Arrivo anche qui, confidandoti una mia debolezza: ho notato, sul mio cammino di “recupero”, che c’è anche un’altra tua long, “John e Mary”. Mi ero “attrezzata” mentalmente per lasciarti qualche osservazione, mi piace sempre leggerti, ma il personaggio della moglie di John mi è sempre rimasto un po’ indigesto. Lo so che a te, invece, risulta positivo ma chissà, per singolarità caratteriali o per eccessiva “fedeltà” all’integrità della Johnlock, fatto sta che, pur avendola letta, mi sono riservata la possibilità di ritornarci su. Quindi, invece, eccomi qui, in cui ai nostri due fai condividere un percorso diverso, originale.
“...mi propose un lavoro in uno dei suoi bordelli...”: questa frase la riporto perché è quella che mi acceso in faccia una luce abbagliante che mi ha lasciato stordita. Infatti, nel cominciare a leggere, pensavo di trovarmi di fronte ad una rilettura di quello che era stato il primo incontro tra i due di Baker Street. Si, possiamo pensare anche così, ovvio, ma le variazioni che hai ideato mi hanno lasciato veramente di stucco. Nelle Note introduttive dici di aver scritto questo pezzo durante “un’ora di noia”....alla faccia della noia: mi trovo davanti ad una realtà narrativa forte, impensata, travolgente. Se posso inviarti una foto del mio stato d’animo ci sono gli occhi spalancati, la bocca semiaperta ( per educazione non del tutto). E la curiosità, sicuramente, diventa pressante. Sorprendente la tua trovata di far “sfilare” i personaggi più significativi che ruotano attorno a Sh e John, addirittura Sh stesso, visti in un’ottica decisamente inusuale. Infatti diventano tutti “clienti” di quel posto particolare. Quello che ho trovato ben riuscita è la loro caratterizzazione attraverso poche righe, giusto le necessarie per presentarli come partecipanti alla storia. Oltre a Sh, tra tutti, ovviamente, il più piacevole è il buon Greg che, anche in un frangente come questo, riesce ad esprimere umanità e condivisione. Pessimi, ma va bene così, perché si rifanno all’IC, sono Moriarty e Magnussen. E poi c’è Irene, un personaggio che ho sempre detestato e che trovo a suo agio nel ruolo che ha in questa storia. Falsa e predatrice.
A proposito del titolo che hai pensato per questo pezzo, diventa difficile nella situazione in cui è prigioniero John, pensare all’amore come ad un sentimento salvifico, ma in un contesto simile, si scoprirà alla fine che é realmente così. Sarà la salvezza, anche se Sh dovrà passare attraverso la morte. Penso che una tua caratteristica di Autore sia l’atteggiamento particolare che hai nei confronti di Jon. Infatti il modo con cui lo fai agire denota, a mio avviso, una tua personale inclinazione a considerarlo un uomo forte, un uomo che ha molto da dare ma che la vita ha appesantito con vicende molto forti. Quindi, nelle tue storie, lo “carichi” spesso di esperienze che lasciano sofferenza e, a volte, come in questa, devastazione, vuoto. Mi trovi perfettamente d’accordo perché l’umanità di John spinge a pensarlo in frangenti in cui possa metterlo in grado di esprimere sempre la sua positività. Basti pensare, qui, al modo con cui accoglie i vari “clienti, studiandoli, percependo la loro connotazione personale. Non è un qualcosa di puramente mercenario il suo, lo vive con tutto se stesso. Basti pensare, infatti, a ciò che nasce tra lui e Sh, sentimento che supera i limiti di una situazione così squallida. Si vede che, anche qui, ci hai messo il cuore a scrivere questo pezzo. Ovviamente, quando si arriva alla conclusione, ci si trova immersi nella tristezza, ma non è detto che il lieto fine sia quello che soddisfa di più chi legge. In questo caso, in effetti, hai chiuso in un modo non banale, convincente. Brava. |
