioso – tentativo di scusarsi ogni volta che causa qualche danno. Il che avviene spesso, soprattutto in un ambiente non esattamente privo di pericoli come il suo laboratorio. È contento di essere riuscito a strappare il permesso a zia May per riprendere le sue sessioni settimanali di “tirocinio” al Complesso, ma è anche sollevato per il fatto che lei non sappia in cosa consistano esattamente i suoi traffici, né di quanto poco controllo abbia ancora sul proprio corpo.
 
E neanche dell’insonnia, ma quello è un fatto che né lei né Tony devono scoprire.
 
§ 
 
Peter incespica nei suoi stessi piedi, e nel tentativo di recuperare l’equilibrio finisce per urtare involontariamente Dum-E, facendo oscillare il suo braccio meccanico; il robot si volta verso di lui, lanciando un acuto ronzio di protesta che suona quasi irritato.
 
«Ehi! Linguaggio!» lo rimbrotta animatamente Tony, atteggiandosi in un cipiglio severo per poi strizzare a lui l’occhiolino.
 
Peter non trattiene un piccolo sorriso in risposta, intento a non perdere la sua presa precaria sulla cassetta degli attrezzi che gli sta portando. Riesce a poggiarla sul banco di lavoro senza altri disastri ed emette un sospiro di sollievo.
 
«Grazie,» borbotta l'ingegnere, recuperando un rocchetto di filo di rame dalla cassetta e tornando a concentrarsi sui suoi armeggi attuali, che comprendono il suo alloggio per nanoparticelle, svariati schermi olografici che gli ronzano attorno e molte imprecazioni soffocate tra i denti.
 
Peter si poggia sui gomiti accanto a lui e si limita ad osservarlo con quieta attenzione mentre è occupato a riparare i suoi congegni, ammirando l’agilità e precisione con cui maneggia i piccoli attrezzi necessari per ripristinare il nucleo del reattore. Si scopre ad accigliarsi, pensando al modo in cui lui è riuscito a malapena a tenere in mano un cacciavite quando Tony gli ha proposto di rimettere in sesto insieme l’Iron Spider danneggiato. Si era innervosito così tanto per la propria incapacità che si era allontanato di scatto dal banco di lavoro, rifiutandosi di continuare, ed è grato che il suo mentore non abbia pronunciato una sola parola in proposito e sia semplicemente passato a lavorare sui suoi progetti senza tornare sull’argomento.
 
Adesso si pente della propria reazione e una parte di lui vorrebbe tentare di nuovo la sorte, così attende finché Tony non fa una breve pausa per ricontrollare uno degli schemi olografici prima di attirare la sua attenzione dandogli un paio di discreti colpetti sul braccio. Detesta essere così invadente, soprattutto perché, nonostante con le persone a lui care faccia qualche eccezione, sa che Tony non è molto espansivo, ma senza la propria voce non ha molte alternative. E d’altronde lui l’ha autorizzato espressamente a richiamarlo con ogni mezzo necessario visto che – parole sue – ha la capacità di attenzione di un bimbo di tre anni.
 
«Sì?» risponde infatti un po’ assente, voltandosi a guardarlo mentre ingrandisce una schermata.
 
Peter esita brevemente prima di accennare col mento all’Iron Spider piazzato sull’altro bancone e, con sua sorpresa, lui sorride come se gli avesse dato la notizia più bella della giornata.
 
«Ok, allora riproviamoci,» dichiara pimpante, senza neanche obiettare alla richiesta e sospendendo subito il suo lavoro per trasferirsi alla nuova postazione.
 
Peter fa per seguirlo, e prende nota solo ora di come Tony zoppichi leggermente, smorzando il suo passo tipicamente vivace e irrigidendosi appena nel posare il peso sulla gamba sinistra. Assottiglia le labbra con fare contrariato. A volte si dimentica che l’ultima battaglia è stata appena una settimana fa. Il suo braccio sembra essere quasi guarito e non indossa più alcun tutore o fasciatura, ma ultimamente ha una preferenza per le maniche lunghe e sul dorso della sua mano sinistra spicca un reticolo di cicatrici più o meno profonde e parzialmente rimarginate.
 
Lo segue senza dire una parola – nel senso che non direbbe nulla anche se potesse – ma il suo volto si rabbuia, per poi accigliarsi profondamente quando vede come si sia poggiato un po’ di sbieco sul bancone, cercando di alleviare la pressione sul fianco sinistro senza farsi notare. In quel mentre gli lancia un’occhiata di sottecchi, rendendosi conto di essere osservato, ma prima che possa iniziare a parlare per mascherare quel cedimento, Peter fa un rapido gesto verso di lui per fermarlo. L’ingegnere solleva le sopracciglia con perplessità, cercando di interpretare ciò che vuole dire.
 
«Che c’è?» chiede, svicolando palesemente da quella domanda indiretta mentre prende a rigirarsi un cacciavite in mano. «Ho qualcosa in faccia?» scherza, sfregandosi uno zigomo.
 
Peter quasi sbuffa, per poi avvicinarsi di un passo e puntare inequivocabilmente l’indice verso il suo fianco, all’incirca dove dovrebbe trovarsi la sua ferita, per poi rendersi conto di ciò che ha fatto ed abbassare di scatto lo sguardo. Tony esita per una frazione di secondo prima di rispondere, e Peter sente il proprio cuore mancare una dozzina di battiti, consapevole che è colpa sua se Thanos l’ha quasi ucciso, e che adesso Tony si dovrà ingegnare nell’accampare qualche scusa per dirgli che non è così.
 
«Non è nulla, Pete,» scrolla le spalle lui. «Davvero, mi hanno aggiustato per benino, e comunque le ragazze vanno matte per le ferite di guerra,» sogghigna col suo solito fare da spaccone e si dà una temeraria pacca sul fianco, sopprimendo poi chiaramente una smorfia di dolore.
 
Peter vorrebbe solo stare al gioco e accantonare la questione, ma quel fatto ha continuato a rodergli dentro per giorni e ha cercato mille volte di affrontare la questione con lui, senza poi averne il coraggio. Non solo Tony è rimasto ferito a causa sua perché non è riuscito a seguire le sue direttive invece di seguire lui, ma l'ha costretto anche ad assistere alla sua ben poco eroica dipartita con la falsa idea che fosse colpa sua, lasciandolo poi da solo col dramma di un universo annientato. Non è davvero colpa sua, ma Peter sa fin troppo bene che la morte di qualcuno pesa necessariamente su qualcun altro, e non basta un “mi dispiace” a cambiare i fatti.

Prende un respiro prima di indicarsi, l’indice puntato sul petto in un’accusa inconfutabile, e gli occhi dell’ingegnere si assottigliano all’istante.
 
«No,» dichiara subito. «Non hai il permesso di incolparti per quello che mi è successo, per qualunque altra cosa ti dovesse venire in mente. Non esiste, è chiaro?» sentenzia agitando il cacciavite a scandire le parole, con la mascella contratta in un’incredula severità.
 
Peter scuote appena la testa per poi incassarla nelle spalle, tirando le labbra mortificato. Sa che Tony crede in ogni parola che sta dicendo, ma il difficile è costringere lui stesso a crederci a sua volta. Lo sente sospirare, per poi cingergli le spalle con un braccio e dargli una lieve scrollata affettuosa e un po’ goffa.
 
«È successo quel che è successo, ok?» afferma a voce più bassa, ma Peter continua a tenere il capo chino. «Ehi, non ignorarmi: primo, detesto essere ignorato; secondo, non faccio spesso discorsi seri, soprattutto perché sono terribile a farli,» continua in tono più leggero, scuotendolo di nuovo e strappandogli un piccolo sbuffo divertito, senza però convincerlo ad alzare lo sguardo. «Non so se ricordi l’ultimo discorso serio che ti ho fatto,» aggiunge poi, in modo un po’ sfuggente.
 
Peter annuisce impercettibilmente. Ha recuperato memoria e chiarezza sull’ultima settimana, inclusi molti stralci di quella lunga chiacchierata notturna che lo aveva convinto di non essere vittima di un’illusione.
 
«Bene, allora hai già un’idea della quantità abnorme di errori che ho commesso, e io ho iniziato a zompettare in costume col triplo della tua esperienza. Che è un modo carino per dire che sono quasi vecchio,» cerca di ironizzare, come sempre quando si addentra in questioni spinose. «Comunque, stavolta cercherò di essere breve e conciso,» conclude non senza una traccia di nervosismo, forse al pensiero di avergli rivelato fatti molto personali.
«Quando sei rimasto sull’astronave per combattere, hai fatto ciò che pensavi fosse giusto, e sono l’ultima persona al mondo che può rimproverarti per questo. Anche se l’ho fatto,» specifica, schiarendosi la gola quasi a giustificarsi. «Sei rimasto e abbiamo combattuto insieme facendo tutto ciò che potevamo. E abbiamo perso. Certo, poi abbiamo vinto, ma– hai capito,» si interrompe, deglutendo a forza.
 
