Recensioni per
Parole vuote e senza lirica.
di HellSINger

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
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Recensore Veterano
10/06/14, ore 14:54

Sono arrivato a questa poesia partendo dalla piccola raccolta che stai portando avanti sui "Sepolcri" che ho notato alcuni minuti fa, dal precedente troppo celebre per far finta di nulla e non dare almeno un'occhiata. Stavo per commentare, poi la curiosità mi ha trascinato sul tuo profilo e sulle tue altre poesie, che mi hanno attirato per il loro insolito modo di esprimersi.
Questo componimento mi ha colpito in maniera particolare, mi sembra di percepire una relazione contrastata tra te e la scrittura stessa, unica via di fuga ma allo stesso tempo causa d'isolamento, specchio di una solitudine dolorosa e forse frutto d'una autocostrizione. E sembra farsi strada anche un'insoddisfazione verso ciò che si scrive, verso dei versi troppo spesso banali, imperfetti, inadatti (non ti appartengono?). L'inizio è un'apertura al mondo, tuttavia non convinta bensì indifferente, nell'attesa che il momento inevitabile giunga - sembri quasi aspettarlo, dopotutto, il mondo procede per valutazioni ed esiti finali e in mancanza di meglio vale la pena fingere di accettarle. Ad impaurirti è un "consueto mondo di esseri umani", in altra parole la normalità, la finta e ormai tipica diversità, insomma è l'umanità nel suo complesso, con i suoi limiti così evidenti e paradossali, a nauseare e rendere insofferente la tua coscienza. La paura di vivere è dovuta, forse, ad una superficialità diffusa e che probabilmente è insita all'umanità stessa - sarà questo a farti più paura, la possibilità che la nostra mediocrità sia naturale e quindi del tutto giustificata?
Forse è per questo che ti definisci indefinibile, consapevole della contraddizione in termini (dirsi indefinibili è già definirsi, no?), incapace di rientrare nelle categorie che classificano ciò che siamo, il nostro esserci nel mondo quali esseri dotati di uno scopo (davvero? quale scopo, previsto da chi?), e in fondo non t'importa che questa vita diventi solo un'eterna attesa, un continuo fuggire e rifuggire in discorsi infondati, senza radici e forme logiche ben precise - sono versi di poesie - versi che non ti soddisfano ma la fuga non ti porta altrove, giacché la tua compagna di viaggio è una penna, hai scelto di non portare altro con te. E non resta che scrivere, tentando di contattare i recessi dell'anima che forse è stata presa in ostaggio da una sua parte, quel "poeta" capace di sottrarre ad essa la gioia di vivere, la capacità di abituarsi all'ordinario, la voglia di accontentarsi senza porsi troppe domande destinate a rimanere insolute. Non c'è altro da fare, bisogna scrivere, è il gesto più estremo e disperato di un'anima lontana dalla sua identità e da quella del mondo, in cui rifiuta di integrarsi, di farsi consuetudine. E quindi si finge di vivere, scrivendo per ingannare il tempo e se stessi, aspettando delle risposte che non arriveranno mai, sino al giorno in cui la vita declinerà e metterà fine ad ogni dubbio e questione, non ci sarà più un'esistenza su cui dubitare.

Così è come ho letto la tua poesia. È un'interpretazione molto personale (e molto tragica, forse) e potrei (è anzi molto probabile) aver travisato qualcosa, ma in ogni caso i tuoi versi mi sono parsi magnifici, m'hanno fatto sentire qualcosa di "più".
Complimenti.