Recensioni per
Parigi non perdona
di Relie Diadamat

Questa storia ha ottenuto 36 recensioni.
Positive : 36
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
24/04/15, ore 10:54


Terzo classificato – Parigi non perdona

Di Rita221b


Sintassi, ortografia, punteggiatura
La storia è scritta bene, nel complesso, anche se ho notato qualche errore grammaticale di troppo. C’è da dire, però, che il tuo è uno dei racconti più lunghi che abbia partecipato a questo contest, per cui è abbastanza normale che ci siano delle sviste.
Partendo dalla sintassi, ti segnalo alcuni errori nell’uso dei modi/tempi verbali, dei pronomi personali e delle reggenze:

[…] sembrava assente da tutto ciò che le circondava […]/[…] non le divertiva affatto l’idea che […]

Sia il verbo circondare che il verbo divertire reggono il complemento oggetto. Le frasi che hai scritto si posso tradurre con “sembrava assente da tutto ciò che circondava lei” e “l’idea che […] non divertiva affatto lei”. Il pronome che ha la funzione di complemento oggetto femminile singolare è la e non le. Quest’ultimo, infatti, indica il complemento di termine.

Alexandra comandava controvoglia i suoi piedi di camminare […]

Rispetto alle frasi precedenti, qui c’è l’errore inverso: il verbo comandare, in questo caso, è intransitivo, cioè regge il complemento di termine e non il complemento oggetto. In pratica, non si “comanda qualcuno di fare qualcosa”, ma si “comanda a qualcuno di fare qualcosa”. Pertanto, devi sostituire i, articolo determinativo, con ai, preposizione articolata.

Qualcuno aveva informato i nazisti che Ruth si nascondesse nella casa dei Morel.

Il verbo nascondere della proposizione subordinata andrebbe coniugato all’indicativo imperfetto piuttosto che al congiuntivo imperfetto. L’uso del congiuntivo, infatti, che pure è preponderante rispetto all’indicativo nell’ambito delle subordinate, è comunque vincolato ad alcuni particolari valori semantici della frase stessa, quali l’incertezza, il dubbio, la speranza etc. Nel caso in questione, l’intero periodo – principale più subordinata – ha valore di certezza. Dunque, il verbo della subordinata deve essere coniugato all’indicativo: Qualcuno aveva informato i nazisti che Ruth si nascondeva nella casa dei Morel. Diverso sarebbe stato se avessi scritto una frase del genere: i nazisti pensavano che Ruth si nascondesse […]; in tal caso, il congiuntivo sarebbe stato corretto.

[…] lo stava facendo per garantire salva la vita ai suoi cari… anche se ciò volesse dire non poterli più rivedere.

Lo stesso discorso che ho fatto sopra, vale anche qui. La protagonista non ha il dubbio che ciò possa voler dire qualcosa: ella lo sa, ne ha l’assoluta certezza. Anche perché, comunque, se anche tu avessi voluto indicare un’ipotesi incerta, avresti dovuto usare il congiuntivo trapassato. Comunque, mi pare che il senso del discorso sia abbastanza chiaro: la scelta di Alexandra comporta il definitivo allontanamento dalla famiglia; ne consegue che la frase corretta è anche se ciò voleva dire non poterli più rivedere.

Sentì ancora l’uomo camminare, mentre i suoi passi continuarono a rimbombare nel suo cranio […]

Il mentre inserito subito dopo la virgola indica la contemporaneità degli eventi della frase precedente rispetto a quella successiva. Il modo verbale che indica tale contemporaneità quando la narrazione è al passato è l’indicativo imperfetto. Dunque, continuavano al posto di continuarono. Il passato remoto sarebbe andato bene qualora tu avessi indicato anche un preciso lasso di tempo entro il quale si fosse protratto l’evento: per esempio, “mentre i suoi passi continuarono per ore a rimbombare nel suo cranio”; ma, non avendo inserito alcun dettaglio temporale, devi utilizzare l’imperfetto.

Thomas era una nazista e come tale, nulla di tutto ciò che proveniva dalla loro mente era sano e qualificabile.

Questo credo sia semplicemente un refuso: ovviamente, Thomas è singolare, per cui il relativo aggettivo possessivo deve essere sua e non loro.

Non sapeva se la sua amica era ancora viva […]

Qui, ahimé, il verbo essere andava coniugato al congiuntivo imperfetto. Il non sapere, infatti, esprime semanticamente incertezza.

