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Autore: Rosmary    19/03/2020    11 recensioni
{Missing Moments della long Paradiso perduto | Spoiler Alert se non si è arrivati al Capitolo Tredici della longfic}
Urlano più i silenzi delle parole ripetute a oltranza, lo avrebbero capito in seguito – tardi.
“Qui non mi piace.”
“Solo perché credi mi faccia stare male.”
“E ti sembra poco?”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Rose Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Paradiso perduto'
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Spoiler Alert: il racconto contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici di Paradiso perduto.



V I S I O N A R I

Agosto 2022

I camini fiacchi, la vigilanza dimezzata, l’atrio ingigantito dalla folla smunta, il Ministero della Magia somiglia a un ghiro svegliato di soprassalto in pieno inverno che si ostina a urlare un fuori dall’ordinario disprezzato da chiunque.
A Rose sembra di avvertire su di sé il malcontento del poco personale presente, ha la sensazione che le rifilino quegli sguardi contrariati che non hanno potuto rivolgere alla madre, rea di aver trascinato il processo di Lysander sino ad agosto, obbligando una serie di funzionari e addetti ai lavori a ritardare le meritate ferie.
Una giornata perfetta – quasi.
Se solo avessero potuto attardarsi sino a sera in riva al fiume nei pressi di Ottery St Catchpole, lo sarebbe stata di certo, ma non è possibile estraniarsi dal mondo in eterno e la realtà li ha fagocitati non appena Lorcan si è tirato su dall’erba e ha guardato lei e James con sguardo vacuo.
Lysander.
Rose avrebbe voluto accompagnare Lorcan sin dentro la camera dove è trattenuto il giovane imputato, ma oltre alle restrizioni imposte da non sa quale regolamento ha dovuto incassare anche il rifiuto netto dell’amico, convinto che lei sia già troppo coinvolta.
Non appena il corridoio ingoia l’ombra del Corvonero, James le stringe la mano e la sprona a muoversi – lo avrebbero atteso in un luogo meno esposto al viavai.
Imboccano così un corridoio secondario che dà su uno degli ascensori di servizio, pressoché sconosciuti ai visitatori, scorciatoie salva-ritardatari per gli impiegati. James seleziona il secondo livello senza neanche ragionarci.
“Credi sia una buona idea?”
“La sala d’addestramento sarà vuota, è agosto,” risponde lui.
“E se c’è tuo padre in giro?”
James contrae la mascella, ma prima che possa ribattere le porte dell’ascensore si spalancano, mettendo fine al tempo concesso per fare marcia indietro.
È Rose ora a intrecciare le loro dita per guidarlo, sfilando a testa alta lungo quei corridoi che le sono sempre parsi tunnel, gli occhi chiari tinti d’indifferenza e le labbra pronte a imitare sorrisi artefatti. Tuttavia il percorso è spoglio di sgraditi incontri e con un sospiro di sollievo riescono a rintanarsi oltre la sottile porta in metallo che dà accesso all’ampia sala dove i giovani cadetti si addestrano per superare i vari livelli di ammissione al corpo speciale Auror.
A James mozza sempre un po’ il respiro posare gli occhi sui fantocci in legno pronti a incassare, respingere e restituire colpi, sull’intonaco grigio crepato dagli incantesimi più violenti o sbadati, sugli attrezzi per allenare i muscoli alla resilienza, sulla pedana spartana che accoglie i duelli.
È da quando ha compiuto tredici anni che suo padre gli permette di allenarsi tra queste mura – solo in estate, solo in agosto, solo quando non avrebbe intralciato nessuno. Un privilegio esteso anche ad altri tra figliocci, nipoti, figli di amici e conoscenti – il motto di Harry Potter è sempre stato vigilanza costante, “dovete essere preparati” ha ripetuto negli anni, ma nessuno di loro ha mai creduto di dovergli chiedere “a cosa?”.
“Possiamo aspettare Lorcan nell’atrio,” riprende Rose. “Qui non mi piace.”
“Solo perché credi mi faccia stare male.”
“E ti sembra poco?”
