Recensioni di Phoebe Moon

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Recensione alla storia The Heart of the Sea - La vera storia di Davy Jones - 06/05/21, ore 22:29
Capitolo 3: Capitolo I - La casa delle bambole
Questa storia arriva proprio quando ne cercavo una simile, difficile a dirsi eppure non è tanto semplice trovare racconti ben scritti sui pirati nonostante il successo di Jack Sparrow e poi Black Sails ma andiamo al succo della recensione.
Pur essendo al primo capitolo “The heart of the sea” si presenta con una struttura circolare: inizia con una protagonista che ha trascorso l’infanzia ad ascoltare storie e noi la troviamo intenta a raccontare la propria, segno che abbia ottenuto l’avventura tanto desiderata.
Il suo essere una prostituta è una scelta pratica (oltre che originale, di lady innamorata di un pirata abbiamo avuto Marianna Guillonk e da allora nessuna protagonista del genere pare essersi scrollata di dosso la sua caratterizzazione) in quanto era questa categoria di “lavoratrici” ad entrarvi maggiormente in contatto; inoltre penso lasci ampio spazio di manovra per il personaggio e i lettori con maggiori possibilità di essere sorpresi, dopotutto i rapimenti/fughe delle fanciulle di buona famiglia tendono ad assomigliarsi un po’ tutti.
Scrivere in prima persona non è una scelta semplicissima, un po’ perché consente solo una visione parziale (per quanto immersiva) dei fatti narrati, un po’ perché, se si è abituati ad adoperare la terza, si rischia di scivolare in un’eccedenza di dettagli irrealistica perciò ho amato tantissimo l’inizio del capitolo in cui non abbiamo una descrizione dettagliata della protagonista, troppo piccola per ricordarlo e non in una posizione sociale tale da poter avere un proprio ritratto da bambina.
Tra l’altro già nelle prime righe incappiamo già in un’incognita: chi è James?
Per la vaga assonanza per un attimo ho pensato a Davy Jones ma mi pare troppo palese per essere la risposta.
Tra l’altro devo ammettere una colpa: al momento sono più intrigata dalla madre della protagonista anziché da quest’ultima; nonostante ci troviamo nella sua testa a parte l’interesse ovvio per il monile citato nella trama per ora non riesco a trovare una caratteristica interessante in lei. Per meglio dire non ha una sua voce distintiva, ha un tono perlopiù neutro nell’esporre i fatti non si riesce a capire se sia un tipo sarcastico, pessimista o malinconico; di solito la personalità dovrebbe emergere anche da questa sorta di memoriale che stiamo leggendo. Non ha nemmeno un modo particolare di descrivere come nel caso di Circe della Miller (non lo dico per farti pressione, ovviamente. Lei per buttare giù quel libro ci ha messo anni).
Magari potrebbe esserti utile buttare su carta i tratti caratteristici più preponderanti della protagonista e plasmare attorno a quelli la prosa, per darle un po’ di unicità e distinguerla dai dialoghi che inserirai in seguito; magari potresti elaborare dei modi di dire, delle espressioni ricorrenti o qualcosa di simile; l’esempio più immediato che mi viene in mente è il “Grande demone celeste” dell’omonima protagonista in Nana.
Tornando alla madre di Anne mi lascia abbastanza confusa ma in senso buono: mi sembra abile negli affari e particolarmente interessata al guadagno, al contempo però si accolla ben due bocche collaterali da sfamare, non manifesta particolare trasporto per la protagonista eppure le acquista un giocattolo elaborato e costoso come la riproduzione in scala di un’abitazione (fra l’altro quando ho letto “La casa delle bambole” ero convinta fosse un riferimento alle prostitute, non a un balocco vero e proprio) e addirittura le assegna una stanza con terrazza, uno spreco di spazio e denaro se si considera che non verrà usata per i clienti per almeno una decina d’anni.
