Stralci – per trovarsi viversi amarsi

di Rosmary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passi ***
Capitolo 2: *** Di film, pancakes e calderotti ***
Capitolo 3: *** Nei ricordi, nel presente ***
Capitolo 4: *** Tornavano indietro per andare avanti ***
Capitolo 5: *** Imbarazzi – cose taciute ***
Capitolo 6: *** Al di là delle paure, noi ***
Capitolo 7: *** Una sorpresa per Rose ***
Capitolo 8: *** Galeotto fu il palloncino ***
Capitolo 9: *** Per le sue paure ***



Capitolo 1
*** Passi ***


I personaggi presenti in questa raccolta sono proprietà di J.K. Rowling;
le varie storie qui presenti sono scritte senza alcuno scopo di lucro;
né gli avvenimenti né le caratterizzazioni prendono in considerazione Harry Potter and the Cursed Child.


 
Passi
 
1° settembre 2017
~ falling in (rose)
 
Grifondoro.
Non sei stupito, forse un po’ deluso, non lo sai.
La guardi correre da James, regalargli un sorriso radioso – e una strana fitta ti scuote il petto.
Le ore scorrono senza che tu riesca a incrociare i suoi occhi, la sensazione che ti abbia dimenticato riesce a indispettirti e a incupirti lo sguardo.
Lorcan!”
Sei a un passo dall’allontanarti assieme agli altri Corvonero dalla Sala Grande quando quella voce ti raggiunge.
Ti volti e la vedi salutarti tutta allegra, la mano sventola mentre il Prefetto le ripete di non allontanarsi dal gruppetto del primo anno.
Mordi le labbra sorridendole – e il fastidio t’abbandona.
“Domani vengo a cercarti, Rose!”
Promesso.
 
1° settembre 2018
~ red rose
 
Tardi.
Avete fatto tardi nonostante ti sia svegliato prima di chiunque altro pur di arrivare prima di puntuale al binario.
Passi in rassegna ogni scompartimento del treno, ma non c’è traccia né di James né di quei lunghi capelli rossi.
È quando sei sul punto di imbronciarti che delle mani ti coprono gli occhi e un profumo conosciuto ti avvolge.
Lei.
Senza neanche rifletterci allunghi le braccia all’indietro e la chiudi in un abbraccio tutto scomposto che fa ridere entrambi.
“Rose, lo so che sei tu.”
Le sue dita scivolano sulle tue spalle e finalmente intravedi le ciocche rosse che hai cercato ovunque.
“Ti siedi con me?”
Sì.
 
1° settembre 2019
~ eyes (our)
 
Impossibile.
Anche quest’anno non sei riuscito ad avvicinarti al tavolo Grifondoro durante la stupida cerimonia di smistamento.
Sei accanto a Lysander quando la intravedi in un gruppo di studenti, così sussurri a tuo fratello di aspettarti – solo pochi minuti.
Le afferri il polso quando sei alle sue spalle, e ridi nel vederla voltarsi con occhi sgranati.
Limpidi.
Esibisci il tuo sorriso sbilenco – lei lo ricambia subito.
“Vuoi beccarti una punizione il primo giorno?”
In risposta riesci solo a sogghignare, in realtà non hai pensato a niente che non fosse raggiungerla.
Le scocchi un bacio sulla guancia – il primo senza fuggire – e la vedi arrossire un po’.
Buonanotte, Rose.”
 
1° dicembre 2020
~ revolution (let’s make)
 
Fermo!”
Sarà passata una mezz’ora da quando te l’ha detto – ma sono piacevoli le sue dita tra i capelli.
“Mi piace averti qui.”
Qui.
Il tavolo Corvonero – lei seduta alle tue spalle, tu tra le sue gambe.
“Anche a me.”
“Te l’avevo detto, splendore.”
Strizzi gli occhi ancor prima che ti tiri i capelli, sai quanto sia dispettosa, e ridi l’istante dopo.
“Rivoluzionerò questa assurdità delle Case, da grande.”
“Cioè?”
“Le farò abolire, per tutti i noi del futuro.”
“I noi del futuro?”
Ti bacia la guancia e ti cede un piccolo specchio per ammirare la sua opera: i tuoi ricci più scompigliati di prima.
Lor, non sono bellissimi così?”
 
1° dicembre 2021
~ another kiss
 
Gelosia.
Non puoi continuare a ignorare questa realtà – sei geloso di lei, lo sei sempre di più.
L’avvicini non appena l’insulso Grifondoro del quinto anno sparisce e ti siedi al suo posto stizzito, scosso dalla voglia di trascinarlo in pedana.
“Deve baciarti anche in biblioteca?”
Sorride.
Un sorriso malizioso, uno sguardo che non capisci.
“Si è arrabbiato.”
“E perché?”
“L’ho lasciato.”
Parole semplici dette con noncuranza, eppure capaci di scacciare via tutto il malumore.
La osservi rabbrividire mentre si china sui libri – sfilarti la giacca della divisa e poggiarla sulle sue spalle è un moto istintivo.
Si volta a guardarti stupita, rossa in viso.
È un regalo, adesso è tua.”
 
1° dicembre 2022
~ waiting (for me)
 
Attesa.
Un’attesa estenuante, che sa di tempo cristallizzato, ombre sottopelle, coraggio di affrontare un cambiamento.
Dentro di te pulsano tutti i vostri dubbi, il timore che l’amicizia cedendo il passo all’amore possa frantumarsi.
Amore.
Un sentimento, un pronome ripetuto a oltranza – noi, detto senza capire cosa celasse, quanta importanza avesse.
Improvvise delle mani ti coprono gli occhi, ma i tuoi sensi riconoscono lei – il suo corpo stretto alla tua schiena, i denti a morderti il collo.
“Rose.”
“Ci ho pensato.”
Ingoi a vuoto, le dita ti afferrano le spalle e ti spingono a voltarti.
Non aggiunge altro, non occorre, è sufficiente la sua bocca sulla tua.
Il buio non esiste.






 
Note dell’autrice: avete presente quei racconti scritti nei ritagli di tempo, appuntati tra le note del telefono o su un quaderno? Ecco, questa raccolta si compone sostanzialmente di questi momenti, pertanto non so dire di quanti racconti si comporrà né con quale frequenza aggiornerò, so solo che Lorcan e Rose sono riusciti a rubarmi il cuore – al pari di James e Rose (un traguardo che reputavo impossibile).
Ho scelto di non includerla nella serie di Paradiso perduto perché questo è un viaggio totalmente extra, nonostante abbia le sue radici nella long – anzi, di questi sei passi solo l’ultimo è estraneo al contesto della storia-madre, tutti gli altri sono momenti mancanti in piena regola. Preciso quindi che le caratterizzazioni dei personaggi (sia di questo singolo racconto che di quelli che seguiranno) sono quelle che ho sviluppato nella longfic.
Questo capitolo in particolare nasce nel contesto del gioco Obbligo, Verità o Salvataggio organizzato dal gruppo facebook Il Giardino di Efp su obbligo di shilyss, che mi ha chiesto di scrivere una storia che avesse come prompt le parole rivoluzione, rosso, rosa, bacio, attesa (che io ho diviso tra le varie drabble e citato in inglese – a riguardo, perdonate le licenze anche con una lingua straniera!).
Ho scelto di inserire tra le caratteristiche raccolta di oneshot applicando lo stesso ragionamento che si applica con il rating in caso di raccolte: ho scelto la lunghezza maggiore, che ingloba anche tutte le altre.
Insomma, nel caso siate giunti sin qui, spero di aver meritato il vostro tempo. Aggiungo che con la scrittura del nuovo capitolo della long sono a buon punto (incrocio le dita!).
Un abbraccio. ❤

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Capitolo 2
*** Di film, pancakes e calderotti ***


Di film, pancakes e calderotti

 
Agosto 2022
 
Nonostante la calura estiva sia calata a picco su Godric’s Hollow, neanche la più piccola goccia di sudore riesce a valicare l’uscio di casa Granger-Weasley, resa impermeabile agli attacchi del sole rovente dagli incantesimi refrigeranti di Hermione.
Rose, seduta sul divano del salotto assieme a Lorcan, ha un sorriso impresso sulle labbra e una trepidante adrenalina addosso: essere sola con lui, immersa in una frescura tanto piacevole da rendere opportuno anche stringersi un po’, sfiorare capelli non sudaticci, giocherellare con le sue dita è un insieme capace di entusiasmarla.
Gli occhi scuri di Lorcan, rapiti dalle immagini che si avvicendano sullo schermo televisivo, tradiscono ogni emozione del diciassettenne, che segue con estrema attenzione la trama del film scelto con tanta convinzione – “voglio vedere questo, la tizia ha i tuoi capelli e il tuo nome, deve essere bellissimo”. Rose ha provato a spiegargli che Titanic non sia granché allegro né estivo come intrattenimento, ma lui l’ha ignorata e si è premunito di infilare il buffo disco nell’altrettanto buffo marchingegno babbano, trafficando persino con il telecomando, tutto orgoglioso di aver finalmente capito come utilizzare quegli apparecchi.
“Ma scopano per davvero?”
Rose, lo sguardo che sfiora il profilo di Lorcan, avverte le gote scaldarsi a questa domanda. E non perché a essere imbarazzante siano due attori che simulano un amplesso, ma perché quell’immagine fatta di rovi biondi e rossi che s’intrecciano le ricorda altri rovi – i loro –, risalenti ad alcuni giorni prima, quando hanno lasciato terreno fertile all’attrazione e hanno chiuso il mondo fuori.
“Recitano.”
Lorcan, le dita che stringono quelle di Rose, è a sua volta preda di ricordi calati ad aggrovigliargli lo stomaco e a offuscare i visi anonimi che popolano il film, lasciando spazio a fattezze più familiari – le sue labbra arrossate, le sue unghie a marchiargli la schiena. È da quando è accaduto, nove giorni undici ore troppi minuti, che si ripete di non poter violare il comune accordo, di dover essere fedele al proposito di fingere che non sia mai successo niente tra loro, tutto pur di preservare la preziosa amicizia che li lega – ma quanto è difficile.
“A me sembra vero.”
“Deve sembrarlo, altrimenti sarebbe un film scadente.”
Lorcan storce le labbra non troppo convinto, sobbalzando assieme ai due personaggi del film quando uno scossone fa tremare la nave. Rose si abbandona a una risatina irriverente mentre si tira su dal divano e si sgranchisce un po’.
“Dove vai?”
“A prendere una cosa.”
“L’appello io.”
“No, no, è una sorpresa, li ho fatti preparare da nonna!”
Lui non fa in tempo ad alzarsi per seguirla che la vede ritornare sorridente, tra le mani un piatto pieno di pancakes e due piccole forchette.
Ingoiare della banale saliva non è mai stato tanto difficile – Lorcan ne è sicurissimo –, ma i ricordi sono prepotenti e s’impongono scalciando via ogni altra cosa. Così, per un tempo equivalente a un fugace battito d’ali, il salotto sembra svuotarsi e finanche i suoni provenienti dalla televisione s’ammutoliscono: c’è solo una colazione bruciacchiata, lenzuola sgualcite e ancora sudate, un’intimità tutta nuova che fa tremare i polsi a entrambi.
Lorcan non le dice nulla, ma intravedendo nel sorriso che si smorza un imbarazzo che – l’hanno promesso – non sarebbe mai stato muro tra loro le sfila risoluto il piatto dalle mani per riporlo sul tavolino tondo che hanno sistemato lì vicino e subito dopo la attira a sé, riuscendo a rilassarsi in una risata quando s’aggrappa alle sue spalle e atterra con le ginocchia sul divano pur di non cascargli addosso.
Ma a poco valgono le risa, perché a Rose le dita sembrano bruciare a contatto col cotone che gli copre la pelle, così come dentro di lei pulsa l’accusa di essere stata una stupida a procurarsi l’unico dolce che avrebbe potuto scaraventarli in una gabbia fatta di balbettii e parole taciute – però come rinunciare a qualcosa di così loro, come rinunciare alla possibilità di sbirciare la sua reazione dinanzi ai ricordi ripescati? Si ripete per l’ennesima volta che il cuore, soprattutto quando pulsa impazzito, è un pessimo consigliere.
È quando avverte le mani di Lorcan sui fianchi che sussulta, lo guarda allora interrogativa e lo vede impegnato in quella che le sembra essere una muta lotta con se stesso – lo sguardo a percorrerla, le labbra di poco schiuse, i nervi tesi.
A ridestarli, a far esplodere la bolla in cui sono stati risucchiati, è proprio il film abbandonato, popolato ora da personaggi le cui urla s’avvicendano sempre più forti. Rose sguscia via dalla morsa con addosso una sensazione di grande confusione e si rimette seduta in bilico tra intenti, emozioni e impulsi in completo conflitto tra loro – vuoi, ma non puoi si ripete a oltranza.
“Cos’è successo? Perché scappano tutti?”
Lorcan lo chiede con voce arrochita, schiarita da un goffo colpo di tosse, e Rose ha l’impressione che ancora una volta abbia agito anche per lei, frantumando in fretta e furia la tensione – o qualsiasi altra sensazione aliena a metà tra imbarazzo, paura, eccitazione.
“La nave è sul punto di naufragare, cercano di salvarsi.”
“Certo che è una vitaccia, quella dei babbani, persino un mago mediocre potrebbe risolvere tutto con un Reparo.”
Rose, malgrado tutto, curva le labbra in un sorriso divertito.
“Però ti appassionano, non hai voluto saperne di uscire pur di guardare un film.”
“Pur di starcene al fresco sul divano, vorrai dire.”
“Quindi sei qui per il divano e non per me.”
“Finalmente l’hai capito, puoi anche andartene.”
Rose assottiglia lo sguardo fingendosi offesa e Lorcan prorompe in una risata che contagia in fretta anche lei. Un istante dopo, lo vede intento a ignorare le forchette per acciuffare un pancake e avvicinarlo alla sua bocca.
“Con le mani?” chiede scettica.
Lorcan annuisce e lei, decisa a non farsi pregare, morde dispettosa il dolce, attenta a sfiorargli le dita con i denti, godendo della malizia che corre a illuminargli gli occhi scuri.
“Mi hai quasi morso, dolcezza.”
Forse è la situazione in sé o la frescura che rallegra o l’adrenalina all’idea di essere completamente sola con lui – non lo sa davvero –, ma non s’avvicendano che pochi attimi e l’istinto torna a sotterrare la ragione, suggerendole di mettere da parte le parole e addentargli giocosa la guancia, sorridere e deglutire quando lui trema sorpreso, scoprire quanto possa essere intimo persino un gesto tanto semplice.
“Adesso ti ho morso sul serio, Scamander.”
A insaputa di entrambi, la mano di Lorcan che le cinge il viso è mossa dallo stesso istinto traditore che ha soggiogato Rose, così come lo sguardo che frenetico alterna occhi chiari e labbra rosse.
Dannazione.
S’è ripromesso di non fare passi falsi, di aspettare, di capire se lei voglia sul serio costruire qualcosa che vada al di là dell’amicizia edificata negli anni, fatta di complicità innata, di una sintonia che li ha portati a cercarsi, conoscersi, viversi senza mai averne abbastanza.
Ma ora, ora che danzano sgraziati sulle note di provocazioni sibilate, fare un passo alla volta gli appare uno sforzo immane, sovrumano quasi, acuito da una vicinanza che non gli è mai parsa troppo come in questo momento – troppo e perfetta.
S’allontana a forza, simulando una risata, convincendosi di aver solo immaginato la malizia nelle parole di Rose.
E non la vede, serrare le palpebre per pochi secondi, raddrizzarsi e ingoiare uno sbuffo. La vede però intrecciare le loro dita e poggiare la testa sulla sua spalla, gesti così naturali da riuscire a rilassarlo e convincerlo a calare la testa verso la sua sino a sfiorarla e percepirsi un tutt’uno.
“L’ho sempre odiato, quello,” dice a un tratto Rose.
Lorcan, che ha ripreso a seguire il film assieme a lei, ingoia l’ultima porzione di pancake e annuisce.
“È un coglione, lei non lo vuole, l’hanno capito anche gli iceberg.”
“L’ha capito anche lui, ma insiste.”
“Beh, è un coglione a insistere, a lei piace il biondo.”
“Si chiama Jack.”
“Tra due secondi l’avrò dimenticato di nuovo.”
“Un giorno dimenticherai anche il nome di tua madre.”
“Finché non dimentico il tuo, siamo a posto.”
Rose non riesce a reprimere un sorriso fatto di lusinga, né Lorcan riesce a evitare di inarcare le sopracciglia con l’aria di chi ha appena detto più del dovuto.
“Il mio non l’hai mai dimenticato,” sottolinea tronfia lei. “Non ho mai dovuto ripetertelo.”
“Perché è breve.”
“Certo.”
“Non fare la stronza,” ironizza lui.
“E tu non essere bugiardo. Te lo ricordi perché sono io, e io sono io.”
“Certo,” le fa eco, beccandosi un buffetto sul viso. “Sei violenta, dolcezza, te l’ho mai detto?”
“A volte.”
Lorcan incurva le labbra nel suo sorriso sbilenco, Rose lo guarda di soppiatto mentre finge di guardare la televisione.
Ed è sbirciandolo che s’accorge dell’espressione che via via muta: l’ilarità sbiadisce, una ruga di tensione gli imbratta la fronte e gli occhi si sbarrano dinanzi alla scena più straziante del film.
Se qualcuno le avesse detto che un giorno avrebbe avuto il privilegio di vedere Lorcan Scamander – il ragazzo che s’aggira per Hogwarts rivolgendo la parola a pochi eletti e schiantando chiunque lo infastidisca – piangere guardando Titanic lei avrebbe riso di gusto e non avrebbe dato alcun credito a quella predizione.
Eppure, che Godric la soccorra se è vittima di un Confundus, sono proprio lacrime quelle che s’arrischiano a rigare un po’ il viso di Lorcan, così come è un tremolio sospetto quello che gli strizza le labbra.
Non dovrebbe ridere, lo sa, ma proprio non riesce a trattenersi. Così, mentre il povero Jack muore e la straziata Rose trova la salvezza, la vera Rose è scossa da risate incontrollate che la costringono a piegarsi su se stessa e a versare a propria volta qualche lacrima figlia dell’ilarità.
“Oh, Lor, ma sei veramente un calderotto!”
Lorcan non ha neanche il tempo di offendersi, è troppo impegnato ad asciugare un pianto che trova a dir poco imbarazzante e insensato – non sa cosa lo abbia ridotto in questo stato, anche se una vocina irriverente dentro di lui gli suggerisce che forse si è calato un po’ troppo nella parte e ha confuso gli occhi azzurri e i capelli ramati dell’attrice con i tratti della ragazza che si sbellica accanto a lui.
“Questo film è una merda, c’era posto per tutti e due su quella porta.”
“Sì… credo di sì...” biascica Rose.
“E poi potevano rubare una scialuppa, ma dai, sono veramente delle teste di cazzo questi babbani.”
“E già...”
“Hai finito di ridere di me?”
Rose, le risate ancora a scuoterla, si sforza di annuire ed è allora Lorcan si ferma di colpo, come ragionando sugli ultimi minuti vissuti, per poi scoppiare a ridere a propria volta dell’assurda nonché vergognosa situazione.
Lo avvertono entrambi, il divano piegarsi ai loro movimenti scomposti, alle loro risate irriverenti, ai loro corpi sempre più protesi l’uno verso l’altro.
Lorcan non è mai stato bravo a frenare l’impulso, è abituato a ragionare mentre agisce – e alle volte neanche mentre –, eppure per lei s’è frenato così tante volte in quest’ultimo anno e ancora di più durante gli ultimi giorni da aver perso il conto dei non ci pensare neanche ripetuti e imposti a se stesso. Ma ora, saranno le risate o la vicinanza o l’intimità sfiorata pochi attimi prima, non riesce proprio a frenare la corsa delle mani che la stringono in vita e la trascinano su di sé, su delle gambe che fremono al solo contatto, contro uno sterno che s’alza e s’abbassa a ritmo sempre più elevato, a un soffio da labbra che d’improvviso non ridono più.
Rose, le ginocchia premute ai suoi fianchi e il seno a sfiorargli il petto, gli carezza le spalle con dita che salgono sino al collo, al viso, sino ad affondare nei ricci biondo sporco che ama più di quanto gli abbia mai detto. Sulla bocca non più la voglia di ridere, ma il desiderio incontrollato di schiudersi su quella di lui, saggiarla una seconda volta – e una terza quarta quinta a oltranza.
“Non ridi più?”
Una domanda insidiosa, una provocazione, capace di contrarle il basso ventre. Ingoia a vuoto mentre affievolisce la distanza tra i loro volti, mentre accantona perché di cui non le importa affatto, mentre rovista in quelle iridi scure alla ricerca di desideri gemelli.
“Non sono più un calderotto?”
Incalza – incalza sfrontato, così lui, acuendo la malizia, rafforzando la morsa che la stringe, oramai in balia di una lucidità a brandelli.
“Ne hai ancora l’aria.”
Ribatte – ribatte a tono, così lei, rovistandolo con le sue stesse armi, muovendosi poco e predatoria, inducendolo a tradire un gemito di aspettativa.
“Ma potrei non averne il sapore.”
Gli occhi chiari di Rose, rifiutando qualsiasi residuo di imbarazzo, si sollevano su quelli scuri, sorprendendoli tinti di scalpitante attesa.
“Dovrei assaggiarti per scoprirlo.”
Lorcan piega le labbra nel sorriso sbilenco, ma non ha tempo di risponderle, perché Rose le morde non appena si schiudono – le palpebre di entrambi calate, le dita di lei svanite nei ricci, le mani di lui ad artigliarle la schiena.
Lo capiscono solo mentre si strofinano contro, di essersi promessi l’impossibile quando nove giorni undici ore troppi minuti prima hanno valicato ogni barriera e scoperto un’intesa tutta nuova.
“Lor.”
“Lo so.”
“No, non lo sai.”
“Sì che lo so.”
“E cosa sai?”
Anch’io.
“Cosa?”
Anch’io, ti amo anch’io.”
 