James curva le labbra in un sorriso sghembo, affonda una mano nei suoi capelli ramati, godendo di quelle palpebre che si calano cullate. Se non ci fosse stata lei, lo sa bene, neanche ora sarebbe riuscito a varcare la soglia.
Ma i demoni vanno affrontati.
La razionalità lo ripete a oltranza, e lui è consapevole che la ragione parteggi per lei. Il futuro s’è sgretolato tutto e queste mura resteranno in eterno un ricordo legato a delle estati sature di sogni irrealizzabili.
“Qui dentro sarò sempre e solo un visitatore, è meglio che mi abitui.”
“Sei troppo pessimista,” ribatte lei. “Si sistemerà tutto, vedrai.”
“E tu mi vuoi troppo bene per essere obiettiva.”
Rose assottiglia lo sguardo offesa, ma il ghigno di James e la sua mano che dai capelli carezza il collo sino a stringerle delicato il viso riescono a scacciare il finto broncio, soppiantato da un sorriso d’intesa che muore in un bacio sulla guancia di lui.
È un moto naturale quello che porta James ad abbracciarla, a sorridere non appena le sue dita gli artigliano le spalle, ad avvertire una sinistra morsa allo stomaco quando un pensiero fuori luogo lo distrae – lei nel letto di Lorcan. Mentre si allontana da lui e lo trascina con sé sino alla pedana per sedervisi come se fosse una panca, domande prive di senso gli affollano la mente, se abbiano dormito avvinghiati, se abbiano concesso terreno all’intimità, se abbia replicato con l’altro il loro abbraccio al buio.
“Perché hai dormito da Lorcan?”
Lo chiede quando ormai si sono seduti, lei china lo sguardo per un istante che induce James a serrare le labbra.
“Perché ti dà fastidio?”
“È un ragazzo.”
“È il mio migliore amico,” replica Rose. “E anche il tuo.”
“Ma è sempre un ragazzo,” insiste James.
“Anche tu lo sei, eppure...”
“Sono tuo cugino, è diverso,” interviene. “Sai che è diverso, tra noi è un’altra cosa.”
Rose tace e contraccambia quello sguardo che sa di sfida a contraddire. È un istante, e un biancore simile all’invasivo flash di una macchina fotografica le trafuga tutti i pensieri, soppiantati da quanto accaduto la notte appena trascorsa – lei, Lorcan, lenzuola sgualcite. Sbatacchia le ciglia per riuscire a riappropriarsi del campo visivo, scacciare le immagini più intime, guardare James senza arrossire di colpa e imbarazzo.
Non può dirglielo.
Accuserebbe lei di essere stata impulsiva e sconsiderata, Lorcan di aver approfittato e forse anche di averla forzata – rovinerebbe tutto e rischierebbe di sporcare i ricordi, unici cimeli sopravvissuti a quelle ore fuori dal mondo.
E poi… e poi c’è qualcosa…
Non riesce a capire cosa sia, è una sensazione che schiaccia lo stomaco, sale su, comprime, e un po’ mozza il respiro. No, non può dirglielo, né vuole sottolinea a se stessa, perché quella notte appartiene solo a lei e Lorcan – giusto? Giusto.
“Tra noi è un’altra cosa,” concorda. “Allora non fare il geloso, Potter,” ironizza.
James solleva le labbra sottili verso l’angolo sinistro, evidenziando la piccola cicatrice, e Rose contraccambia con un’espressione furba che le arriccia il naso e invoglia lui a calarsi per baciarne la punta.
“Non sono geloso.”
“No, sei protettivo.”
“Rintraccio sarcasmo,” ghigna lui. “Mi ferisci.”
“Ho già papà troppo protettivo, almeno tu fidati di me.”
“Di te mi fido, di Lor un po’ meno quando si tratta di una ragazza nel suo letto.”
Rose inarca seccata le sopracciglia e James esibisce un sorriso di scuse.
“È un fratello per me, lo sai, ma è un puttaniere.”
Vorrebbe chiedergli il perché di questa specifica che non ha mai trovato spazio tra loro, non ricorda abbia mai parlato in questi termini di Lorcan – sembra quasi Louis pensa per un fugace attimo –, ma si limita a tacere e seguire quegli occhi blu che indugiano sulla catenina che le circonda il collo.