Lo stesso nome di Miss Esmeralda fa sorgere delle domande: “Sabina Montrose de La Cruz-Sanchéz” una palese mescolanza di tre lingue. Sembra un patchwork e forse lo è, non mi stupirei se se lo fosse inventato da sola. Sembra costruito apposta per richiamare un’idea di nobiltà, una cognome realizzato da qualcuno abbastanza vicino a questa classe sociale da plasmarsene uno pomposo ed elaborato ma non acculturato quanto basta per capire di star accostando due lingue diverse; l’idea di una nobile caduta in disgrazia l’ho accantonata definitivamente quando ha affermato di non aver mai avuto una bambola, in compenso però potrebbe essere la figlia illegittima di un nobile.
Per quanto riguarda l’ambientazione in sé sei riuscita a pennellare un quadro interessante pur mantenendoti moderata con le descrizioni anche se il rischio è che ti penalizzi sul lungo termine perché sarebbe assurdo per una persona profondersi in lunghe dissertazioni dell’ambiente nel mezzo dell’azione; in compenso i personaggi e i racconti che popolano l’infanzia della protagonista riescono a sopperire egregiamente a questo difetto.
L’uso di Mansão Corte-Real pare quasi ironico se si considera come una donna pur di non giacere con un uomo che vedeva come un assassino si sia suicidata; ho apprezzato molto questa sorta di leggenda metropolitana sullo spettro dell’ex conquistadores perché non si limita a fare da folklore per l’infanzia di Anne ma contribuisce a costruire una certa accuratezza storica.
Non vedo l’ora di leggere il capitolo seguente,
A presto <3

P. S. mi accorgo solo adesso che la stanza della protagonista è probabilmente quella da cui si è gettata la moglie di Corte-Real.
Recensione alla storia Varulven - La moglie dell'alchimista - 03/05/18, ore 19:04
Capitolo 2: Capitolo II - Bianco come la neve, rosso come il sangue
Ciao,
allora: con tutta la buona volontà purtroppo questo capitolo, cominciato con un buon ritmo, ha iniziato a farmi scendere il latte alle ginocchia quasi subito tanto che al punto in cui compare Hilda pregavo affinché tutto finisse in fretta e solo allora ha iniziato a fluire meglio.
Il problema risiede tutto nell’eccesso di sequenze narrative troppo dense, troppo pesanti che già in terza persona risulterebbero decisamente eccessive ma in prima diventano molto simili ad un supplizio (con ciò non intendo che il capitolo faccia schifo, anzi, perciò ho messo la bandierina bianca ma avresti potuto gestirlo diversamente).
Scendendo nei particolari secondo me il problema risiede nella quasi totale assenza di dialoghi, quelli presenti sono molto scarni e di fatto non forniscono dettagli particolarmente significativi alla trama, eccetto la scena a casa Richter; per buona parte del capitolo (più di metà) si accusa un senso di pesantezza che non facilita certo una lettura di per sé monotona trovandoci nella parte introduttiva del mondo di “Varulven”, introduzione necessaria, sicuramente, però ti consiglierei di snellirla nel tuo interesse.
Altro dettaglio fastidioso sono i numerosi nomi citati lungo il capitolo (Padre Abel, Padre Leonhard, Edmund Jäger, Adalicia, Serhilda Schmied Hermann, Zelma Pohl ) personaggi a cui il lettore è incapace di associare un volto non essendo comparsi e rischiano solo di generare confusione perché la protagonista non ha bisogno di rammentare a se stessa di chi si tratti ma chi legge rimane sommerso da una pletora d’informazioni senza filo logico -per esempio la ragione per cui tale Zelma Pohl renda ancora più ostili gli abitanti nei confronti del marito-.
Con ciò non intendo dire che non devi inserirli però si tratta di un classico caso di “Too much information”, dovresti distribuirli meglio in questo o nei prossimi capitoli invece di buttarli a caso come riaffiorano nella mente di Liesel (sì, nella realtà saltiamo da un punto all’altro secondo nostri collegamenti logici ma nel momento in cui metti tutto su carta devi attribuire loro un ordine comprensibile a terzi).
Altro punto su cui vorrei soffermarmi sono le descrizioni: talvolta sono troppo, troppo specifiche.
Di norma mi piacciono specie se riguardano un paesaggio, un abito, un gioiello, ecc. ma attardarsi a descrivere il modo in cui i mercanti sistemano la merce -soprattutto se le protagoniste non guardano né comprano nulla- mi sembra superfluo, così come specificare che la casa dei Richter abbia molti scalini.