Peter sente la sua stretta farsi un po’ più salda, e non ha difficoltà a capire che sta rivivendo il momento in cui si è dissolto davanti a lui, sbriciolandosi sotto le sue dita; sente a sua volta un brivido al ricordo e non osa ancora alzare lo sguardo, stavolta per timore che la paura che gli suscitano ancora quei ricordi trapeli dai suoi occhi.
 
«Le cose brutte a volte accadono, Pete, lo sai. Quando ti ho reclutato mi hai detto che, se sei in grado di impedirle e non lo fai, accadono per colpa tua,» ricorda, costringendolo a trattenere la sorpresa per il fatto che gli siano rimaste così impresse quelle sue spiegazioni confusionarie. «In questo caso puoi dispiacerti per quello che è successo, per non avermi dato ascolto, o perché avresti potuto agire diversamente. Puoi dispiacerti per mille cose, ed è normale, è umano.» 
 
Gli dà una pacca sul petto col dorso della mano libera, all’altezza del cuore, quasi a sottolineare quella parola, e lo scosta leggermente da sé cercando guardarlo in volto, ma Peter continua a sfuggirlo.
 
«Ma non devi darti la colpa quando hai fatto tutto il possibile,» conclude comunque, quasi stentoreo.
 
Lo dice con tale convinzione che, per un istante, Peter pensa di poterci credere, per poi realizzare di voler imparare a farlo per davvero.
 
«Non devi convincertene adesso. E se hai ascoltato la prima puntata del discorso serio, sai che sarei ipocrita a dirti di farlo,» aggiunge Tony con un’alzata di spalle, quasi gli avesse letto nel pensiero. «Un passo alla volta, Pete.»
 
Gli dà un’ultima pacca leggera sulla schiena, per poi scostarsi e rivolgersi verso il bancone con assoluta disinvoltura, lasciandogli di nuovo i suoi spazi. Recupera il saldatore a penna e glielo piazza nella mano un po’ malferma senza aspettare una sua replica, rivolgendogli uno dei suoi sorrisetti storti quando incontra finalmente il suo sguardo.
 
«Su, basta chiacchiere. È ora di rimettere in sesto Spidey, che ne dici?»
 
Peter si limita a ricambiare con un sorriso sottile, sperando che Tony riesca a leggere l’enorme, caloroso “grazie” stampato sulla sua faccia.

 
§ 

La mano di Peter continua a tremare e Tony ha l’impressione che non sia solo semplice nervosismo: sembra che stia lottando contro il proprio corpo, il che non è poi così sorprendente. Finisce per trapassare completamente la sottile lamina metallica e lascia cadere il saldatore con un sussulto. Tony lo raccoglie prontamente e lo rimette sul suo supporto, mentre Peter digrigna i denti e sembra sul punto di scoppiare in lacrime o lanciare un grido per la frustrazione. Tony spera segretamente nella seconda eventualità, ma il ragazzino rimane in silenzio, coi pugni serrati e un’espressione addolorata in faccia. Almeno non se ne va in preda alla rabbia come ha fatto poco prima.
 
«Ehi, non fa niente. Anch’io ho le mie giornatacce, sai,» commenta scrollando le spalle e gettando via con noncuranza la sezione rovinata. «Finché non ti fai male tu, sei libero di devastarmi il laboratorio. Uh, a parte loro due,» si corregge, con un gesto verso Dum-E e U. «A meno che tu non voglia davvero spezzarmi il cuore.»
 
Riesce a strizzargli fuori un sorriso e a farlo concentrare di nuovo sul suo lavoro, ma gli è fin troppo facile vedere oltre quella facciata. È doloroso vederlo così demoralizzato, prosciugato di ogni energia, e i pensieri che evidentemente affollano la sua testa sono solo una parte del problema.
 
May gli ha detto che Peter ha a malapena la forza di trascinarsi fuori dal letto la mattina, mangia poco e niente ed è piuttosto certa che non sia ancora riuscito a dormire più di qualche minuto di fila; sta diventando sempre più difficile ignorare i marchi violacei attorno ai suoi occhi e le sue guance smunte. La maggior parte delle volte Tony riesce a nascondere piuttosto bene la sua preoccupazione e, soprattutto, il fatto che anche lui non se la stia passando molto meglio dal punto di vista dell’insonnia. Continua a passare notti in bianco in laboratorio e finge di addormentarsi tra le braccia di Pepper, ma la sua mente agitata gli impedisce di riposarsi per più di un paio d’ore.
 
C’entrano il mutismo e l’insonnia di Peter, c’entra lo stress e la stanchezza corrosiva che gli hanno lasciato addosso la battaglia e l’aver usato il Guanto, c’entrano gli incubi in cui si sveglia con la certezza di avere una lama infissa nello stomaco o con la sensazione della cenere appiccicata su volto e mani, c’entra il terrore di risvegliarsi di nuovo in un letto freddo e vuoto. Sono tutte cose che tiene per sé, come sempre, e che Peter non può venire a sapere, o si colpevolizzerebbe ancor più di quanto già non faccia.
 
Quando è con lui fa del suo meglio per riempire il silenzio se si fa troppo profondo, di offrire il suo aiuto senza dargli l’impressione di compatirlo, di essere chiacchierone ed esuberante come al solito mentre cerca di assestarsi a quella nuova situazione di squilibrio, il tutto sentendosi come uno zombie che va avanti a caffeina.
 
Ha deciso di aspettare altri tre giorni, poi lui e May dovranno seriamente affrontare il problema di come farlo dormire, a prescindere dal rifiuto di Peter di parlarne, forse perché sarebbe una discussione a senso unico. E se il suo mutismo continua, dovranno discutere anche di quello, forse mandarlo in terapia. Sicuramente dovrà andare in terapia. Tony non osa neanche immaginare quanto sia sconvolto dopo gli ultimi eventi, ma è certo che, se lui ha avuto bisogno di uno psicoterapeuta dopo aver attraversato un portale alieno rischiando di morire, a Peter ne serva uno dopo essere morto e tornato in vita.
 
Quel ragazzino ha una fibra di ferro e sa di trattarlo spesso in modo troppo protettivo, ma ciò non significa che stia davvero bene, e non è disposto a sottovalutare la sua salute mentale per qualche suo sciocco rifiuto di preoccuparsene.
 
«Non te la cavi male, per essere un novellino,» lo incoraggia in quel momento, sbirciando da sopra la sua spalla mentre è intento a lavorare con più destrezza sul rivestimento esterno della sua tuta. «Salda quella e hai finito,» aggiunge, additando l’ultima giuntura.
 
Peter esegue con metodica precisione, a dispetto delle dita tremolanti, e Tony riconosce lo sforzo che sta imprimendo in quel semplice gesto con una scintilla d’orgoglio per la sua tenacia.
 
«Visto? Te l’ho detto che Impari in fretta; ancora un po’ di pratica e ti assegno al servizio riparazione armature, contento?» conclude con un sorrisetto giocoso, sollevando poi gli occhiali protettivi.
 
Peter fa lo stesso, con un minuscolo sorriso a incrinargli le labbra. Le ombre che gli appesantiscono gli occhi sembrano dissolversi per un istante, solo per ricomporsi quando il suo sguardo incontra la cromatura rosso-blu, col simbolo del ragno attraversato da un profondo taglio slabbrato. Sembra sul punto di dire qualcosa, e lo vede chiaramente accapigliarsi con la sua lingua nel tentativo di farle articolare le parole. Non un suono lascia la sua bocca, e la sua fronte si increspa di rughe profonde e fuori posto sul suo volto giovane. Tony sente un vuoto alla bocca dello stomaco, ma si costringe a sembrare nel pieno controllo di se stesso e posa una mano leggera sulla sua spalla.
 
«Non forzarti, Pete. Te l’ho detto: hai tutto il tempo che ti serve,» gli dice a mezza voce, stringendo appena la presa.
 
Peter annuisce appena in risposta, ancora innervosito e con gli occhi incollati sulla sagoma sfigurata del ragno.
 
§ 
 
«E da quanto saresti sveglio, tu?» indaga Bruce, scrutandolo attraverso l’ologramma azzurrino che li separa.
 