 
 
 
 


Note dell’autrice: bentrovati, lettrici e lettori! Questa storia nasce dallo spunto di un gioco: scelta una coppia, quale dei due componenti piange guardando Titanic? Il resto è storia (e preciso che con Titanic mi riferisco al film di James Cameron del 1997).
Spero che anche questo piccolo racconto sia stato una piacevole lettura.
Un abbraccio. ❤

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Capitolo 3
*** Nei ricordi, nel presente ***


A Maqry

Nei ricordi, nel presente
24 dicembre 2022
 
Come ogni Vigilia che si rispetti la Tana pullula di persone, il baccano sembra riempirla più dei borsoni accatastati ovunque, più delle sedie infilate una dietro l’altra, più della lunga tavolata di fortuna attorno cui stringersi è di anno in anno più complicato, più delle luci sfavillanti e colorate che acuiscono il caos, più delle voci che si rincorrono in ogni stanza.
Eppure Rose riesce a ignorare ogni cosa non appena un ragazzo dai ricci disordinati e il sorriso sbilenco si affaccia oltre l’uscio – prima che possa salutarlo, Lorcan l’ha già stretta a sé e baciata casto sulla guancia.
“Sei in ritardo.”
“Bugiarda.”
Si sorridono, e se lui poggia la fronte contro quella di lei, lei lo abbraccia un po’ di più.
“Tuo fratello?”
“Ci raggiunge per cena assieme ai miei.”
A entrambi ancora non sembra vero che le loro famiglie abbiano accettato in piena tranquillità di festeggiare il Natale tutti assieme, nel corso degli anni hanno sempre tentennato e ingoiato richieste temendo domande curiose o insinuanti – e invece i genitori di Lorcan e la mamma di Rose hanno ridacchiato l’assenso, mentre Ron Weasley si è limitato a borbottare per una settimana intera.
“Vieni, prima che ti vedano tutti.”
“Non dovrei salutare?!”
“Muoviti!”
Lorcan sogghigna e, stretta la mano di Rose, si lascia guidare da lei ai piani superiori, stando bene attenti a muovere passi leggeri e nascondersi alle spalle di armadi e pareti quando intravedono qualche familiare.
Ridacchiano a voce bassa nell’oltrepassare l’ultima porta e nel chiuderla piano per non farsi sentire. Lorcan s’accorge solo in un secondo momento di essere nell’unica stanza della Tana che non ha mai visto: la soffitta. Tuttavia, prima che possa anche solo pensare di guardarsi attorno, le labbra di Rose sono già sulle sue, impazienti ed esigenti, morse da sorrisi che scompaiono nella bocca di lui.
Stringersi e cozzare contro pareti e scatoloni mentre si muovono sgraziati pur di non separarsi neanche un istante è un moto naturale.
S’allontanano solo quando il respiro è agli sgoccioli, di nuovo fronte contro fronte e dita incastrate. Ripensano entrambi all’estate appena trascorsa, a una notte che ha abbattuto tutti i timori, a un pomeriggio che ha messo a nudo sentimenti nutritisi nel tempo – è forte la sensazione di essere nati per riconoscersi tra la folla.
“Stasera lo diciamo?”
“Papà ti ammazza.”
“Tanto l’hanno capito tutti, anche tuo padre.”
“Ti controllerà a vista.”
Lorcan le morde giocoso la guancia, ridendo della sua risata.
“Mi controlla già a vista, ma non è servito a molto.”
“Sei proprio uno stronzo, Scamander.”
“Mai più di te, dolcezza.”
È Rose a morderlo, ma i suoi denti sfiorano il mento e arrivano alle labbra. L’istante dopo le mani di lui sono già scivolate al di sotto del suo maglione, mentre quelle di lei stringono i ricci per impedire a Lorcan di fare un solo passo indietro.
E ridono, ridono a ogni scatolone urtato – troppi in questa soffitta fatta di ricordi accumulati –, sino a quando Rose non spinge lui su uno di quelli per potersi sedere sulle sue gambe. Lorcan la guarda con occhi vivi di malizia e la salivazione azzerata, quando è con lei ha sempre la sensazione che sia la prima volta tanta è forte la morsa che gli sbrana lo stomaco.
“Hai freddo o posso togliere qualcosa?”
Una domanda retorica e carica di aspettative, Rose si ritrova a ingoiare a vuoto e mormorargli l’assenso sulla bocca. E la avverte, la scarica di adrenalina che scuote entrambi e induce lui a baciarla con ancora più trasporto.
E più i baci si susseguono, più i sapori si incastrano, più il calore li assale al punto da diventare insopportabile, più traballano su quello scatolone usato come sedia di fortuna – si accorgono di essere cascati a terra solo quando cozzano contro il pavimento freddo e scoppiano a ridere della sbadataggine rovente.
“Ti amo.”
La risata di Rose scema sino a morire in un bacio sussurrato sulle labbra di Lorcan, il capogiro la sorprende ogni volta che lui pronuncia quelle parole.
“Anch’io.”
Lorcan le carezza il viso sino a perdere le dita tra i capelli ramati. Sembra quasi non importargli di essere con la schiena a terra, infastidita da robaccia scaraventata fuori dallo scatolone, e di avere il peso di Rose su di sé. È solo quando lei tenta un movimento in quell’incastro, vogliosa di tirarsi su e liberarlo, che un gemito di dolore fa capolino dalla bocca di lui.
“Che hai?”
“Non lo so, qui dietro, qualcosa di appuntito.”
Rose, gli occhi sgranati, si solleva cauta e aiuta Lorcan a fare altrettanto, sbirciando la sua schiena per assicurarsi che stia bene.
“Non hai niente.”
“Sì, sto bene, penso fosse quello, guarda.”
“Uno specchio?”
Alla perplessità di Rose, Lorcan storce stranito le labbra e si china ad afferrare l’oggetto spigoloso, rendendosi conto che in effetti ha proprio l’aria di essere uno specchio – rettangolare, usurato dal tempo, dalle dimensioni simili ai telefoni piatti che ha visto da Rose e James.
È quando lei tenta di sfiorarlo che si accorgono di avere tra le mani qualcosa di diverso da una semplice superficie riflettente: la consistenza del vetro sembra essere acquosa, agitata, e all’interno si intravedono figure sfocate.
“Credi sia una fotografia vecchia?”
Rose scuote il capo, sfila lo strano oggetto dalle mani di Lorcan e lo volta per sbirciarne l’altra parte.
Tonks, Natale millenovecentonovanta,” legge. “Tonks?”
“La madre di Teddy?”
Rose si stringe nelle spalle, mentre Lorcan tenta invano di riappropriarsi dello specchio.
“Se fosse un suo ricordo?”
“Non possiamo pensarci dopo? Avevamo iniziato un discorso interessante.”
“Non essere impaziente, Calderotto.”
“Scema,” scherza lui, riuscendo a rubarle un bacio e un sorriso. “Diamolo a Teddy.”
“Cerchiamo di capire prima cos’è, non vorrei fosse un ricordo brutto… Era in mezzo a questa robaccia...”
“Come se l’avessero nascosto,” intuisce Lorcan. “Secondo te come funziona?”
“Non so,” risponde, agitandolo senza troppa convinzione. “Forse c’è una parola d’ordine?”
Lorcan sbuffa e aguzza lo sguardo per passare a sua volta in rassegna il retro dello specchio.
“Guarda lì, c’è un’altra parola.”
Romania.”
I due non hanno il tempo di scambiare occhiate stranite, di capire di aver pronunciato a voce alta la chiave per avere accesso ai misteriosi contenuti, che la superficie acquosa si agita, inducendoli a voltare lo specchio per sbirciare delle forme che si animano, tanto simili a quelle vivide ma artefatte di un film.
 
~
 
24 dicembre 1990
 
Se gli avessero detto che un giorno l’avrebbe vista varcare la soglia della Tana, per giunta il ventiquattro dicembre, non avrebbe creduto a una sola sillaba. Per quanto fossero amici da anni e trascorressero molto tempo insieme, la loro amicizia non s’era mai spinta oltre dei confini netti – uno di questi era scriversi durante le vacanze e rivedersi una volta a Hogwarts.
Ma quell’anno, ultimo per entrambi, li aveva visti vacillare sotto al peso della separazione forzata, assaliti da una sorta di presagio al sapore di ora o mai più. Così Charlie le aveva proposto di studiare assieme, solo una materia, e Tonks aveva accettato, solo un pomeriggio – certo, solo Ninfadora Tonks avrebbe potuto scegliere la Vigilia tra tutti i pomeriggi a disposizione, ma a queste stranezze il giovane Grifondoro era così abituato da ritenerle ormai routine.
Abbiamo finito!”
Tonks era raggiante nella sua felpa troppo scura, troppo grande e troppo rock per non far storcere il naso alla signora Weasley – quando s’erano presentate ufficialmente, Charlie aveva trattenuto a fatica una risata e l’impulso di dire alla madre che la ragazza aveva di sicuro le calze a rete sotto i jeans.
Devi tornare a casa?”
Secondo te? È la Vigilia, ho l’ordine di rientrare prima di cena.”
“Ora è ora di cena.”
Appunto!”
Hai scelto il giorno peggiore di tutti, sei il solito pasticcio.”
E tu il solito uovo vuoto di drago, hai un po’ di ironia sotto quella matassa rossa?!”
Charlie aveva scosso il capo rassegnato, ridendo quando i capelli di Tonks s’erano tinti di rosso Weasley, come lo chiamava lei, solo per scimmiottarlo.
Tua madre ti sta chiamando.”
Vorrà sapere se passi la Vigilia con noi.”
Tonks aveva sorriso furba e prima che il ragazzo potesse anche solo invitarla a uscire dalla sua stanza s’era già catapultata fuori, urtando – nell’ordine – il fratello più grande di Charlie, una vecchia scarpiera e la piccola Ginny che trotterellava dietro a una sfera animata – era stata sballottolata dall’uno all’altro come una pluffa che rimbalzava tra i cacciatori.
Vuoi fare attenzione?”
Parli facile tu, a casa mia siamo in tre e non abbiamo tutta questa roba.”
Charlie aveva inarcato le sopracciglia e la ragazza in tutta risposta aveva mutato le labbra in una cerniera chiusa, facendo scoppiare a ridere lui e incuriosire Ginny, che aveva preso a guardarla con l’aria di chi aveva appena trovato un giocattolo nuovo e bellissimo.
Erano riusciti a raggiungere il giardino solo a seguito di una valanga di convenevoli, Charlie non aveva idea di cosa pensasse la sua famiglia di Tonks, ma dai loro visi divertiti era sicuro che li avesse travolti come aveva già fatto con lui, stordendoli con le sue chiacchiere sbadate e la sua appariscente unicità.
A volte gli succedeva di ricordare la loro prima conversazione, quella al secondo anno, quando gli aveva rovesciato addosso un intero calderone di chissà-cosa causandogli una momentanea perdita dell’olfatto – Tonks aveva trascorso la settimana successiva a riferirgli qualsiasi tipo di odore e alla fine era riuscita a rovesciargli addosso altra robaccia, scatenando in lui la voglia matta di tenerla ad almeno mezza Hogwarts di distanza.
Ma Tonks era un uragano di colori e parole, Charlie aveva capito in fretta di non poterne più fare a meno, di sentirsi fiacco senza di lei – ingrigito dalla calma piatta e dall’assenza di rumore.
Devo dirti una cosa.”
Lo so già.”
Non puoi saperlo già, non sai neanche di cosa parlo.”
Invece sì,” aveva insistito lei. “Perché sono… sono stata un po’ impicciona, ma non volevo, solo che ho visto l’intestazione e… Beh, ce l’avevi nel libro di Incantesimi, era un invito a leggerla.”
Era arrossita – ed era a disagio.
I capelli meno ispidi e rosa, più flosci e ingrigiti. Le gote imporporate, gli occhi scuri impegnati a vagare ovunque pur di non guardare Charlie.
E che ne pensi?”
Lui non era arrossito – né a disagio.
Anzi aveva fagocitato i passi che li separavano e per la prima volta l’aveva avvicina sino a essere a un palmo dal suo naso.
Che mi mancherai molto.”
L’aveva baciata sorprendendo se stesso e lei – e lei aveva ricambiato sorprendendo se stessa e lui.
Erano sempre stati attenti ai confini netti, perché fraintendere era troppo facile e perdere un’amicizia lo era altrettanto – ma ora o mai più sovvertiva tutte le percezioni e rimescolava tutto: di lì a pochi mesi, quando Charlie si sarebbe trasferito in Romania per frequentare la scuola di specializzazione che l’aveva accettato tra i suoi iscritti, non ci sarebbe stato più nulla da difendere, nessun quotidiano da preservare, nessuna amicizia fatta di confini netti, perché il confine sarebbe diventato tangibile ed evidente e allora oltrepassarlo sarebbe stata sempre e solo una scelta voluta, mai sbadata.
Ma le terre straniere erano ancora lontane, mentre loro due non erano mai stati più vicini.
S’erano sorrisi.
Andava bene, andava tutto bene.
 
~
 
Le sagome in quella istantanea troppo lunga per essere qualcosa di diverso da un ricordo custodito gelosamente in un diario sbiadiscono in fretta, così come sono apparse, e Lorcan e Rose hanno la sensazione di aver sbirciato qualcosa di troppo intimo per non avvertire un principio di senso di colpa.
“Dovremmo farci i cazzi nostri, che dici?”
Rose solleva lo sguardo chiaro su Lorcan, ma tentenna anziché annuire e riprende a fissare quell’oggetto sin troppo prezioso per ammuffire in una soffitta.
“Io non vorrei sapere certe cose di mia madre,” insiste lui.
“Non sto pensando a Teddy, ma a mio zio.”
“Se l’ha lasciato qui ci sarà un motivo.”
“Ma sono passati anni, è un bel ricordo… Tu non vorresti riavere un bel ricordo?”
È Lorcan a tentennare ora, e fissa dubbioso lo specchio che avrebbe dovuto restare sepolto in un anonimo scatolone.
“Non lo so.”
“Io vorrei poter scegliere se riguardarlo o no.”
“Hai già deciso,” ironizza lui. “A Teddy non diciamo niente, però.”
“No, niente di niente,” concorda. “Se vorrà, lo farà zio.”
“Mi sembra giusto.”
Rose curva le labbra in un sorriso sghembo e si allunga a baciargli la bocca, ridendo quando lo sente mugolare contento.
“Sei meno stronzo di quello che vuoi far credere, sei proprio un...”
“Non dire il nome di quel dolce, io non sono un...”
FIGLIO DI LUNA, DOVE TI SEI CACCIATO?”
“Merda.”
“Saranno arrivati i tuoi e...”
“...Gli hanno detto che ero già qui.”
FIGLIO DI LUNA!”
Occhi al cielo e risate premute sulle labbra, non hanno bisogno di dirselo che torneranno in questa soffitta non appena tutti saranno troppo distratti per notare la loro assenza.
Fanno capolino in cucina mano nella mano, e mentre Lorcan incassa con un sopracciglio sfacciatamente alzato lo sbraitare di Ron, Rose si avvicina furtiva allo zio Charlie e senza dir nulla consegna nelle sue mani callose e sorprese il diario camuffato da specchio – e lo nota, un lampo di dolcezza e nostalgia attraversargli il viso.
Si congeda con un sorriso incoraggiante, raggiungendo svelta Lorcan che nel mentre è riuscito a liberarsi da Ron grazie all’inaspettato intervento di Rolf, che in un moto di orgoglio paterno ha preso le difese del figlio.
“Papà dice che sono pieno di buone intenzioni,” sogghigna Lorcan non appena lei s’avvicina. “Sono uno più idiota dell’altro, guardali!”
Rose morde le labbra pur di non scoppiare a ridere, poggiando la schiena sul suo petto non appena si sente stringere in quell’abbraccio tutto loro.
“Come l’ha presa?”
A questa domanda gli occhi chiari di lei cercano e trovano svelti lo zio e lo osservano mentre, in disparte, rigira tra le mani lo specchio, inaspettatamente interessato a sbirciarne il retro più che il lato riflettente: non le sembra spossato o triste, solo artigliato dai ricordi – è sul punto di chiedersi se abbia fatto la scelta giusta quando lo vede sollevare lo sguardo verso loro due e sorridere a entrambi con l’aria di voler dire grazie.
“Direi bene,” risponde rasserenata.
“Direi anch’io,” sorride lui, sbirciando furtivo l’assenza di occhi indiscreti prima di scoccarle un bacio a fior di labbra. “Tuo padre litiga ancora col mio, non è grandioso?”
“Speriamo continuino a litigare anche dopo.”
Lorcan coglie al volo soffitta in quella frase e in risposta la stringe ancora di più.
“Al suo posto, non sarei mai partito.”
Rose non ha bisogno di chiedere per capire di cosa parli, Lorcan ha sempre l’abitudine di osservare in silenzio per buttare fuori i pensieri istanti più tardi, seguendo ritmi tutti suoi.
“L’avresti fatto, invece...”
“Ti dico di no.”
“...Perché io ti avrei seguito.”
E il caos intorno non è che disordine senza voce, tutto sbiadisce come un ricordo lontano. Lorcan non vede altri che Rose e Rose non vede altro che ricci disordinati e sorrisi sbilenchi che inseguirebbe ovunque.
Va bene, va tutto bene.
 