Non è rilevante. A mio parere se proprio volevi parlarne avresti potuto far fare un’osservazione alla protagonista in merito a questi, che so...una volta è scivolata dal terzo gradino e da allora evita di passarci sopra, oppure da bambina sembravano un’infinità. Una sciocchezza simile perché ai fini di trama sapere esattamente la planimetria di casa Richter occorre solo ad allungare il brodo.
L’ultima cosa riguarda l’aspetto di Hilda: hai scritto che portava il fondotinta tuttavia a giudicare dalla mentalità da paesino sperduto e dall’ambientazione una fanciulla perbene, una di buona famiglia, non si azzarderebbe mai a truccarsi al contrario sarebbe più logico fosse Fritzi a farlo in quanto prostituta; risulterebbe più coerente se fosse un’insinuazione di Liesel sull’eccessivo rossore di guance e labbra.
Tra l’altro dubito esistesse il termine fondotinta prima del 1900, al massimo belletto e comunque hai parlato di rosa per cui immagino ti volessi riferire al blush.
Infine più che una critica la mia è una perplessità in merito ai capelli agghindati alla moda francese: non avendo specificato l’anno o quantomeno il secolo, e cambiando la moda da un periodo all’altro, non capisco se devo immaginarmi un’impalcatura vertiginosa con piume, fiori e orpelli vari o una semplice cotonatura. Ripeto: questa è una curiosità mia.
...ora, se sei sopravvissuta al mio papiro passerei a cosa mi è piaciuto del capitolo.
Intanto l’inizio perché ti immerge subito nella lettura e il primo flashback è il mio preferito, mi sono piaciuti anche gli altri riferimenti all’infanzia di Liesel ed hanno aiutato a mandar giù la narrazione.
Mi è piaciuto il fatto che la madre di Helene non fosse una santa perché oltre ad evitare il cliché di pia donna passata a miglior vita.
Qui il carattere di Helene inizia ad emergere meglio e mi sembra sia una ragazza buona ai limiti dell’ingenuità, docile e accondiscendente e con la mania di voler restare in buoni rapporti con chiunque (pensiero di per sé utopistico, ci sarà sempre qualcuno a cui stai sul groppone); la scena in cui viene trascinata dentro casa da Hilda mi ha mandata in brodo di giuggiole perché è evidente che o la ragazza trama qualcosa per soffiarle il fidanzato oppure Helene si lascerà influenzare come Meg in Piccole Donne a casa dei Moffat, nel secondo caso direi che i presupposti ci sono tutti visto lo stile di vita dei Richter e l’estrazione sociale della ragazza.
La presentazione di Fritzi mi ha risollevata un po’ dall’annegare nel mare d’informazioni e devo ammettere che è un personaggio di cui mi piacerebbe sentir ancora parlare magari proprio in riferimento ad Albert Edel; invece il riferimento a Baron Samedì l’ho adorato.
Lo scambio di battute fra Liesel e la cameriera è il momento migliore del capitolo perché finalmente abbiamo un’idea più chiara del perché venga ostracizzata dalla gente del villaggio, del perché sua nonna lo sia a sua volta ed offre uno spaccato migliore della quotidianità in cui vive sin da bambina.
Penso di aver detto tutto. Mi auguro di non averti demoralizzata o essere suonata offensiva o pedante.
A presto,
Phoebe

Recensione alla storia Varulven - La moglie dell'alchimista - 19/03/18, ore 19:33
Capitolo 1: Capitolo I - La canzone del pazzo
Ciao,
Mi sono imbattuta nella tua storia per caso e subito la commistione Cappuccetto Rosso-La Bella e la Bestia mi ha attirata.
La tua storia mi incuriosisce e piace molto nonostante non sia una grande fan della narrazione in prima persona perché se da un lato è interessante entrare nella testa di un personaggio seguendo la vicenda con lui dall’altro si rischia di scadere nel ridicolo con descrizioni troppo pompose o con termini che una persona sana di mente non userebbe mai (specie nelle proprie descrizioni, ho letto certi orrori che rasentavano l’autocelebrazione).