«Uh… una settimana?» risponde lui distrattamente, mentre ingrandisce un esploso della Hulkbuster
 
«Hai decisamente bisogno di dormire,» bofonchia lo scienziato, con un’occhiata di rimprovero.
 
«Non stavamo parlando del ragazzino?» ribatte Tony, sulla difensiva.
 
«E adesso sto parlando di te,» alza le spalle Bruce, senza demordere facilmente.
 
«Beh, Doc, non è che mi dispiacerebbe fare il mio sonno di bellezza, ma…» esita appena, con la battuta che gli muore sulle labbra. «Lo sai come funziona,» sbuffa rassegnato, per poi evitare il suo sguardo.
 
«Sì, lo so,» risponde laconico Bruce. «Ne hai parlato con Pepper?»
 
«Non c’è bisogno,» replica, con le labbra che si curvano in un sorriso dolceamaro.
 
Lei sa sempre se sta dormendo davvero o per finta, a dispetto di quanto si impegni nel nasconderlo. E comunque, gli incubi lo tradiscono ogni volta che riesce a chiudere gli occhi. Anche lei ha avuto difficoltà a prendere sonno, e di positivo c’è che si rigirano nel letto insieme più spesso del solito, facendo almeno buon uso di quelle notti insonni.
 
«E con Steve?»
 
La voce di Bruce lo distoglie prima che i suoi pensieri esausti e alla deriva si soffermino su ricordi un po’ troppo vividi. Scuote la testa senza celare il disappunto per quella domanda imprevista e buttata là come se fosse assolutamente naturale. Il tatto di Bruce è come sempre impeccabile.
 
«Perché dovrei? Solo perché è stato in letargo per settant’anni non vuol dire che ne capisca qualcosa di insonnia,» replica, ostentando un’ironica nonchalance mentre si finge concentrato sui suoi progetti.
 
«Non mi riferivo a quello,» sospira Bruce.
 
Tony alza esageratamente gli occhi al cielo in tutta risposta, a sottolineare che lo sa benissimo.
 
«Hanno firmato gli Accordi emendati,» afferma poi, lapidario. «La questione è risolta,» conclude, con un’occhiata che lascia chiaramente intendere che anche quel discorso è chiuso.
 
«Non siete esattamente in rapporti amichevoli,» osserva l’altro.
 
«Siamo in rapporti civili1,» risponde secco Tony, chiudendo un mucchio di schermate e accartocciandole bruscamente nel palmo. «Ovvero, riesco a parlarci civilmente senza sentire l’urgenza di spaccargli i denti,» esplicita, con un sorrisetto incolore.
 
«Tony, sto solo dicendo che forse dovresti affrontare le tensioni irrisolte, invece di stare sul chi vive ogni volta che entra nella stanza,» specifica Bruce, con insolita loquacità e scostando da parte gli ologrammi che li separano per guardarlo direttamente negli occhi.
 
Tony si prende una breve pausa, assorbendo quelle parole mentre il suo cipiglio si infittisce.
 
«Non me ne frega un cazzo di “risolvere le tensioni”, né di Capitan Giustizia, e neanche del suo allegro compare sovietico, se proprio vuoi saperlo,» sbotta poi, causticamente. «Quello di cui mi frega adesso è come far dormire e parlare quel ragazzino prima che mi venga un infarto a un mese dalle nozze,» conclude, riuscendo faticosamente a non alzare la voce.
 
«Va bene, va bene,» si arrende Bruce, alzando i palmi. «Sei stato chiarissimo,» gli concede, forse sarcastico e non senza tirare le labbra in un moto di disapprovazione.
 
Tony gli scocca un’occhiata egualmente irritata e gli volta le spalle, fingendo di controllare dei dati dietro di lui per celare la sua espressione ora turbata. Al diavolo quei maledetti Accordi, al diavolo i suoi incubi, al diavolo Thanos e pure tutti i Vendicatori. Sarebbe disposto ad affrontare di nuovo la Siberia se ciò potesse far tornare Peter quel ragazzo spensierato e pieno di vita che insieme a Pepper l’aveva strappato proprio da quella morsa gelida. Sbatte rapidamente le palpebre per scacciare il velo liquido che gli ha annebbiato gli occhi: lo farebbe senza pensarci due volte.
 
«Devo fare qualcosa,» si trova a mormorare, quando è sicuro che la sua voce sia in grado di reggere le emozioni che si dibattono dentro di lui.
 
«Hai qualche idea?» chiede cautamente Bruce, accettando quel cambio d’argomento.
 
«No. Ho già fatto la mia parte sul fronte dei colpi di genio risolutivi, e sono seriamente a corto d’inventiva,» sbotta lui con un sospiro frustrato. «Non riesco a dormire, quindi non penso lucidamente, ma non dormo perché sono troppo occupato a pensare,» si lascia andare poi, giocherellando con fare irritante col modellino dell’armatura come se fosse una pallina antistress.
 
Bruce blocca i suoi movimenti inconsulti afferrando l’ologramma a mezz’aria.
 
«Risolveremo anche questa, Tony,» dice con fermezza. «Come sempre.»
 
Tony si limita a replicare con un cenno d’assenso poco convinto.
 

1"Siamo in rapporti civili" è una resa un po' libera dell'espressione originale "we're on speaking terms"; visto il rimando ironico alla Guerra Civile mi è sembrata una traduzione appropriata.

Note Dell'Autrice:

Salve a tutti!
Troppo fluff, lo sapete, mi rimane sullo stomaco, quindi era doveroso compensare con un po' di sano angst in questo capitolo <3
In realtà è una parte un po' di passaggio,ma sta per arrivare il bello :D

Mi rendo conto che May è e sarà poco presente in quest'ultima fase, ma vorrei sottolineare che non svaluto affatto il suo ruolo: volevo semplicemente concentrarmi su quello che ha Tony nella vita di Peter, soprattutto in un momento così delicato. Lui è di fatto l'unico che può provare a capire come si sente grazie al suo vissuto; May, per quanto sia un affetto fondamentale e imprescindibile, non fa parte di quel mondo e offre un tipo di supporto diverso (a cui darò comunque comunque rilevanza).
Scusate lo spiegone, sarà che anch'io mi sento in colpa nel metterla un po' da parte :'D

Ringrazio come sempre T612 e _Atlas_ per aver recensito gli scorsi capitoli, e quest'ultima anche per aver betato con infinita pazienza <3

A sabato prossimo, col penultimo capitolo!

-Light-

P.S. Link al capitolo originale (come nei precedenti, traduzione e originale hanno diversa divisione) -> What A Good Laugh Can Bring


 

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Capitolo 9
*** C'è sempre una luce in fondo al tunnel ***


9
 
C'è sempre una luce in fondo al tunnel
 
 
 
“Just shine a light into the wreckage
So far away, away
'Cause I'm still breathing
'Cause I'm still breathing on my own
My head's above the rain and roses
Making my way away”

 
[Still Breathing – Green Day]
 
 
 
          Tony e Bruce escono stancamente dal laboratorio, entrambi diretti alla sala comune per fare il pieno di caffeina e far prendere un po’ d’aria fresca al cervello prima di rimettersi all’opera con la Hulkbuster.
 
Tony ha tutte le intenzioni di sfruttare quella breve pausa per passare un altro po’ di tempo con Peter, soprattutto dopo il confronto a senso unico di ieri; più ci pensa, più si rende conto di quanti fardelli insensati si stia facendo carico il ragazzo. È lieto che May gli abbia permesso di passare il finesettimana al Complesso, come faceva quasi sempre prima di Thanos: ha assolutamente bisogno di tenere occupata la mente, e ci sta riuscendo piuttosto bene. Ha passato la mattinata a riprogettare i suoi spara-ragnatele ed è stato molto chiaro sul fatto di voler portare a termine quel lavoro da solo, ma Tony è sicuro che non si seccherà più di tanto se passa a dare un’occhiata di persona. D’altronde i tre giorni di tempo sono quasi scaduti, e ha tutte le intenzioni di risollevargli l’umore prima di addentrarsi in discussioni spinose che gli faranno odiare definitivamente il suo mentore.
 
Viene distolto dalle sue considerazioni da un vivace scoppio di risa che proviene proprio dalla sala comune, seguito poi da altri risolini soffocati. Inizialmente non vi fa troppo caso, finché non distingue la risata gracchiante di Barton, quella acuta di Nataša e quella asfittica di Rogers. Scambia un’occhiata con Bruce, che alza le sopracciglia egualmente perplesso, e svoltano assieme l’angolo con rinnovata curiosità.
 