“La mia non la porti.”
“Sai perché.”
“Domande e allusioni.”
“Non mi piace che parlino di noi, né dare spiegazioni.”
James annuisce e affonda di nuovo la mano nei suoi capelli, quietandosi quando vede lei chinare il capo per cercare e assecondare le proprie carezze.
“Divento insopportabile quando sono nervoso.”
“Ti ha turbato vederlo, non è così?”
La mano di James scivola via dai capelli per cercare e trovare quella di lei. Ci riesce sempre, uno sguardo e sa quali ombre lo perseguitino, al punto da riuscire a pungolare un discorso in apparenza neanche sfiorato. Sono trascorsi tre giorni da quando ha incontrato Louis nel Northumberland, tre giorni da quando si è sgretolata tra le dita l’illusione di non doverlo incrociare sino a settembre.
“Ha ancora un’aria malaticcia, non si è ripreso del tutto,” mormora James. “Da un lato vorrei spaccargli la faccia, dall’altro vorrei dirgli che è un coglione a non darsi tempo di smaltire la Cruciatos.”
Rose rabbrividisce all’eco della Maledizione – se potesse viaggiare nel tempo, non esisterebbe a farlo per rimescolare tutte le carte in tavola, peccato che persino la magia debba inginocchiarsi vinta alle leggi spazio-temporali e accettare il fatto che una Giratempo non potrà mai, mai, riscrivere tutto dal principio e cancellare ogni singolo errore.
“Più ci penso...” riprende James. “Più penso a quella notte, più credo sia stata tutta colpa mia.”
“Non eri tu a duellare,” ribatte decisa Rose. “E chi ha fatto precipitare tutto è stato Louis.”
“E Lorcan no?” chiede retorico. “Rosie, io sono e sarò sempre dalla parte di Lor, ma anche a Louis sono saltati i nervi, non è un assassino, nessuno di loro due lo è… Ero io l’arbitro, avrei dovuto capire che fossero sul punto di fare una cazzata.”
“Ma cosa avresti dovuto capire?” prorompe Rose. “Che Louis avrebbe tentato di uccidere Lorcan? Nessuno avrebbe potuto prevedere una cosa del genere.”
“Non avrebbero dovuto duellare.”
“Ormai è fatta.”
“Non sono mai andati d’accordo, eppure… Ci ho provato.”
Le labbra di Rose si sollevano in un sorriso intenerito, quando James mette via la corazza avrebbe solo voglia di stringerlo a sé e proteggerlo da tutto e tutti. Gli sfiora i capelli neri, abbandona le gambe sulle sue e gli si stringe addosso per essergli vicina, o forse per sparire dentro di lui. Strofina il naso contro il suo collo e risale sino a baciargli casta il mento, incrociando i suoi occhi a un soffio dai propri.
“Se è un modo per farmi rilassare, funziona.”
Il sarcasmo di James riesce a farla sorridere, così come le sue braccia che la stringono.
“Non voglio che ti colpevolizzi,” dice Rose.
“E cosa dovrei fare?”
“Metterci una pietra sopra, supportare Lorcan e… parlare con Louis.”
James si irrigidisce, ma lei non demorde.
“Sai che non mi piace,” continua Rose. “Ma prima o poi dovrai parlargli, possibilmente prima che si inventi qualcosa per complicarti la vita.”
“Tipo?”
“Non lo so, ma ti ricordo che per Louis il mondo è il suo palcoscenico personale e tu eri il suo burattino preferito.”
James storce le labbra contrariato. Non definirebbe la sua amicizia – ormai affossata – con Louis come un rapporto impari, ma sa bene quanto Rose abbia sempre avuto in antipatia il cugino, soprattutto a causa del trattamento riservato a Lorcan.
“È un manipolatore, te ne do atto, ma non agirebbe mai contro di me.”
“L’ha già fatto, è stato lui a trascinarti nel processo.”
“E infatti non gli parlo più.”
Una decisione dal sapore acre. Rose ne osserva il volto in tensione, sempre più convinta che rifugiarsi tra offese e orgoglio sia inutile, ma è ancora presto, teme, affinché faccia i conti con se stesso e ammetta di essere stato colto di sorpresa, a tradimento, dall’agire di Louis – di esserci rimasto male, semplicemente.