Loro non sanno cosa si cela dietro i nomi che portano […]

Lo stesso discorso vale anche qui, con la differenza che, in base alle regole di concordanza dei tempi, il congiuntivo deve essere presente e non imperfetto.

Per quanto riguarda l’ortografia, ti segnalo un solo errore – anche se in realtà si tratta più che altro di un problema relativo alla nostra famigerata tastiera:

«E’ Parigi che non perdona.»

Il verbo essere, terza persona singolare del modo indicativo, si scrive sempre e solo con l’accento e mai con l’apostrofo, anche quando la vocale è in maiuscolo. Lo so: sulla tastiera del computer, il simbolo È non è presente; tuttavia, quando il correttore automatico non provvede da sé a inserire la e maiuscola accentata, occorre andarla a cercare tra i simboli di word.

Per quanto riguarda l’uso della punteggiatura, generalmente corretta, ti segnalo alcune imprecisioni che ho riscontrato nei discorsi diretti e qualche virgola mal messa:

«S-sangue…» la voce uscì come un sussurro dalle labbra malferme della donna.

«Le ripeto che non ho bisogno di uno strizzacervelli.» sibilò a denti stretti […]

La vista le si era annebbiata da quando aveva visto quegli uomini trascinare via con prepotenza, la figura esile di Ruth […]

Mentre tre uomini armati di fucile spintonavano la giovane ebrea, dalle trecce scompigliate, sino al carro […]


Relativamente ai primi due esempi che ti ho riportato, il discorso da fare è sulle norme di interpunzione che regolano le battute dialogate. Nel primo caso, la frase che segue il discorso diretto non regge la battuta stessa – non c’è il cosiddetto verbo del dire – e, dunque, l’articolo determinativo posto in apertura deve essere scritto con la lettera maiuscola. Nel secondo caso, la battuta è retta esternamente – sibilò, riferito a colui che ha pronunciato la frase, è un verbo del dire – per cui è corretto scrivere la prima parola della reggente in minuscolo. Tuttavia, proprio perché si tratta di una battuta retta, non bisogna mettere il punto fermo prima della chiusura delle virgolette.
Per quanto riguarda le due frasi successive, le virgole che ho evidenziato in grassetto sono tutte superflue. Nel primo caso, la virgola separa il complemento oggetto – o, meglio, l’argomento della subordinata oggettiva – dal verbo della subordinata trascinare. Volendo estrapolare il costrutto base, la frase suonerebbe in questo modo: (que)gli uomini trascinavano via con prepotenza la figura esile di Ruth. Secondo le norme relative all’uso della virgola, essa non va mai inserita tra il verbo e il complemento oggetto – salvo per ragioni stilistiche particolari o licenze poetiche che noi, comuni scrittori amatoriali, solitamente non abbiamo. Nel secondo caso, la prima virgola che hai inserito separa il complemento oggetto dal relativo complemento di modo. Anche in questo caso, la norma vuole che si eviti di separare i due elementi.

Facendo un resoconto generale della grammatica, devo dire che la lunghezza della storia e la sua discreta complessità sintattica hanno favorito la presenza di qualche errore di troppo. In realtà, trovo che tu scriva bene e che non abbia grossi problemi di grammatica; tuttavia, alcune debolezze sono abbastanza palesi, come l’incertezza nell’uso del congiuntivo – spesso inserito anche dove non occorre – e dei pronomi.
7/10

Appropriatezza lessicale e stile
Da questo punto di vista non ho praticamente nulla da obbiettare, dato che lo stile è ottimo così come l’adeguatezza lessicale. Ci sono alcune ripetizioni qua e là ma, vista la lunghezza della storia, è più che normale che possa sfuggire qualche cosa. Il filo logico degli eventi, nonostante i numerosissimi flashback è chiarissimo: l’idea di indicare esplicitamente la data in cui sono avvenuti determinati fatti ha reso senza dubbio molto più facile la lettura. Di solito non amo molto questo tipo di escamotage, ma mi rendo conto che la complessità della trama non avrebbe potuto ammettere soluzioni alternative. Non ho avuto, insomma, alcun tipo di problema a livello di comprensione del testo e la lettura è risultata molto facile e piacevole.
Tornando al lessico, mi è piaciuto molto il modo in cui hai descritto fisicamente i personaggi del racconto, in particolare i loro capelli: hai puntato molto su quest’ultimo aspetto e anche sugli occhi, e devo ammettere che lo hai fatto senza mai risultare pesante o ridondante. Mi è quasi sembrato di vedere davanti a me i vari protagonisti del racconto, tanto le parole che hai usato per descriverli sono incisive e appropriate.
10/10