Rogers, Nat e Barton sono spaparanzati sul divano e sembrano sul punto di strozzarsi per le loro stesse risate nel guardare la tv, di cui lui e Bruce non riescono ancora a vedere lo schermo. Peter è seduto alla penisola della cucina, circondato dai suoi schemi e appunti, e un ampio sorriso gli attraversa il volto, chiaramente divertito da qualunque cosa gli altri stiano guardando.
 
«Che succede di bello?» pronuncia Tony a mo’ di saluto, cacciando le mani in tasca per poi voltarsi verso lo schermo.
 
È costretto a soffocare a stento una risata con un verso nasale e ben poco elegante, seguito dallo sbuffo divertito di Bruce non appena mettono a fuoco la causa di tutto quel turbamento: un video di sorveglianza in bianco e nero mostra un Fury assolutamente inferocito camminare a passi tonanti su e giù per il suo ufficio, mettendolo a soqquadro come un uragano. La ripresa è muta, ma dal labiale si captano perfettamente gli insulti e improperi che scaglia contro qualunque cosa gli capiti a tiro, che finisce puntualmente a impattare col pavimento già disseminato di vittime.
 
«È quello che penso?» chiede speranzoso Tony, coprendosi parzialmente la bocca per nascondere il suo sogghigno e avvicinandosi per vedere meglio.
 
«Non ci credo,» commenta Bruce, scuotendo la testa.
 
Clint, rosso come un peperone, riesce a inalare una boccata d’ossigeno appena sufficiente a gracidare un flebile “sì” di risposta.
 
«Abbiamo trovato le registrazioni perdute,» spiega Rogers, recuperando una parvenza di contegno, tradito dal volto acceso e dagli occhi lucidi per il gran ridere.
 
Si rivolge a lui, ma lo guarda di sfuggita, e Tony fa lo stesso, senza peraltro commentare.
 
«Non erano state del tutto eliminate dal database dello SHIELD,» interviene Nat con disinvolta tempestività, indirizzandogli un sorrisetto complice.
 
«Ah, davvero? Che svista deplorevole,» replica Tony falsamente indignato, facendole l’occhiolino. «Ragazzo, ti hanno aggiornato sui retroscena?» aggiunge poi, notando che Peter li osserva con fare al contempo incuriosito e a disagio.
 
Alle sue parole la sua faccia si infiamma nel sentirsi improvvisamente al centro dell’attenzione, e scuote impercettibilmente la testa. Tony si rivolge ai suoi compagni di squadra, guardandoli storto.
 
«Vergognatevi,» li rimprovera blandamente. «Non gli avete detto di chi è stata la geniale idea per lo scherzo del secolo?» si lamenta, premendosi una mano sul petto a sottolineare il suo ruolo.
 
«Ehi, testa di latta, ho rubato io la benda, quindi–…» comincia Clint, risentendosi subito.
 
«E chi ti ha parato le chiappe per non farti spellare vivo da Fury?» gli ricorda Nat con uno sguardo eloquente, mentre Steve sopprime un’altra risatina e Peter si gode quello spettacolo insolito con aria divertita.
 
«Sì, come no…» borbotta Clint tra sé e sé, a intendere di non averla passata del tutto liscia per quella bravata.
 
«È stato un ottimo lavoro di squadra,» sospira Bruce, riprendendo il suo consumato ruolo di paciere del gruppo, per poi lasciarsi cadere seduto sul divano con loro e unirsi alla rievocazione dell’evento.
 
Tony li lascia a chiacchierare e si fa strada verso la cucina, versandosi una tazza di caffè per poi accostarsi a Peter, che gli mostra in silenzio gli schemi che ha abbozzato senza nascondere una certa soddisfazione. Ne ha tutte le ragioni, conclude, passando in rassegna le migliorie che ha progettato. Nonostante sia consapevole della spiccata intelligenza del ragazzo, riesce sempre a sorprenderlo in modo estremamente positivo. Non è bravo a dimostrare quanto sia fiero di lui in quel senso, soprattutto non davanti agli altri, così si limita a sorridergli con un lieve cenno d'assenso, e quello basta a illuminare il suo volto e a fargli brillare gli occhi. Per forza di cose, stanno diventando bravi nella comunicazione non verbale, e si sforza di vederlo come un fatto positivo a prescindere dalle cause.

Recupera una penna per revisionare gli appunti, e la sua completa concentrazione viene rotta da un alto scoppio di risa – ed è sicuro che entro fine giornata Barton andrà in ipossia. Un sorrisetto gli preme agli angoli delle labbra, e le arriccia per trattenerlo.
 
«C’è un qualche motivo per questo nostalgico tuffo nel passato?» chiede infine con fare casuale, senza sollevare la testa verso di loro.
 
«Stavamo soltanto… ricordando i vecchi tempi,» dice Steve, quasi in tono di scuse.
 
«I bei vecchi tempi…» borbotta Tony, e tiene gli occhi puntati sul progetto di Peter perché sa che Steve sta cercando di incrociarli.
 
A dispetto di ciò che ha detto a Bruce, non è dell’umore per mostrarsi attivamente scontroso nei suoi confronti, ma non vuole neanche allestire una pantomima fingendo di essere i migliori amici che non sono mai stati.
 
«Secondo il copione dovrei versare una lacrimuccia?» ironizza poi malamente, rigirandosi la penna in mano.
 
«Stark, per una volta ce la fai a non rovinare tutto?» sbotta Clint, infastidito, ed è chiaro che non ha ancora mandato giù i due anni di arresti domiciliari.
 
Tony si lascia scorrere addosso quel commento e si concentra invece nel sottolineare un calcolo sugli appunti, scribacchiandovi accanto una correzione. Peter annuisce appena, riconoscendo l’errore, ma è evidente come la sua attenzione sia rivolta altrove, innervosito dal loro battibecco teso. Tony intercetta il suo sguardo accigliato e si ritrova a desiderare di non avergli mai raccontato della Siberia, e poi di non aver mai messo piede in quella stanza. Gli rivolge un mezzo sorriso rassicurante a comunicargli che va tutto bene, ma Peter è troppo sveglio per lasciarsi ingannare e in tutta risposta tira dubbioso le labbra, smascherandolo con un semplice sguardo diretto. Tony abbassa il suo, colto in fallo. Prende a riflettere rapidamente, in attesa di un colpo di genio che non tarda ad arrivare.
 
«Non volevo rovinare un bel niente,» afferma infine, senza particolare inflessione, e sfoggia un’espressione sorniona nel rialzare il volto verso gli altri. «In realtà stavo pensando alla considerevole quantità di vostri video imbarazzanti che potrei aver collezionato nel corso degli anni…» li stuzzica, godendosi le loro espressioni ora decisamente preoccupate e prendendo nota della scintilla d’interesse che illumina il volto di Peter.
 
Pesca con fare disinvolto il cellulare dalla tasca, mettendolo in bella vista e offrendo loro un mezzo sogghigno impertinente.
 
«Dunque… chi vuole essere il primo?»
 
§ 
 
Appena venti minuti dopo, Tony si sente come se avesse fatto un centinaio di addominali ed è sicuro che non riuscirà mai più a tirare un respiro completo in vita sua.
 
Stanno ridendo così forte che sono addirittura riusciti a stanare Rhodey, Wanda e Pepper dai rispettivi alloggi, probabilmente preoccupati per un possibile attacco di isteria collettiva.
L’unico attacco, per ora, è quello di ridarella irrefrenabile che ha colpito lui nel vedere un vecchio video di Steve mentre usa per la prima volta un computer; neanche l’intervento di Pepper, altrettanto esilarata nel vederlo in quello stato, è riuscito ad arginarlo, così si è rassegnato a singhiozzare con le lacrime agli occhi come un idiota aspettando che si esaurisca per conto suo.
 
L’ampio divano ha rischiato di collassare, visto che Steve, Clint, Nat, Rhodey, Wanda e Bruce avevano deciso che lo spazio sarebbe bastato per tutti, sopravvalutandone chiaramente la capienza, e l’ordine si è ristabilito solo quando Wanda e Bruce si sono trasferiti sulle due poltrone libere. Wanda riesce a mantenere parzialmente il solito contegno, ma c’è un sorrisetto ad aleggiare sul suo volto e ha scambiato più di uno sguardo con Peter, come ad assicurarsi delle sue condizioni.
 