 
 
 
 
 

Note dell’autrice: questo stralcio partecipa alla mia iniziativa Una storia tutta per te e questa è tutta per Maqry! Ero indecisa se scriverle una storia calderottosa o una su Charlie/Tonks, che tanto ama e di cui scrive meravigliosamente, alla fine ho optato per questo ibrido dove si incastrano entrambi i racconti, spero tanto possa piacere sia a lei che a chiunque altro passi di qui.
Lo specchio-diario è una mia invenzione, concedetemi la piccola licenza!, mentre i tempi verbali diversi tra presente e flashback sono voluti per creare un effetto che dia la sensazione di una storia nella storia. Piccola nota sulle date di nascita: secondo il Lexicon Charlie è nato nel dicembre 1973, ma se così fosse avrebbe frequentato ancora Hogwarts al primo anno di Harry, quindi ho retrodatato la sua nascita al 1972.
Ancora una volta uno stralcio si presenta come universo alternativo rispetto alla realtà di Paradiso perduto, qui non ci sono ombre e, come dice la conclusione, va tutto bene.
Un abbraccio. ❤

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Capitolo 4
*** Tornavano indietro per andare avanti ***


A Severa

Tornavano indietro per andare avanti
 
 
Le giornate sapevano assomigliarsi tutte, incastrate in una routine dal ritmo lento e snervante, e Lorcan le odiava di un odio viscerale, che nasceva nello stomaco e si diffondeva in tutto il corpo sino ad arrivare alla testa – era lì che esplodeva, tramutandosi in un mal di testa perenne, che da più di un anno non lo abbandonava mai.
C’erano momenti in cui aveva la tentazione di lasciarsi tutto alle spalle, dare un calcio alla sua vita e reinventarsi altrove, lontano da luoghi e persone che nutrivano quella solitudine che era diventata una seconda pelle – ma poi ricordava il vuoto lasciatogli dalle nuove conoscenze, dai corpi in cui era sprofondato, dalle esperienze mai fatte in precedenza, e capiva che fuggire non sarebbe servito a niente.
 
L’avrebbe portata con sé.
 
In fondo il problema era tutto lì, non riusciva a lasciarsela alle spalle, a dimenticare, a rassegnarsi all’idea che non avessero più niente da dirsi: lei aveva scelto l’altro, lui non sarebbe mai riuscito a esserle solo amico, fine della storia.
Ma per quanto provasse a concentrarsi su immagini positive, dalla vicinanza del fratello sino al brillante percorso in Accademia, non riusciva mai ad accantonare la mancanza.
E a volte rideva, di se stesso e dei suoi patetici sentimenti.
 
 
Ed un po’ mi fa ridere
se penso che ora c’è lì un altro che ti uccide i ragni al posto mio
 
 
E più rideva più impazziva, perché c’era un altro accanto a lei – a sfiorarla, divertirla, consolarla, viverla.
E oggi, oggi che faceva ritorno in Accademia dopo la pausa estiva, il primo settembre che lo avrebbe visto iniziare il secondo anno di preparazione alla carriera Auror, non riusciva a non pensare a lei che non sarebbe salita sul treno per Hogwarts.
 
Chissà dov’era.
 
La giornata era volata via con quest’unico pensiero in testa.
Dove fosse, con chi fosse, cosa facesse, quale strada avesse intrapreso ora che s’era lasciata Case e lezioni alle spalle.
Aveva sempre creduto che sarebbe stato con lei al suo ingresso nel mondo adulto, pronto a stringerle la mano e a ripeterle col sorriso sbilenco di essere nata in ritardo.
E invece non c’era lei, non c’erano loro, e lui non si sentiva altro che un volto tra la folla.
 
 
Ed ora sono solo un tizio
che se lo incontri per la strada gli fai un cenno di saluto e via
 
 
E aveva una paura matta di incontrarla, l’aveva capito quando era arrivato al Ministero e l’ansia aveva preso a divorarlo – paura di incrociarla e vedersi rifilare un saluto cortese, distante, estraneo.
Lorcan non capiva come si potesse passare dall’essere tutto all’essere niente per una persona, ma che a lei non importasse più nulla di lui era evidente dal silenzio assordante di quell’anno di lontananza – solo gli auguri di rito, cui lui non aveva risposto, li aveva trovati offensivi nella loro crudele formalità.
 
S’era chiesto se l’avesse persino dimenticato.
 
Possibile che James avesse anche questo potere? Anche quello di farle dimenticare il suo migliore amico, il suo primo amore, la prima persona che l’aveva conosciuta come nessun altro.
Era ormai certo che se ne avesse avuto la possibilità le avrebbe chiesto solo una cosa: non dimenticare, non dimenticare le giornate trascorse insieme, i baci rubati, i primi abbracci, la prima volta.
 
 
Però tu fammi una promessa
che un giorno, quando sarai persa
ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi
 
 
Le avrebbe chiesto solo questo. Non di ripensarci, di tornare da lui, perché non avrebbe mai voluto interferire con la sua felicità, ma che almeno ricordasse i loro momenti e li custodisse come un porto sicuro in cui tornare se ferita, triste, persa – una casa di cui lei avrebbe sempre posseduto la chiave.
 
Era così patetico.
 
Al termine di quella giornata, sbucò nell’ampio atrio del Ministero spronandosi a chiudere le sensazioni divoratrici in un angolo remoto della testa – o sarebbe impazzito.
Tuttavia quelle sensazioni non vollero saperne di isolarsi ed esplosero tutte insieme quando inaspettatamente intravide lei, lì nell'atrio e a un passo da lui – le dita impegnate a torcersi nervose, lo sguardo in cerca e in attesa di qualcuno.
Lorcan si accorse di essersi impalato in mezzo alla folla che continuava il suo andirivieni solo quando capì di aver replicato i gesti e la posa di lei, a sua volta immobile, a disagio, con gli occhi ora fissi su di lui.
La vide sollevare la mano in segno di saluto e abbozzare un sorriso incerto dopo un tempo che era parso interminabile. E la vide avvicinarsi titubante, forse scossa dal silenzio immobile che aveva ricevuto in risposta.
“Lor, ciao.”
“Ciao, dolcezza.”
Gli sembrò di vedere le sue labbra tremare, ingoiare un sorriso, e allora le sue ne abbozzarono uno per entrambe, meno sbilenco, più fioco, ma pur sempre un inizio.
Lei era a un passo da lui, tutto vorticava attorno a questa sola verità, e pur non conoscendone ancora il perché sapeva che la speranza di non incontrarla era già stata calpestata dalla felicità di averla rivista, di sentirne il profumo sulla pelle, di poterla guardare dritto in viso – avrebbe tanto voluto abbattere ogni brandello di distanza e imprimersi il suo calore addosso.
“Hai ricevuto i miei gufi?”
“Gli auguri, certo.”
“Capisco... Scusami. Io... buone cose.”
Lorcan non fece in tempo a esternare dubbio né offesa per quel formale buone cose che Rose gli aveva già dato le spalle e s’era già incamminata altrove – la solita testa calda pensò, incapace di mettere in fila più di due azioni che avessero un senso anche fuori dalla sua testa.
Decise in fretta che non avrebbe fatto finta di niente e la raggiunse in poche falcate, stringendosela d’istinto al petto in quell’abbraccio tutto loro che sapeva di estate e pancakes – finalmente a casa.
Buone cose, sul serio? Non mi parli da un anno e mi tratti come uno sfigato qualsiasi?”
Sputò quelle parole senza neanche pensarci, mosso dalla voglia di non lasciarla andare e dalla rabbia malinconica di doverlo fare di lì a un istante – non riuscì a vedere le palpebre di lei calare sotto al loro peso, ma la sentì rilassarsi contro di sé, poggiare la testa sulla propria spalla, sfiorargli le mani allacciate sul ventre.
Era tutto così familiare, e non capiva se facesse più male o più bene.
“Volevo vederti... Sapere come stessi... Lysander mi ha detto che...”
“Lys? Tu parli con Lys e non con me?”
“Tuo fratello mi risponde, a differenza tua. Dovevo pur avere tue notizie.”
Lorcan si ritrovò zittito dall’incapacità di capire cosa stesse succedendo: aveva la sensazione di essersi perso qualche passaggio fondamentale per strada, e il tono quasi irritato di Rose non aiutava per niente a diradare la foschia.
“Lor.”
Non rispose e fu allora che la sentì voltarsi e vide poi quegli occhi azzurri sollevarsi sul suo viso – riuscì a leggere senza problemi l’emozione altrui nell’averlo di nuovo vicino, la intuiva dallo sguardo che vagava eccitato tra iridi scure e labbra schiuse, tra i lineamenti più decisi e i ricci sempre scompigliati.
“Rose,” chiamò allora. “Perché sei qui? Io sto bene, non devi preoccuparti.”
La vide trarre un respiro e si ritrovò a pensare che tesa e con i capelli lasciati ribelli a incorniciarle il volto e a coprirle la schiena fosse ancora più bella.
“Mi manchi.”
“James non ti basta?”
Se avessero assegnato premi per l’impulsività, lui ne avrebbe vinti a bizzeffe, forse uno al giorno.
Dentro di sé sapeva di dover dire qualcosa per rimediare, ma averla vicino ed essere consapevole che ad aspettarla vi fossero altre braccia gli scavava dentro un tale malessere da indurlo a sbottare.
Eppure, Rose non gli parve né troppo contrariata né troppo infastidita a seguito di quella domanda insinuante, semmai colta da un lieve disagio che come suo solito vinse in fretta e furia – l’ennesimo tratto che amava di lei.
“Se tu mi avessi risposto, sarei riuscita a dirti una cosa.”
“Te lo sposi?”
“L’ho lasciato.”
Lasciato – una parola che prese a rimbombare così tanto nella testa di Lorcan da spazzare via tutto il resto.
“Perché sei qui?”
“Per te.”
Quante volte, nello spazio di una sola vita, fosse lecito cascare nello stesso errore, Lorcan proprio non lo sapeva. E poi perché avrebbe dovuto essere un errore concedersi una seconda possibilità?
 
Lei era tornata.
 
E il mondo d’improvviso aveva smesso di essere cupo, la testa non faceva più male e l’entusiasmo per il nuovo anno accademico bussava frenetico per scacciare il cattivo umore.
Incrociò gli occhi chiari che amava e seppe di non doverle chiedere nulla – quella comprensione muta era tornata a imporsi come se nessuno l’avesse lasciata ad arrugginirsi, mentre l’anno di silenzio sembrava un punto sfocato di una trama più grande e meravigliosa.
“Lorcan, posso spiegarti tutto, ma se...”
“Ti amo, e se tu sei sicura io sono sicuro.”
Rose si aprì in un sorriso così caldo che Lorcan ne tremò, e l’attimo dopo tremò ancora perché avvertì le sue labbra sfiorare le proprie in una carezza, le sue dita cercare le proprie e incitarle a stringerla in un abbraccio.
La baciò gettando via tutte le remore, certo che di lì in poi le giornate sarebbero state tutte diverse, incastrate in un caos entusiasmante e frenetico, e Lorcan le avrebbe amate di un amore viscerale – ora c’era lei, e per lei era disposto a ricominciare tutto da capo, a rifare persino gli stessi errori.
 
 
Ma alla fine ti giuro che lo rifarei.
 




 
Note dell’autrice: questo piccolo Stralcio partecipa al Gioco di scrittura e a Una storia tutta per te del gruppo fb Caffè e calderotti ed è il mio regalo di Natale – sono sempre in ritardo! – per Severa Crouch, che ama tanto Lorcan e questa coppia e che ormai quando ascolta Ridere la associa sempre ai miei Lorcan e Rose, soffrendo per il primo – con questa songfic ho voluto ribaltare la prospettiva della canzone, regalandoti un finale felice, spero abbia apprezzato!
Segnalo che le frasi in corsivo allineate a destra sono tratte dalla canzone Ridere dei Pinguini Tattici Nucleari.
Grazie a chiunque sia giunto sin qui!
Un abbraccio. ❤

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Capitolo 5
*** Imbarazzi – cose taciute ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Undici della longfic.



Imbarazzi – cose taciute
 
 
Agosto 2022
 
Com’è crescere?”
È un po’ come smarrirsi.”
 
*
 
Rose non ricorda come sia proseguita quella conversazione vecchia di tre anni né ricorda come sia nata, ma quella frase della zia Ginny non l’ha mai dimenticata e non crede la dimenticherà in futuro.
Anzi.
La porterà con sé, ora più che mai – ora che ha un senso e che le sembra l’unica verità in un vortice di confusione.
Non sono trascorsi che quattro giorni da quando ha lasciato una parte di sé nel letto di Lorcan, eppure tutto le appare già diverso, nuovo, sconosciuto – un labirinto in cui smarrirsi è talmente facile che non ha idea di come riuscirà a orientarsi.
Non sa come dovrebbe sentirsi dopo aver vissuto un momento così intimo, sa però che non appena l’adrenalina è sfumata ha avvertito qualcosa di scomodo agitarsi dentro di lei – la paura, più che altro, di tradirsi in ogni modo possibile: con Lorcan, con James, con i suoi genitori persino.
È sciocco, ma ha la sensazione di averlo impresso su di sé, di essere cresciuta un po’ di più, di aver strappato via i residui di bambina ed essersi affacciata sul mondo degli adulti.
Sente di essersi smarrita.
Nelle bugie messe in fila con tanta cura, nei sentimenti esuberanti e confusi, nei pensieri in cui si aggroviglia controvoglia.
Mai come in questi giorni ha sentito il bisogno di confidarsi con qualcuno, ma promettere a Lorcan di dimenticare significa anche ingoiare ogni parola – con chiunque, persino (e soprattutto) con James.
 
Non volevi che dormissi con lui.”
No. È una cosa nostra.”
E se ti dicessi che è stato diverso?”
Ti chiederei perché.”1
 
