Resto sempre ad occhi sbarrati mentre leggo le tue storie. Te l'ho detto in passato, ma ci tenevo a ribadirlo.
E' un brano che, non ti nascondo, avrei voluto poter scrivere io. Ho apprezzato moltissimo il senso del divino, del trascendente, che traspare da ogni riga. Non è una banale enunciazione di potere su una vita (reale o meno che sia): è qualcosa di infinitamente più grande e complesso. Le domande vanno tutte nella stessa direzione, quella di un'entità superiore che non si palesa del tutto, che agisce senza un apparente motivo, che elargisce doni (buoni o cattivi a seconda del punto di vista) il cui senso sfugge. E il paradosso, è che l'atto creativo attraverso cui le vite e i destini prendono forma, sembra veramente non avere alcun senso. Gli interrogativi si susseguono, fino alla certezza del paradosso: riceve un fardello più grande chi è più amato. Poco importa se non si tratta di una persona meritevole: la sua esistenza vivrà su un piano differente.
Non avendo mai letto "I fratelli Karamazov", ammetto che questi richiami cui fai cenno mi sfuggono. Tuttavia, riconosco che lo stile di questo testo ha un lirismo diverso, infinitamente più personale, profondo, lucido nella sua amarezza. Molto russo, se me lo concedi.
E' un racconto denso di un pathos che non può non colpire e far riflettere chi, come noi, ama scrivere. In qualche modo siamo le divinità che tramano negli spazi vuoti delle nostre storie e tutti i nostri personaggi meriterebbero una risposta alla loro esistenza ed alle vicissitudini in cui li caliamo.
Una storia meravigliosa e maestosa nella semplicità dei dettagli.
Appunti:
- ci sono un po' di spazi ripetuti nel testo, non so se dipendano dalla formattazione dell'html;
-"chiamati “ il buono” e il “ pio” ": attenzione alle virgolette o includono l'articolo o lo tengono fuori;
-"consolazione .": uno spazio di troppo.
Alla prossima! |
