Sediamoci un attimo, Giò. Sediamoci e parliamone, ché quella scena delle mani attorno al collo ha mietuto torme di vittime (alza la mano). Ché avrei voluto esserci io, al posto di Milo, a strangolare Camus per tutta quell'assurdità (anche se, a voler essere onesti, quello a cui tirare il collo sarebbe Kurumada. Ma soprassediamo). Perché in quelle dieci dita strette attorno al collo di Camus c'è tutto: la rabbia, l'esasperazione, il dolore, l'incazzatura solenne di Milo. Che sembra quasi dire, con quelle dita serrate, "Non abbiamo imparato proprio niente dalla disavventura con Saga, VERO?!".
E poi c'è lui. Lui, che serpeggia tra le righe con la sua indolente tristezza. Lui, il cui sguardo perso tra i fumi del vino cerca e vede un volto amico - quello del giovane angelo che si è rivelato essere, inrealtà, un demonio. Lui, il conte de la Fère, che ha nel nome quello di una montagna. E come una montagna si erge Camus su Milo, dopo che le mani dello Scorpione hanno abbandonato il collo del Santo dell'Acquario. Una montagna troppo alta da scalare, irragiungibile, catapultata nell'empireo degli eroi pronti a tutto eccetera eccetera eccetera.
In tutta sincerità, io in quelle mani strette e bianche di rabbia ci ho sempre visto una sorta di 'tradimento' da parte di Milo; tradimento perché Camus non s'è confidato con lui, non gli ha spiegato il suo piano, non lo ha messo a parte di nulla e s'è tenuto il suo segreto bello stretto. Sì, c'erano gli Spectre col fiato sul collo; sì, quando si sono rivisti Camus non poteva più parlare; e mille altri sì che adesso non è il caso di rispolverare.
Però, la tua visione - e il modo in cui ce l'hai porta - è credibilissima. Mi hai regalato una sensazione particolare, quella di chi pensa "non mi sarebbe mai venuto in mente!" schioccando le dita. E in tempi di magra come questa, in cui le storie sono copie di mille riassunti, questo racconto è un soffio di brezza che spira dal mare. E che odora di beaujolais, ça va sans dire! |