Recensioni per
III Aprile
di _Maeve_

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
Positive : 1
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
04/04/16, ore 15:35
Cap. 1:

Mi hanno insegnato a non fidarmi mai di chi conclude qualcosa dicendo "Io sto bene".
La poesia, sai, sembra dire tutt'altro, almeno in parte (in un certo senso è come se fosse indecisa, o perlomeno costretta ad esserlo). Parto, però, dall'inizio, e non dalla fine, okay? Farò finta d'essere ordinato.
Se stessimo parlando di una canzone, diremmo che la tua canzone "attacca" con poca convinzione. È quasi sincero quel primo verso in cui ammetti di non sapere cosa c'è (che va - che non va). Dipingi un inizio struggente e allo stesso tempo tenero e delicato, di passi letterari commoventi, di romanzi coinvolgenti, di primavere appena giunte e promettenti. Forse è proprio la natura della primavera, il suo essere carica di promesse e di nuovi inizi, che alimenta quella malinconia serpeggiante. Il suo arrivo è carico anche d'irruenza, di una vitalità che stona con il mondo che ti sei creata - e che una parte di te desidera cambiare, mentre un'altra parte di te nega l'evidenza e si mostra forte e sicura, mentre un'altra piccola parte di te è perfino commossa dal tuo stesso struggimento (è la parte che scrive, un incrocio tra un dandy e un poeta maledetto, in cui si riflettono continuamente le tue scelte e le tue due visioni del tuo mondo: quella in cui lo adori e in cui c'è bellezza e ci sono i sogni e c'è un latente piacere; quella in cui lo rinneghi e in cui ci sono errori ed illusioni ed insoddisfazione). La tua te è complessa, così si spiega quello sguardo indecifrabile (che la gente, forse, sintetizzerebbe come "triste") verso la primavera, oltre la finestra, come se t'avessero strappato un pezzo di cuore.
Una sensazione familiare a chi si porta dietro dei rimpianti, attuali o potenziali, che nasconde dietro un sorriso di facciata. Tipico di chi ti dice che sì, va tutto bene (ma potrebbe pure andare tutto male. E in un certo senso il condizionale è d'obbligo, perché c'è ancora molto che non sai come andrà a finire), sembri tanto una convinta pessimista che ufficialmente si mostra sempre ottimista.
Arrivi dunque al punto (uno dei tanti, ad onor del vero, ma forse il più intenso). Sei pronta a giustificarti e a lasciarti giustificare, giacché "tanto non si muore" (è un modo di dire che ti è divenuto caro e che odi profondamente). No, è vero, non si muore per un amore non corrisposto, non si muore per un sogno che rimarrà irrealizzato, per una passione non coltivata. Quantomeno, non si dovrebbe. E tuttavia quel modo di ragionare, quel presupporre già una giustificazione assolutrice, è il primo sintomo di chi è pronto a cedere, ad arrendersi, di chi in cuor suo non prevede un finale a lieto fine e sa che, per sopravvivere, dovrà convertirlo, dovrà appropriarsene e renderlo meno triste quel finale. Eppure sai che nulla si costruisce dal nulla, eppure ti culli nella consapevolezza che se anche finisse male, avresti inseguito qualcosa (senonché ti chiederai, "c'avrò messo abbastanza voncinzione? Non potevo fare di più?") che in altri momenti vorresti non aver inseguito mai. È evidente e comprensibile il tuo sentimento: è corrosivo il modo che abbiamo di farci tormentare dai rimpianti, dai what-if e da quello che, col senno di poi, definiremmo una perdita di tempo. E il tempo, per quanto possa essere banale, è davvero ciò che di più prezioso abbiamo. Non è un luogo comune come gli altri.
E se pure i trecento di Leonida si fossero lamentati, se non avessero intravisto la fine gloriosa che li attendeva, se v'avessero rinunciato, forse li avremmo giustificati in maneira altrettanto convincente. "Non è che si muore", letteralmente. È fastidioso sentirselo dire (o dirlo, fingendo un sorriso) per chi vive le scelte come qualcosa di tremendamente decisivo, per chi è ossessionato dalle biforcazioni e poi si perde e torna dindietro e allora inizia a procedere con estrema cautela, dando l'impressione di non muoversi. "Tu che nella vita non c’hai un cazzo da fare," è un altro sibilio fastidioso e che spezza il cuore, è il risultato di impressioni sbagliate - o sono invece le mie scelte? Ti chiedi -, di chi tenta ancora di afferrare il senso della propria esistenza e di cosa essere, di chi essere. In effetti, non si può solo poetare nella vita.
Le immagini, immerse nel profumo dei ricordi o evocate dalle canzoni e dai libri, creano mondi interi in cui sarebbe bello annegare, per sempre. Ciascun assopirsi, d'incanto, è però interrotto dalla realtà che brusca esige i propri tributi, che giudica sulle scelte e sui sogni stessi (non siamo più noi a decidere cosa è realizzabile e cosa no), e i dubbi sul futuro si fanno così tangibili, così vicini e opprimenti... non resta altra scelta, bisogna fare una diversione. Scrivere una poesia, prima, e poi leggere un libro o ascoltare una canzone. E sperare, sì.
C'è un desiderio più grande di tutti e continui a lasciarti cullare dai suoi piumosi risvolti, fantasticandoci sopra e rielaborando i modi di dire, rendendoli adatti all'occasione, con un vestito da sposa. E ci sarebbe un modo per risolvere tutti i problemi, o almeno aggirarli. Le domeniche, inutili, dovrebbero essere eterne: che per una volta tutto s'arrestasse, che il tempo smettesse di fluire, che le responsabilità si congelassero (e con loro le aspettative e le pragmatiche decisioni da prendere), questo servirebbe. Sarebbe una mezza vittoria: potremmo quietarci, interrompere questo esigente e incontrollabile viavài di persone e circostanze, potremmo crogiolarci ancora nell'incertezza senza l'opprimente sensazione di dover scegliere, prendere direzioni, contrinuando a nutrire speranze/illusioni. Sarebbe un'incertezza serena, sarebbe il degno coronamento dell'inconcludenza. Un piacere perverso sarebbe, percepirsi inetti e dannati in una domenica eterna, senza avere nulla. Cosa vuoi davvero, Giulietta? Amletica la tua scelta.

Mi sono piaciuti i tuoi punti e virgola sbagliati. Il tuo modo di sbagliare di scrivere è molto bello.
Recensione troppo lunga la mia, ma tu quando scrivi ci metti l'anima e le anime sono difficili da afferrare con le parole, ne servono molte. Specialmente se non si può scrivere una recensione in versi (in quel caso, forse, sarebbe stato più facile).
Complimenti, Maeve.