Sente la testa esploderle ogni volta che quelle poche frasi rimbombano, e si sente sporca – come se lo avesse tradito –; è tutta colpa dell’omissione, si dice allora, il problema è tutto lì: mentire a James è innaturale, non l’ha mia fatto, e adesso che non può fare altrimenti pesa come un macigno.
Ma non è l’unico cui mente.
Ormai neanche ricorda più quand’è che ha rifilato la prima bugia a Lorcan, fingendo di non esserne gelosa, di nutrire per lui l’affetto che si nutre per un amico, di non volere altro – amore?
Non sa cosa significhi innamorarsi, sa però che quando Lorcan non c’è le manca terribilmente e che quando le è accanto ha sempre una voglia matta di baciarlo, toccarlo, sentirlo vicino.
Sensazioni ormai acuitesi.
È stato sufficiente il primo bacio a farle provare un’adrenalina tutta nuova, sconosciuta in precedenza, che le ha attraversato l’intero corpo e s’è impossessata di ossa, muscoli, pelle, radicata un po’ nella testa e un po’ nelle pareti più intime, capace di fagocitare ogni brandello di raziocinio e tramutarla in impulso vivo – passione?
In questi giorni le è capitato di rannicchiarsi in se stessa e abbracciarsi, chiudere gli occhi e immaginare che a stringerla fossero le braccia di Lorcan, i suoi ricci strofinarsi sulla pelle, le sue labbra sfiorarla ovunque.
S’è pentita – amaramente.
Non di aver compiuto un passo tanto importante, ma di averlo fatto nell’ombra, senza confessare a lui e a se stessa i sentimenti in esubero. Le è parso così tanto presente in quel momento – quasi innamorato – che non appena la lucidità è tornata a farle compagnia s’è chiesta se non avesse potuto osare ancora di più, non un unico passo ma cento tutti insieme.
Sospira non appena dà uno sguardo all’orario: il tempo oggi non passa mai.
Per qualsiasi altro abitante di Godric’s Hollow questa è una giornata identica a tante altre, mentre per lei è la giornata, quella dove capirà se sia all’altezza o meno del cumulo di bugie che ha messo in piedi.
Con James s’è già confrontata e ha già capito che sarà difficile, troppo, fingere che nulla sia cambiato; spera di non vacillare sino a rovesciarsi con Lorcan.
Continua a ripetersi che in fondo hanno già avuto modo di trascorrere del tempo insieme e da soli dopo, ma un tarlo malefico seguita a ricordarle che il dopo cui si appiglia altro non è che l’immediato dopo, quando razionalizzare era fuori dalla portata di entrambi e allora a spadroneggiare è stato ancora l’istinto.
Che incubo.
Perché ha invitato Lorcan a trascorrere la giornata a casa propria? E perché lui ha accettato?
Lysander è ancora trattenuto al Ministero, anche se le conversazioni origliate la inducono a sperare che l’indomani lo lasceranno libero di tornare a casa – almeno per ora –, mentre James trascorrerà l’ennesima giornata in ufficio da suo padre, nel vano tentativo di essere indotto a dire altro, confessare qualcosa, dare un senso a un episodio che seguita ad apparire privo di sensatezza.
Forse, forse avrebbe dovuto dormire un po’ di più.
Invece s’è tirata su dal letto alle sei del mattino, tormentata da un fastidio che le ha impedito il riposo e affollato la testa di immagini. Ha allora rassettato la propria camera, fatto colazione, salutato i genitori quando sono usciti per recarsi l’una al Ministero e l’altro al negozio, fatto su e giù per casa alla disperata ricerca di qualcosa da mettere in ordine.
Sono appena le nove.
E Lorcan non arriverà prima delle dieci.
“Rose, sei in camera tua?”
Sobbalzare non è mai stato così semplice. Svelta, s’affaccia oltre l’uscio della stanza e scorge la madre che s’avvicina.
“Che ci fai già a casa?”
“Mi sono liberata prima. Sono passata in ufficio solo per impartire qualche disposizione.”
“Ma perché?”
“Abbiamo un ospite, ho pensato di mettermi ai fornelli!”
Rose inarca scettica le sopracciglia, da sempre convinta che la cucina del padre sia nettamente migliore di quella della madre.
“Ma se non sai cucinare neanche un uovo.”
“Questo lo dice tuo padre,” borbotta Hermione. “A me manca solo il tempo.”
“Allora ci prepari i pancakes?”
“Posso provarci.”
Rose si apre in un piccolo sorriso – inizia a rasserenarla l’idea che ci sarà anche sua madre quando dovrà rompere il ghiaccio con Lorcan.
“Però non dire niente sul processo e su Lysander,” dice improvvisa. “Non sei rimasta per interrogarlo, vero?”
Hermione sospira, per quanto ci provi non riesce proprio a far capire alla figlia di non essere una nemica, di essere stata costretta a non opporsi a indagini e processo.
“Niente processo,” assicura. “Anch’io credo che abbia bisogno di distrarsi, li ho visti nascere, lui e Lysander, non credere che mi diverta questa situazione.”
“Lo so,” pigola Rose. “È che tu...”
“Sono il Ministro,” interviene Hermione. “Ma prima di questo sono tua madre. E poi,” aggiunge, “conosco bene Luna e Rolf, sono affezionata a loro e ai ragazzi.”
Rose annuisce con lo sguardo pensoso – a volte dimentica il legame che unisce le loro famiglie, lo stesso che le ha permesso di conoscere Lorcan in fasce, e sottovaluta del tutto il peso della rete di amicizie in questa difficile circostanza.
“È che Lorcan sta male,” tenta allora. “Vorrei solo che stesse bene.”
Hermione sospira una seconda volta e sorride in un modo che Rose non riesce a interpretare, sa solo che sua madre l’avvicina e le bacia la fronte.
“E tu stai bene?”
“Certo che sto bene.”
“Va bene,” mormora Hermione. “Lo accogli in pigiama, il tuo amico?”
“Cosa? Sono vest...”
Sbarrare gli occhi, così come sobbalzare qualche istante prima, non è mai stato così semplice.
Stupida si rimprovera.
Così impegnata a rimuginare sul tempo e su quel groviglio di sensazioni che le mozza il respiro da dimenticare di essere ancora, e tragicamente, in pigiama.
Senza preoccuparsi di dire alcunché alla madre, ma incassando irritata la sua risata, si precipita in bagno.
Calma si dice.
In fondo non capisce perché stia reagendo così. Lorcan l’avrà vista innumerevoli volte in pigiama – hanno anche dormito insieme –, però oggi è la giornata e per qualche ragione vuole che tutto sia perfetto e che soprattutto non ci sia alcun motivo di imbarazzo tra loro – riflette troppo tardi che forse ha chiesto alla madre di prepararle lo spuntino sbagliato, ma ormai è fatta e non saprebbe come ritrattare.
Non ha idea di quanto tempo sia trascorso da quando s’è chiusa la porta della stanza da bagno alle spalle a quando è rientrata in camera propria, sa però che si specchia con un certo sollievo, felice di dover solo mettere via l’accappatoio e infilare i vestiti.
A frantumare tutta la felicità è però un bussare alla porta – qualcosa le suggerisce che Hugo dorme ancora e sua madre sarebbe entrata e basta.
“Rose, posso?”
Lei non fa in tempo a boccheggiare che Lorcan sfila all’interno della stanza, mani in tasca e labbra pronte a sorridere sbilenche.
“Hermione mi ha raccomandato di bussare prima di entrare, io l’ho fatto,” ghigna, percorrendo Rose con lo sguardo. “Ormai è un’abitudine accogliermi in accappatoio, mi stai viziando.”
A Rose sfugge un sorriso al ricordo di quell’episodio vecchio di appena un mese – le sembra passato un anno.
“Non dovresti essere qui, se mia madre entrasse...”
“È impegnata in cucina, pasticcia più di te,” scherza svelto Lorcan. “Se poi vuoi che esca...”
“No,” interviene Rose. “Cioè , però… Però sei stato puntuale, bravo.”
Le sopracciglia di Lorcan si sollevano mimando un’espressione che potrebbe essere di scetticismo o di divertimento, in realtà neanche lui sa bene cosa provi dentro di sé né come interpretare il palese imbarazzo di Rose.
È pentita e non vuole più vederlo?
Vorrebbe tanto dirle che non ha dovuto impegnarsi molto per essere puntuale, l’idea di trascorrere del tempo solo con lei gli ha rubato tutto il sonno – più di quanto non facciano già la preoccupazione e i sensi di colpa per Lysander – e lo ha indotto a raggiungere Godric’s Hollow all’alba, ma deciso a non disturbare lei con il proprio umore in subbuglio ha percorso più e più volte il piccolo villaggio, bene attento a non arrivare mai in prossimità di casa sua e di James.
Perché è così difficile?
Quando hanno parlato, quella mattina, è parso tutto risolto, eppure adesso ha un tarlo nella testa che seguita a rimproverargli di non essere stato onesto con lei e che si tradirà di sicuro alla prima occasione – sarà sufficiente uno sguardo troppo malizioso, perso, per farle capire di non avere nessuna voglia di dimenticare e accantonare. Un passo alla volta, s’è detto, un passo alla volta, ma teme di non esserne capace.
E non sa chi abbia ordinato alle gambe di muoversi sino a raggiungere Rose né chi abbia detto alle mani di sfiorarle l’accappatoio – proprio come un mese addietro, quando fingere di volerle essere solo amico era meno difficile –, ma è quello che si ritrova a fare.
“Spero tu non voglia sfilarmelo, con mia madre in casa non è una grande idea.”
Le improvvise parole di Rose, venate di sarcasmo, riescono a frantumare la bolla di imbarazzo e sospensione che ha rischiato di inghiottirli. Lorcan solleva subito lo sguardo su di lei, incrociando occhi in cui brilla malizia e qualcosa che forse è confusione, forse titubanza, forse altro – non lo capisce.
“Potrei dirle che non c’è niente che non ho già visto,” scherza in risposta. “Ma neanche questa è una grande idea, giusto?”
“Si sentirebbe male!”
“E tuo padre, allora?” sghignazza Lorcan. “Chiude anche me al Ministero.”
Rose accenna un sorriso e si azzarda a sfiorargli la guancia con un bacio, arrossendo un po’ non appena sente Lorcan stringerla a sé e le sue labbra ricambiare il saluto.
“Ti aspetto fuori, fai presto.”
“Lor.”
“Cosa c’è?”
“Se fossimo stati soli, non avresti dovuto aspettarmi fuori.”
“Mi sembra il minimo, dolcezza.”
L’ironia colora le parole di entrambi, eppure i sorrisi che si scambiano hanno radici più profonde – come se ogni parola fosse una piccola verità e ogni piccola verità un passo.
Mentre si veste, Rose si domanda dove abbia racimolato l’ardire – la sfacciataggine? James le direbbe questo, ne è certa – di scacciare porzioni di imbarazzo e tensione per stemperare il silenzio ingombrante. Qualcosa però le suggerisce che essere in due a brancolare nella confusione è un buon segno, forse non s’è illusa nel credere Lorcan coinvolto – almeno un po’.
Quando poco dopo sbuca nel corridoio, Lorcan intreccia le loro dita con una naturalezza che è quella di sempre ma è anche diversa, e lei si limita a rifilargli un sorriso furbo e percorrere svelta le scale in discesa assieme a lui.
“Che puzza di bruciato,” esordisce Rose non appena si affacciano in cucina.
“Non sono bruciati, sono solo molto cotti,” ribatte Hermione. “Lorcan, hai già fatto colazione?”
“In verità no.”
“Allora la fai adesso, siediti.”
Lorcan abbozza un sorriso: la mamma di Rose riesce a essere autoritaria anche quando animata da gentilezza.
“Sembri tu quando vuoi fare la Presidentessa gentile,” sghignazza all’orecchio di Rose.
“Cretino,” borbotta lei. “Non le somiglio per niente.”
Lui reprime una risata e Rose gli strattona i ricci per puro dispetto, ridacchiando a sua volta quando lo vede ingoiare il solito e teatrale ahi.
Lorcan non ha previsto di farlo, eppure non appena si siede e sbircia lei sedersi accanto a sé allunga la mano per acciuffare la sua, le conduce entrambe sulla propria gamba e intreccia lì le loro dita – nascoste dal lungo tavolo rettangolare, al riparo dagli occhi attenti di Hermione.
Approfittando dell’inedito silenzio, Lorcan si guarda intorno come non accade spesso quando fa visita a Rose: in genere si precipitano nella camera di lei o sono troppo impegnati a parlare affinché lui possa notare i dettagli dell’ambiente circostante. Ad esempio non ha memoria della tinta chiarissima, un bianco sporco di crema, che illumina e amplia le pareti, né del pavimento in marmo né dell’ordine che vige ovunque: tra le sedie ben disposte intorno alla tavola elegantemente vestita di un tessuto altrettanto chiaro, tra le cornici disposte in una sequenza che urla simmetria, tra le finestre linde e la piccola cucina, in cui a spiccare è solo l’utile – ha la sensazione che ogni spazio sia stato ampliato dall’Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, un tipo di magia preclusa in casa propria: sua madre ha sempre ripetuto che la terra è piena di spazio e gli oggetti servono per occuparlo tutto.
“Perché ridi?”
Stranito, si accorge di aver riso solo quando è Rose a farglielo notare.
“Abbiamo case proprio diverse,” risponde. “Siete parecchio ordinati.”
“I tuoi genitori hanno un’altra idea di ordine,” interviene Hermione, e Lorcan ha la sensazione che il sorriso conciliante camuffi un piccolo rimprovero.
“Anche mamma dice questo di te,” sghignazza allora, trattenendo a fatica un’altra risata.
“Casa tua è più bella, a me piace di più,” dice Rose. “C’è più libertà.”
“Qui non hai libertà?” chiede retorica Hermione.
“Insomma.”
“Puoi gestire il tuo tempo come meglio credi,” sottolinea la madre. “Mi sembra molto.”
Rose inarca un sopracciglio e già pronta a replicare desiste solo perché avverte le dita di Lorcan stringere un po’ di più le proprie. Si volta allora verso di lui e annuisce debolmente, sorridendo quando a sorridere è lui – ora che il ghiaccio le sembra una preoccupazione remota, a solleticarla è il fastidio per l’invadenza della madre, che non solo ha preteso di restare in casa, ma li ha anche costretti in cucina.
È una situazione così strana.
E dentro di lei pulsa il timore che il Ministro prima o poi faccia la sua comparsa. La bugia che ha rifilato allo zio Harry è un altro fardello silenzioso che porta su di sé, e non c’è notte o giorno in cui non tema che l’uomo possa dover rendere noto l’alibi di Lorcan o senta il bisogno di confidarlo ai suoi più grandi amici.
Non saprebbe come giustificarsi.
Dire a chiunque di aver trascorso una notte in giro con Lorcan non è la stessa cosa di doverlo dire ai propri genitori. In più Lorcan stesso non ha idea che la sua libertà sia legata a questo alibi – potrebbe tradirsi se colto alla sprovvista, lo sa, ma teme che dirglielo possa scaraventargli addosso altre preoccupazioni e sensi di colpa; e poi sa sin troppo bene che non avrebbe voluto coinvolgerla.
 
“E per il tuo alibi ci inventiamo qualcosa, possiamo dire che eri con me, zio Harry mi crederà.”
Non ci pensare neanche. Non ti coinvolgerò in questa merda.”2
 
Si arrabbierebbe terribilmente.
E sa che avrebbe una reazione identica, se non più furiosa, anche James se decidesse di parlarne almeno con lui.
No.
Questi pesi deve portarli lei, loro due hanno già le schiene troppo curve e i pensieri troppo affaticati.
“Eccoli qui,” dice Hermione, servendo a sorpresa anche la figlia. “Però non esagerare, hai già fatto colazione,” aggiunge guardando proprio lei.
“Non c’è rischio che esageri,” interviene Lorcan. “Mangio anche i suoi!”
“Non esagerare neanche tu,” ribatte l’adulta. “Non costringetemi a controllarvi a vista,” scherza.
“Possiamo mangiare in camera mia?”
Al pigolio di Rose, il viso di Hermione si tinge di un’espressione che i due ragazzi non riescono a decifrare – sembra impegnata a contenere un sorriso.
“Andate,” concede, adocchiando discreta il braccio della figlia sin troppo proteso verso Lorcan. “E sveglia Hugo.”
Rose non fa neanche in tempo ad annuire che Lorcan è già scattato in piedi, ha già le mani impegnate da piatti e forchette e le ha già detto di prendere il succo di zucca.
Si ritrovano soli in camera della ragazza, la porta socchiusa, solo dopo aver svegliato frettolosi Hugo – è solo lì che qualcosa cambia, o forse si desta.
Un imbarazzo – cose taciute.
A Rose esplode tutto tra le mani proprio quando ha creduto di aver superato ogni ostacolo e di aver messo entrambi al riparo da squilibri scomodi. E le è sufficiente incrociare gli occhi di Lorcan, vederlo ingoiare a vuoto prima di mordere una sola volta il pancake, per capire che sia ostaggio di sensazioni simili.
È un incubo.
Lo pensa mentre si siede sul letto accanto a lui, mentre si scambiano un sorriso privo di significato, mentre trema all’idea che sia in realtà questa la nuova dimensione del loro rapporto – silenzi e occhi sfuggenti e paure.
Piombano improvvise, e violente, le inquietudini che le hanno impedito di dormire e che l’hanno fatta sentire sollevata quando ha visto sua madre rincasare.
“Perché sei silenziosa?”
“E tu?”
Lorcan serra le labbra e incrocia gli occhi chiari di lei senza la forza di dire alcunché, mette però via il cibo – lo stomaco s’è chiuso improvviso.
Si convince svelto che le parole non possano aiutarli: qualcosa gli suggerisce che anche Rose sia impegnata a camuffare verità, e lui spera siano gemelle della propria. In uno slancio che sorprende persino se stesso, si alza in piedi e costringe lei a fare altrettanto, stringendola in un abbraccio che porta Rose ad affondare il viso nell’incavo del suo collo e lui a perdersi tra i capelli ramati.
Cosa può dire un abbraccio?
Lorcan spera tutto. Le parole gli sono ancora nemiche, così come l’ansia di perderla. A rilassarlo, però, sono sufficienti le labbra di Rose mosse in un sorriso che gli solletica la pelle.
“Stai diventando sentimentale,” ironizza lei.
Lorcan ride e si allontana dandole un buffetto giocoso sul viso – e reprime un tremore eccitato quando scorge la propria catenina al collo di Rose: che non l’abbia mai messa via, in questi giorni?
“Perché tua madre è qui?” chiede allora, deciso a mutare scenario.
“Per cucinare, almeno così ha detto.”
“Credi voglia farmi qualche domanda?”
“Non lo so,” ammette Rose. “Ma non scarto niente, dobbiamo essere vigili.”
“Sta’ tranquilla, so come rispondere.”
“Sicuro?”
“Dubiti di me?”
“Potrei.”
“Potresti?”
Rose curva le labbra in un sorriso pestifero e Lorcan senza pensarci due volte la spinge sul letto per mettersi a cavalcioni su di lei e solleticarle i fianchi.
“Lor… no… e dai… Lor!”
“Chiedi scusa!”
“No!”
“Chiedi scusa!”
“Mai!”
Lorcan sogghigna – non ha idea di quando il solletico sia tramutato in carezze, sa solo che ora Rose ansima col sorriso sulle labbra mentre lui muove le mani tra fianchi e pancia in un lento massaggio.
“Così mi piace.”
“Ah, ti piace?” chiede retorico. “Allora continuo.”
Rose non risponde, si limita a incrociarne lo sguardo e a percorrergli le spalle con le dita – e il fatto che il corpo di Lorcan non pesi su di lei quasi la irrita, vorrebbe quanta più vicinanza possibile.
Niente incubi.
Si accorge di non essere arrossita e che sul viso di lui vi sono solo scherzo e malizia, niente imbarazzo. Forse, riflette, si sono ritrovati per davvero questa volta – perché se le sue mani possono carezzarla e le proprie gambe possono sfiorare le sue senza vergogna, allora sono guariti, di nuovo in equilibrio.
Riprendono a parlare non appena Lorcan si scosta e rotola accanto a lei, con gli occhi che fissano il soffitto e ricordi piacevoli a sibilare pensieri audaci.
Le poche ore che li separano dal pranzo trascorrono in breve e Lorcan si tira su a sedere solo quando un irato “Figlio di Luna!” lo avvisa che il padre di Rose è rincasato.
Raggiungono la sala da pranzo ridacchiando, accolti proprio da Ron che fissa truce il ragazzo.
“Ronald.”
“Mi siedo,” borbotta lui, esibendo una smorfia. “Chiusi in camera, ma dove siamo arrivati?”
Ronald.
Cara, se mia figlia si chiude in camera con un ragazzo, non posso certo essere contento.”
“La porta era aperta,” obietta Rose. “E poi è Lorcan, non un ragazzo.”
“Avreste dovuto restare qui,” ribatte Ron. “E tu lo sai.”
“Sei esagerato, è il mio migliore amico...”
Ma Ron la interrompe con un gesto della mano che sembra intento a scacciare mosche.
“Questa storia del migliore amico non ha mai retto,” liquida. “I ragazzi alla vostra età hanno solo una cosa in testa.”
“Ronald, per favore.”
“E cos’è che avrebbero in testa?” chiede invece Rose. “Lor, cos’hai in testa?”
“Ricci,” risponde al volo lui. “Molti ricci.”
E se Rose e Lorcan sogghignano, Hermione scuote la testa rassegnata sbirciando le orecchie del marito arrossarsi d’indignazione.
“Non fare lo spiritoso,” intima Ron. “Ti conosco da quando avevi il pannolino, non m’inganni.”
“Ma non voglio ingannarti,” ghigna Lorcan, curandosi persino di mostrare i palmi in segno di pace. “Ho solo i ricci in testa!”
Ron assottiglia lo sguardo e addenta nervoso il boccone, provocandosi un fastidioso brivido quando i denti cozzano con la forchetta.
“Possiamo mangiare in tranquillità?” interviene retorica Hermione, il cipiglio severo smorzato dalla risata trattenuta sulle labbra.
“No, mamma, lasciali fare,” esclama a sorpresa Hugo, che sino a queste parole è parso a tutti troppo impegnato a svuotare il piatto per seguire la diatriba. “Sono uno spasso,” aggiunge, beccandosi un calcio dalla sorella e una pacca sin troppo energica da Lorcan. “Stronzi,” biascica tra i denti.
Ron incrocia lo sguardo della moglie e, occhi al cielo, si obbliga a dedicarsi al cibo – non è che Figlio di Luna non gli piaccia, a non piacergli è come ronza attorno alla figlia.
“Dov’è James?”
“Al Ministero,” risponde Hermione. “Lo sai.”
“L’ho dimenticato,” borbotta Ron. “In genere passate il tempo insieme,” aggiunge guardando i due ragazzi.
“Sì, in genere mi controlla lui,” ironizza Lorcan.
E mentre Rose e Hugo soffocano una risata, Hermione ridacchia apertamente, infastidendo il marito.
“Lorcan, devi avere pazienza,” dice proprio Hermione. “Quella che manca a Ronald.”
“E che è mancata anche a suo fratello,” sbotta istintivo Hugo, accorgendosi troppo tardi di aver raggelato l’atmosfera.
“Allora, Lorcan, ricordavo bene i tuoi gusti?” tenta la padrona di casa. “Ti piace quello che ho cucinato?”
Lorcan afferra svelto la mano tesa e, repressa la voglia di rifilare una rispostaccia a Hugo, annuisce e ringrazia. Inatteso, un aiuto a stemperare la tensione arriva addirittura da Ron, che racconta un aneddoto buffo con protagonista un cliente attempato.
Rose, però, riesce solo a fissare truce il fratello e a intimargli di zittirsi una buona volta. Sa sin troppo bene quale sia l’opinione di Hugo: Louis ha ragione e lei e James sono due traditori a non spalleggiarlo – più o meno l’opinione di chiunque in famiglia. Inoltre è sicura che tutti, tra cugini e fratelli, siano convinti che il vero responsabile sia Lorcan – a volte si chiede se sia troppo sperare che ognuno si faccia gli affari propri.
“Mi dispiace per prima.”
Rose lo mormora a Lorcan quando il pranzo è ormai terminato, i genitori di lei hanno dovuto far ritorno a lavoro, Hugo ha raggiunto Lily e loro due sono seduti sul divanetto da giardino dondolante.
Lorcan sorride e le sfiora la guancia con le dita.
“Non preoccuparti,” dice. “Non è una novità che Hugo sia dalla parte di Louis.”
“È un idiota come tutti gli altri, si fa incantare...”
“Il coglione in questo è bravo,” concede Lorcan. “Questo devo ammetterlo.”
“È ancora più bravo a fare la vittima.”
Lorcan scocca la lingua al palato in un moto di palese fastidio – a volte è tentato di denunciarsi per il solo gusto di smascherare quel damerino e vedere tutti, tutti e nessuno escluso, ricredersi, capire finalmente chi è Louis Weasley e sin dove può arrivare.
“Forse è meglio se non mi faccio più vedere né qui né da James.”
“Ma che dici?”
“Quello che non vuoi dire tu,” replica lui. “I tuoi non mi guardano come prima e fanno di tutto per non nominare Lys… A volte mi sembra che tua madre mi studi come fa Harry, o che...”
“Cosa?”
“Non lo so,” mormora Lorcan. “A dire il vero ho sempre paura che mi faccia qualche domanda,” confessa a disagio. “E poi tuo padre, ormai mi sopporta anche meno di prima.”
“Ma non è vero, a lui piaci.”
Lorcan inarca un sopracciglio e Rose abbozza un sorriso.
“Nel senso che il problema non sei tu, ma che sei un ragazzo,” spiega. “Lo farebbe con chiunque, solo con James...”
“No, non mi riferisco a quello,” interviene. “Parlo di come mi guarda, sempre con un’aria di rimprovero, anche se fa finta di niente. Per loro sono solo il fratello di quello che ha aggredito il nipote.”
“Non è così,” insiste Rose. “Sei solo troppo teso, questa situazione è… impegnativa.”
“Avrei detto una merda, ma tu sei più elegante di me.”
“Non scherzare, Lor, intendo che è troppo grande per noi, è normale che tu senta la pressione.”
Lorcan non risponde, ma accenna un debole col capo e le scocca un bacio sulla guancia.
“Comunque non m’importa di quello che pensano gli altri,” riprende Lorcan. “Mi basti tu, e James.”
“E Lysander?”
Rose lo osserva mentre china la testa e la scuote, istintiva gli massaggia la nuca nella speranza che si rilassi.
“Mi basterebbe che si tirasse via dai guai,” ammette. “Poi va bene anche se non mi parla più.”
“Bugiardo,” scherza dolcemente. “Se non ti parlasse più, daresti di matto.”
“Solo un po’,” dice con un mezzo sorriso.
Rose gli bacia la tempia e poi giù sino alla guancia, sorridendo quando sente il braccio di Lorcan circondarle le spalle.
“A Hogwarts credo che ti dirò una cosa.”
“Cosa?”
“Una cosa,” ripete lui.
“E perché a Hogwarts?”
“Perché non ho capito ancora se posso dirtela.”
“È una cosa bella?”
“Spero proprio di sì,” mormora. “Per me lo è.”
Rose non ha capito molto, anzi crede di non aver capito proprio niente di questa cosa misteriosa, ma Lorcan sembra serio – e anche un po’ teso –, decide così di non insistere con altre domande.
“Allora aspetterò.”
 