Tony, ripresosi dalla ridarella, ha ceduto a Pepper il proprio posto accanto al ragazzo, abbracciandola delicatamente da dietro col mento sulla sua spalla mentre continua a controllare la TV tramite il telefono, sentendosi esaltato come quando rubava il telecomando da bambino. Non si divertiva così da molto tempo, e realizza quanto si senta davvero sereno nel sentire la risata genuina di Pepper risuonargli nel petto, e viceversa. Anche Peter non la smette di sogghignare, sebbene in silenzio, ed è lieto di essere riuscito a scacciare almeno una parte delle sue preoccupazioni.
 
Conclude che, in fin dei conti, aveva bisogno di un pomeriggio spensierato con la sua famiglia e i suoi compagni di squadra, ed è più che disposto a far finta che non ci siano ancora mille questioni irrisolte ad aleggiare tra loro. A volte un po’ di finzione non guasta, e hanno comunque tutto il tempo del mondo per affrontarle.
 
Sta giusto per avviare un video di Clint oltraggiosamente ubriaco dopo la festa di compleanno di Nat, quando qualcuno gli sottrae il controllo dello schermo collegandovi il proprio dispositivo. Capta un bisbigliare sospetto inframezzato da risolini tra Nat e Rhodey, e fa leva sui gomiti per vedere oltre lo schienale del divano.
 
«Ehi, ciurma!» li richiama, un po’ indispettito. «Questo è ammutinamento.»
 
A quel punto Steve si volta a guardarlo, con un’inaspettata espressione maliziosa a solcargli il viso da innocente chierichetto.
 
«Tony, è il tuo turno per la sfilata della vergogna,» annuncia, a malapena in grado di contenere l’ilarità.
 
«Da quando ci diamo del tu?» lo rimbecca lui, con un’ironica alzata di sopracciglia. «A parte questo, prima ci sono decine di certi tuoi video che potrei aver voglia di vedere.» Fa una pausa ad effetto e lo vede sbiancare. «Di nuovo,» aggiunge poi, con un ghigno un po’ storto.
 
«Stai bluffando,» esala lui, additandolo inorridito, e Tony in tutta risposta si limita ad ampliare il sogghigno.
 
«Prenditela col ragazzino,» dice, dando a quest’ultimo uno spintone giocoso mentre lui tenta probabilmente di farsi invisibile. «È lui che mi ha fatto conoscere i tuoi “filmati educativi”. Andrebbero inseriti nei programmi di recupero per traumi: sono oro colato per riprendersi,» puntualizza, in verità senza voler implicare nulla, ma le parole gli sfuggono nel modo sbagliato.
 
Sente Pepper circondargli discretamente il polso, come a trattenerlo, e lui le accarezza il dorso della mano col pollice a intendere che non ce n’è bisogno.
 
«Non riesco a credere che li abbiano usati sul serio,» si lamenta ancora Steve, ignorando la frecciatina involontaria e sbuffando per quella scoperta.
 
«Beh, almeno sono serviti a qualcosa,» commenta con noncuranza Tony, livellando la propria voce a smorzare la sua uscita.
 
Stringe brevemente la mano di Pepper e si scosta da lei, avvicinandosi al divano e afferrando un’altra tazza di caffè strada facendo, per poi gesticolare in direzione di Rhodey:
 
«Forza, reclamo il diritto di avere un posto in prima fila per assistere alla mia gogna, grazie tante,» gli dice poi, e l’amico esegue con un po’ troppa prontezza.
 
«Accomodati, tanto io so già cos’è,» dice con fare misterioso, scambiando un’occhiata poco rassicurante con Nat.
 
Tony si acciglia e sprofonda nel divano, con un brutto presentimento. E poi realizza che Steve è seduto giusto accanto a lui, a meno di un braccio di distanza, il che non è esattamente un toccasana per i suoi nervi. Lancia un’occhiata discreta a Pepper, pentendosi già di essersi spostato, e lei ricambia con un’espressione che dice chiaramente “l’hai voluto tu”. In quel mentre nota che Peter sembra assente, con lo sguardo che vaga in un punto indefinito al centro della stanza, probabilmente esausto e frustrato per non poter partecipare attivamente a quella sorta di evento fuori programma. Sta giusto meditando se cedere a lui il posto sia una buona idea, così da prendere due piccioni con una fava, quando Steve segue il suo sguardo e lo anticipa:
 
«Peter? Vieni qui con noi,» lo invita, e Tony è sicuro che il ragazzino sia sul punto di avere un infarto mentre sposta frenetico lo sguardo tra lui, Steve, Pepper e gli altri.
 
«Dài, dopotutto adesso sei anche tu un Vendicatore,» concorda Nataša, e fa sloggiare a forza Clint per guadagnare un posto.
 
L’arciere grugnisce scocciato, ma non oppone resistenza, per poi squadrare Peter.
 
«Lo è?» chiede, con evidente perplessità.
 
«L’ho promosso personalmente, Cupido,» ribatte Tony con aria di sfida, quasi avesse offeso lui. «E comunque, mi serve un airbag tra me e il nonnetto, o rischiamo di darcele di nuovo di santa ragione,» scherza con un sorrisetto un po’ malfermo, puntando un dito verso Steve.
 
Lui gli rivolge un’occhiataccia in risposta.
 
«Tony…»
 
«Per l’amor del Cielo, Cap, sto scherzando,» sospira lui, esasperato.
 
«Ehi, voi due, non cominciate,» interviene Nataša, dando l’impressione di essere pronta a metterli al tappeto se necessario.
 
A Peter serve ancora una spintarella da parte di Pepper per alzarsi un po’ barcollante e prendere posto con l’aria di chi è appena stato spedito al patibolo. Si siede cautamente tra loro due, teso come una molla pronta a schizzar via. Tony ritiene più saggio non metterlo ancor più in difficoltà e si limita a rivolgergli un sorrisetto, per poi aspettare pazientemente che Nat avvii il misterioso filmato. Non appena vede i primi fotogrammi, gli cade la mascella in una reazione di puro terrore, realizzando all’istante cosa sta guardando.
 
«No, col cazzo!» si oppone, con una nota sofferente nella voce.
 
«Linguaggio,» bofonchia, o meglio, sghignazza Steve, probabilmente con l’intento di fargli perdere ancor di più le staffe, e Tony è grato per la presenza dell’“airbag”.
 
Il suo tentativo di raggiungere il telecomando viene troncato da Rhodey, che lo inchioda al divano alle spalle; riconosce la risatina soffocata di Pepper dietro di lui.
 
«Traditori! Voi sapete cos’è!» li accusa con sdegno.
 
«Certo, e non mi stancherò mai di riguardarlo,» replica Rhodey, continuando a tenerlo fermo mentre gli altri scoppiano nelle prime risate incredule e divertite.
 
«E un po’ te lo meriti,» aggiunge Pepper, con una vena di perfidia.
 
«Ti ricordo che ho ancora un addio al celibato da festeggiare!» la minaccia, mortalmente serio e con ben poca efficacia.
 
Abbandona infine ogni resistenza e si rassegna a guardare lo schermo: Malibu, 2009. La sua maledetta festa di compleanno. La sua controparte passata se ne sta in salotto con l’armatura addosso mentre si improvvisa DJ, un ghigno ebete stampato in faccia. L’audio è così tremendo che la musica di sottofondo è a malapena riconoscibile, quindi magari non sarà costretto ad ascoltare le stupidaggini che ha iniziato a blaterare dopo l’ennesimo bicchiere…

Le sue speranze si infrangono nel sentire appunto la propria voce, forte e chiara in tutta la sua pronuncia biascicante e ubriaca.
 
«Per l’amor di Dio, adesso basta,» protesta debolmente, solo per essere completamente ignorato.
 
Prende un irritato sorso di caffè, imbronciandosi ancor di più nel ripercorrere le sue imprese passate con un cipiglio affatto divertito.
 
«E poi era tutto sotto controllo!» sottolinea, sovrastando il coro di risa che esplode mentre si guarda inciampare nei suoi stessi piedi mandando un tavolino a gambe all’aria con uno schianto.
 
Può chiaramente percepire Pepper che lo trapassa con lo sguardo puntato sulla nuca; si volta di scatto verso di lei, facendole un’infantile linguaccia, prima di tornare con gli occhi fissi sullo schermo. Quindi, è così che ci si sentiva ad essere in punizione…
 
«Una domanda che mi fanno spesso è…» riesce a dire il suo alter-ego pixellato senza soffocare sulla sua stessa lingua.
 
«Arriva,» bofonchia lui, quasi gorgogliando nel caffè e fingendo di non esistere mentre gli altri riescono a malapena a respirare.
 
«… Tony, come fai ad andare in bagno nell’armatura?»
 
C’è una breve, terrificante pausa, e Tony si prepara mentalmente all’impatto.
 
«Ecco fatto.»
 