Con Liesel questo rischio non si pone tranne forse all’inizio del capitolo un po’ troppo denso in termini di descrizioni ma bisogna pur mostrare a chi legge lo scenario della storia. Liesel pur non spiccando (almeno per ora) per chissà quali pregi non risulta banale o noiosa nonostante ricalchi il cliché della ragazza capace di leggere e scrivere incastrata in un paesino sperduto pieno di bifolchi ma trattandosi di un retelling su La Bella e la Bestia mi sembra il minimo, il contrario probabilmente mi avrebbe delusa.
Non vedo l’ora di scoprire di più sulla famiglia di Liesel, soprattutto su suo padre e su sua nonna che ancora devono entrare in scena. Spendendo due parole su Gudrun devo dire che non riesce a starmi antipatica (questione dei pasti a parte) sarà perché in questo capitolo non mostra chissà quale perfidia nei confronti della figliastra o perché penso sia normale in una condizione come la sua
-povertà, analfabetismo, troppe bocche da sfamare e un marito, mi azzardo ad ipotizzare, incapace di contribuire in casa per via della gamba risultando un peso più che un sostegno- sia normale indurirsi.
Se a ciò si somma la convinzione di essere stata “miracolata”, per così dire, avendo scampato la morte e la sua forte religiosità è naturale che le spigolosità di un carattere non esattamente morbido si accentuino anziché mitigarsi. Potrebbe comportarsi decisamente peggio, mettiamola così.
Su Helene c’è poco da dire. Per adesso sembra una ragazza gentile, pure un po’ (troppo) ingenua ed una buona amica però sono ansiosa di scoprire se rimarrà così oppure subirà un’evoluzione, magari proprio a partire dalle sue nozze dovendo scegliere se restare ferma nel proposito di avere Liesel per damigella oppure deciderà di accontentare il fidanzato e relativi parenti acquisiti.
La figura di Huey m’incuriosisce: non capisco se semplicemente manca di qualche venerdì oppure sta “predicendo” (passami il termine) una sventura che capiterà alla protagonista. Immagino lo scoprirò.
Ciò detto la tua scrittura è molto fluida e il capitolo scorre in fretta verso la fine senza strafalcioni grammaticali (cosa non scontata su efp), riesci a padroneggiare bene uno stile narrativo non facile per i motivi di cui sopra e spargi qua e là piccoli accenni ad altri personaggi che invogliano a sapere di più sulla storia.
Per ultimo voglio azzardare un’ipotesi: considerando che Liesel afferma di aver vissuto le esperienze peggiori della sua vita quando c’era la neve, annoverandovi il suo matrimonio, e che nella trama si menzione un pericoloso compromesso secondo me sarà proprio tale matrimonio.
Magari mi sbaglio ma la buttò lì.
A presto,
Phoebe Moon
Recensione alla storia Grimm - Mai più felici e contenti - 31/03/17, ore 16:11
Capitolo 4: Capitolo II - Turning Pages
Bel capitolo,complimenti.
Adoro l’impaginazione generale che dà al tutto un aspetto “ufficiale” come se mi trovassi a leggere un libro vero e proprio, ma arrivando al sodo: fin da subito otteniamo un quadro più definito della vita delle sorelle Hadleigh. I continui trasferimenti durante l’infanzia conferiscono un senso di precarietà in un periodo reso di per sé difficile dopo il brutto episodio con la madre, ciò ha contribuito ad una sorta di isolamento. Difatti sia Elizabeth sia Anya, nonostante quest’ultima abbia comunque le sue colleghe a lavoro, mancano di una figura sempre presente all’infuori del padre e vivono come unico legame duraturo proprio quello famigliare. Eppure lo stesso genitore passa poco tempo con le figlie per via del lavoro e si trova ad omettere su una parte importante della sua vita, il che contribuisce a rendere più difficile un rapporto già traballante.
In questa seconda stesura viene fuori ancora meglio il carattere di Anya, la sua frustrazione per la passività di Liz e il suo volerla spronare a reagire ottenendo di fatto l’esito opposto ma soprattutto la rabbia per un padre assente e apparentemente disinteressato, il bisogno di essere alleggerita dai problemi in famiglia.