*
 
Hogwarts, circa un mese dopo
 
Sino a questo momento, Rose non ha mai realmente capito quanto sia importante essere a capo di un club scolastico – inizia addirittura a comprendere Louis e i suoi vanti di Prefetto e Capitano.
È un gran bel privilegio.
Non organizzare riunioni e tornei di scacchi né decidere l’esito dei provini, il privilegio è tutto nell’avere a disposizione un’aula ventiquattro ore su ventiquattro.
Un’aula.
Di cui possiede le chiavi e in cui nessuno studente può mettere piede senza il suo consenso.
Un luogo dove può sedersi su un banco, attirare Lorcan a sé e baciarlo sino a far mancare il respiro a entrambi senza preoccuparsi di niente e nessuno.
Ama essere Presidentessa.
“Dolcezza, vacci piano,” ghigna lui sulle sue labbra. “Non ho molto autocontrollo.”
Lei sogghigna e, strette le mani attorno al suo viso, riprende a baciarlo, mentre lui si fa sempre più vicino.
È trascorso solo un giorno da quando si sono chiariti e riappacificati, e Rose ha già pianificato le loro giornate per recuperare tutto il tempo perso – viversi di nuovo, senza silenzi né bugie.
“Rose.”
La voce di Lorcan è un mormorio e lei si scosta appena, scoprendo quegli occhi scuri impegnati a specchiarsi nei propri.
“Ricordi l’ultima volta che sono stato a casa tua?”
“Avresti dovuto dirmi una cosa, qui a Hogwarts.”
Lorcan si apre in un sorriso: come sempre, non fanno alcuna fatica a intendersi – se lui sorvola certi pensieri, lei riesce a vederli e viceversa.
“Ormai te l’ho già detta,” confessa. “Ma avrei voluto dirtela meglio.”
“E come?”
“Ancora non lo so, ma forse ti avrei detto che sono pazzo di te da molto tempo e poi, sì, avrei aggiunto che una notte con te non mi basta… Questo almeno te l’ho detto.”
Rose, lo sguardo ancorato a quello di Lorcan e le dita tremule sulle sue spalle, morde le proprie labbra curvate verso l’alto.
“Avevi ragione,” dice lei. “È una cosa bella.”
A queste parole, Lorcan non si dà neanche tempo di sorridere e la bacia con un trasporto tutto nuovo, più solido di qualche istante prima, che sa di consapevolezze ed equilibri – di cose dette e intese ritrovate.
 
 
 
 


 
1dialogo tratto da Visionari.
2dialogo tratto dal flashback del Capitolo Nove.
Note dell’autrice: in realtà dubito che qualcuno sia arrivato sin qui, ma nel caso grazie della lettura, come sempre spero abbia meritato il tempo dedicatole.

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Capitolo 6
*** Al di là delle paure, noi ***



Al di là delle paure, noi
 
 
E se mi piacessi?”
Non dirmelo.”
 
*
 
Eri stata avvertita – non riuscivi a pensare ad altro.
Te l’aveva detto.
Invece avevi ceduto in riva al mare, mentre calava la notte e il buio nascondeva esitazione e imbarazzo.
L’avevi baciato.
E baciarlo sul serio non era stato come immaginarlo, avevi sentito una vertigine attraversarti e le dita tremare tra i suoi ricci e lo stomaco contrarsi in maniera dolorosa – t’aveva stretta così tanto a sé che t’eri illusa di aver vinto le sue remore e convinzioni.
Invece.
L’avevi rivisto sul treno per Hogwarts – un saluto freddo, occhi sfuggenti – e poi di nuovo al tavolo Corvonero, già impegnato a divorare le labbra di un’altra ragazza.
Una tra le tante.
Lo eri anche tu, adesso, una tra le tante – perduta nei suoi sorrisi sbilenchi, nei suoi capelli ribelli, nelle sue iridi venate di sarcasmo, in lui.
Se fossi stata meno abituata a disciplinare le emozioni, avresti pianto a oltranza, perché dentro faceva proprio male.
 
I mesi scorrevano,
parole ingoiate
sguardi trafugati.
 
Un giorno –
 
Pioveva a dirotto fuori e il freddo aveva ormai scavato sino a entrarti nelle ossa – t’eri abituata a non lamentartene e a trascorrere quante più ore possibili in quel portico poco frequentato durante l’inverno.
Sola.
Avevi un disperato bisogno di restare sola – illuderti di poterlo dimenticare.
Ma.
Lorcan era sempre stato il tuo migliore amico e la mancanza pulsava così prepotente da renderti impermeabile a qualsiasi altra sensazione.
Perché.
Avresti voluto chiederglielo, ma da quel bacio estivo era letteralmente fuggito da te, incapace finanche di affiancarti lungo i corridoi per accompagnarti alle tue lezioni del sesto anno – forse, avevi riflettuto, era disgustato da te, da un sapore che non gli era piaciuto neanche un po’.
“Ti congelerai, qui.”
Lui.
Sobbalzasti d’istinto, prima al sentire la sua voce e poi le sue mani scivolare sulle tue braccia e stringerti in una morsa che t’invitava ad abbandonare la schiena sul suo petto – vicinanza.
Chiudesti gli occhi senza neanche rifletterci, cullata nell’abbraccio inatteso, e sobbalzasti una seconda volta quando le sue labbra ti baciarono la guancia.
“Lorcan...”
“Perdonami.”
“Cosa?”
“Perdonami,” ripeté. “Io non so farlo, non so com’è una relazione, ma tu… Rose, io senza di te non esisto.”
Blackout.
Totale, in grado di annebbiarti la vista già strizzata, rovistarti i pensieri, costringerti ad aggrapparti alle sue braccia pur di non crollare.
Cos’era quella debolezza invasiva?
Forse, forse era un’emozione forte, fortissima, la più forte che avessi mai provato.
Era tornato da te.
A seguito di troppi mesi giorni ore, ma era tornato – e tu, tu avresti dovuto cacciarlo, fargli provare il tuo dolore, dirgli che avevi cambiato idea, che non lo volevi più, dovevi, avresti dovuto…
“Neanche io esisto senza di te.”
Lo dicesti d’un tratto, voltandoti appena per sbirciarne il profilo, e lo notasti subito, quel sorriso sbilenco curvargli le labbra prima di svanire sulle tue.
 
I mesi scorrevano,
parole confessate
sguardi ricambiati.
 
e sempre.
 
*
 
E se ti amassi?”
Ti amo anch’io.”
 
 
 



 
Note dell’autrice: avrei tanto da dire, quindi mi limito a dire molto poco. Ho scritto questa flashfic di getto e avrei voluto fosse più articolata, più oneshot che flashfic, perché è da tanto tempo che desidero mostrarvi il rovescio della medaglia, ma per ora non sono riuscita a fare di più. Nei miei primissimi (primi primi!) progetti per questa coppia in Paradiso perduto, i timori di Lorcan sulla sua incapacità di avere una relazione stabile avrebbero dovuto essere fondati e lui avrebbe dovuto avere seri problemi a intraprenderne una con Rose, ma il mio Lorcan non è mai stato d’accordo con questi progetti e si è imposto con il suo animo calderotto (!).
Spero che questa brevissima storia sia piaciuta a chiunque l’abbia letta, un abbraccio. ❤

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Capitolo 7
*** Una sorpresa per Rose ***



Una sorpresa per Rose
 
 
9 gennaio 2023

La luce soffusa di qualche candela a illuminare la piccola stanza, delle fiamme magiche racchiuse in un’ampolla trasparente, il profumo di dolci trafugati e appena mangiati, il calore di due sagome sedute l’una accanto all’altra a vanificare gli sforzi del gelido gennaio.
Non era una sera come tutte le altre, lei aveva appena compiuto diciassette anni e lui aveva atteso paziente che chiunque le rivolgesse gli auguri, che scartasse i regali, che si lasciasse cullare dalle attenzioni di cugini e amici prima di sorprenderla con una pergamena volante durante la cena, godendo del sorriso impaziente che gli aveva rivolto, cercandolo tra troppe divise Corvonero – «dopo cena, terzo piano, ala ovest».
L’aveva vista arrivare a passo svelto, con ancora quel gran sorriso in viso. Le aveva teso la mano prima ancora che la distanza permettesse loro di sfiorarsi e senza dire nulla aveva scostato un imponente arazzo, schiuso il passaggio segreto che custodiva e guidato entrambi in una stanza dalle pareti tonde, la modesta circonferenza e il soffitto altissimo – scoperta proprio da Rose al loro terzo anno, avevano sempre creduto che fosse una delle antiche torri cadute in disuso secoli addietro a causa delle piccole dimensioni.
Lorcan aveva sfruttato lo spazio vacante per ricoprire una porzione di pavimento con dei cuscini, sistemato su quelli una coperta e preparato su uno sgabello in legno una torre di pancake su cui spiccava una candela da accendere al momento opportuno.
Rose aveva strabuzzato gli occhi dinanzi a quel ritaglio di mondo tutto per loro e aveva soffiato via la fiamma dalla candela guardando Lorcan dritto in volto.
Avevano mangiato i pancake tra una risata e l’altra, riscaldati più dalla vicinanza fisica che dalla coperta.
“Ti è piaciuta la sorpresa?”
“Mi chiedevo quanto ancora avrei dovuto aspettare!”
“E se non avessi preparato niente?”
“Saresti stato un pessimo migliore amico!”
Lorcan mosse le labbra nel suo sorriso sbilenco e le baciò la guancia, sbirciando Rose sbirciarlo – gesto che indusse entrambi a ridere.
“Ora devo darti il mio regalo, però.”
“Non è questo il tuo regalo?”
“No, questa è la sorpresa prima del regalo.”
“E allora cosa aspetti? Tra poco dobbiamo tornare in dormitorio.”
“In dormitorio ci torniamo domani, nessuno si accorgerà che non ci siamo.”
“Vuoi passare la notte con me?”
“Sei ambigua, dolcezza, te l’hanno mai detto?”
Rose gli strattonò i ricci ridacchiando e Lorcan ne approfittò per scoccarle un altro bacio, sul mento questa volta, e tremò all’idea che una vicinanza così esuberante rischiasse di distruggere tutte le dighe che aveva costruito per proteggere la loro amicizia da pensieri ed emozioni strani e invasivi.
Si sfilò la cravatta della divisa con ostentata malizia, inducendo lei a inarcare le sopracciglia e mordere le labbra per non prorompere nell’ennesima risata, e con aria furba la usò per coprirle gli occhi.
“Ma perché non posso vedere, ho già aspettato tutta la giornata!”
“E io un anno intero, colpa tua che sei nata in ritardo.”
“Sei nato tu in anticipo, e non è un anno,” precisò. “Sono otto mesi.”
“Cosa?”
“Otto mesi, la differenza tra noi. Sei nato otto mesi prima.”
“Li hai contati?”
“Sì, cioè no… È un calcolo facile!”
“Ah, un calcolo facile,” la schernì. “Perché non ammetti che mi pensi sempre?!”
“E tu perché non ammetti che sei nato troppo prima?”
“Sei tu che sei nata troppo dopo, ma ora sta’ zitta e lasciami fare!”
Rose avrebbe tanto voluto imbronciarsi, ma a vincere fu la curiosità trepidante che la indusse a fare silenzio e sorridere in attesa che Lorcan le svelasse il tanto atteso regalo.
Lorcan, però, complici l’ultimo scambio di battute e le guance di lei accese di entusiasmo, si ritrovò a osservarla per alcuni istanti, dimentico del Cattura sogni in attesa di essere scartato – un oggetto incantato in grado di tramutare i pensieri in immagini per alcuni minuti, lasciandoli poi dissolversi nel nulla.
Forse sarebbe stata la fine di ogni cosa tra loro – forse le avrebbe detto era uno scherzo, dolcezza col tono delle provocazioni più spicciole.
Forse.
Rapito dall’istinto, le solleticò il collo con le dita sino a distendere la mano nei suoi capelli, la vide allora schiudere la bocca stupita e voltarsi a cercarlo come se la stoffa non le impedisse la vista.
“Posso guardare adesso?”
Lorcan ingoiò a vuoto e le sfiorò le labbra in un bacio che sorprese Rose al punto da indurla ad allontanare il viso, ma anziché calare la cravatta e mostrare occhi smarriti rimase immobile e muta, respirando accelerata come travolta da un’emozione intensa.
Non trascorsero che pochi attimi prima che Lorcan si avvicinasse di nuovo, accompagnato da una lentezza estenuante, utile a darle l’opportunità di negarsi, fuggire, urlargli contro – ma Rose non si mosse e Lorcan la baciò una volta ancora, con più sicurezza, abbandonandosi presto a un incontro vertiginoso.
“Era questo il regalo?”
Rose lo sussurrò minuti più tardi, quando si separarono a corto di fiato e lui le liberò gli occhi.
“Un po’ presuntuoso da parte tua.”
Lo aggiunse prima che lui potesse rispondere, sorridendo assieme a Lorcan del proprio sarcasmo.
“Non esattamente, ma ho improvvisato.”
“Sei pur sempre un creativo.”
“Rose, lo so che siamo amici, ma se fossimo qualcosa di più?”
Lorcan si rese conto di aver immaginato questo momento per anni, non per un semplice cumulo di mesi, e lo capì nel dare voce a quella domanda e nel vedere lei arrossire, calare lo sguardo e baciarlo di lì a un istante.
 
Una settimana dopo
 
“Ma quindi siamo proprio fidanzati?”
“Ci hai già ripensato?”
“No, certo che no, però tu rispondi.”
“Sì che siamo fidanzati.”
“Allora ho fatto bene, è un mio diritto.”
“Cosa è un tuo diritto?”
“Dire alle tue pretendenti di guardare altrove.”
“Sei una gatta selvatica.”
“E tu uno stronzo.”
“A proposito di questo, devo dirti una cosa.”
“Cosa?”
“Te lo ricordi Davies?”
“Certo che me lo ricordo.”
“Si è beccato un piccolo Furunculus, ma è stato un caso.”
“Un caso?!”
“È scivolato sulla mia bacchetta mentre ti guardava.”
“...”
“...”
“Brutta cosa la distrazione.”
“Lo dico anch’io, proprio brutta.”
 
 
 



 
Note dell’autrice: è un racconto piccolissimo e fine a se stesso, l’ho scritto qualche tempo fa e avrei voluto pubblicarlo dopo un altro Stralcio, ma siccome scrivere quest’ultimo si è rivelato più impegnativo di quanto credessi ho deciso di aggiornare la raccolta con Una sorpresa per Rose. Per chi non ha letto Di appuntamenti e confusioni specifico che Dave Davies è il primo ragazzo a suscitare un interesse in Rose.
Grazie della lettura. ❤

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Capitolo 8
*** Galeotto fu il palloncino ***