Trama: originalità e sviluppo
Dal punto di vista della complessità della trama, la tua è senza dubbio una delle storie più elaborate che abbia letto tra quelle partecipanti al contest. Gli eventi narrati si svolgono lungo due differenti assi temporali – anzi, tre, considerando la parte finale del racconto – che si alternano per tutta la durata della narrazione, senza però mai entrare in conflitto tra di loro, mescolandosi o confondendosi.
Il genere storico non è mai facile da affrontare, soprattutto qualora si voglia mantenere fede alla verità, per cui lo sforzo che hai fatto nello scrivere questa storia merita senz’altro di essere premiato. Tu, poi, hai scelto di ambientare le vicende tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio del dopoguerra, dovendo affrontare, tra le varie tematiche, il razzismo, lo sterminio degli ebrei e la crudeltà, oltre alle conseguenze dettate da un ritorno alla normalità che, forse, tanto “normale” non poteva definirsi. In tutto ciò, l’ambientazione gioca un ruolo importante: le vicende non si svolgono direttamente nei campi di concentramento o di sterminio ma in una città simbolo dell’Europa, dei principi di libertà e uguaglianza e di quell’illuminismo che, evidentemente, negli anni ’30 e ’40 ha visto spegnere le proprie luci. Parigi, le sue strade, l’idea che tutti noi abbiamo di tale città va a cozzare con uno degli eventi più drammatici della storia recente: l’ascesa al potere del nazionalsocialismo e l’avvento della seconda guerra mondiale.
La tua protagonista si muove tra i boulevard parigini stringendo tra le mani delle copie di Chrêtien de Troyes; il contrasto è evidente: da una parte c’è la cultura che, anche nel male, caratterizza la società contemporanea; dall’altra, c’è l’abominio dell’odio razziale, dietro al quale si nascondono, probabilmente, ben precisi interessi materiali ed economici. Alexandra è ancora molto giovane, ma non abbastanza da non cogliere la profonda ingiustizia sociale che si cela dietro la guerra in atto. La sua migliore amica è ebrea, ed ella si ritrova a doverla perdere per mano dei soldati nazisti. Il resto della narrazione si snoda tra il dolore della ragazza al termine della guerra manifestato allo psicologo, la storia di amore/odio vissuta con il soldato tedesco, la speranza sempre più debole di poter un giorno riabbracciare l’amica. Ammetto che, in linea di massima, leggere racconti in cui ci sia una storia d’amore tra vittima e carnefice – perché, anche se la protagonista non è ebrea, subisce comunque delle violenze per lo meno psicologiche da parte di Thomas – non mi entusiasma poi molto, a meno che non ci sia un’accurata spiegazione e giustificazione della vicenda; in questo caso, nonostante le perplessità che nutro a riguardo della caratterizzazione di Thomas – cosa di cui parlerò dopo – posso dire che non ho trovato fuori luogo la relazione tra quest’ultimo e Alexandra. Da un certo punto di vista, la trama è anche intrigante, proprio a causa dell’ambiguità dell’atteggiamento del soldato, anche se credo che la vera forza di questa storia sia nel non aver indugiato troppo sui dettagli più macabri. Nella trama, infatti, pur essendo presenti scene di violenza e di tortura, non viene mai spiegato nulla in termini troppo cruenti. Chissà, forse è l’atmosfera parigina a rendere il tutto meno duro e sanguinoso; comunque, ciò non toglie affatto che il tuo racconto sia estremamente ricco dal punto di vista dei fatti narrati.
10/10