Peter scoppia a ridere.
 


Note Dell'Autrice:

Ebbene sì, cari lettori, il fluff straborda da questo capitolo come se non ci fosse un domani!
D'altronde, dopo aver fatto patire questi poveracci per quasi dieci capitoli, mi sembrava d'obbligo farli rifiatare un po' :')
La prossima settimana ci sarà il "gran finale", quindi rimanete sintonizzati <3

Ringrazio tantissimo _Atlas_ e T612 per aver recensito lo scorso capitolo e Miryel per aver iniziato a leggere la storia commentando il primo <3
Grazie di cuore a tutte e a sabato prossimo!

-Light-

 

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Capitolo 10
*** Una chiave ***


10
 
Una chiave
 
 
 
“Sono sopravvissuto al bosco
Ed ho battuto l'orco
Lasciami stare, fa’ uno sforzo

E prenditi il cosmo
E non aver paura che

No, non è vero
Che non sei capace
Che non c'è una chiave”
 
[Una Chiave – Caparezza]
 
 
 
          Tony si gira così in fretta che rischia di rovesciarsi addosso il caffè, e fissa Peter sbigottito mentre metà dei presenti si lascia sfuggire un verso di sorpresa e l’altra metà trattiene rumorosamente il respiro.
 
Vorrebbe dire qualcosa e poi decide di non farlo, perché rischierebbe di rovinare tutto, e forse distruggere quello che potrebbe benissimo essere un frutto della sua immaginazione. Magari questa volta ha davvero strafatto e l’insonnia gliela sta facendo pagare. Ma quello è senz’ombra di dubbio il primo, vero suono che ha lasciato le labbra di Peter dopo i singhiozzi strazianti su Titano, e starebbe ad ascoltarlo per ore.
 
Il Tony nel video sbotta a sua volta a ridere, con un risolino alticcio, acuto e assolutamente ridicolo che non fa che alimentare l’ilarità di Peter; il vero Tony sente gli angoli delle labbra inclinarsi verso l’alto in un sorrisetto, poi un sorriso vero e proprio, poi un ampio ghigno, fino a che non si trova anche lui a ridacchiare, più per il sollievo che altro.
La risata di Peter finisce per esaurirsi, e il ragazzo diventa improvvisamente consapevole dei riflettori puntati su di lui.
 
«Oh,» esala, con appena un filo di voce e gli occhi sbarrati e lucidi.
 
Quella semplice sillaba è abbastanza per far uscire i suoi compagni di squadra dall’impasse, e dopo uno scambio di reciproci sguardi increduli iniziano subito a bombardarlo di domande, di "stai bene?" e "puoi parlare?" ed esclamazioni sovrapposte che si perdono nel caos generale. Peter non riesce a dire altro, ancora frastornato e immerso in un gioioso spaesamento. Solo Tony se ne sta in silenzio: stavolta è il suo turno di rimanere senza parole, e si sforza di recuperarle solo quando Peter lo guarda con sconcertata felicità, quasi in cerca di un appiglio.
 
«Riesci a…?»
 
Non completa la frase, ma Peter annuisce all’istante, mentre gli altri si calmano come un sol uomo, consci della delicatezza del momento.
 
«Sì,» gracchia esitante. «Credo di sì,» sorride poi, offrendone prova definitiva.
 
I suoi occhi sembrano abbracciare tutta la stanza, prima di fissarsi su Tony.
 
«Sono qui?» gli chiede piano, ancora incredulo.
 
«Sei qui,» gli conferma lui, sforzandosi di nascondere il fatto di essere di nuovo sull’orlo delle lacrime e impedendosi di cedere solo perché tutti lo stanno guardando.
 
Peter annuisce di nuovo, ripetutamente, e nel farlo la realizzazione di ciò che sta accadendo lo colpisce appieno e sembra sul punto di svenire.
 
«Oddio,» mormora, con voce appena tremante, tastandosi le mani come a trovare prova tangibile di esserci davvero. «Sono qui. Sono qui,» ripete, incapace di aggiungere altro mentre si stringe tra le braccia, in un gesto terribilmente conosciuto che Tony decide all’istante di detestare con tutto se stesso e proibire per sempre.
 
È giusto in procinto di gettare al vento la propria dignità e abbracciarlo senza ritegno per spezzare quella morsa in cui si è chiuso, quando le sue successive parole lo congelano a metà gesto:
 
«Signor Stark, mi disp–»
 
«Non ci provare nemmeno, Parker,» Tony gli punta conto l’indice, mortalmente serio, e Peter ammutolisce. «Non voglio sentirti dire mai più quelle parole. Sono bandite a vita, è chiaro?» gli ordina, inflessibile solo in superficie, perché dentro si sente spezzare con l’eco di quella stessa frase persa nel vento caldo di Titano.
 
Peter annuisce, con occhi enormi e consapevoli, e a Tony basta questo per sapere che rispetterà quella richiesta. Realizza solo allora che, forse, è stato un po’ troppo brusco, e sente gli sguardi degli altri Vendicatori pesargli addosso in modo un po’ accusatorio.
 
«A parte questo, sei libero di appestarmi le orecchie con qualsiasi stupidaggine ti passi per la testa,» sorride allora, addolcendo il tono.
 
Gli occhi di Peter sembrano sbrilluccicare a quel permesso, e Tony sa di aver appena firmato la propria condanna a morte. A quel punto si alza in piedi, arruffandogli frettoloso i capelli in un gesto d’affetto che spera passi inosservato agli altri, prima offrirgli la mano per aiutarlo. Intercetta brevemente gli occhi di Pepper dall'altro lato della stanza, radiosi quanto i suoi. E in quel momento, in quel singolo istante in cui sente Peter afferrare la sua mano per rialzarsi e si trova a ricambiare al contempo il sorriso di lei, si sente completo. Una spirale di vertigini gli fa girare inaspettatamente la testa, ed è con passo leggero che incita Peter a seguirlo.
 
«Vieni, direi che è il caso di fare uno squillo a tua zia.»
 
§ 
 
Peter si rigira per l’ennesima volta il cellulare in mano, esitando a usarlo. Eppure, adesso fare quella chiamata dovrebbe essere semplice.
 
La sua voce funziona: percepisce le corde vocali vibrare, la lingua che devia il flusso d’aria, le labbra che lo bloccano o arrestano seguendo l’andamento dei suoi pensieri e sente il proprio timbro risuonargli nelle orecchie senza potersi davvero ascoltare. È pura meccanica, e funziona alla perfezione, ma il suo pollice continua a titubare sulla piccola cornetta verde, a dispetto del numero di zia May già composto sullo schermo.
 
Fa un sospiro intenzionalmente più sonoro di quanto farebbe di solito e lascia vagare lo sguardo attorno a sé, cercando di distogliersi dai suoi timori infondati. Per fare quella chiamata Tony gli ha prestato il proprio telefono – “effetto sorpresa”, ha detto – e lo ha portato negli alloggi suoi e di Pepper al Complesso per poi lasciarlo solo, offrendogli un po’ di privacy e al contempo un ambiente conosciuto, più familiare e accogliente della stanza già riservata a lui, ma ancora vuota e asettica. Conoscendo le paranoie di Tony, non è un atto di fiducia da poco, e lo apprezza immensamente.
 
È rimasto in piedi, camminando avanti e indietro per l’ampio salone cercando di non ficcanasare troppo in giro, anche se si è soffermato più di una volta davanti alle tre foto incorniciate sul mobiletto dell'ingresso: una un po' datata di Tony e Pepper a passeggio sulla spiaggia di Malibu, un’altra di loro due con Rhodey e Happy mentre festeggiano il Capodanno del 2005. La terza, e quello è il motivo per cui Peter continua a gironzolare là attorno come vi avesse trovato un centro di gravità, è un selfie che Tony ha scattato a tradimento mentre erano a cena al thailandese con Pepper e May, nel quale Tony fa una buffa smorfia con un lampo di panico negli occhi mentre Pepper cerca di strappargli il cellulare di mano, zia May fa un inutile tentativo di coprirsi il volto e lui è gloriosamente immortalato a bocca spalancata, in procinto di addentare un raviolo. Si scopre a non provare troppo imbarazzo nel vedersi in quella posa ridicola, né per il fatto che sia esposta in bella vista.
 
Quella foto lo aiuta a ricordare che è esistito un prima dello schiocco, un lasso di tempo reale in cui il martedì andava a cena dal thailandese con May, o Ned, o entrambi; e poi Tony e Pepper erano entrati in quella routine con una naturalezza che a volte lo lasciava stupefatto a chiedersi cosa ci facessero lui e May seduti allo stesso tavolo con Iron Man e la CEO delle Stark Industries.