“Sono più preoccupato per Lorcan che per me,” continua James. “Louis si vendicherà.”
“Perché Lorcan ha osato sopravvivere?” chiede retorica.
“Perché lo ha fatto apparire debole.”
“Se è questa la sua preoccupazione, può sempre denunciarsi e dire quello che ha fatto.”
James incassa il suo astio con la voglia inappagata di prosciugarlo – se solo potessero dimenticare ogni cosa, tutto.
“È troppo intelligente per fare una cazzata simile.”
Rose increspa le labbra in un sorriso di scherno, costringendo lui ad accigliarsi.
“Secondo me,” insinua, “un po’ ti manca, Jamie.”
“Sei fuori strada, non mi importa un cazzo di lui né di quello che fa.”
Rose amplia quel sorriso e James si lascia andare al ghigno tipico di chi non ha nessuna intenzione di confessare.
Forse si dice, potrebbe, ma in mera via ipotetica, mancargli un po’, ma di tanto in tanto, a volte, quando c’è una partita dei Falcons o quando vorrebbe fare due tiri di pluffa alla Tana o quando… A volte. Dopotutto ci ha provato a far funzionare le cose, a preservare la loro amicizia, ma hanno imboccato strade diverse, fatto scelte diverse e voluto accanto persone diverse. Fine.
“James.”
“Non chiedermelo.”
“Cosa?”
“Cosa penso.”
Rose sospira e si alza in piedi a sorpresa, stranendo James che la imita un istante dopo, osservandola mettere su un’espressione furba e riappropriarsi della propria bacchetta nascosta nelle tasche di lui.
“Mi stai sfidando?” chiede divertito.
“Ebbene sì. Accetti il duello?”
James in risposta le afferra repentino il polso e la attira verso di sé, sogghignando quando poggia i palmi sul proprio sterno in cerca di equilibrio.
“Giochi a distrarmi, Rosie?”
“Accetti o no?”
“Sono tutto tuo.”
La bocca di Rose si abbandona a un sorriso malizioso, James deglutisce senza capirne il motivo. Senza averlo voluto, mentre lei raggiunge l’altro lato della pedana, si ritrova a osservarne il corpo fasciato dal sottile abito estivo che le lascia scoperta una generosa porzione di pelle, mentre un po’ trema quando gli punta la bacchetta contro con un sorriso capace di inebetirlo.
“Vuoi metterti in posizione o facciamo notte?”
“Possiamo anche fare notte,” ironizza lui.
In risposta, Rose si premura di indirizzargli un Tarantallegra che lo colpisce in pieno e lo costringe a seguire il moto impazzito delle gambe con somma ilarità di lei. James non impiega molto a neutralizzare l’incantesimo, con la conseguenza che Rose si ritrova fradicia dalla testa ai piedi nell’arco di un’irrisoria manciata di secondi.
“Rosie,” chiama ghignando. “Sai che l’azzurro bagnato è trasparente?”
Lei sgrana gli occhi e corre ad asciugare in fretta e furia il vestitino, ammutolendo il “Peccato” ironico di James con un Accio che lo denuda della t-shirt.
“Così però mi costringi a ricambiare,” celia lui.
Ed è solo la celerità nell’evocare un incantesimo scudo che impedisce a Rose di restare in intimo. James sorride orgoglioso della sua prontezza di riflessi e contrattacca con un incantesimo capace di sorprenderla e convincerla a calare l’arma: è mentre cinge lo stelo e annusa il fiore in sospensione dinanzi a lei che avverte la bacchetta fuggire via, acciuffata al volo da James.
“Hai barato,” protesta Rose.
“Ti ho disarmata,” ribatte divertito lui. “Si vincono più duelli con l’astuzia che con la forza, ricordalo,” aggiunge avvicinandosi per restituirle la bacchetta e riprendersi l’indumento.
“Me ne ricorderò,” concede lei. “Quindi questa è solo un diversivo?”
“Secondo te?”