A Severa

Galeotto fu il palloncino
 
 
29 Agosto 2022
 
Tutti i giochi sono stupidi e tu che giochi lo sei di più.
Rose ripeteva quella frase a se stessa da quando aveva accettato di partecipare allo stupidissimo gioco organizzato da Zabini, lo stupidissimo amico del suo stupidissimo cugino Albus.
Erano alla chiassosa e gremita festa di compleanno di Roxanne e non c’era davvero alcun motivo per cui Zabini e le sue idee infantili dovessero trovarsi alla festa per i diciassette anni di Roxanne, così come non c’era alcun motivo perché a essere presenti fossero anche quelle due stupidissime Corvonero di Teti Lennox e Clarissa Corner.
Tutta colpa di Albus, sono amici suoi.
Ma la colpa era anche di Lorcan, ovvio che lo fosse. Perché se lui le avesse rifilato una scia di no – no non vengo con te alla festa, no non gioco anche io, no non bacio quella –, Rose non avrebbe dovuto assistere all’orrida scena di Lorcan che baciava prima Clarissa e poi Teti, dovendo persino subirsi l’imbarazzo delle due impunite e la gelosia dell’inutile Malfoy, che anziché intervenire per evitare il fattaccio aveva lasciato che la sua Cornacchia baciasse Lorcan.
Sono tutti impazziti, tutti.
Dopotutto, se non fossero impazziti non avrebbero messo su uno stupidissimo gioco con dei palloncini da scoppiare per appropriarsi dei bigliettini che lo stupidissimo Zabini ci aveva ficcato dentro con su scritto una penitenza o un premio – e… Godric… quando lo stupidissimo Brandon Stuart aveva urlato che baciare Scamander fosse chiaramente un premio avrebbe voluto strozzarlo, anche perché quelle due patetiche Corvonero erano arrossite.
“Ne ho veramente abbastanza di questo gioco, ma perché l’abbiamo iniziato?”
A parlare non era stata lei, ma Amanda Baston, l’amica intelligente di Roxanne – Rose aveva sempre adorato Amanda, sul serio, Roxanne a differenza di Albus aveva ottimi gusti in fatto di amicizie. Insomma, a parlare era stata Amanda, che Rose immaginava avesse un umore molto simile al suo visto che qualche premio includeva anche i baci di Louis – avrebbe tanto voluto sapere cosa ci guadagnasse Zabini da tutta quella storia: era così palese che lo stupidissimo amico del suo stupidissimo cugino fosse impegnato a fregarsi le mani da ore a guardare tutta quella catena di azioni e reazioni che era da ingenui non ipotizzare un secondo fine.
“Se la Baston fischia la fine della partita, la partita finisce.”
Era stato proprio Louis a dirlo: serio a sufficienza da mettere fine al gioco e sarcastico quanto bastava da indispettire Amanda.
Intanto Lorcan rideva – rideva.
Quello stupidissimo Corvonero rideva mentre lei aveva un allevamento di Folletti della Cornovaglia per capello – e rideva guardandola.
Rose avrebbe voluto tirargli tutti i ricci, ma si limitò a scoccargli un’occhiataccia e ad allontanarsi dal giardino della Tana addobbato a festa, rifugiandosi nella soffitta preceduta da troppe scale dove il vociare non l’avrebbe raggiunta.
S’era appena raggomitolata su uno scatolone quando Lorcan la raggiunse, lo sguardo vivace e il sorriso sbilenco.
“Brutta cosa lasciarmi solo con il fan club del damerino.”
“E perché mai? C’è anche il tuo fan club.”
Lorcan rise e si sistemò a gambe incrociate davanti a lei, sfiorandole distrattamente le caviglie con i polpastrelli.
“Parli di quei bacetti da undicenne?”
Rose serrò le labbra e alzò gli occhi al cielo.
“Gelosa, dolcezza?”
“Infastidita,” precisò lei. “In teoria sei qui per fare compagnia a me, non per rimorchiare le amiche di Albus.”
Lorcan rise di nuovo e lei i ricci glieli tirò davvero, ghignando nel sentire un piccolo gemito di dolore.
“Stronza.”
“Meglio stronza che puttaniere.”
“Ammetti di essere gelosa.”
“Non dico bugie.”
“Bugiarda,” rise Lorcan. “Lo sei e lo sai.”
Suo malgrado, a Rose sfuggì una risata che indusse lui a rivolgerle un ampio sorriso. Si ritrovarono in piedi in un paio di istanti, in apparenza pronti a riunirsi ai festeggiamenti e a mettere via lo sterile battibecco, ma Lorcan la afferrò in vita prima che potesse fare qualche passo e le infilò dei bigliettini stropicciati nella tasca dei jeans.
“Che significa?”
Rose li lesse rapidamente, intuendo che quei Spiaccica una torta sulla testa di Rose Weasley, Bacia Rose Weasley, Ordina a Rose Weasley di dire qualcosa di imbarazzante e simili non fossero altro che i premi e le penitenze che avrebbero dovuto trovarsi nei palloncini e che invece erano finiti nelle mani di Lorcan.
“Non puoi arrabbiarti con me se non sei stata previdente,” scherzò Lorcan al suo orecchio. “A me non piace morire di gelosia,” aggiunse in un sussurro.
Rose si voltò tra le sue braccia d’istinto, gli occhi increduli e timorosi di star fraintendendo ogni cosa. Era da troppo tempo che il loro rapporto sembrava soffocare nei limiti imposti dall’amicizia, ma ogni volta che le era parso di vedere un passo in avanti aveva dovuto incassare il passo indietro di Lorcan stesso – non era ancora riuscita a capire se il suo migliore amico temesse un rifiuto o non sapesse come rifiutare lei.
“Lorcan?”
Una nome, una domanda, forse una preghiera – sii chiaro – cui Lorcan rispose abbozzando un sorrisetto impacciato, così lontano dal suo solito piglio sicuro e schernitore.
Rose si disse che conosceva Lorcan meglio di chiunque altro, che il suo istinto quindi non potesse sbagliarsi così tanto su di lui, che i timori non erano più forti della sensazione di attrazione reciproca che avvertiva quando erano insieme, che… Lo baciò.
Gli strinse il viso tra le mani, le dita a sfiorare i ricci ai lati del volto, e baciò le sue labbra leggera, sbirciando la reazione di lui, i suoi occhi scuri allucinati e, le sembrava, vivi di eccitazione.
Lorcan la strinse di nuovo in vita prima che riuscissero a prender fiato e la baciò a sua volta, pretendendo assieme a lei uno sfiorarsi più intimo, deciso, sicuro.
“Adesso ammetti che sei gelosa?”
Lorcan lo insinuò sulla sua bocca ridacchiando, lo sguardo che vagava sul suo viso.
“Solo se tu ammetti che ti piaccio.”
“Mi piacevi un paio d’anni fa,” confessò lui. “Ma adesso… sono innamorato di te, e… ed è stata dura ammetterlo.”
Doveva darsi un contegno, Rose se lo impose mentre il cuore batteva impazzito e gli angoli delle labbra proprio non volevano saperne di restare giù ed evitare di rendere tanto palese l’emozione che l’aveva travolta.
“Ci tieni così tanto a fare il puttaniere in giro?”
Forse avrebbe dovuto dirgli qualcosa di carino, ma lui aveva baciato le due stupidissime Corvonero prima di dichiararsi e questo aveva un prezzo – modesto, certo, ma Rose voleva che un po’ annaspasse come aveva annaspato lei nel corso del tempo, vedendolo passare da una ragazza all’altra.
Tuttavia Lorcan anziché annaspare alzò divertito gli occhi al cielo e le pizzicò dispettoso un fianco.
“A te,” disse, “è a te che tengo, scema. E io, io non sono bravo in queste cose… lo sai…”
Fu la volta di Rose di pizzicarlo, ridendo di quelle parole senza senso – zittirle con un bacio le parve un’ottima idea.
“Sono gelosa,” ammise poi. “Sono gelosa perché sono innamorata.”
“Di me?”
“Tu che dici?”
Rose capì all’istante di aver vinto ogni paura di Lorcan – e quel timore condiviso di rovinare un’amicizia troppo importante –, era una realtà impressa nel sorriso che lo travolse e nel suo stringerla nell’abbraccio più forte che si fossero mai scambiati.
In fondo era semplice, lo era sempre stato.
Amarsi l’un l’altra era la cosa più semplice del mondo.
 
~
 
“Lor.”
“Che vuoi?”
“Sei ancora il mio migliore amico.”
“E tu la mia, amore.”
 
 
 
 

 
 

NdA: il racconto è scritto su ispirazione del prompt propostomi da Severa Crouch (Rose/Lorcan ~ Grab ossia un personaggio che afferra l’altro e lo bacia) nel contesto di un gioco di scrittura.
Grazie a chiunque abbia letto. ❤

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Capitolo 9
*** Per le sue paure ***


Per le sue paure
 
 
Agosto 2022
 
Avevano raggiunto gli scogli con delle bibite ghiacciate tra le mani, parlottavano fitto, a volte sovrapponendosi e altre cedendosi la parola scambiando uno sguardo fugace. Le mani si sfioravano a ogni passo, a volte un pollice solleticava un palmo e altre i mignoli si rincorrevano sino ad allacciarsi.
Era il tramonto quando si sedettero l’uno accanto all’altra su quella superficie umida e rocciosa, ed era ancora il tramonto quando Rose chinò la testa sulla spalla di lui e Lorcan strinse lei in un abbraccio.
Ripercorrere a ritroso la caotica giornata sarebbe stato impossibile, non s’erano fermati un solo istante desiderosi com’erano di far tesoro di ogni secondo. Era l’ultimo giorno d’estate per loro, l’indomani avrebbero fatto ritorno a Hogwarts, e il mare, le ore piccole, la libertà sarebbero stati ricordi lontani per mesi e mesi.
“Secondo te mi sbronzo con questa roba?”
“Me l’hai già chiesto tre volte.”
“Non lo ricordo.”
“Allora sei già sbronza.”
“Potresti giurarlo sul mio onore? Anzi no, sul tuo onore. Sì, tuo, non mio.”
“Dolcezza, sei decisamente sbronza.”
“Potresti giurarlo sul tuo onore, quindi?”
“Posso giurarlo sulle nostre birre, aveva ragione tuo zio, non sono leggere come la burrobirra.”
“Non ridere di me!”
“Non sto ridendo di te!”
“Ma stai ridendo, guardati!”
“Rido perché ridi tu, scema.”
“Non è vero, sono io che rido perché ridi tu, scemo.”
Lorcan le strappò la bottiglia dalle mani, ma finì col versarla addosso a entrambi quando Rose allungò le dita per riprendersela.
Su quella piccola cima non echeggiavano che le loro risate disordinate, i corpi scossi dagli scherzi, gli occhi luminosi malgrado affacciassero sull’imbrunire.
“Domani inizi l’ultimo anno.”
“Non eri sbronza?”
“Sono una sbronza lucida!”
“È un anno come tutti gli altri.”
“Non per me.”
“Questo perché sei nata in ritardo.”
Rose sorrise amara. Avrebbe voluto ribattere come loro solito, ma riuscì solo a sospirare e a voltarsi verso di lui.
“E se non ti mancassi quando sarai diplomato?”
“E se fossi io a non mancare a te?”
Rose aveva sempre creduto che il momento giusto per confessare al proprio migliore amico di esserne innamorata avrebbe trovato il modo di palesarsi e farsi riconoscere come tale – e l’avrebbe rassicurata sussurrandole di esserlo davvero, di essere il momento in cui calare la maschera, guardare Lorcan e dirgli che da troppo tempo la gelosia l’assaliva ogni volta che un’altra lo sfiorava, che lo stomaco mordeva quando erano vicini, che i pensieri s’interrogavano sul sapore dei suoi baci.
Doveva essersi sbagliata – per forza –, perché intorno e dentro di lei non s’era palesato niente nell’istante in cui Lorcan le aveva restituito la domanda, eppure spingersi in avanti, stringere i suoi ricci possessiva e sfiorargli le labbra con le proprie furono impulsi cui resistere sarebbe stato impossibile.
“Rose.”
Un suono strappato – una preghiera per indurla a fermarsi o a proseguire?
Rose finse di non averlo udito a scivolò sino al suo collo, mentre le dita si rilassavano tra i capelli e il respiro di Lorcan diveniva via via più irregolare.
“Sei ubriaca.”
“Meno di quanto pensi.”
Lorcan ingoiò a vuoto, e benché il residuo di razionalità in lui gli suggerisse di capire cosa stesse accadendo a vincere furono gli impulsi più vivi, che lo condussero sulla bocca di Rose, stretto al suo calore, immerso nel suo profumo.
Si baciarono per un tempo lunghissimo, restii a concedersi tregua – le mani ansiose di toccarsi, gli occhi vogliosi di sbirciarsi.
La pietra ruvida su cui erano seduti divenne d’improvviso scomoda, troppo acuminata per impedirsi graffi alle gambe a ogni movimento entusiasta, a ogni tentativo di condursi l’una sull’altro.
Osarono guardarsi ansanti, le labbra arrossate e gli occhi lucidi, quando la luna era già alta nel cielo e il rumoreggiare delle onde era tutto ciò che restava di una giornata estiva.
Lorcan abbandonò la fronte su quella di Rose con una stanchezza frustrata, mentre dentro di lui si agitava un tremore spietato – eccitazione e paura danzavano assieme e gli mostravano tutti gli errori che di lì in avanti avrebbe di certo commesso.
“Lorcan.”
“Ti ho appena persa.”
 