Nella sua completa irrealtà quello è un fatto reale, accaduto, stampato su carta fotografica e racchiuso in una cornice sotto gli occhi di tutti. C’è stato un prima e ci sarà un dopo, ovviamente, un dopo in cui non dovrà preoccuparsi di rimanere muto o intrappolato; e nel prima e nel dopo c’è zia May. Anche quello è un fatto scontato, logico, intessuto nella filigrana stessa della propria vita.
 
Però continua a rivoltarsi il cellulare in mano e mille pensieri nella testa. Si sente come se potesse sbagliare qualcosa nel fare una semplice telefonata a sua zia, quando dovrebbe essere la cosa più semplice e naturale del mondo. Il punto è che non sa più cosa sia naturale o meno, e il prima e il dopo sono ombre pallide e deboli rispetto a ciò che è accaduto. È scomparso – morto – e poi è tornato indietro, bloccato tra due mondi, poi è tornato per metà e adesso è davvero qui – dov’è “qui”, poi? – e il tutto lo disorienta come se si stesse equilibrando in punta di piedi e a occhi bendati sul fulcro di una trottola impazzita.
 
Ha l’impressione di aver vissuto dieci vite, e ha solo diciassette anni. È solo all’inizio, ma ha giurato di essere Spider-Man finché ne sarà in grado. Solo che un giorno non poi così lontano non ci sarà più Tony a coprirgli le spalle in battaglia, e poi non ci sarà neanche più May ad accoglierlo a casa, e quindi esisterà un prima e dopo Tony e May, così come adesso esiste un prima e dopo Ben.
 
Ha paura, ed è la prima volta che si concede di formulare appieno quel pensiero. È un fantasma a cui non ha mai permesso di cristallizzarsi, ma adesso si rende conto che è inutile ignorarlo, perché così facendo lo fa solo rintanare negli angoli più bui, invisibile ma presente, sempre più grande ogni volta che non guarda. Ha paura di non riuscire a tornare ad essere di nuovo se stesso, reale, corporeo, inserito nella vita di chi lo ama e lo fa stare bene.
 
Ha paura, ma avvia comunque la chiamata e si porta il telefono all’orecchio, seguendo il ritmo dello squillo col piede, perché una telefonata è normale, esiste, ma non è così concreta da farlo sentire evanescente al confronto. Gli salta il cuore nel petto quando sente lo scatto della risposta:
 
«Pronto?» May sembra un po’ affannata, come se avesse corso per rispondere. «Tony?»
 
Peter per un momento non sa cosa dire, come dirlo, non sa più parlare ed è convinto di aver perso nuovamente la voce, per poi sentirla lasciare con lieve spontaneità le sue labbra nel richiamo più naturale che conosce:
 
«Zia May?»
 
C’è un breve silenzio dall’altro capo, rotto poi da una risata un po’ soffocata, incredula, gioiosa, mischiata al suo nome ripetuto che quasi lo assorda; il suo sorriso si allarga a dismisura quasi May potesse vederlo.
 
«Bentornato.»
 
§ 
 
Peter, con sommo sollievo di Tony, torna dalla telefonata con May sfoggiando un sorriso a trentadue denti e uno sguardo lucido e brillante che avrebbe fatto intenerire Thanos, figuriamoci gli eroi più potenti della Terra. Il ragazzo viene letteralmente preso d’assedio dai Vendicatori, visto che non c’è stata ancora una vera e propria occasione per conoscersi, e si guadagna il titolo di beniamino della squadra in tempo record.
 
Tony si tiene a distanza e lascia che la cosa vada avanti ancora per un po’, prima di intervenire spinto dal buonsenso – gelosia, lo prende in giro Pepper – e permettere al ragazzo di respirare. A suo rischio e pericolo, propone un altro round di video ridicoli per intaccare definitivamente la patina dorata che ricopre il loro eroico gruppetto agli occhi di Peter. La cosa gli sfugge di mano e si tramuta ben presto in una gara a chi riesce a trovare il video più imbarazzante degli “anni d’oro di Tony Stark”. Con sua sorpresa, a dispetto di tutti i suoi sforzi per cancellare quelle tracce, la rete pullula di testimonianze più o meno legali al riguardo, che mettono ancora decisamente alla prova il suo amor proprio, inclusi alcuni eventi che Peter e Pepper – soprattutto Pepper – non dovrebbero assolutamente vedere – o rivedere. Elimina con efficienza il materiale più compromettente con l’aiuto di FRIDAY prima che Clint o Nat possano mettere all’opera le loro doti spionistiche.
 
La sua compilation della vergogna ha inizio, ma non ci fa più nemmeno caso, perché vedere Peter che ride al momento sbagliato finendo per sputare il suo succo di frutta dal naso compensa in larga parte la sua dignità calpestata. Tra uno smacco al suo orgoglio e l’altro, ascolta il ragazzo che, dopo qualche timido tentativo, riprende a parlare a tutta birra come ha sempre fatto, e lui è tutto orecchi; ascolta intentamente la sua voce come mai ha fatto prima, a prescindere da ciò che dice: dopo una settimana di opprimente silenzio, potrebbe anche convincersi ad ascoltarlo riassumere ogni singolo film e libro di Star Wars. Di nuovo.
 
Nonostante il buonumore, si sente comunque sprofondare quando vengono riportati alla luce altri, raccapriccianti filmati del suo trentanovesimo compleanno, che lo mostrano ubriaco oltre ogni immaginazione mentre colpisce un cocomero a mezz’aria con l’uniraggio. A quella vista, Peter è a malapena in grado di contenere le risa, e fissa alternativamente il Tony in carne ed ossa e quello sullo schermo con un misto di colpevolezza e totale incredulità, come se non volesse davvero prendersi gioco di lui, ma non potesse farne a meno. Tony ridacchia a sua volta, anche se preferirebbe di gran lunga mimetizzarsi con la fodera del divano – cosa che, data la sua sfumatura borgogna, potrebbe essere del tutto possibile al momento.
 
Sta giusto per balzare in piedi e improvvisare un’arringa in sua difesa riguardo agli eventi di quella notte, quando un peso si abbatte di colpo su di lui, spingendolo da parte. Abbassa lo sguardo e impietrisce, esterrefatto: Peter si è addormentato di schianto, accasciandosi di testa sulla sua spalla. C’è un breve silenzio, e qualcuno mette prontamente in pausa il video; ogni paio d’occhi si appunta su di lui, che sta cercando di respirare il più piano possibile per non muoversi troppo e rischiare di svegliarlo. Bruce è il primo a riprendersi, e parla in un sussurro così basso da essere a malapena udibile:
 
«Non. Muoverti.»
 
Tony sta per rimbeccarlo con un imperturbabile “davvero, Sherlock?”, quando Peter, ignaro di tutto, prende a russare leggermente e si costringe invece a trattenere un risolino. Si accomoda meglio, in una posizione che potrebbe eventualmente mantenere per ore, e lascia che il ragazzino continui a dormire beato utilizzando Iron Man e la sua dignità perduta come cuscino. Adesso non si muoverebbe neanche sotto tortura.
 
Gli altri decidono di mettere su un film e Tony non si oppone, iniziando comunque a sentirsi piuttosto assonnato e poco presente; registra già nel dormiveglia Pepper che posa un bacio sulla fronte a lui e una carezza sulla guancia a Peter. Sbadiglia in silenzio e non si sforza troppo di tenere gli occhi aperti.
 
Adesso può permettersi di dormire un po’.
 
§ 
 
Si assopisce verso la metà di Love Actually, probabilmente scelto per conciliargli il sonno, con la testa reclinata all’indietro sullo schienale, la bocca semiaperta e un braccio protettivo ancora posato sulle spalle di Peter.
 
I suoi fidati compagni prendono ovviamente a scattare qualche migliaio di foto, e sono così gentili da non renderle di dominio pubblico, demolendo definitivamente la sua coltivata immagine di Miglior Difensore della Terra. Le più ridicole finiscono ovviamente per raggiungere May – che risponde al settimo cielo per quell’ennesima buona notizia – e i Vendicatori assenti – che adesso hanno abbastanza materiale per ricattare Tony per i prossimi tre mesi.
 
In un eccesso di goliardia, una delle foto finisce per essere stampata e appesa nella sala comune, fissata al muro proprio davanti ai due eroi addormentati.
 