Rose gli sorride e riprende a osservare la peonia blu evocata da James, ammaliata dalla bellezza e dal profumo sprigionato dai petali, in assoluto i suoi preferiti.
“Non appassirà,” spiega James. “L’ho incantata.”
“Per me?”
“E per chi altri?”
Rose non risponde alla domanda retorica, si limita a incrociarne lo sguardo, baciargli la guancia e cedergli di nuovo la propria bacchetta affinché la conservi nelle tasche dei pantaloni.
È mentre si siedono di nuovo sulla pedana che una figura cupa s’affaccia oltre l’uscio, macinando un passo dopo l’altro per raggiungerli in fretta.
Che l’incontro con Lysander sia andato nel peggiore dei modi, Lorcan lo ha impresso negli occhi sporchi di rabbia, nelle labbra serrate, nei pugni tesi.
“Allora?” incalza Rose.
“Ha detto che finché non cambio idea non vuole vedermi. E sai che ti dico? Se è questo che vuole, è questo che avrà. Ne ho abbastanza di sentirmi una merda solo perché deve fare il martire.”
“Finalmente ragioni,” approva James. “Il coglione è lui, Lor, tu non hai niente da rimproverarti.”
Rose alterna lo sguardo tra l’uno e l’altro, indecisa se sposare la linea di James o assecondare l’inespresso desiderio di Lorcan di riconciliarsi con il fratello – se solo Lysander non fosse così ostinato pensa frustrata. Nel dubbio, sceglie di non parlare affatto e limitarsi a un abbraccio che Lorcan beve come acqua in pieno deserto, rasserenato dalla vicinanza.
James serra la mascella prima che il cervello possa elaborare un perché plausibile al fastidio, tuttavia si rilassa non appena si districano e Rose fa notare a Lorcan la peonia stretta tra le dita.
“Usciamo di qui e andiamo a mangiare qualcosa,” propone James.
“Io torno a casa,” ribatte Lorcan. “Ho voglia di dormire.”
“Ci vediamo dopo, allora?” chiede Rose.
“Ti raggiungiamo dopo cena,” aggiunge James. “Porto i viveri.”
“Ottima idea, così facciamo sbronzare anche Rose,” ironizza Lorcan.
“E poi vendi le mie foto a Rita Skeeter,” scherza lei in risposta.
“Saresti fantastica tutta sbronza in copertina,” ghigna James.
S’allontanano dal Ministero nell’eco di risate che sembrano scacciare per irrisori istanti il buio.
Quando Lorcan si smaterializza, James le prende la mano e s’incammina con lei in pieno centro londinese, tra strade e marciapiedi che non li conoscono, affollati da persone che ignorano quali vergogne pendano sulle loro teste.
“Locale babbano?”
Rose annuisce, ma James non fatica a coglierne l’umore di nuovo rapito dalla negatività, gli è sufficiente scorgerne gli occhi d’un tratto bassi e in apparenza catturati dall’appariscente colore del fiore.
“Cos’hai?”
“Niente.”
“Cos’hai?”
“Lysander lo fa soffrire.”
James trae un gran respiro prima di rispondere. Il primo istinto è quello di dirle infischiatene, e non sa neanche lui perché abbia pensato questo, perché oggi sia così facile rintracciare errori, colpe, difetti in Lorcan – sa solo che a tratti è tentato di riunirli tutti, inventarne anche altri, e sfoggiarli dinanzi a Rose per indurla a guardare con occhi meno clementi il comune amico.
Scuote impercettibilmente il capo, scacciando queste sensazioni sporche di qualcosa che non riesce ancora a identificare.
“Quando Lysander verrà solo espulso, perché è questo che accadrà, si rilasserà, vedrai.”
“Credi sul serio che non rischi altro?”
“Dai discorsi di mio padre, sì, lo credo. Non lo spediranno ad Azkaban.”
Rose trae un sospiro di sollievo e si stringe a lui in cerca di protezione.
“Vorrei non averti detto niente, vorrei sapessi meno di chiunque altro.”
“E credi sarebbe servito a non farmi preoccupare per voi?”
“No,” ammette lui. “Ma non saresti costretta a mentire.”
