Stile buono. Si nota la capacità dell’autrice di piegare le regole sintattiche a proprio piacimento, ed è ciò che dà veramente carattere alla storia.
L’impostazione dei dialoghi è quella utilizzata da Mondadori, tuttavia si riscontrano nel testo alcuni errori ricorrenti che sono motivo di confusione del lettore e, di fatto, anche dell’autrice.
Un esempio:
«Prendi, prendi per il culo, tu.» sbuffò l’altro con tono fintamente offeso.
«Amore, la voglia c’è.» Antoine fece la linguaccia al cellulare e si voltò.
Le due frasi sono perfettamente identiche per quanto riguarda i segni d’interpunzione, ma non lo sono dal punto di vista sintattico. Bisognerebbe, invece, proprio usare la punteggiatura per differenziare i vari tipi di periodo.
Dunque, la prima frase è una battuta retta esternamente (battuta + narrazione subordinata), di conseguenza è necessario elidere il punto fermo entro le caporali, poiché il periodo non si ferma lì ma continua.
La seconda frase, invece, è in realtà composta da due proposizioni, rispettivamente la battuta semplice e la narrazione, che in questo caso ha funzione di principale. Qui il punto fermo è corretto, ma ci sono altre situazioni in cui non tratti poi la principale come tale.
«Cazzo se mi piaci.» gli si avvicinò con un passo e gli passò la mano dietro la nuca, attirandolo a sé.
La mancanza della lettera maiuscola non è un caso perché l’errore si ripete più volte, ma non è nemmeno cosa di poco conto perché, come ho detto, confonde, spacciando la battuta semplice come unica principale.
Altro errore molto ricorrente, e snervante a lungo andare, è la mancanza di punteggiatura nelle frasi prima del dialogo.
Lui sospirò «Enricuccio, hai solo dieci punti.»
Solitamente, quando la battuta è retta esternamente dalla subordinata che non segue ma precede, si usa mettere i due punti. Tuttavia, la maggior parte delle tue frasi hanno questo stampo, che hanno una costruzione ancora più semplice!
Se “Lui sospirò” e “«Enricuccio, hai solo dieci punti.»” Sono di fatto due proposizioni principali (a sé stanti), vogliono solo essere divise da banalissimo un punto. Niente di più, niente di meno.
Poi, un appunto sugli incisi.
Lui si passò una mano sulla guancia liscia – era comodo non avere bisogno di farsi la barba.
Aveva sistemato così bene la sua – notoriamente – incasinata camera da renderla irriconoscibile, quasi spartana.
Fai un uso sconsiderato del trattino medio spaziato (diamo il giusto riconoscimento per il corretto simbolo utilizzato) per le frasi incidentali… quali?
Intanto, l’inciso è per definizione un pensiero repentino, dell’autore o del personaggio, che si inserisce quasi casualmente all’interno di una proposizione più lunga e complessa. Ora, la seconda frase che ho riportato è l’emblema perfetto dell’inciso, la prima assolutamente no. Anzi, si potrebbero riconoscere addirittura come due principali distinte, o quasi. È uno di quei momenti in cui il benamato punto e virgola andrebbe riesumato e inserito. Anche una virgola, per certi versi, avrebbe potuto starci… ma sarebbe stata troppo forzata. Il trattino, però, proprio no.
Di più, più veloce, di più–
Addirittura, qui sostituisci i puntini di sospensione con il trattino. Io mi chiedo, ogni simbolo di punteggiatura ha la sua funzione, e allora perché screditarli tutti in questo modo da un singolo, stupido trattino?
Tornando ai nostri dialoghi:
«Oh, finalmente il semaforo verde!» esclamò Enrico «Tra cinque minuti sono da te.»
Non trattare questo tipo di frasi come fossero un’unica battuta composta.
Sono due battute distinte, la prima retta esternamente e la seconda semplicemente… semplice.
«Hai visto che questo» Enrico sfiorò con l’indice la guardia «è a forma di cazzo?»
Questa è una battuta composta. Vedi che la battuta è unica e spezzata? È un po’ come il gioco degli incisi, ma al contrario. Non confondere le due cose.
Vediamo le esclamazioni, ora:
«Ahn sì?»
«Oh, sì.»
Partendo dal presupposto che “Ahn” non mi torna (qualcuno potrebbe anche scambiarlo per il calciatore sudcoreano), cosa fondamentale è dividere le esclamazioni dal resto della frase.
Nella prima non lo fai, nella seconda sì. Perché? Non c’è un filo logico…
… ma “Ah”, così semplice, non ti piaceva? Non riesco neanche ad imitarla quell’esclamazione!
Altra cosa:
«Ommioddio.»
Questa è una considerazione personale: cattivo gusto.
Forse rende l’idea del momento e ne prendo atto, ma scritto così non può non lampeggiarmi davanti un sintomo di bimbominkiaggine. Non che sia sbagliato ciò che hai scritto, ma credo che ai giorni nostri certe autrici debbano volersi differenziare dalle bimbine sceme che scrivono per gloria e non per piacere, partendo appunto da queste sciocchezze, evitando certi termini. Se avessi scritto “Oh, mio Dio” o “Oddio”, beh… l’impressione sarebbe stata migliore. Fortunatamente, questa è solo un’opinione personale e lo stile della storia in sé scongiura sintomi bimbominkiotici.
«Oddio grazie ti amo oddio non ci posso credere.»
Avevo dimenticato questo… ancora più grottesco.
Il cuore gli saltò un battito e si sentì subito sciogliere […]
La frase mi lascia un po’ perplessa. Di solito si dice: “Il cuore perse un battito”.
“Saltare un battito” è… insolito e strano. Si dice anche: “Il cuore gli saltò in gola”, ma ha un significato diverso.
Sembra che tu abbia miscelato i due modi di dire. L’originalità è un bene, ma c’è un motivo per cui determinati verbi si accostano a certe parole ad altri no.
Non posso dire che il gatto ringhia e il cane sibila. Che pessimo esempio… non mi viene proprio di meglio.
Anche “si sentì subito sciogliere” non mi convince granché. A leggere questa frase nella mia mente avviene una scena comica, del tipo di un personaggio al microonde… ma questo è un mio delirio, alquanto stupido. Magari, “si sentì mancare” o “sentì le gambe cedere” o ancora “si sentì avvampare di calore” rendono un po’ meglio l’idea… anche perché è pessimo cercare sinonimi di “sciogliere” e trovare termini come “squagliare, fluidificare, liquefare, fondere…”. Davvero inquietante!
Bene, ho terminato.
Al di là delle correzioni approssimative che ho fatto (possono sembrare tante e gravissime, ma solo perché mi dilungo davvero troppo su cose, di fatto, marginali), la lettura è scorrevole, ma non troppo. Vi è quel giusto gioco di punteggiatura e costruzione della sintassi per cui si legge piacevolmente senza riscontrare pesantezza, ma nemmeno in maniera troppo superficiale. L’autrice è stata capace di adattare lo stile all’atmosfera della scena rappresentata, direi in modo quasi perfetto.
Alcuni accorgimenti puramente tecnici si apprezzano molto, a dimostrazione che si ha di fronte la shot di un’autrice di un certo livello.
Devo togliere qualche punto di sintassi, ma mi sento altresì in dovere di premiare lo stile, elaborato e personale.
6/10
Hilary
Giudice della grammatica e della sintassi
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