§ 
 
Tony si sveglia col torcicollo e l’impressione di poter gettare nell’umido il suo braccio sinistro intorpidito e tutti gli sforzi della Dottoressa Cho per aggiustarlo. Peter è semi-seduto contro di lui in una posizione degna di un contorsionista, coi piedi per terra, il corpo piegato di lato e la testa poggiata sulle sue gambe. Le sue palpebre fremono e si aprono quando Tony si muove appena nel tentativo di stendere le gambe addormentate, e poi si lascia sfuggire un lamento nel tirarsi su, stropicciandosi gli occhi impastati. Tony sente le proprie ossa scrocchiare in coro come quelle di un vecchio quando riesce finalmente a stiracchiarsi, suscitando lo sguardo divertito del ragazzo. E nonostante gli acciacchi, sono entrambi sicuri di non aver mai dormito così bene in vita loro.
 
Qualcuno, mosso a pietà, li ha avvolti in un plaid – probabilmente Bruce o Pepper – e Tony si districa da quel bozzolo tiepido scivolato ai loro piedi, per poi alzarsi del tutto rintronato. Cerca di fare il punto di quelle che gli sembrano le ultime sedici ore, senza molto successo. L’orologio sulla parete conferma la sua stima e lui si limita a sbuffare con soddisfazione. Qualcosa appeso subito sotto l’orologio cattura la sua attenzione, e vi si avvicina pigramente per metterlo a fuoco.
 
È una foto. Un selfie, per l’esattezza, sbalorditivamente scattato da Steve, che è l’ultima persona al mondo che si immaginerebbe ad armeggiare con uno smartphone – men che meno per fare selfie. Qualcuno ha scritto con un pennarello “Alle nostre care Belle Addormentate” sul muro alle spalle del divano – a pensarci beneo è decisamente una mossa da Clint, e gli farà sicuramente ripagare l’intonaco.
 

Peter, ancora mezzo addormentato e con la parlantina rallentata, fa capolino da dietro la sua spalla e accenna alla foto, sbadigliando così tanto da slogarsi quasi la mandibola.

«Sembra che abbiamo vinto qualcosa,» biascica, con una traccia di sarcasmo che non riesce a collocare.
 
«Beh, sì, in un certo senso è un trofeo… bel ringraziamento per aver salvato mezzo universo, mh?» commenta Tony, con un sorrisetto critico.
 
«A me sembra un trofeo per aver dormito troppo,» storce la bocca lui, arcuando al contempo un sopracciglio.
 
«Anche dormire troppo può essere un merito, a volte,» osserva con noncuranza Tony, affondando le mani nelle tasche e cogliendo il messaggio sottinteso in quella frase.
 
Tira su col naso e si volta verso di lui, guardandolo in un modo che esprime chiaramente quanto poco sia incline a lasciar correre quell’argomento.
 
«Dormire non mi sembra chissà quale conquista. Soprattutto quando avete fatto voi tutto il lavoro,» controbatte lui, a braccia conserte e con una smorfia scettica, confermando la sua intuizione.
 
«Peter, abbiamo fatto tutti la nostra parte, tu compreso,» afferma, e ha quasi l’impressione di parlare con se stesso quando si convince di qualcosa di totalmente sbagliato.
 
Il ragazzo allarga appena le braccia, con un pizzico d’incredulità.
 
«E quale sarebbe stata la mia? Diventare…»
 
«… un Vendicatore,» conclude Tony, puntandogli contro l'indice senza ammettere possibilità di replica. «Pensi davvero che ti abbia nominato a cuor leggero?» indaga poi, accigliandosi.
 
Peter esita brevemente, per poi rispondere con sicurezza:
 
«Era un’emergenza, e…»
 
«A maggior ragione: non avrebbe avuto senso darti quell’onere se non ti avessi ritenuto pronto. Perché se io fossi morto, sarebbe spettato a te portare avanti il piano,» gli spiega gravemente, ma in fretta, a voler chiudere quella parentesi cupa. «Certo, avrei voluto nominarti in un altro momento, ma gli eventi hanno deciso diversamente. Vorrà dire che dovrò inventarmi qualcos’altro per i tuoi diciott’anni,» conclude, con un sospiro falsamente afflitto.
 
Peter fa tanto d’occhi, preso alla sprovvista.
 
«Non deve… insomma, non deve preoccuparsi e va bene così, non ho bisogno d’altro, davvero,» si schermisce, scrollando le spalle per poi allungarsi in punta di piedi e stiracchiarsi indolentemente a nascondere l'imbarazzo.
 
«Lo sai che non mi tratterrò comunque, quindi risparmia il fiato,» lo prende in giro lui, dandogli un colpetto tra le costole e facendogli perdere l’equilibrio ancora un po' precario.
 
Tony gli rivolge un sorriso ampio, come suo solito, col naso leggermente arricciato e le sopracciglia sollevate; ma stavolta c’è quel marcato, raro affetto che gli accende completamente gli occhi. Peter si rende conto di non averlo mai visto così in pace e libero da preoccupazioni, e non riesce a impedirsi di rimanere contagiato dalla felicità che irradia in quel momento. Sente il peso che lo inchioda a terra alleggerirsi, sostituito da un tiepido calore. Tony nota la sua espressione un po’ inebetita e si affretta ad approfittarne per incalzarlo giocoso:
 
«Suvvia, io penso, e pertanto deve essere vero, che ci siamo meritati entrambi il nostro momento di gloria, non credi?»
 
Peter si prende un altro momento per pensare, e per ripercorrere tutto ciò che è accaduto. Solo allora realizza per davvero che hanno salvato il mondo, e che hanno vinto e ha vinto, su tutti i fronti.

Ripensa a ciò che ha passato nell’ultima settimana, e nonostante tutto si sente bene. Avverte ancora una profonda confusione e un distinto senso di smarrimento, come di una caduta libera al rallentatore, e c’è sempre un macigno sulle sue spalle, come di un edificio di nuovo pronto a schiacciarlo, ma ora si sente in grado di ritrovare la bussola e sostenere quel peso con la certezza che diventerà non più leggero, ma più facile da sostenere.
 
Sa che in un certo senso la sua vita è appena ricominciata e che c’è ancora molto da risolvere, ma sa anche dove sono i suoi appigli: uno ce l’ha di fronte, uno lo aspetta a casa e uno lo osserva benevolo dal passato. E un altro ancora, seppur fragile e appena nato, è dentro di sé, e prima o poi diventerà abbastanza saldo da sorreggerlo e aiutarlo nella scalata che intraprenderà da solo. Dopotutto è pur sempre Spider-Man: è bravo ad arrampicarsi. Per ora, ha tutto il tempo per imparare ad essere di nuovo se stesso, un passo dopo l’altro. Incrocia le braccia dietro la nuca, e stavolta offre a Tony un sorriso smagliante, vittorioso.
 
«Sì. Direi di sì.»


 

~ Fine ~


 

Note Dell'Autrice:

Cari Lettori,
eccoci arrivati alla fine di questo piccolo viaggio, con una conclusione che spero abbiate apprezzato e che vi abbia lasciato soddisfatti :)
Questo è probabilmente il capitolo che ha subìto più variazioni rispetto all'originale, e spero che siano gradite a chi ha già letto la versione inglese. Le riflessioni di Peter e le sue insicurezze dopo quanto accaduto mi sono sembrate d'obbligo, così come la sua innata positività e voglia di migliorarsi e ricominciare a dispetto di tutto; ed è questa, a parer mio, la vera forza di Spider-Man. Che è un supereroe, sì, ma è prima di tutto un adolescente con molte più responsabilità di quanto sarebbe giusto avere, dalle quali però non rimane mai schiacciato. Qui deve ancora ricominciare, ma sappiamo tutti che riuscirà a intraprendere la strada giusta, che lo porterà molto più in alto di quanto probabilmente immagina adesso <3

Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito e aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite, in particolare _Atlas_ che si è sorbita questa storia ben tre volte e mi ha fatto da Beta Reader <3, T612 che ha letto entrambe le versioni e ha addirittura disegnato una meravigliosa illustrazione alla storia (vi lascio il link più sotto) e Miryel che ha appena intrapreso la lettura facendomi una bellissima sorpresa. Grazie a tutti voi, e se voleste lasciare un commento per farmi sapere cosa ne pensate della storia completa, mi rendereste ancor più felice <3

Vi anticipo che il nostro ragnetto preferito tornerà presto su questi schermi con una storia tutta sua *pubblicità occulta*. Sto giusto aspettando gli esiti di Endgame per decidere se ignorarli o meno :')
Grazie ancora, e spero a presto,

-Light-

P.S. Trovate [qui] l'illustrazione di T612 <3 e [qui] il capitolo originale su AO3.

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