Caratterizzazione dei personaggi
Lo sconvolgimento che può portare una guerra nella mente di una persona adolescente o poco più è senz’altro quasi impossibile da immaginare per chi, come noi, ha avuto la fortuna di non dover vivere in prima persona simili tragedie. Per questo, posso dire con assoluta certezza che caratterizzare al meglio dei personaggi che si muovono in uno scenario di guerra sia abbastanza difficile.
In linea di massima, sono molto soddisfatta del lavoro che hai fatto.
Partendo dalla protagonista, la bella Alexandra, hai indugiato molto sul suo aspetto fisico e anche sui suoi pensieri più reconditi. Pur avendo appena sedici anni, la ragazza appare molto matura e ha un’idea piuttosto precisa sia sui nazisti che sul loro modo di agire. Ciò non le impedisce, però, di invaghirsi di un soldato tedesco, collega di quelli che con un blitz hanno portato via Ruth dalla casa dei Morel. Fin da subito, dici che costui è un bel ragazzo. La tua protagonista viene umiliata in continuazione dal soldato, innanzitutto perché costui la obbliga a vivere come una nazista e a comportarsi come tale ricattandola con la salvaguardia della sua famiglia; e poi, perché tenta di estorcerle qualcosa di più intimo di un semplice bacio quando ancora la ragazza è disgustata dalla fedeltà al nazismo di Thomas.
Eppure, ad Alexandra piace il bel soldato e si fa piacere anche il bacio non proprio casto che quest’ultimo le ruba.
Giudicare se ciò sia concepibile o meno non è sempre facile, soprattutto quando si tratta di storie che toccano temi scomodi e scottanti come il nazismo. Probabilmente, se Alexandra fosse stata un’ebrea vessata e torturata dal soldato in questione, il fatto che lei potesse innamorarsi del suo aguzzino mi avrebbe fatto inorridire; ma, a ben vedere, la protagonista della tua storia vive una situazione diversa, essendo ella una parigina – probabilmente di buona estrazione sociale – ed essendo stata in qualche modo “coperta” e “salvata” da Thomas. Aggiungendo a ciò la giovane età della ragazza e, probabilmente, la non totale consapevolezza di ciò che le sta accadendo, ci può stare una sorta di idealizzazione da parte della protagonista nei confronti del soldato, che, anche solo per il ruolo che ricopre – per quanto spregevole – appare di rango superiore al suo e, dunque, travisato. In questo caso, si può parlare di senso di soggezione, ammirazione perversa o qualunque altro tipo di sentimento che possa scaturire in una persona al cospetto di un’altra che, per motivi economici, sociali o quant’altro, appaia “superiore” alla prima.
Il problema sta nella caratterizzazione di Thomas, a mio avviso.
Per carità, non ho mai pensato che tutti i soldati tedeschi all’epoca fossero pazzi o malati o razzisti o esaltati. Come tutti gli altri giovani chiamati alle armi nei rispettivi Paesi, spesso non sapevano nemmeno contro chi stessero combattendo e perché. Ci può stare, insomma, che Thomas non avesse alcun interesse nel fare del male gratuitamente ad Alexandra o agli ebrei; il problema, ahimé, è che inizialmente lo fa. L’atteggiamento che ha nei confronti della ragazza appare molesto fin dall’inizio e anche l’approccio iniziale che tenta con lei, per quanto apparentemente garbato, nasconde degli intenti non proprio nobili visto che, in base a ciò che hai scritto, egli mira ad averla tutta per sé, pur avendola solamente vista. Che egli sia un violento non ci sono dubbi e gli atteggiamenti che ho già citato nei confronti di Alexandra non possono che confermarlo. Mi chiedo, allora, da dove venga l’improvviso cambio di rotta nel suo modo di agire. Davvero il fatto di essersi innamorato di Alexandra può giustificare un mutamento tanto repentino? Per lei, infatti, accetta addirittura di cercare Ruth, l’amica ebrea della protagonista rapita durante un blitz del quale anche lui, pur non facendo direttamente parte, era complice. Mi pare una cosa piuttosto inconcepibile per uno che minaccia una ragazza sparandole a pochi centimetri dal corpo. E anche questa è senza dubbio violenza.
Non so, fondamentalmente non trovo fuori luogo che dietro agli atteggiamenti iniziali di Thomas ci siano, per esempio, la paura per sé stesso di essere accusato di tradimento o il timore di essere punito corporalmente. In fondo, anche lui è poco più che un ragazzino. Credo, però, che tu non abbia fornito sufficienti spiegazioni circa quest’indole indubbiamente ambigua che caratterizza il ragazzo. Forse, qualche parolina in più per giustificare il suo atteggiamento avrebbe fatto comodo ai fini della comprensione del modo di agire di Thomas.
Nessuna annotazione negativa circa gli altri personaggi che contornano e completano le vicende: Ruth, Raymond e la mamma di Alexandra, pur essendo relativamente marginali nel racconto, occupano posizioni strategiche ai fini della trama e risultano inseriti con grande cognizione di causa.
8/10