“Non mi importa di dover mentire,” precisa lei. “Voi siete più importanti di una bugia.”
“Parli sempre al plurale,” riflette a voce alta James. “A volte ho l’impressione che per te siamo una sola persona.”
“E altre?”
“Altre mi do dell’idiota.”
Rose temporeggia prima di rispondere e aspetta di accomodarsi presso uno dei tavoli interni del locale scelto per la cena. Lo hanno raggiunto in una manciata di passi, nota stranita, dimentica di quanto fosse vicino all’ingresso del Ministero della Magia. Osserva le luci soffuse dell’ambiente e ricorda di averlo amato, in passato, per la riservatezza del personale e l’atmosfera intima.
Lascia che sia James a ordinare per entrambi, aspettando che il cameriere si allontani e quegli occhi blu tornino su di lei per riprendere il discorso.
“Non siete la stessa cosa, per me.”
“Lo so.”
“Però a volte ne dubiti.”
“Perché a volte vorrei esserci solo io.”
Rose si concede alcuni istanti per guardarlo, è la prima volta che le sfugge qualcosa di lui. È sempre stato protettivo, forse persino un po’ geloso, ma non le ha mai parlato in maniera così trasparente del loro rapporto, anche perché nessuno dei due ha mai creduto di doverlo fare – si chiede se non l’abbia destabilizzato troppo saperla addormentata tra braccia non sue.
“Non volevi che dormissi con lui.”
“No,” ammette James. “È una cosa nostra.”
Rose trema un po’ e prende tempo versandosi dell’acqua, bevendola più lentamente di quanto sia necessario, senza tuttavia districare i loro sguardi.
“E se ti dicessi che è stato diverso?”
È la volta di James di bere, replicando i gesti della ragazza. C’è qualcosa dentro di sé, una sensazione, che seguita a non saper decifrare. Sa solo che ha un fastidioso prurito ovunque e lo stomaco impegnato a contrarsi a ogni parola detta da lei.
“Ti chiederei perché.”
Perché – Rose fugge un istante di troppo quegli occhi blu, la mano di James si serra attorno alla sua per richiamarne lesto l’attenzione.
“È un modo per dirmi che è successo altro?”
Altro – ha un suono roco, graffiato, come se le corde vocali di James avessero rischiato di lacerarsi nel pronunciare quella parola. Rose è colta di nuovo dall’opprimente consapevolezza di non potergli dire .
“No,” risponde. “James, tu sei tu.”
“E lui è lui,” aggiunge seccato.
“Sarà banale, ma è così.”
James rafforza la stretta delle loro mani e si sporge a lato per baciarle la guancia, prolungando più di quanto sia necessario il contatto tra le labbra e la pelle, al punto che Rose stringe ciocche di capelli neri tra le dita per richiamarne l’attenzione.
“È una specie di crollo emotivo?” scherza lei.
James sogghigna, a Rose sfugge una leggera risata. Si allontanano quando il cameriere li avvicina con le ordinazioni, certi di voler ignorare un sottile strato di non-detto che tenta di accumularsi tra sguardi e parole morse.
James si sprona in fretta a mettere da parte tutto e scacciare finanche il prurito, perché è un miscuglio di sensazioni troppo illogico per appartenergli.
Rose sorride rasserenata nell’istante in cui la ruga di tensione sparisce dalla sua fronte e chiude in un cassetto l’impressione di marcio appiccicato alla pelle.
Neanche un minuto dopo lei è già corsa a rubargli le patatine fritte e lui è già impegnato ad accusarla di attentare alla sua vita riducendogli l’apporto di cibo.
Sono loro.
Si ripetono entrambi.
Sono sempre loro.
Non è cambiato niente.




 
Note dell’autrice: ancora una volta ho scritto di getto, questo racconto può essere considerato la seconda parte di Frangibile, è ambientato durante la stessa giornata. La stesura del Capitolo Ventitré procede, di tanto in tanto però richiede delle pause, e allora mi tuffo nella scrittura di altro.
Non vi rubo altro tempo e ringrazio chiunque sia giunto sia qui, spero che questo scorcio abbia meritato il vostro tempo.
Un abbraccio. ❤
 
 
   
 
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