Due anni dopo
 
Di nuovo in ritardo.
Rose, una ciambella tra le mani e una borsa traboccante di libri in spalla, rimproverò se stessa per essere riuscita ad arrivare al Ministero con gli ormai consueti dieci minuti di ritardo – neanche badò allo sguardo di biasimo della collega anziana incrociata nei corridoi, anzi la oltrepassò con un’inedita decisione.
Non erano trascorsi che due mesi da quando, a inizio ottobre, aveva superato i test di ammissione per accedere al praticantato per neodiplomati del Wizengamot – si trattava di svolgere compiti noiosi e routinari, ma era un buon punto di partenza per chiunque ambisse a entrare nelle schiere della politica ministeriale. Avrebbe potuto sfruttare il proprio cognome in maniera più proficua dal punto di vista economico, erano molti gli uffici disposti ad assumere la figlia del Ministro Granger, ma lei in accordo con i genitori aveva deciso di iniziare dal basso, di competere assieme a tutti gli altri e di tracciare la propria strada nella maniera più autonoma possibile.
“Granger-Weasley, riuscirò un giorno a vederti arrivare in orario?”
La domanda retorica di Bernice Robards, pronunciata con voce tonante, riuscì nell’intento di mortificarla. Tuttavia Rose entrò a testa alta nell’ufficio, finse di non notare i ridacchianti colleghi praticanti e sfilò sino alla scrivania presso cui troneggiava la sua responsabile.
“Le chiedo scusa,” disse. “Questi sono i testi che mi ha chiesto.”
Sostenendo lo sguardo dell’altra e ingoiando l’imbarazzo per avere ancora la colazione tra le mani, poggiò la borsa su una sedia e sfilò uno a uno i tomi, che altro non erano che raccolte di sentenze e dettagli di processi risalenti alla prima guerra magica.
“Li hai trovati tutti?”
“Tutti.”
“Mangia la tua ciambella, ragazza.”
Rose trattenne un sorriso e approfittò subito della concessione.
Bernice non era una donna semplice con cui interfacciarsi e spesso si prodigava in giudizi ingenerosi sul Ministero Granger, ma Rose preferiva la sua supponenza e il suo palese disprezzo alle cerimonie ipocrite di chi cercava in lei la benevolenza della propria famiglia. Inoltre era convinta che ottenere buoni risultati con la Robards equivalesse ad averli meritati – sarebbe stato un percorso faticoso, ma soddisfacente.
La giornata trascorse in fretta e il tramonto sorprese Rose ancora alle prese con la catalogazione di documenti mal trascritti. Avrebbe potuto riporre tutto in un cassetto e riprendere l’indomani, ma la voglia di dimostrarsi all’altezza delle mansioni ricevute vinse ancora una volta e la indusse a caricare di nuovo la borsa di scartoffie con l’intento di proseguire il lavoro a casa.
“Quindi stasera farai di nuovo tardi, domattina non sentirai di nuovo la sveglia e arriverai di nuovo in ritardo. Sei un disastro!”
Rose, le labbra mosse in un sorriso, sollevò gli occhi chiari sul ragazzo mollemente poggiato allo stipite della porta.
“Grazie dell’incoraggiamento.”
Lui le restituì un sorriso divertito e l’accolse con un abbraccio e un dolce bacio non appena lei macinò i pochi passi che li separavano.
“Ciao, amore.”
“Ciao, scemo,” ribatté scherzosa, superandolo per uscire dall’ufficio. “Com’è andata oggi?”
“Non benissimo. Canon mi ha spedito in un postaccio per recuperare un aggeggio babbano manomesso da qualche mago, mi sono perso e ho quasi rischiato di essere morso da un cane.”
“Avresti potuto smaterializzarti.”
“In un quartiere babbano non è prudente, lo sai.”
Rose preferì tacere il disaccordo e si disse contenta che fosse andato tutto bene.
A volte, come in quell’istante, le succedeva di perdersi in frammenti di passato e sorprendersi dello scorrere rapido del tempo: Dorian Diggle in un anno e poco più era diventato una costante nelle sue giornate – dai primi baci al sentirsi legata a lui il passo non era stato brevissimo, ma neanche estenuante.
Era entrato a far parte della sua vita quando il quotidiano s’era rovistato tutto e le certezze erano andate in pezzi assieme al cuore. Rose indugiava raramente su quei ricordi, su quel sesto anno vissuto tra le rovine, ma quando accadeva si stupiva della forza d’animo che aveva scoperto di possedere.
“Cena fuori io e te?”
Rose, ridestata, si accorse di essere ormai nell’Atrium e dello sguardo speranzoso di Dorian su di sé.
“L’hai visto tu stesso, devo lavorare.”
“Non fai altro da quando ci siamo diplomati,” rimproverò bonario. “Solo stasera.”
“Il fine settimana,” rilanciò. “Il fine settimana lo passiamo insieme, ovunque vorrai.”
“Anche nel cottage dei miei, tutto vuoto, solo per noi?”
“Lo spero, Diggle,” ironizzò. “Soprattutto che sia tutto vuoto!”
“Conterò i giorni.”
Rose lo salutò con un bacio a fior di labbra e si smaterializzò non appena fu possibile.
L’aria gelida che era piombata su Godric’s Hollow già agli inizi di novembre l’accolse come uno schiaffo in viso non appena i piedi toccarono il marciapiede nei pressi di casa, si strinse così nella mantella e percorse rapida i pochi metri che la separavano dal proprio villino.
Fu quando era ormai a un passo dal cancello che dava sul giardino che si accorse di una figura silenziosa in palese attesa – e se lui curvò le labbra in un sorriso sbilenco, lei le schiuse sorpresa.
“Ciao, dolcezza.”
Un fischio sordo a riempirle l’udito, uno sbatacchiare di ciglia ad allontanare invano un capogiro.
Ciao, dolcezza.
Che lo scorrere del tempo sapesse arrestarsi, riannodarsi, tornare tutto indietro, Rose lo capì in quell’istante, sopraffatta da sensazioni contrastanti che da un lato avevano il gusto del passato più amaro e dall’altro affogavano nell’inquietudine e nella perplessità più viva.
Non aveva alcun senso che lui fosse lì – nessuno.
Lorcan Scamander aveva distrutto la loro amicizia anni addietro, quando a seguito di un bacio affidato al tramonto aveva iniziato a essere schivo, a negarle la vicinanza fisica, finendo col confessarle di aver commesso un errore – s’era dovuta abituare alla sua lontananza e poi alla sua assenza, accettando controvoglia la fine di un legame che aveva creduto indistruttibile.
E ora, ora erano a un passo di distanza – perché.
Forse avrebbe dovuto chiedergli cosa l’avesse portato da lei, ma riusciva solo a guardarlo, notarne i lineamenti più decisi, i ricci orribilmente legati, gli occhi che la scrutavano, le mani nervose che sembravano trattenere l’impulso di toccarla.
Disorientati.
Lo erano insieme – lei che incespicava nei suoi stessi ragionamenti, lui che aveva l’aria di chi assecondava l’istinto senza sapere come procedere.
“Forse non dovevo venire,” riprese lui, più a disagio di quanto era parso pochi secondi prima. “Ma volevo salutarti, vederti.”
“Credevo fossi negli Stati Uniti con tuo fratello.”
“È così, sono partito dopo i MAGO, non sono più tornato sino a oggi.”
“Ti mancavo?”
“Ti rispondo se mi fai entrare.”
No.
Era la risposta che Lorcan meritava e anche la più giusta – sensata – da rifilargli; una risposta a seguito della quale avrebbe dovuto dargli le spalle e dimenticare di averlo rivisto, infischiarsene se gli mancasse o meno.
Ma Rose, con lui, era sempre stata maestra nel compiere la scelta più sbagliata possibile e non si smentì neanche quella volta: messo da parte ogni disorientamento, sbottò in una risata arresa e gli fece cenno di seguirla.
Poco dopo erano nella cucina di casa Granger-Weasley, i mantelli sfilati e il camino rianimato dalla magia – sbagliato tutto sbagliato.
“I tuoi genitori?”
“In Norvegia, c’è un convegno internazionale sullo Statuto di Segretezza, mamma ha dovuto presenziare e papà l’ha accompagnata.”
“Hugo è a Hogwarts.”
“Siamo soli, se è questo che vuoi sapere.”
“Cercavo di fare conversazione.”
“Con l’età sei diventato un damerino?”
Lorcan, colto il sarcasmo della domanda, scosse la testa e rise assieme a lei.
“Sempre stronza, dolcezza.”
“Vuoi restare? Mangiamo insieme.”
“È un modo per dirmi che hai imparato a cucinare?”
“Cibo precotto,” rispose lei, mostrandogli un aggeggio dall’aria babbana poggiato sul ripiano della cucina. “Ti presento il microonde, i babbani sono pratici.”
“Non ho capito niente di quello che hai detto, ma va bene, avvelenami pure.”
“Ti piacerà, vedrai.”
Lorcan non ribatté, ma prese posto a tavola e la osservò destreggiarsi rapida e sicura con il microonde. Quando intuì che fosse sul punto di servire la cena, si offrì di apparecchiare e di portare da sé il proprio piatto.
Si ritrovarono seduti l’una accanto all’altro come non accadeva da due anni, e se ci fu imbarazzo furono abili a camuffarlo.
“Com’è?”
“Buono,” approvò Lorcan. “Però per sicurezza assaggio anche il tuo!”
“Ehi!”
Rose non fece in tempo a sottrarre il piatto al ladro, la forchetta di Lorcan fu più lesta.
“Il tuo è più buono,” mentì.
“Non è vero!”
“Allora assaggia il mio.”
“Non voglio assaggiare il mio… cioè il tuo… Mi confondi!”
Lorcan sghignazzò e Rose, occhi al cielo, si convinse ad assaggiare la sua parte, asserendo poi che il gusto non fosse affatto diverso.
“Perché sei tornato?”
“Credevo volessi chiedermi perché sono partito.”
Rose tacque per alcuni istanti e Lorcan intuì che stesse decidendo se proseguire la farsa o scoprire le carte – se ancora la conosceva, era certo che avrebbe scelto di mettere via le maschere.
“In realtà vorrei chiederti perché ti comporti come se fossimo ancora amici.”
Lorcan ingoiò il sorriso, ma Rose colse il tremolio delle labbra e trattenne l’impulso di accusare il suo compiacimento di essere fuori luogo.
“Mi sei mancata.”
“E perché non sei tornato?”
“Mi mancavi anche a Hogwarts, ma pensavo fosse meglio per te non avermi vicino.”
“Avresti potuto chiedermelo, lasciarmi scegliere.”
“Se non fossi stato una testa di cazzo, l’avrei fatto,” ironizzò. “Ma ora è passato del tempo, ho pensato che...”
“È acqua passata,” intervenne Rose, più brusca di quanto avesse voluto. “Sono cresciuta, sono cambiate tante cose.”
Lorcan ingoiò a vuoto senza un motivo e benché volesse chiederle di raccontargli i cambiamenti preferì tacere e riprendere a scherzare sul cibo precotto babbano. Rose lo assecondò svelta e non riuscì a stupirsi della capacità che avevano, quando erano insieme, di contrastare le inquietudini e ritrovarsi in silenzi e battute.
La cena volò più in fretta di quanto entrambi avessero sperato, ma sordi a salutarsi decisero di spostarsi in salotto e spulciare qualche canale televisivo. Rose apprese così che Lorcan, memore dei pomeriggi trascorsi assieme a lei in compagnia dell’apparecchio babbano, aveva acquistato un televisore per guardare dei film prima di addormentarsi – avrebbe voluto mimare indifferenza, ma si aprì in un sorriso tanto luminoso da spronare Lorcan a sfiorarle il dorso della mano con un bacio.
“Ora mi dici perché sei tornato?”
Lorcan, seduto accanto a lei sul divano, si voltò a guardarla.
“Al MACUSA l’addestramento per entrare a far parte degli Auror dura un anno, non tre come da noi. Ho concluso il mio ciclo a settembre e a ottobre ho sostenuto l’esame per entrare in servizio.”
“Sei un Auror?”
Tacquero per brevi istanti – in altri tempi lei sarebbe stata la prima a saperlo, a stringerlo in un abbraccio pieno di calore, a sussurrargli quanto fosse orgogliosa di lui.
“È meno entusiasmante di quanto credessi,” ammise Lorcan. “Sono qui per sostenere un altro esame, voglio essere abilitato anche dal nostro Ministero.”
“E puoi farlo?”
“Sì, ma dovrò dimostrare di avere lo stesso livello di chi ha fatto tre anni di corso. L’esame è a gennaio.”
“Partirai di nuovo, poi?”
“Non lo so.”
“Non hai progetti?”
Le labbra di Lorcan tremarono come Rose non ricordava di averle mai viste tremare, intuì che avesse rinunciato a dirle qualcosa, ma non riuscì a spronarlo come era abituata a fare in passato – malgrado la cena, le risate, le piccole confidenze, seguitava ad avvertire il peso di due anni di silenzio e il disorientamento provocato dal suo inatteso ritorno.
“Lysander è rimasto negli Stati Uniti?”
“No,” rispose subito lui, felice di riempire il silenzio. “È venuto con me, restiamo per Natale, ma credo ripartirà prima, sta studiando alcune strane creature, non ho capito bene, collabora con un’americana, una tipa che parla troppo.”
Rose non avrebbe saputo spiegarne il motivo – forse era colpa del tono sfinito con cui Lorcan aveva parlato della collega del fratello, forse era solo tensione accumulata, forse altro –, ma scoppiò a ridere.
Una risata improvvisa, fragorosa, che le accese il viso e contagiò Lorcan. Una risata in grado di scacciare via qualche fardello di troppo, o anche solo costringerlo in un angolo, regalando a entrambi una leggerezza complice e nostalgica.
Non s’accorsero dell’ora tarda né dei film che seguitavano a succedersi sullo schermo, tra sigle di apertura e titoli di coda; non si accorsero neanche di appisolarsi insieme, finendo sdraiati su un divano troppo piccolo perché le gambe non si incastrassero.
A destarli all’alba, non troppo tempo dopo essersi addormentati, fu un gufo che picchiettava insistente contro una delle finestre.
Rose si tirò su tutta arruffata e con gli occhi ancora annebbiati dal sonno sfilò la pergamena dalle zampe dell’animale, mentre Lorcan tentava di mettersi almeno seduto tra uno sbadiglio e l’altro.
“Chi ti rompe il cazzo a quest’ora?”
“Qualcuno che non vuole faccia di nuovo tardi a lavoro.”
“Il tuo capo?”
Rose lesse rapida una, due, tre volte le poche righe di Dorian, e in particolare rilesse quel Buongiorno, amore che riuscì a farle percepire come assolutamente sbagliato l’aver trascorso le ultime ore in compagnia di un altro ragazzo.
“No, è il mio fidanzato.”
Lorcan incassò il tono secco di lei alzandosi in piedi e raccattando le proprie scarpe, mentre una mano tentava invano di sistemare i ricci scompigliati.
“Che fai, vai via?”
“Non voglio crearti problemi.”
“Non me ne crei, Dorian non è geloso dei miei amici.”
“Dorian?”
“Dorian Diggle, era a scuola con noi, frequentava il mio anno.”
Lorcan annuì con fare distratto e riprese a parlare solo quando, un’oretta più tardi, si chiusero la porta di casa alle spalle.
“Non sono solo qui,” disse improvviso. “A parte Lys, dico.”
Rose lo fissò incuriosita, ma non lo incitò a parlare – qualcosa le diceva che non avrebbe voluto ascoltare le sue parole.
“C’è anche la mia ragazza, lei… Si chiama Sybil, ci siamo conosciuti al corso.”
“Anche lei Auror?”
“Sì, ha superato l’esame, ma è qui per stare con me, non vuole essere abilitata dal nostro Ministero.”
“Buon per te. Sono felice abbia incontrato una persona con cui condividere i tuoi progetti.”
Rose tentò di far seguire un sorriso a quelle parole, ma Lorcan non riuscì a mimare neanche una smorfia – d’improvviso gli sembrava tutto sbagliato: essere tornato, averla cercata, trascorrere tempo insieme.
“È meglio che torni a casa,” riprese lui. “O Sybil costringerà Lys a dirle dove abitano i miei amici.”
Rose abbozzò di nuovo l’espressione di poco prima, si lasciò baciare la guancia e lo guardò smaterializzarsi.
Si accorse di aver trattenuto più di una lacrima non appena rimase sola e un pianto silenzioso, nervoso, rischiò di arrossarle gli occhi. Tamponò svelta le guance, trasse un respiro e si disse che Lorcan Scamander non significava più nulla per lei, nulla.
Però.
La giornata trascorse lenta, lentissima, così tanto da darle l’impressione che un’ora fosse fatta di almeno duecento minuti. Tentò di essere produttiva, dare un senso al tempo dilatato, ma riuscire nell’impresa non allontanò il malessere che s’era aggrappato ai pensieri, tale da indurla a incassare con poco entusiasmo persino un cenno d’approvazione della Robards.
Quando calò la sera e Dorian s’affaccio come era solito fare al suo ufficio, Rose faticò a sollevare lo sguardo su di lui, anzi raccattò ciò che le apparteneva e lo infilò in borsa sbrigativa, indossò la mantella e raggiunse il ragazzo col piglio di chi aveva intenzione di lasciarsi il Ministero alle spalle senza indugiare in chiacchiere e saluti.
“Che è successo?”
“Ceniamo insieme, ti va?”
Rose intuì dallo sguardo dubbioso di Dorian che avrebbe voluto chiederle spiegazioni, ma apprezzò la scelta di assecondarla e rimandare le domande a quando avrebbero avuto la pancia piena.
Dorian sapeva aspettare.
Era un tratto di lui che aveva scoperto durante le prime settimane di frequentazione – se le piacesse o meno, non l’aveva capito subito, ma di certo aveva saputo rasserenarla. Aveva una grande sicurezza in se stesso, idee salde, sorrisi sinceri, un’innata propensione a maneggiare con cura la pazienza e scegliere i tempi giusti per dire cose o compiere gesti.
La loro intesa era nata e cresciuta così, scandita da cose e gesti apparsi al momento opportuno, quando nessuno dei due avrebbe potuto esserne turbato o macinare dentro incertezze – a volte Rose credeva di amare Dorian, altre dubitava persino di volergli bene.
“Ieri ho visto Lorcan, ti ricordi di lui?”
“Scamander?”
“Abbiamo parlato sino all’alba, non lo vedevo da due anni.”
Un botta e risposta rapido, appena dopo cena, mentre erano ancora impegnati a ripulire la cucina.
Rose vide la serenità artefatta di Dorian creparsi e le sue mani abbandonare qualsiasi proposito per ricadere rigide lungo il corpo. Ciò nonostante, non chinò lo sguardo né si preoccupò di mascherare il sorriso nervoso che le piegava le labbra, anzi seguitò a mettere ordine come se gli avesse detto una cosa senza importanza, sino a occupare di nuovo una delle sedie, poggiare i gomiti sul tavolo e abbandonare mollemente il viso tra i palmi.
Dorian le fu accanto in una manciata di attimi e affondò le dita nei capelli ramati – Rose ne incrociò gli occhi scuri alla ricerca di parole mute, ma lo sguardo di Dorian era nebbioso.
“È per questo che sei così strana?”
“Non ti dà fastidio che abbia dormito qui?”
“Non sono geloso del passato,” disse. “E Scamander è passato.”
È passato.
Un’affermazione razionale, eppure capace di scuotere Rose in maniera così violenta da indurla a baciare Dorian al solo scopo di frenarne le parole – Dorian che rispose reattivo e s’alzò svelto per offrirle il tavolo come appoggio mentre una foga inedita ne animava carezze e baci.
A Rose sembrò che assieme ai vestiti volesse strapparle via anche i ricordi, questo le piacque e lo assecondò con tutto il trasporto possibile.
Trascorsero l’intera notte assieme come non accadeva da tempo e l’indomani arrivarono entrambi in ritardo al Ministero – Dorian la salutò con la promessa di liberarsi nel più breve tempo possibile, ma Rose non gli restituì che un sorriso.
 
Un paio di giorni dopo, Rose aveva la certezza di essersi ritrovata: le sensazioni opprimenti erano andate via e lei sentiva di essere di nuovo la giovane donna impegnata a costruirsi il futuro – senza alcun passato a ingombrare il presente. Aveva accantonato le ore trascorse con Lorcan e ciò che si erano detti, perché lui non apparteneva al suo presente, s’era costruito una vita con altre persone e presto sarebbe ripartito – per quanto ne sapeva, non l’avrebbe rivisto mai più, non aveva senso pensarlo, cercarlo, pretendere spiegazioni, non ne aveva.
Poteva andare tutto bene, andava tutto bene.
Era calata la sera mentre era ancora affaccendata, Dorian non l’aveva raggiunta come da abitudine e una strana inquietudine la sorprese mentre raggiungeva l’Atrium da sola cercandolo tra i tanti volti.
No.
Un monosillabo solo pensato, un freddo improvviso a ghiacciarla.
Dorian era a pochi passi da lei, nelle vicinanze dei camini, e parlava con due figure che Rose non voleva neanche immaginare, figurarsi vederle l’una accanto all’altra. Tuttavia, conscia di non poter fare altrimenti, si avvicinò ai tre – e se Lorcan distolse lo sguardo quando Dorian le sfiorò le labbra in un saluto, Rose strinse la mano di quella che non poteva essere altri che Sybil con un’espressione di palese disinteresse.
“Lorcan mi ha raccontato degli Auror, non mi avevi detto nulla,” rimproverò bonario Dorian all’indirizzo di Rose.
“Non credevo ti interessasse,” replicò. “Sei qui per le scartoffie da firmare, immagino,” disse poi a Lorcan.
“Immagini bene, le solite rotture di cazzo.”
“Oltreoceano sono meno noiosi?”
“La burocrazia è meno lenta,” intervenne Sybil. “Lor perderà solo tempo qui.”
Lor – Rose sentì il fastidio schiacciarle lo stomaco, ma lo ignorò.
“Il tempo è fatto anche per essere perso,” ribatté.
“E io amo perderlo,” s’accodò svelto Lorcan. “E stasera ho voglia di perderne parecchio.”
“È un invito.”
“Se non avete di meglio da fare.”
Rose avrebbe voluto imitare il sorriso sbilenco di Lorcan, ma preferì voltarsi a guardare Dorian e cercare una risposta nel suo viso – le parve di intravedere una certa curiosità, sebbene non ne comprendesse il motivo.
Sarebbe stata una serata strana.
Si ritrovarono così in uno dei ristoranti più in voga tra i maghi londinesi, tra pietanze raffinate, vino elfico e chiacchiere conviviali.
Rose decise di lasciarsi trasportare dagli eventi e di tenere a freno i pensieri, altrimenti avrebbe dovuto chiedersi perché Dorian avesse insistito per recarsi in un posto al di sopra delle possibilità economiche di tutti loro – non era al corrente di quanto guadagnassero Lorcan e la sua fidanzata, ma dubitava che dei cadetti percepissero uno stipendio generoso – e ancora perché sia lui che Lorcan si parlassero col tono dei vecchi amici, perché quella Sybil sembrasse interessata a conoscerla.
Con i perché messi da parte, tuttavia, doveva ammettere di star trascorrendo delle ore quasi piacevoli, sebbene faticasse a ignorare la deferenza dei camerieri nei loro confronti – era certa che avessero riconosciuto in lei e Lorcan la figlia di e il figlio di.
“Lysander ha una mente molto aperta, sono felice di avere un cognato come lui! Quando Lor mi ha detto di avere un gemello ho subito pensato fosse uno scapestrato, non so perché!”
“Perché non lo conoscevi, è semplice,” chiosò Rose.
Sybil mimò un sorriso che non oltrepassò le labbra e Rose pensò che quell’espressione fosse forse la più sincera che le avesse rivolto sino a quel momento.
“Sei una persona molto diretta.”
“I giri di parole sono una perdita di tempo,” concesse Rose. “Credevo odiassi perderne, volevo essere gentile.”
“Rose è molto onesta,” intervenne Dorian con un gran sorriso. “Dice sempre quello che pensa.”
“Ed è una qualità o un difetto per un’aspirante diplomatica?”
Rose incrociò gli occhi castani di Sybil e vi lesse non cattiveria né provocazione, ma genuina curiosità – o era un’abile bugiarda o non aveva percezione dei limiti, decise che difettasse in entrambi i casi.
“Quando lo scoprirò, ti scriverò un gufo,” ironizzò. “Per ora pensiamo al dolce, voglio qualcosa con la cioccolata.”
“Tu vuoi sempre qualcosa con la cioccolata,” intervenne Lorcan, rubandole il menu per sbirciarlo prima di lei. “Devi prendere questa, La delizia del Prescelto!”
“Stai scherzando? Hanno davvero chiamato così un dolce?”
Rivestita di caramello, la Delizia del Prescelto ha un cuore tenero e fondente… Non ti piace, è amara.”
Non ti piace.
Rose era sicura che la terra non avesse tremato, ma lei aveva avvertito uno strano tremore solleticarle i piedi – la sicurezza con cui Lorcan aveva pronunciato quelle parole l’aveva riportata indietro di anni e per la prima volta in quella manciata di giorni si chiese sul serio cosa stesse facendo, si chiese tutti quei perché scacciati ore prima.
Era così scossa che non fiatò neanche quando il proprietario del ristorante insistette per offrire loro la cena, stringendole la mano con viscida foga. Salutò Sybil con parole ipocrite – “è stato un piacere conoscerti” – e Lorcan con uno sguardo che temeva urlasse il caos che aveva dentro. Salutò anche Dorian, ma aspettò di restare sola con lui per dirgli di essere stanca e di voler rincasare da sola; si smaterializzò senza dargli tempo di interrogarla né invogliarla a cambiare idea.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Fu questo il primo pensiero a sorprenderla quando, materializzatasi nei pressi di casa, scorse Lorcan a un passo dal cancello, le mani in tasca e il sorriso sbilenco in viso.
Non aveva alcun diritto di essere lì.
Fu il secondo pensiero che s’affacciò in lei, perché lui non poteva credere di potersi presentare a casa sua una seconda volta come se niente fosse, per giunta dopo averla costretta a fingere che andasse tutto bene, con quella faccia da schiaffi che… che cosa? Cosa significava? Aveva tutto in subbuglio e faticava persino a distinguere pensieri razionali da impulsi emotivi.
“Sapevo che gli avresti dato buca.”
Una frase, un tono compiaciuto, non servì altro ai suoi pericolanti nervi per convincerla a macinare i passi che la separavano da Lorcan e schiaffeggiargli la guancia – solo quando vide quella porzione di viso arrossarsi capì di aver aspettato due anni per mostrargli nel modo più appariscente possibile la rabbia che sentiva scorrerle dentro in sua presenza.
Lui incassò senza dire nulla né indietreggiare, ma Rose lo vide ingoiare a vuoto e chinare lo sguardo.
“Cosa vuoi, Lorcan?”
“Non è evidente?”
“No, niente è evidente!” sbottò, rendendosi conto troppo tardi di non avere la forza per acquietare una volta ancora l’esubero di parole. “Forse hai battuto la testa durante l’addestramento e hai dimenticato di avermi esclusa dalla tua vita per un bacio, un bacio, Lor, per un cazzo di bacio tu non mi parli da due anni, un giorno eri il mio migliore amico e quello dopo non eri più niente, io non ero più niente per te, cosa vuoi adesso, cosa ti aspetti che faccia, sei un estraneo per me lo sei da due anni.”
Aveva parlato così svelta da dubitare che Lorcan fosse riuscito a seguirla, ma non le importava. Che lui capisse o meno, rispondesse o meno, ribattesse o meno, non le importava affatto. Ciò che aveva importanza e che, se ne accorse all’istante, riusciva ad alleggerirla era aver buttato fuori quei pensieri – via via via.
Aveva voglia di piangere.
Non un pianto di rabbia né di tristezza, ma di pace – si sentiva stranamente calma, cullata dalla sensazione di aver scaraventato un peso lontano da lei.
“Mi dispiace.”
“È tutto quello che sai dire?”
“È tutto quello che vuoi ascoltare.”
Rose lo guardò amareggiata, lo oltrepassò e… Una mano a stringerle il braccio e poi uno strattone meno ruvido di quanto potesse apparire la costrinsero a voltarsi e a ritrovarsi faccia a faccia con Lorcan – tentò di divincolarsi, ma lui le strinse anche l’altro braccio pur di impedirle la fuga.
“Chiedimi perché sono partito.”
“È acqua passata, Lorcan, te l’ho già detto.”
 