Attinenza tra trama e titolo
Il nesso tra il titolo e la trama non è immediatamente evidente, nonostante tu citi il titolo stesso già all’inizio del racconto. In realtà, a seguito di una lettura più attenta, è facile intuire cosa tu intenda dire con Parigi non perdona e come di fatto tu abbia interpretato il titolo scelto: il perdono – che, probabilmente, deve scaturire prima dall’animo di Alexandra – è la condizione necessaria e sufficiente affinché la protagonista trovi la forza per andare avanti, voltare pagina e ricostruirsi una vita dopo la dolorosa scomparsa di Thomas, Ruth e suo padre. Parigi non perdona in quanto tutto, nella meravigliosa capitale francese, ricorda alla ragazza i terribili momenti vissuti durante la guerra. Parigi non perdona perché è lì, ancora lì, e lì rimarrà per sempre, nonostante i segni della guerra si siano in gran parte cicatrizzati. Parigi non ha dimenticato gli orrori del secondo conflitto mondiale ed è pronta a ricordarli anche ad Alexandra ogni qualvolta ella si appresti a passeggiare in determinati quartieri della città. Ne è riprova il fatto che la giovane, per potersi rifare una vita, è costretta a fuggire in America, abbandonando quei luoghi che le ricordano la sua infausta adolescenza. È vero: Parigi non perdona; e, nel caso di Alexandra, non aiuta nemmeno a dimenticare.
10/10

Gradimento personale
Dovendo valutare la complessità degli argomenti trattati, la tua storia è senz’altro quella che mi ha lasciato di più in termini di gradimento personale.
L’ho adorata, semplicemente. Ho apprezzato il tuo coraggio nel cimentarti in un argomento scomodo e anche il tuo modo di gestire la trama e i personaggi. Certo, come hai avuto modo di leggere, alcune cose mi hanno lasciata un po’ perplessa soprattutto nella caratterizzazione di Thomas, ma, in linea di massima, hai scritto una storia molto bella, sentimentale, in parte romantica e storicamente realistica. Mi dispiace molto per i troppi errori grammaticali che, di fatto, hanno inciso sul punteggio finale e sulla classifica, ma credo che comunque tu possa andare fiera del tuo lavoro, del quale, senza ombra di dubbio, si nota l’accuratezza con cui è stato realizzato.
Brava.
Tot: 45/50

Nuovo recensore
21/04/15, ore 21:02

Ciao,
Eccomi qui, come promesso.
La tua storia mi è piaciuta moltissimo! Trovo che le tematiche non siano delle più semplici, ma sono affrontate molto bene.
Lo stile è chiaro, scorrevole e molto comprensibile. Questi sono senza dubbio punti di forza. Mi è piaciuto molto il datare i ricordi e il fatto che non fosse un unico flashback ma diversi.
Davvero ottima!

A presto, spero,

-Angel
 

Recensore Junior
21/04/15, ore 17:06

Sono rimasta senza parole! Una storia triste ma bellissima sei davvero brava la tua scrittura fa vivere tutto ciò che descrivi sei grande! A presto!!

Nuovo recensore
08/04/15, ore 09:04

Ciao Rita, ho letto questa storia e l ho trovata fantastica ,mi sono emozionata tanto!! Sei un autrice perfetta!! Davvero complimenti

Nuovo recensore
02/04/15, ore 17:51

Questa storia lascia senza parole. Letteralmente, non senza parole...

Aspetta, adesso cerco di recuperarle, perché devo assolutamente dirti quanto mi è piaciuta.

Affronti una tematica delicatissima, a cui anche io sono molto legata, esprimendo la crudeltà di una realtà che è giusto non nascondere, per non rischiare di dimenticare quello che è stato, ma lo fai con la sensibilità e la purezza che continua a trasparire in Alexandra fino alla fine, nonostante quello che ha vissuto e quello a cui è stata costretta.
Mi sono quasi venute le lacrime agli occhi leggendo la lettera finale spedita al dottor Pruvost, è bello pensare che dopo tutto quel dolore, un lieto fine sia possibile anche per lei, che è così forte da chiamare i suoi figli con nomi che resteranno con lei per sempre.
Inutile dirti che la tua scrittura è magnifica e molto ricercata. :)

Vorrei dire un milione di cose ancora perché la tua one-shot mi ha davvero impressionata, vorrei quasi esistesse una storia intera che mi parlasse di Alexandra, ma poi penso che sia giusto aver conosciuto solo parti della sua vita. Le più dure, le più coraggiose e le più meravigliose.

A presto!

Recensore Master
23/03/15, ore 20:23

Mi è piaciuta un sacco! È davvero una delle più belle storie che abbia mai letto! Sei davvero brava!

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