Su Elizabeth penso di essermi pronunciata abbastanza nella scorsa recensione, in più traspare il suo ostinarsi a nascondere e minimizzare il bullismo di cui è vittima (per questo viene voglia di darle una scrollata e gridarle contro “Ripigliati!”) ma visto che chi ne è oggetto non reagisce né chiede aiuto risulta abbastanza normale; inoltre s’introduce il suo rapporto col cibo vissuto come una valvola di sfogo dei problemi.
Ora passiamo alla parte che ho adorato: il libro.
Nella precedente versione sembra sbucare dal nulla neppure fosse piovuto dal cielo mentre adesso è evidente possegga vita propria, è una sorta di entità senziente perciò da quanto ho capito ha scelto autonomamente di manifestarsi alla ragazza. E comunque, questo apparire dal nulla di frasi m’inquieta da morire, al suo posto avrei compiuto un balzo per riatterrare all’aeroporto più vicino e tanti saluti XD
Ancora complimenti. A presto,
Phoebe
Recensione alla storia Grimm - Mai più felici e contenti - 22/11/16, ore 14:38
Capitolo 3: Capitolo I - The Fairytale Department
Allora: massima tenerezza per Liz.
Sarà che so cosa si prova ad essere presa di mira ma mi risulta facile empatizzare con lei.
E’ la sintesi perfetta di tutto ciò che una protagonista (o un’eroina) si presume non dovrebbe essere: goffa, insicura, pavida, incapace di difendersi da sola e per nulla affascinante e va benissimo così, la rende realistica.
Liz non è ancora arrivata al punto di ergersi a eroina di sé, ha bisogno di qualcuno forte, ma penso che alla fine ciò contribuirà ad arricchire il suo processo di maturazione, a spronarla per diventare indipendente ed anche la sua autostima ne gioverà quando alla fine del percorso si guarderà indietro.
Il fatto che abbia risposto a Jessica di aver lasciato l’altra copia del compito a casa sottolineando fosse per sé, quindi ammettendo di averlo fatto apposta (seppur dettato dalla consapevolezza di prenderle anche in caso avesse taciuto) trovo faccia capire non sia un caso irrecuperabile e debba solo ficcarsi in testa di doversi dare una scrollata per smettere di farsi sottomettere dal prossimo.
Non può accadere in tempi brevi ma sono fiduciosa XD
A non convincermi del capitolo è la professoressa di ginnastica. Il fatto che non abbia neppure sgridato le bulle trovo sia irrealistico, funzionerebbe meglio magari se le rimproverasse nonostante sia palese lo faccia unicamente per salvare le apparenze, così come per la nota.
Che una professoressa non prenda le parti di un’alunna ci sta perché per quanto dovrebbero trattare tutti ugualmente è inevitabile preferiscano un alunno rispetto ad un altro (dopotutto sono umani non robot) ma fregarsene del tutto addirittura dandole la colpa del tempo perso trovo strida un po’.
La sorella Anya invece è totalmente il suo opposto: indipendente, forte, capace di sbrigarsela da sé nelle situazioni.
Nonostante dovrebbe piacermi per le sopracitate qualità l’amore a prima vista non è scattato ( ma i miei gusti non sono un tuo problema XD ), resta comunque un bel personaggio e per com’è la situazione ora l’unica capace di tenere un minimo le redini di questa famiglia allo sbando.
Il Greg che la perseguita è il prototipo dello stalker e l’unico punto in cui mi trovo concorde è il commento sul capo di Anya: è proprio uno stronzo.
Per quanto concerne il tuo stile è molto fluido e piacevole, ho trovato qualche insignificante refuso qua e là ma roba trascurabile.
Hai svolto un’accurata caratterizzazione dei personaggi che traspare sin dalle prime righe in modo non risultino mai uguali fra loro né piatti (cosa tristemente tipica degli YA)
Non vedo l’ora di leggere le modifiche che apporterai nei capitoli successivi e aggiungo che non vorrei essere te quando i personaggi si moltiplicheranno.
A presto,
Phoebe