Una settimana dopo
 
Un’altra notte insonne.
Lorcan si rigirò nel letto che condivideva con Sybil, ne guardò il profilo addormentato e un sospiro abbandonò le sue labbra.
Si alzò incurante del freddo e a piedi nudi uscì da quel piccolo perimetro addobbato da sua madre a stanza per gli ospiti e raggiunse la propria camera, dove c’erano Lysander e un letto vuoto.
Svegliò il fratello senza alcun garbo, facendosi spazio sul materasso occupato da lui e tirando via la coperta per costringerlo a non riaddormentarsi – Lysander odiava il freddo.
“Non puoi aspettare domani mattina?”
“No.”
“Sei insopportabile.”
“E dai, Lys, sono in crisi nera.”
Lysander sbuffò, ma si mise seduto e tutto stropicciato dal sonno focalizzò la figura del fratello.
“Posso almeno coprirmi o devo congelare?”
Lorcan sogghignò, ma riacciuffò la coperta per coprire entrambi, aspettando che l’altro ritrovasse un briciolo di calore e la lucidità utile ad ascoltarlo.
“Ci sono, dimmi.”
“Voglio spaccare la faccia a Dorian Diggle.”
“Immaginavo.”
“Voglio che Sybil esca dalla mia vita adesso.”
“Comprensibile.”
“Non voglio tornare a New York.”
“Prevedibile.”
“Voglio… Vorrei che lei tornasse nella mia vita.”
Lysander sorrise bonario, strinse la spalla di Lorcan e accennò un assenso col capo.
“Una cosa alla volta, Lor, io sono con te.”
“Lo so, tu sei sempre con me.”
Lysander gli restituì un altro sorriso e Lorcan capì che volesse infondergli fiducia, forza, qualsiasi cosa gli servisse per agire.
Era sempre stato un impulsivo.
Poi qualcuno – Rose – gli aveva messo davanti tutte le sue paure ed era stato costretto a ragionare; peccato che ignorare l’istinto gli avesse fatto commettere un errore dopo l’altro, sino al punto in cui non avendo idea di come rimediare s’era convinto che seguitare a sbagliare fosse la sola strada possibile, l’unica rimasta. Si era così ritrovato a New York senza averlo voluto, circondato da persone anonime, invischiato in una relazione che serviva solo a dargli un’illusoria stabilità e a fingere che a distanza di anni lei non gli mancasse sempre più.
Se ripensava all’ultimo momento che avevano trascorso insieme, quella notte d’estate, le emozioni provate gli risalivano tutte nel petto e lo comprimevano sino a impedirgli di respirare. Un miscuglio assortito malissimo, dove eccitazione gioia terrore tentavano di scavalcarsi a vicenda, che lo aveva indotto a fuggire quanto più lontano possibile da Rose – amare lo terrorizzava. Era un sentimento enorme e lui si era sentito piccolissimo in sua presenza, incapace di maneggiarlo senza creparlo. Aveva anche dubitato di riuscire a riconoscerlo: se quella per Rose fosse stata solo attrazione acuita dal bene immenso che le voleva, come avrebbe potuto perdonarsi di averla illusa per poi spezzarle il cuore? No no no, per il suo bene avrebbe dovuto perderla, uscire dalla sua vita, concederle il tempo utile a far sbiadire i sentimenti in esubero – e un giorno, quando quella notte non sarebbe stata che un ricordo, s’era convinto che si sarebbero ritrovati, amici più di prima.
Che illuso.
Si era allontanato da Rose senza darle spiegazioni, da un giorno all’altro, facendole credere che il loro legame non avesse importanza e fosse anzi superabile. L’aveva spinta a credere di essere meno di un’amica – doveva aspettarselo, che fosse arrabbiata con lui.
Tuttavia temeva che quella rabbia appartenesse al passato, esattamente come loro due insieme, e che fosse emersa nel presente solo perché l’aveva forzata ad allontanarlo e chiarire quali fossero i confini da non oltrepassare. D’altronde, come avrebbe potuto significare altro? Rose era andata avanti e in lui non vedeva altro che un estraneo – eppure… no, non doveva illudersi, non se voleva tentare di risanare qualcosa, convincerla a dargli un’altra possibilità almeno come amico.
“Non so come fare.”
Erano le quattro del mattino, sapeva che Lysander avesse sonno, eppure lo vide raddrizzarsi al pigolio e stropicciare gli occhi per svegliarsi un po’ di più.
“Inizia dalle cose che dipendono da te, inizia da Sybil, non è giusto neanche per lei tutto questo.”
“È che pensavo… non lo so… pensavo che ripresentarmi come amico… Che idea di merda presentarmi con Sybil.”
“Non darti colpe, eri solo… immaturo?”
“È il tuo modo per dirmi testa di cazzo, ho capito.”
Risero insieme e Lorcan gli rifilò una spallata giocosa.
“Dico sul serio, Lor, inizia da quello che dipende da te. Rose… lei è solo ferita, non penso che questo Dorian…”
“Dovresti vederlo, un coglione. Ho voluto conoscerlo per capire che tipo fosse e lui… Un coglione, non la merita, non sarà mai felice con quello…”
“Sì, certo,” lo interruppe accomodante. “Ma hai capito quello che ti sto dicendo, giusto?”
“Ho capito anche vuoi dormire.”
“Quello sarebbe veramente fantastico.”
“Sei più spiritoso da quanto te la fai con l’americana.”
“Gwenda è solo un’amica, te l’ho già detto. Non siamo come te e Rose.”
“Buon per te.”
Lysander, già sdraiatosi di nuovo, sollevò lo sguardo sul fratello a quelle parole amare.
“Andrà tutto bene.”
“Ci credi sul serio?”
“Sì.”
Non si dissero altro e Lorcan trascorse il resto della notte nel proprio letto; non aveva intenzione di tornare da Sybil né di pensare a lei, si scoprì invece a ripensare a cosa e come s’erano detti lui e Rose solo due settimane prima, a lui che si era presentato a casa sua e a quella nottata trascorsa insieme a dispetto del loro passato e delle persone che avevano accanto. Capì che prima che la razionalità intervenisse, l’istinto di Rose era stato quello di accoglierlo – e forse questo non significava niente, forse significava tutto.
Avrebbe dovuto rischiare.
E per farlo doveva seguire il consiglio di Lysander e iniziare a cambiare ciò che dipendeva da lui.
Poteva e doveva riuscirci. S’era fatto sopraffare dalle paure e poi dalla confusione e poi dall’incapacità di tornare indietro per troppo tempo – aveva la sensazione di aver perso due anni della propria vita, non voleva perderne altri.
 
Tre giorni dopo
 
“Stiamo litigando di nuovo?”
“A quanto pare sì.”
“E questo non ti dice niente?”
“Che sei diventato asfissiante, mi dice questo.”
“E lui non c’entra, vero?”
“Parla chiaro, Dorian, sai che amo la chiarezza.”
“Allora parlerò chiarissimo: da quando Scamander è tornato sei distante. E non negare,” aggiunse, “mi devi almeno questo.”
Rose lo guardò inespressiva, ripensando ai battibecchi che andavano avanti da giorni: Dorian le aveva fatto notare che per un vecchio amico aveva trovato il tempo negato a lui a oltranza, che per un vecchio amico il suo umore era diventato altalenante, che per un vecchio amico sembrava aver messo in pausa il loro rapporto.
Per un vecchio amico.
Rose era ancora così arrabbiata, perché si conosceva e sapeva che Lorcan era tornato a occupare il suo posto al primo saluto – che gli era stato sufficiente tornare affinché due anni sbiadissero e la mancanza premesse forte al punto da spronarla a dare a entrambi una seconda possibilità.
“Non sono innamorata di te.”
“Lo sei mai stata?”
Rose tacque e Dorian si congedò da lei con un’espressione tradita. Mentre si lasciava alle spalle la caffetteria dove erano soliti fare colazione, Rose disse a se stessa di essere una pessima persona, perché si sentiva bene, sollevata, libera, e dentro di lei il ricordo del tempo trascorso con Dorian era già diventato passato – capì solo in quel momento di aver vissuto emozioni artefatte, utili solo a nasconderne altre.
Entrò in ufficio con ritrovato buonumore, indirizzando un ghigno sfrontato ai colleghi che, aveva scoperto, si divertivano scommettendo sui suoi minuti di ritardo. Il sorriso vacillò solo quando scorse una figura nei pressi della sua scrivania, ma anziché svanire del tutto tramutò in una smorfia sorpresa.
“Come hai fatto a entrare?”
“Mio padre, sai, credo sia amico della Robards, lui conosce tanta gente.”
“E cosa ci fai qui?”
“Posso salutarti, almeno? Poi ti prometto che vado via se non vuoi parlarmi.”
Rose scosse la testa e lo abbracciò calorosa, Lysander ricambiò all’istante e le rivolse un gran sorriso quando s’allontanarono.
“Sei mancata anche a me, sai.”
Le labbra di Rose tremarono un po’.
“Faceva un po’ troppo male vederti,” ammise. “So che sai tutto.”
Lysander annuì e la seguì quando Rose lo invitò a uscire dall’ufficio per allontanarsi da quei pettegoli dei suoi colleghi.
“Non voglio crearti problemi, se devi lavorare…”
“Non ti preoccupare, nessuno licenzia la figlia del Ministro, neanche Bernice Robards.”
“La solita privilegiata.”
“Da che pulpito, Scamander.”
“Hai ragione, devo solo stare zitto,” concesse. “Sai perché sono qui.”
“Non voglio vederlo, non ho niente da dirgli. Se ne vada pure… dove vuole… con la sua tizia.”
“Ascolta, non voglio mettermi in mezzo, non dovrei neanche essere qui, però… Però tu parlagli solo un’altra volta, per favore. Solo… una volta soltanto.”
“Cosa credi possa cambiare?”
“Forse niente, ma se non lo fai cambia qualcosa?”
Rose incrociò gli occhi di Lysander e vi intravide speranza – si chiese se fosse tutta quella che mancava a lei. Lo abbracciò una seconda volta, forse perché non sapeva cosa dirgli, forse per illudersi di essere tra altre braccia.
“Nessuno lo conosce meglio di noi due,” mormorò lui stringendola. “È ancora così, sarà sempre così, lo sai anche tu.”
Rose tacque una volta ancora, ma si congedò con un sorriso che somigliava molto a un assenso.
Quella giornata fu l’ennesima a trascorrere lentissima, Rose aveva l’impressione che il tempo si fosse oramai dilatato e che ogni compito da svolgere richiedesse un carico di energie intollerabile.
Si lasciò il Ministero alle spalle con una stanchezza tremenda addosso, preferì addirittura utilizzare i mezzi di trasporto babbani per avvicinarsi a casa, così da rendere la smaterializzazione meno impegnativa. Una parte di lei le suggeriva che quello stato fisico ed emotivo fosse dovuto ad altro e che il suo inconscio stesse lavorando per ritardare quanto più possibile il rientro e la possibilità di trovare Lorcan ad aspettarla – decise di ignorarla.
Perché sbagliava.
Quella parte di lei sbagliava. Lorcan non era il motivo per cui, sbucata fuori dalla metropolitana, aveva deciso di racimolare le energie per smaterializzarsi altrove e non a casa propria.
E Lorcan non era assolutamente il motivo per cui dovette stringersi nella mantella quando una ventata d’aria gelida la colpì in pieno assieme al rumoreggiare del mare – Lorcan non era nessun motivo, lei aveva solo bisogno di pensare e per farlo aveva bisogno di solitudine.
“Ciao, dolcezza.”
“Lorcan?”
“Lys mi ha detto di averti parlato, immaginavo che avrei dovuto raggiungerti qui.”
Erano l’una di fronte all’altro, su degli scogli scivolosi affossati in un buio rischiarato solo dalla luna.
Rose ricacciò le mani in tasca, gelide e d’improvviso tremanti, ma non distolse lo sguardo dal viso di Lorcan – le sue risposte avrebbero potuto essere lì, o magari no.
Lorcan mosse qualche passo in avanti, sino a essere abbastanza vicino da poter raggiungere le mani di lei nelle tasche e stringerle per riscaldarle – sollevò le labbra nel suo sorriso sbilenco quando Rose, pur sussultando al contatto, non si ritrasse.
“Perdonami.”
“Dopo due anni, Lor?”
Lo vide chinare la testa, ma non per mimare una mortificazione, bensì per azzerare i centimetri che li separavano e far sfiorare le loro fronti.
“Ti ricordi cosa ti ho detto dopo il nostro bacio?”
“Di avermi persa.”
Lorcan annuì, trasse un respiro e incrociò quegli occhi chiari che lo fissavano sbarrati – li immaginò alla ricerca di spiegazioni, fughe, senso.
“Ero terrorizzato, io… non ero pronto, Rose, non ero pronto a una relazione, non ero pronto a perderti per essere stato un coglione… Io… Allontanarmi da te mi sembrava la mia unica scelta, allontanarmi prima che ti innamorassi di me e che io rovinassi tutto…”
“Ero già innamorata di te, coglione.”
Rose si allontanò da lui mentre pronunciava quelle parole, e uno due tre passi indietro, ma Lorcan fu lesto quanto lei, e uno due tre passi in avanti, sino a intrecciare di nuovo le loro dita, sopportando il bruciore causato dalle unghie di lei affossate nella pelle.
“Non ho voluto vedere, sono stato uno stronzo, lo so. Rose, io ho sbagliato, ho sbagliato tutto… Ho sbagliato così tanto che continuare a sbagliare mi sembrava l’unica cosa possibile, per questo sono partito… Non ho saputo restare… E ho perso la mia migliore amica insieme alla ragazza di cui sono innamorato.”
“Tu non sei innamorato di me, non dire stronzate.”
“Io sono innamorato di te, lo sono sempre stato, lo sai anche tu. Rose, so che non ti fidi di me, ma fidati almeno di quello che senti, fidati di quello che vedi… Tu… tu mi conosci, mi conosci come nessun altro, non posso mentire a te.”
Non posso mentire a te.
In Rose quelle parole rimbombarono così tanto da sovrastare sia il suono delle onde che il rumoreggiare della strada trafficata avvertito in lontananza. Ripensò alla sua audacia vecchia di due anni e a ciò che ne era seguito, al suo non capire come potesse aver frainteso così tanto i sentimenti di Lorcan – pensò anche alle lacrime, al malessere, alla solitudine vissuta per aver dovuto accettare di aver perso il proprio migliore amico. Si accorse di provare un’infinità di emozioni contrastanti, perché se un lato di lei avrebbe solo voluto godersi questo momento, un altro lato seguitava a essere furioso.
“E lei?”
“L’ho lasciata, non tornerò a New York,” si affrettò a dire. “Io… resto qui, resto qui anche se non vuoi vedermi e continui a frequentare quel coglione… Ti aspetto e… riconquisterò la tua fiducia, mi impegnerò… Ti rivoglio nella mia vita, Rose… Non esisto senza di te.”
“Non mi sembra che in questi due anni tu abbia smesso di respirare.”
Lorcan era pronto a ribattere una volta ancora, raccontarle di quanto si fosse sentito solo, perduto, disorientato senza di lei, ma nell’incrociare i suoi occhi azzurri vi lesse un alone di divertimento. Nell’istante in cui le labbra di Rose si poggiarono sulle sue, avvertì sul serio la sensazione di ritornare a respirare dopo una dolorosa apnea.
 
Un anno dopo
 
“No, non devi ascoltare loro, ti dico io cosa visitare qui, vedrai che con me ti diverti, questi due non frequentano posti babbani se non li trascino io, e i posti babbani sono i migliori! Guardati intorno, non è fantastico qui? Sono sicura che da voi a Londra non avete niente del genere, o forse sì ma tu sei come loro e non ci vai…”
Rose ci provava davvero a seguire il discorso di Gwenda, l’amica nonché collega americana di Lysander, ma quella ragazza parlava a una velocità incredibile ed erano almeno cinque minuti che non prendeva una pausa. Lorcan, seduto accanto a lei, le loro mani intrecciate sul ginocchio di lui, la fissava di soppiatto sogghignando, consapevole che si stesse sforzando di non perdersi in quel vortice di parole.
“Gwenda, abbiamo capito, farai tu da guida turistica,” intervenne Lysander, adocchiando lo sguardo allucinato di Rose. “Che ne dici di mangiare qualcosa?”
“So che questo è il tuo modo gentile di dirmi di stare zitta, non incanti più nessuno, Lys.”
“Dovresti ringraziarlo che è ancora gentile, io ormai ti manderei direttamente a fa…”
“Grazie, Lor, abbiamo capito,” chiosò Lysander. “Mangia anche tu.”
Scoppiarono a ridere tutti e quattro insieme, ma nessuno prestò loro attenzione. Erano in un pub scelto da Gwenda, seduti a un tavolo tondo identico a tanti altri, circondati da visi sconosciuti e sovrastati nel chiacchiericcio dalla musica ad alto volume.
“Quanto tempo resterete qui?”
“Una settimana,” rispose Rose. “Poi dobbiamo rientrare.”
Tu devi rientrare,” puntualizzò Lorcan. “Io frequento ancora il corso di abilitazione, che rottura di cazzo.”
“Puoi restare qui, se vuoi, per il MACUSA sei un Auror.”
Lorcan rifilò a Rose il suo sorriso sbilenco e si allungò a baciarle le labbra, ridendo contro la sua bocca quando lei anziché rispondere al bacio lo morse.
Era stato un anno complicato, per entrambi. Rose, intimorita dai loro trascorsi, non aveva voluto accordagli immediatamente la sua totale fiducia, così avevano ripreso a frequentarsi a piccoli passi, da amici prima e da qualcosa in più poi. Lorcan aveva rispettato i suoi tempi e l’aveva aspettata, a volte rischiando di fare qualche passo di troppo, altre riuscendo a sorprenderla senza neanche averlo voluto – quando era stato bocciato all’esame di abilitazione del Ministero, Rose aveva temuto di vederlo ripartire, invece era rimasto e aveva accettato di iscriversi al secondo anno del corso preparatorio per completare l’istruzione triennale.
Ora sembrava tutto così lontano.
I due anni di silenzio e lontananza, la rottura che era parsa irreparabile. Avevano dovuto impegnarsi, ma si erano ritrovati – non in riva al mare, ma nel quotidiano, nella presenza che non era più assenza.
Erano tornati a esserci.
 
~
 
“E quindi sei innamorato di me.”
“E tu di me, dolcezza.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì, di noi due sono sicuro.”
 
 




 
NdA: non credevo sarei mai riuscita a finire questa storia, è in corso da anni e scriverla è stato molto difficile – ho cancellato e riscritto innumerevoli volte, niente mi sembrava funzionare e per un po’ ho proprio rinunciato alla stesura, convinta che non sarei mai arrivata alla conclusione. Neanche oggi mi convince totalmente, ma pubblico perché devo mettere davvero un punto a questo racconto e farlo uscire dalla mia testa.
I personaggi di Dorian e Sybil sono di mia invenzione e compaiono solo qui. Gwenda è la Gwenda di Paradiso perduto, un altro personaggio di mia invenzione.
A chiunque dedicherà tempo a questo racconto va il mio grazie, spero risulti una lettura almeno godibile.
Piccola parentesi: un grazie enorme a chi ha recensito uno o più racconti di questa raccolta, se non ho ancora risposto alle recensioni vi chiedo scusa, ma sappiate che vi leggo sempre e vi sono grata del tempo dedicato alle mie storie.

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