E mestamente ti saluto, recensendoti con circa due mesi di ritardo e inchinandomi imploro il tuo perdono. E in anticipo di chiedo perdono per la recensione che verrà, dato che non ne scrivo una da millenni.
Uhm... errori? Qualche volta spuntavano come funghi dei refusi, come li chiamava la mia insegnante di editoria, ma nulla che abbia leso la grandiosità e magnificenza di Mors-Amor. E con i miei deboli occhi di inesperta lettrice – non vige certo un mostro divoratore di libri dentro il mio corpo, quel mostro spetta a un'altra persona – posso confermare che nossignore, non ho visto nessun altro tipo di sconcertante, spiacevole, destabilizzante errore.
Questo capitolo è molto piacevole da leggere, ma assai nostalgico, perché è come una storia d'amore finita, no? Insomma, hai terminato il tuo capolavoro e qui dentro hai buttato giù un anno della tua vita, soprattutto in quest'ultimo capitolo. Triste il capitolo, triste l'angolo autrice. Non so cosa dire, se non che ho provato il fantomatico senso di vuoto di cui parlavi, perché dopo una serie di tre maledettissimi capitoli non si capisce cosa succeda veramente. Cioè, alla fine si può sapere chi è Roxas? Perché io non riesco a immaginarlo come un morto, se non altro perché tecnicamente sarebbe uno zombie o uno spettro ed in entrambi i casi è impossibile che possa conservare un bell'aspetto. E poi, ha la pelle leggermente ambrata. Mi spieghi uno spirito che va in giro con mezza abbronzatura? Mi è rimasto questo cruccio, ovviamente voluto, ma un po' demoralizzante. Avrei preferito che la storia continuasse, per almeno due righe in più, per dirmi almeno in quelle righe che finalmente Naminè stava bene. E poi, tipo, lo trovano il corpo della fanciulla? O tipo scompare? D'accordo... forse sto dando i numeri, sto dando di matto, ora mi faccio uccidere da un cavallo. A proposito, rileggendo gli altri due capitoli mi sono accorta di essere follemente innamorata di 'sto cavallo. Ma chiamarlo Morte è un po' deprimente. Non è che ha un altro nome? Un piccolo soprannome? Qualcosa con cui possa chiamarlo e non deprimermi nel frattempo?
Ma tornando al capitolo. C'è stata qualcosa che mi ha lasciata un po' perplessa, ovvero i destinatari delle lettere. Come tu stessa affermi nelle note, ti volevi concentrare su Naminè, però ho trovato quasi fastidiosi i riferimenti a nomi e persone, bastava dire che avesse scritto per i parenti, e sviluppare in maniera più generale e in un certo qual modo anche più approfondita la lettera che riguarda il bambino. Ecco, forse questa è stata l'unica pecca del capitolo. Tu hai scritto: “Perché sperava che quella lettera fosse d'aiuto al piccolo” ma non spieghi in che senso e in che modo lo sarebbe stata; capisco che vuoi dire, ma forse quella frase buttata giù così non può stare. A mio parere ha bisogno di una semplice “stirata”, - ritornando ai miei doveri da pessima donna di casa – qualcosa che la allunghi che non sia eccessivo.
E sì, ho provato anch'io questo senso di vuoto che però è stato fulmineo e poi è scomparso, lasciandomi dietro tutto quello che ho provato con questa storia: amore, magia, mistero, attrazione. Un inspiegabile desiderio di essere io la fortunata fanciulla morta innamorata dell'Amore stesso, la presunzione che potrei esserlo. Forse un leggero aumento dell'autostima.
E, miei draghi – da quando ho inventato quest'esclamazione per Elisabetta di Fiordland non riesco più a separarmene! - quelle piccole perle che a volte tiravi fuori da qualche citazione, e che a volte erano tue e basta, mi hanno più volte rincuorato. Perché la paura, la timidezza, i sogni che albergano nella testa della dolce protagonista sono i medesimi di quelli miei e l'unica differenza tra noi due è che lei, da bravo personaggio di una storia, è riuscita ad avere una possibilità e a superare i suoi timori, mentre io, da pessima abitante del pianeta reale sono ancora (rin)chiusa nel mio castello di vetro.
E qui ci sta un sospiro. È un piccolo capolavoro il tuo, mia carissima Luly, che io paragono alla storia grazie alla quale ti ho scoperta: “White”, il senso di protagonismo era simile.
Ti adoro quando mi metti queste storie un po' tristi ma belle, di quella tristezza che ti fa sorridere, ti adoro quando mi fai diventare la protagonista di queste storie belle, ti adoro quando mi fai pensare di infrangere il muro di vetro.
Mi ritrovo a pensare... pensare cose che con Naminè, l'ottocento, aitanti viandanti misteriosi e affascinanti e un Riku un po' troppo fluff ma adorabile – voglio una drabble su lui e Olette! - non c'entrano nulla.
Un inchino,
A.C. |